Alternative alla giustizia criminale
di Louk Hulsman
Introduzione
Questa relazione verte sulle alternative alla giustizia criminale, pur non
affrontando l'argomento generale del castigo. Vedo la punizione come una forma
di interazione umana in molte pratiche sociali: nella famiglia, nella scuola,
nel lavoro, nello sport. In questo senso conosciamo tutti il castigo in entrambi
i ruoli, passivo dell'essere punito e attivo "di colui che punisce".
(1)
L'immagine che ha la gente della giustizia criminale si basa in gran parte
sulla presentazione da parte dei media delle attività della giustizia
criminale. Quando si partecipa alla giustizia criminale indirettamente o si
valuta il sistema da spettatori, lo si fa in base all'immagine prodotta dai
media. Nella giustizia criminale si usa il linguaggio della punizione; la
gente quindi ritiene che esista una congruenza fra il contesto del castigo
a loro familiare sulla base dell'esperienza diretta e i processi all'interno
della giustizia criminale. Tuttavia, questa congruenza non esiste.
Relativamente a ciò che all'interno del sistema viene definito professionalmente
"castigo" (determinate decisioni giudiziarie e loro attuazione)
manca un rapporto tra "colui che punisce" e "colui che viene
punito". (2) È proprio nella relazione "punente-punito"
che va cercata la caratteristica della "punizione" (al contrario
della violenza). Nella giustizia criminale quindi le attività (e le
esperienze) formalmente denominate castighi non sono assimilabili agli eventi
che al di fuori della giustizia criminale vengono considerati come punizione.
In pratica chiamare quelle attività punizione significa creare una
legittimazione infondata; di conseguenza io non considero la giustizia criminale
come un sistema per dispensare punizioni, ma come un sistema che usa il linguaggio
della punizione in maniera da nascondere i reali processi in corso e da produrre
consenso attraverso una presentazione erronea di questi processi che li assimila
ai processi conosciuti e accettati dal pubblico. Il linguaggio convenzionale
nel discorso pubblico nasconde le realtà relative a situazioni problematiche
(crimini) e alla criminalizzazione. (3)
Farò quindi dapprima alcune osservazioni sul linguaggio e sulla posizione
di uno studioso rispetto al nostro argomento: non si può parlare di
giustizia criminale e di alternative senza indicare i valori che vogliamo
prendere in considerazione nel paragone fra un approccio dal punto di vista
della giustizia criminale e una situazione in cui altri sono gli approcci.
Successivamente parlerò dei valori, e quindi esaminerò quanto
siano o meno realistiche le opinioni sulla giustizia criminale (e io non penso
che lo siano) descrivendo tre errori fondamentali nelle idee dominanti sulla
giustizia criminale.
Concluderò quindi con alcune proposte (pratiche) per un nuovo approccio
alla questione delle alternative.
1. IL LINGUAGGIO E LA POSIZIONE DELLO STUDIOSO
Un dibattito pubblico a Cordova
Nell'ottobre 1996 ebbi il privilegio di partecipare a un dibattito pubblico
in materia di sicurezza nella città di Cordova (Argentina). Il dibattito
era organizzato da un'associazione di volontari denominata "EI Agora",
(4) che si propone di motivare i cittadini a esprimere le proprie opinioni
e a promuovere varie attività in materie di interesse pubblico.
Il dibattito iniziò con piccoli gruppi di 10-15 persone. Chiunque fosse
interessato si poteva iscrivere a un gruppo. "EI Agora" forniva
un coordinatore per ogni gruppo. Gli argomenti in discussione nella prima
riunione erano i seguenti. Ti senti poco sicuro a volte in questa città?
In che contesto, in quali circostanze? Cosa sì può fare per
diminuire questa sensazione di insicurezza? Chi, e come, può contribuire
a questo scopo?
Nel primo giro di discussioni i partecipanti non si esprimevano da esperti,
ma piuttosto riferivano esperienze personali, sensazioni e opinioni come cittadini.
I partecipanti non cercavano di riscuotere il consenso altrui; dovevano solo
cercare di identificarsi con le diverse esperienze, sensazioni e necessità
espresse dal gruppo.
La sera riassumevamo tutte le opinioni e le posizioni espresse nei singoli
gruppi in un unico grande schema, nell'ambito del quale avevamo ovviamente
lasciato spazio per le osservazioni sulle azioni da adottare nei confronti
dei trasgressori, ma questa sezione rimase praticamente vuota. I partecipanti
desideravano svariate azioni concrete, che si potrebbero classificare nelle
categorie della riparazione e della prevenzione, ma il soggetto - argomento
al centro del dibattito ufficiale "punizione dei criminali" - veniva
rappresentato solo marginalmente. In quanto alle azioni concrete suggerite
dai partecipanti nei gruppi dì lavoro non c'era poi una loro collocazione
naturale, non si trovavano le parole nel linguaggio del dibattito ufficiale.
Non c'è quindi da stupirsi che tutti gli esperti chiamati a commentare
il risultato della discussione nei gruppi di lavoro indicassero la sorprendente
differenza fra i due linguaggi.
L'accademia e il linguaggio su crimine, giustizia criminale e sicurezza
A mio avviso esiste un doppio compito per gli studiosi che operano nei campi
toccati dal dibattito su crimine e giustizia criminale (e che concordano con
i valori critici contenuti dentro la tradizione accademica) (5):
a) descrivere e analizzare i processi di criminalizzazione in modo da permettere
la determinazione delle conseguenze e della loro legittimità; (6)
b) dare una mano a chi (7) (professionisti e non) cerca di affrontare situazioni
problematiche (dal punto di vista della riparazione e/o prevenzione) oggetto
di criminalizzazione secondaria o di pretese di criminalizzazione primaria.
Per portare a termine questo compito serve un linguaggio. Questo linguaggio
non può essere quello in cui si pratica e si legittima la giustizia
criminale. Se l'uso di tale linguaggio deve rendere possibile stabilire la
legittimità della giustizia criminale alla luce di determinati valori
espliciti, è meglio partire con la formulazione di quei valori che
ci devono indicare dove e come cercare. Iniziamo quindi a considerare alcuni
valori espliciti.
2. VALORI E NORME
2.1 Quando cerchiamo di pervenire a uno standard normativo comune da usare
per formarci un'opinione sugli sviluppi nel campo della giustizia criminale
e delle sue "alternative", è utile fare una distinzione fra
due livelli di normatività.
Da un lato abbiamo un livello di normatività che possiamo usare in
modo generico per determinare gli sviluppi sociali. A questo livello possiamo
paragonare gli sviluppi nella giustizia criminale con gli sviluppi nella legge
civile, ma anche con i cambiamenti nel campo della socio-terapia e coi cambiamenti
nei rapporti umani al di fuori dei contesti professionali.
A questo livello costruiamo la normatività in modo da poter paragonare
schemi riferimento della giustizia criminale con altri schemi di riferimento
dentro e fuori l'universo legale.
Se esaminiamo la giustizia criminale a questo livello vediamo le regole e
la realtà della pratica, e paragoniamo la determinazione di altre attività
professionali (il settore socio-sanitario, l'istruzione, la comunicazione
ecc.). Questo però è anche un livello di normatività
più specifico, in cui determiniamo le attività di giustizia
criminale solo in relazione alle regole e alle tradizioni sviluppate nel corso
del tempo in questo settore. Ovviamente ci possiamo chiedere se adattare o
meno queste regole e queste tradizioni; torneremo quindi al primo campo di
cui abbiamo parlato.
2.2 Valori del primo livello
Dobbiamo cercare uno schema normativo intorno al quale poter mobilitare un
consenso vasto in questo periodo storico di società (post)moderne.
Lo schema normativo deve contenere indicatori che si possano applicare ai
sistemi sociali in cui giocano un ruolo preminente i professionisti e in cui
molti casi vengono trattati su un micro-livello: come per esempio il sistema
dell'istruzione, il sistema sanitario e quello legale. Lo schema normativo
presuppone un accordo sul carattere secolare e non fondamentalista dello Stato.
(8) Gli indicatori che seguono mi sembrano soddisfare i requisiti cui ho accennato.
(9)
Vedo questi valori sullo sfondo dei valori formulati alla fine del XVIII secolo
in Francia e che vediamo ancora oggi su ogni edificio francese: uguaglianza,
fraternità, libertà.
a) Rispetto per il diverso
Assunto di base: la sopravvivenza della vita dipende dal rispetto e dalla
solidarietà con ciò che è diverso. La differenza all'interno
delle specie e fra di esse oggi come oggi è minacciata dai nostri accordi
sociali e tecnici. Le differenze fra persone che vivono nella stessa "società"
sono sottovalutate, nel discorso pubblico.
Valori: rispetto per le differenze fra gli individui (e perfino in uno stesso
individuo nel corso della sua vita) e fra le collettività. Solidarietà
con queste differenze.
b) Le professioni e le autorità devono servire il cliente
Valori: Le professioni e le autorità esistono per le persone nella
loro diversità, e non viceversa. Ciò significa che le autorità
e le professioni devono servire gli interessi dei clienti considerandone legittima
la diversità.
Assunto di base: le autorità e le professioni possono solamente servire
l'interesse del clienti nella loro diversità quando questi clienti
hanno il potere di orientare le proprie attività.
c) Validità della ricostruzione
Assunto di base: Il menu non è il pasto, la mappa non è il territorio.
Un evento oggetto di un discorso o di una qualsiasi forma di processo decisionale
è sempre ricostruito. La ricostruzione non è mai identica all'evento.
Valori: nella valutazione delle pratiche sociali il primo aspetto da valutare
è la qualità della ricostruzione di un evento o di uno stato
di cose. La ricostruzione è "valida"? La ricostruzione di
eventi che appartengono (inoltre) al regno della vita reale è valida
solo se basata sulle intenzioni degli attori principali nel mondo reale. Questo
criterio è diretta conseguenza dei valori e degli assunti di base dei
punti a) e b).
2.3. Valori e norme di secondo livello
Incontriamo qui valori e norme prodotti nelle leggi, nelle dottrine e nelle decisioni giudiziarie. Spesso il discorso verte su questioni specificamente penali anche quando in discussione ci siano questioni sui diritti umani. È importante anche far riferimento ad altri "argomenti" nel campo dei diritti umani in cui viene ulteriormente sviluppata la dimensione della libertà.
3. TRE ERRORI FONDAMENTALI DEL DISCORSO CONVENZIONALE SU CRIMINE,
CRIMINALIZZAZIONE E GIUSTIZIA CRIMINALE
3.1. Prima di descrivere questi errori fondamentali dobbiamo riflettere un momento sui concetti chiave impiegati.
Il concetto "Crimine"
Siamo portati a considerare gli "eventi criminali" come eccezionali,
tali cioè da differire in maniera sostanziale da altri eventi non definiti
come criminali. Nell'ottica convenzionale, la condotta criminale non è
considerata la causa più importante di questi eventi. I criminali -
sotto tale punto di vista - sono una categoria speciale di persone, e la natura
eccezionale della condotta criminale, e/o del criminale, giustificano la natura
speciale della reazione nei suoi confronti.
Tuttavia, le persone coinvolte in eventi "criminali" non sembrano
formare una categoria a parte per se stesse. Coloro che sono ufficialmente
schedati come "criminali" costituiscono solo una piccola parte di
quelli implicati in fatti che permettono legalmente la criminalizzazione,
la grande maggioranza dei quali è costituita da giovani maschi provenienti
dai settori più disagiati della popolazione.
All'interno del concetto di criminalità troviamo svariate situazioni
collegate fra di loro: la maggior parte di esse hanno, comunque, proprietà
separate e nessun denominatore comune: violenza dentro la famiglia, violenza
in un contesto anonimo nelle strade, effrazione, modi completamente diversi
di ricevere merci illegalmente, modi differenti di condotta nel traffico,
inquinamento dell'ambiente e alcune forme di attività politiche. Non
si può individuare alcuna struttura comune né nella motivazione
di chi è implicato in tali fatti, né nella natura delle conseguenze,
né nelle possibilità di affrontarle (vuoi in senso preventivo,
vuoi nel senso del controllo del conflitto). Tutto ciò che questi fatti
hanno in comune è che il sistema della giustizia criminale è
autorizzato a intervenire contro di essi. Alcuni di questi eventi causano
una notevole sofferenza a coloro che sono direttamente implicati, di sovente
nuocendo sia al perpetratore sia alla vittima. Consideriamo, per esempio,
gli incidenti stradali, e la violenza nella famiglia. La gran parte dei fatti
di cui si occupa la giustizia criminale non si troverebbe però molto
in alto in una immaginaria scala della sofferenza individuale. Le difficoltà
fra coniugi, fra genitori e figli, per la casa e sul lavoro normalmente vengono
percepite come problemi più seri per durata e gravità. Se paragoniamo
i fatti criminali con altri fatti, non troviamo al livello di chi è
direttamente coinvolto nulla di intrinseco che porti a distinguere quegli
eventi "criminali" da altre difficoltà e situazioni spiacevoli.
Di regola, essi non vengono neppure segnalati da chi è direttamente
coinvolto per essere affrontati diversamente dal modo in cui vengono gestiti
gli altri eventi. Non dobbiamo quindi sorprenderci se un numero considerevole
di fatti definiti come "crimini gravi" nel contesto del sistema
della giustizia criminale rimanga totalmente fuori da quel sistema. È
dunque risolto dentro il contesto sociale in cui ha luogo (la famiglia, il
sindacato, le associazioni, il quartiere) nello stesso modo in cui vengono
risolti altri conflitti "non criminali". Tutto ciò significa
che non esiste una realtà ontologica del crimine.
Criminalizzazione e giustizia criminale
Cos'è la giustizia criminale? Per noi, la giustizia criminale è
una forma specifica di interazione fra un certo numero di organismi come la
polizia, i tribunali (nel senso più ampio, cioè non solo i giudici,
ma anche il pubblico ministero, gli avvocati, ecc.), il sistema carcerario
e di libertà vigilata, i dipartimenti di legge e criminologia nel mondo
accademico, il ministero della Giustizia e il parlamento. Nessuno di questi
organismi è in sé indissolubilmente legato alla giustizia criminale,
ognuno ha una sua vita propria. Molte delle attività dei tribunali
non hanno luogo all'interno dello schema di quella forma particolare di interazione.
Allo stesso modo, la maggior parte delle attività dei tribunali spesso
non avviene nello schema della giustizia criminale; ma nello schema della
giustizia amministrativa o civile.
Cos'è dunque quella forma specifica di interazione, o - in altre parole
- di organizzazione culturale e sociale (Gusfield, 1981) che produce la criminalizzazione?
Tratterò brevemente solo quegli aspetti che ritengo importanti per
il nostro argomento centrale.
Il primo fatto specifico che denota una organizzazione culturale è
la giustizia criminale come atto per costruire (o ricostruire) la realtà
in un modo molto specifico. Produce una costruzione della realtà a
partire da un episodio, attentamente definito nello spazio e nel tempo, ferma
l'azione su quel momento e si rivolge a una persona, come individuo, cui poter
attribuire l'operato (la causalità) e la colpa di tale episodio. Come
risultato di ciò, l'individuo viene isolato, per alcuni aspetti importanti
relativi a quell'episodio, dal suo ambiente, dagli amici, dalla famiglia,
dal sostrato materiale del suo mondo. Viene anche diviso da chi si sente vittima
in una situazione che può essere attribuita alla sua azione; le "vittime"
vengono a loro volta separate in modo simile. Quindi, l'organizzazione culturale
di riferimento toglie artificialmente alcuni individui dal loro ambiente distintivo
e separa le persone che si sentono delle vittime dalle persone considerate
in questo specifico frangente come "perpetratori". In tale senso
l'organizzazione culturale della giustizia criminale crea "individui
fittizi", e un'interazione "fittizia" fra di loro. Altra caratteristica
dell'organizzazione culturale della giustizia criminale è la sua attenzione
sull'attribuzione della colpa. Esiste una forte tendenza nella giustizia criminale
ad associare eventi e comportamenti esaminati e sanzioni comminate in un modello
coerente e stabile, che si basa su una scala gerarchica di "gravità".
(10)
La gerarchia per gravità si basa fondamentalmente sull'esperienza di
una gamma limitata di fatti all'interno della competenza effettiva (o ritenuta
tale) del sistema. In questa piramide non vengono praticamente fatti paragoni
con fatti e comportamenti al di fuori di tale gamma.
La classificazione ha luogo in gran parte in un universo separato, determinato
dalla struttura della stessa giustizia criminale. La coerenza della scala
dentro il sistema conduce necessariamente a incoerenze rispetto alle scale
di chi sta fuori del sistema, dal momento che i valori e le percezioni nella
società non sono uniformi. Il "programma" dell'attribuzione
della pena tipico della giustizia criminale è una copia fedele della
dottrina del "giudizio universale" e del "purgatorio"
che troviamo in talune dottrine teologiche della cristianità occidentale.
È anche contrassegnata dalle caratteristiche di "centralità"
e di "totalitarismo", specifici di queste dottrine. Ovviamente,
quell'origine - la "vecchia" razionalità - si nasconde dietro
a parole nuove: "Dio" viene sostituito da "legge" e il
"consesso del popolo" da "noi".
Consideriamo ora le caratteristiche speciali dell'organizzazione sociale della
giustizia criminale. Mi soffermerò in particolare su due di esse: la
prima caratteristica dell'organizzazione sociale della giustizia criminale
è la posizione debolissima che occupano le "vittime" - e
per vittime intendo la persona o le persone colpite da un fatto o da una successione
di fatti - in questo schema di riferimento.
Potremmo argomentare che le attività delle professioni e delle burocrazie
possono essere utili ai clienti solo quando sono guidate dall'attiva partecipazione
di tutti coloro per conto dei quali operano. In uno schema di riferimento
di giustizia criminale non c'è spazio - in linea di principio - per
tale partecipazione e guida attiva. Quando la polizia opera in uno schema
di giustizia criminale tende a non essere più guidata dai desideri
e dalla volontà del querelante, ma dalle esigenze del procedimento
legale che sta istruendo. (11)
La parte civile - chi ha chiesto l'intervento della polizia - ne diventa "testimone"
anziché guida. Un testimone è fondamentalmente uno "strumento"
per portare un procedimento legale al successo. In modo simile lo schema dei
procedimenti giudiziari preclude - o rende comunque estremamente difficile
- l'espressione da parte della vittima del suo punto di vista sulla situazione
e una sua interazione con la persona considerata come presunto colpevole dinanzi
alla corte. Anche in tale situazione, egli è anzitutto "testimone",
anche in quei sistemi legali in cui si è creata una posizione speciale
per le vittime. Gli studi fatti finora sui risultati dei cambiamenti nei procedimenti
giuridici per rafforzare la posizione delle vittime dentro uno schema di giustizia
criminale hanno dato finora risultati estremamente deludenti (Fattah 1997).
Una seconda caratteristica dell'organizzazione sociale della giustizia criminale
è la sua estrema divisione dei compiti orientata su una legge criminale
centralizzata (legge scritta, o diritto comune). Questo rende estremamente
difficile ai funzionari la regolazione delle proprie attività a seconda
dei problemi di coloro che ne sono direttamente coinvolti, e una loro assunzione
di responsabilità personale per le proprie attività in questo
frangente. Una delle caratteristiche principali della giustizia criminale
è che essa invoca nel suo discorso la "responsabilità personale"
per i "trasgressori", sopprimendo però la "responsabilità
personale" per chi opera in questo schema di riferimento.
La reale organizzazione sociale e culturale delle attività di un organismo
può essere più o meno in tono con la giustizia criminale. Ciò
permette di determinare in che modo si sviluppa il "comportamento"
delle procedure correnti.
Riassumendo, la giustizia criminale consiste da una parte nelle attività
di determinati organismi in quanto frutti dell'organizzazione sociale e culturale
descritta in precedenza, e dall'altra nell'accoglimento e nella legittimazione
di quelle attività nei diversi segmenti della "società".
L'abolizione si rivolge a entrambe le aree: le attività delle organizzazioni
e il loro accoglimento nella "società".
3.2 Il risultato di un dibattito razionale sui nostri argomenti è
influenzato da un lato dai valori che fungono da orientamento per i partecipanti,
e dall'altro da fatti presi dalla realtà vera, di cui parlerò
qui di seguito.
Tre sono gli errori fondamentali a proposito della "realtà effettiva"
che giocano un ruolo nella discussione e influiscono in maniera determinante
nel processo decisionale.
a) La "criminalità nascosta" (numero oscuro) e la normalità
della procedura penale.
Per comprendere questo errore è necessario fornire alcune informazioni
sullo sviluppo della nostra conoscenza nel campo di ciò che in criminologia
viene chiamato "il mumero oscuro".
All'inizio i criminologi - per avere un'idea della frequenza e della natura
di un crimine - lavoravano con i "dati statistici" tratti dalle
attività dei tribunali penali.
Quando si è scoperto che molti fatti potenzialmente criminosi denunciati
alla polizia non arrivavano neppure nelle aule dei tribunali (per molti motivi,
fra cui la mancanza di colpevoli), i criminologi iniziarono a lavorare di
più con le statistiche della polizia anziché dei tribunali.
La differenza fra i crimini denunciati (nelle statistiche di polizia) rispetto
alle statistiche dei tribunali è stata definita numero oscuro. Alcuni
decenni fa iniziò a svilupparsi una nuova prospettiva sul numero oscuro,
quando cominciarono a essere introdotte le inchieste di autodenuncia e quelle
delle vittime, (12) e successivamente le tecniche di osservazione. Sappiamo
ora che la criminalizzazione effettiva è un fatto raro ed eccezionale.
(13)
Nel campo della criminalizzazione basato sulla "procedura reagente"
(ci sono persone che si sentono trattate ingiustamente in una situazione,
ma in pratica la polizia agisce solo dopo che è stata fatta una denuncia)
la ragione principale per cui i fatti di natura criminosa non sono criminalizzati
è che le vittime non sporgono denuncia alla polizia. Ci sono però
molti altri motivi: magari la polizia non ha avuto il tempo per occuparsi
di una denuncia; oppure non ha trovato il colpevole, oppure l'ha considerato
un problema e non un fatto criminoso. Oppure il tribunale non ha avuto tempo
per occuparsene o si sono frapposti altri ostacoli procedurali.
Nel settore della criminalizzazione basato sulla "procedura attiva"
(come le trasgressioni legate alla droga o alla sicurezza stradale) è
difficile per la polizia venire a conoscenza dei fatti; questo motivo, aggiunto
alle limitate risorse della polizia per occuparsi di fatti noti da un punto
di vista amministrativo sono le ragioni principali per cui la "criminalizzazione
effettiva" (la discussione di un caso in un'aula di tribunale o l'applicazione
di altri tipi di sanzioni formali) è un fatto così raro.
La stragrande maggioranza di fatti passibili di criminalizzazione ("gravi"
e "meno gravi") appartiene quindi al numero oscuro. Tutti questi
fatti vengono quindi trattati al di fuori della giustizia criminale. Dico
intenzionalmente "trattati" perché non dovremmo commettere
l'errore di pensare che ciò che non è in actu non sia in mundo
(esistente). Il fatto che non siamo al corrente che ci si sta occupando di
qualcosa non implica che non ci se ne occupi. Nella vita ogni cosa viene gestita
da chi ne è direttamente coinvolto. In un altro contesto (Hulsman,
1991) ho fornito esempi dettagliati dei diversi modi in cui fatti di natura
criminosa vengono affrontati al di fuori della giustizia criminale e di come
a mio avviso bisognerebbe condurre la ricerca in questo settore. Mi limiterò
qui a qualche osservazione generale.
Quasi tutti i fatti problematici per qualcuno (persona, organizzazione o movimento)
si possono affrontare in un procedimento legale in un modo o nell'altro (giustizia
criminale, giustizia civile o amministrativa), ma in realtà molto pochi
lo sono effettivamente. La maggioranza delle alternative alla giustizia criminale
è di natura prevalentemente non-legale. Queste alternative generalmente
non sono "invenzioni" di persone coinvolte nella definizione delle
regole criminali o legali, sono invece applicate quotidianamente da chi si
trova coinvolto direttamente o indirettamente in fatti problematici.
Approcci di tipo non-legale sono "statistici"; "normativamente"
(nella normativa delle persone coinvolte) la "legislazione" della
regola è una rara eccezione. È sempre stato così, è
ancora così, e probabilmente lo sarà anche in futuro. Questa
realtà è però meno evidente quando prendiamo come punto
di partenza il concetto di "normatività" come viene normalmente
inteso nel dibattito tradizionale della giustizia criminale. Solo lì,
infatti, troviamo una normatività in cui la giustizia criminale è
la regola e spesso si presuppone anche (inconsciamente) che sia un dato statistico
- contrariamente a ogni conoscenza scientifica.
L'eccezionalità della criminalizzazione effettiva di fatti che potrebbero
essere considerati criminosi e il fatto che di regola vengano affrontati in
vari modi, di cui non abbiamo però informazione, è sotto molti
aspetti rilevante per la determinazione della legittimità della giustizia
criminale.
Gli aspetti negativi della giustizia criminale (per chi compie l'azione e
chi gli sta vicino, per la persona che ha subìto un torto nell'evento
criminalizzabile, per i funzionari degli organismi e per il pubblico in generale)
sono stati trattati in maniera esaustiva altrove (Hulsman, Bernat de Celis,
1993). Vorrei comunque soffermarmi più in dettaglio su un aspetto particolare.
Il fatto che la criminalizzazione di fatti criminalizzabili sia statisticamente
e normativamente eccezionale fornisce un nuovo argomento di discussione sulla
legittimità della giustizia criminale in questione. Lo schema di riferimento
della giustizia criminale non è un modo normale di interazione fra
cittadini e professionisti. Molte delle attività promosse dai professionisti
nell'ambito della giustizia criminale si scontrano con i requisiti delle convenzioni
sui diritti umani. Tali convenzioni contengono delle eccezioni relativamente
ai requisiti di un approccio di giustizia criminale, ma solo se tale eccezione
è necessaria in una società democratica. Chi potrebbe reclamare
che "è necessaria un'eccezione" (14) sapendo che la criminalizzazione
è una rara eccezione e senza assolutamente sapere come tali fatti vengano
affrontati al di fuori della giustizia criminale?
b) Il fatto che un evento sia criminalizzabile non è un'indicazione
del livello di vittimizzazione. (15)
L'assunto che i fatti criminalizzabili siano più problematici per le
vittime dei fatti che non sono criminalizzabili è di fatto errato.
(16) Per rendersi conto di ciò è sufficiente provare a esaminare
la propria esperienza personale. Tali esperienze personali sono confermate
dalla ricerca in materia. (17)
c) La criminalizzazione non è anzitutto una risposta specifica agli eventi ma un modo specifico di guardare agli eventi e quindi di costruire gli eventi stessi.
4. CONCLUSIONE
4.1 Alternative alla giustizia criminale. Alcuni ammonimenti.
A. Prima di fornire alcuni esempi di varie "alternative" dobbiamo
sottolineare che le discussioni sulle alternative alla giustizia criminale
spesso avvengono in un contesto in cui i presupposti della giustizia criminale,
che criticavamo precedentemente in questa relazione, non sono realmente messi
in discussione. Nella maggioranza di queste discussioni l'esistenza di crimini
e criminali è considerata un fatto naturale assodato, e non il risultato
di processi di definizione selettivi, aperti inoltre a una scelta sociale.
Quindi, vorremmo formulare un certo numero di "ammonimenti" contro
vari errori, che vengono commessi di frequente:
1) Quando parliamo di alternative alla giustizia criminale non parliamo di
sanzioni alternative, ma di alternative ai processi della giustizia criminale.
Queste alternative possono essere di natura prevalentemente legale, oppure
no.
2) Molto spesso, si considerano le alternative alla giustizia criminale come
una risposta alternativa al comportamento criminale. Assumendo questo punto
di vista, non prendiamo però in considerazione che ogni approccio legale
è anzitutto un modo di costruire (o, se volete di ricostruire) un fatto.
Cercare alternative alla giustizia criminale significa in primo luogo cercare
definizioni alternative di fatti che possono provocare processi di criminalizzazione.
La risposta alternativa data in un'alternativa alla giustizia criminale è
dunque una risposta a una situazione che ha una "forma" diversa
e "dinamiche" diverse dai fatti come appaiono in un contesto di
giustizia criminale.
3) In molte discussioni sulle alternative alla giustizia criminale, ci troviamo
di fronte all'equivoco per cui ciò che chiamiamo "prevenzione
del crimine" è una cosa giusta e auspicabile. A mio avviso non
è necessariamente così, per due ragioni: in primo luogo, ciò
che a un determinato punto dello sviluppo legale viene definito "crimine"
non è necessariamente una "cosa cattiva". Può essere
neutrale o indifferente; può anche essere desiderabile o eroica. La
legge criminale e la pratica dei sistemi di giustizia criminale non possono
essere usati come standard assolutamente autorevoli per giudicare il "giusto"
o lo "sbagliato" di un comportamento. In secondo luogo, anche quando
"crimine" si riferisce a qualcosa definito da tutti coloro che ne
sono implicati come un "problema", potrebbe essere nocivo allo sviluppo
umano e sociale cercare di sradicarlo.
B. Scoprire il mondo delle alternative
Presenterò ora tre esempi per gettare un po' di luce sulle alternative
"nascoste". Non con la pretesa di poter - ora o in un futuro - dare
una rappresentazione accurata ed esaustiva di ciò che succede a questo
mondo: sono fermamente convinto dell'impossibilità di fare ciò.
Cercherò semplicemente - mediante questi tre esempi - di convincere
il mio pubblico, per quanto necessario, che lo schema della giustizia criminale
distorce il modo in cui "immaginiamo" i fatti criminalizzabili,
e di indicare possibili modi per affrontarli, per poter cambiare il nostro
discorso e le nostre azioni in merito. Le alternative non sono utopie lontane,
ma parte della vita quotidiana continuamente inventate dagli attori sociali.
Svilupperò qui tre esempi:
§ Un caso di azione riparatrice collettiva compiuta da chi ne era direttamente
coinvolto (la storia di un furto in cui si trovò coinvolta la mia famiglia).
§ Alcuni risultati di una ricerca empirica sull'uso della legge civile
da parte di donne che si sentono vittime di violenza sessuale.
§ Alcuni risultati di una ricerca-azione come mezzo per provocare e sostenere
il coinvolgimento della comunità nel trattamento di situazioni criminalizzabili
problematiche.
1. Un caso di azione riparatrice collettiva compiuta da chi ne era direttamente coinvolto
Anni fa, ci furono tre furti con scasso nella nostra casa nel giro di due
settimane. Il primo almeno apparteneva a quel tipo odioso in cui molto poco
viene effettivamente rubato, ma molte cose vengono distrutte. Arrivai a casa,
entrai dalla porta e vidi uova rotte ovunque (e non avevamo uccelli!) - poi
mi accorsi che un dipinto e qualche pezzo della mobilia erano stati fatti
a pezzi e che c'erano mucchi di sigari per terra. A poco a poco, mi si formò
l'immagine di ciò che era accaduto. In circostanze come questa, si
va in giro per la casa, e man mano che si assorbono le scene si viene presi
dalla rabbia; perlomeno io mi arrabbiai moltissimo e sentii il bisogno di
rompere le uova in testa a chi aveva provocato questa distruzione, di prendere
le sue cose e di distruggerle, e poi di chiedergli se avesse gradito l'esperienza.
Come vittima però, i miei sentimenti erano più complicati, perché
mentre vagavo per casa, mi dicevo: "Grazie a Dio, non hanno distrutto
quello!" con un certo sollievo. Avevano infatti distrutto molto meno
di ciò che avrebbero potuto distruggere dimostrando perfino un certo
ritegno. Più tardi mi sentii sollevato, quasi contento, di non aver
perduto molto di più. Quindi, oltre alla rabbia, provai sollievo e
anche una certa curiosità: perché hanno fatto questo? Che cosa
significano le uova, il mucchio di sigari e le altre cose bizzarre?
In seguito, venne la polizia a prendere le impronte, e tornò poi ancora
dopo qualche giorno. Il poliziotto, che fra l'altro fu molto di aiuto, mi
disse che il fatto di prendere le impronte non significava necessariamente
che si sarebbe arrivati a un arresto, poiché spesso le impronte erano
poco nitide e, anche quando lo erano, potevano appartenere a giovani delinquenti
non ancora schedati. Bisogna lasciar loro una possibilità, suggerì,
e io concordai in pieno. Nel complesso mi sembrò una specie di rituale;
fu però interessante parlare coi poliziotti e fare loro domande sull'ipotesi
che i responsabili fossero dei ragazzi. Visto che queste cose non capitano
spesso nelle case di Dordrecht, e considerando la quantità di cose
danneggiate, poteva essere per caso opera di qualcuno che ce l'aveva con noi?
Alcuni giorni più tardi mia moglie rientrò a casa nel pomeriggio
e sentì delle voci all'interno: era evidente che c'erano nuovamente
degli intrusi. Riuscì anche a vedere le persone, anche se non abbastanza
bene per poterle identificare. Questa volta non fecero molti danni ma, ancora
una volta, ruppero un sacco di uova e presero alcuni oggetti. La polizia venne
di nuovo; ormai era una vecchia conoscenza! In seguito a ognuno di questi
furti prendemmo nuove precauzioni per prevenirne di ulteriori, ma dopo qualche
giorno, rientrati a casa, scoprimmo che degli intrusi erano stati lì
per la terza volta. Non c'erano danni apparenti e mancavano solo poche cose.
Anche se sembra strano a dirlo, ci stavamo abituando a queste intrusioni e
pensavamo di poterci perfino raffigurare le fattezze dei colpevoli; sapevamo
che erano probabilmente in tre, io mi immaginavo che cosa avrei detto se li
avessi incontrati, un evento che mi auguravo possibile. Ovviamente, mia moglie
era piuttosto spaventata di tale prospettiva.
Dopo il terzo incidente, iniziai a pensare che i ladri erano piuttosto coraggiosi
se tornavano nello stesso posto dove erano stati disturbati solo pochi giorni
prima. Pensai inoltre che dimostravano una grande attrazione per la nostra
casa e un certo fascino per gli strani oggetti che conteneva. Questo mi faceva
sentire di aver qualcosa in comune con loro, visto che, naturalmente, mi piacciono
la mia casa e le mie cose. Il fatto che le ultime visite fossero state meno
distruttive forse significava che stavano iniziando ad amare questo posto
non diversamente da me. Dico ciò non per suggerire che io non avessi
le reazioni di rabbia cui accennavo prima, ma piuttosto per sottolineare la
natura molto complessa delle sensazioni che si provano in circostanze simili.
Mi sono sempre interessato ai modi in cui noi tutti reagiamo a fatti criminalizzabili,
e ho scoperto che è un processo ambiguo e complicato, ricco di sfaccettature.
Poiché questo caso non era ovviamente diverso e poiché ritengo
che non bisogna, come dicevo prima, "rubare" i conflitti ad altri,
chiesi se mi avrebbero fatto parlare con loro, una volta catturati. Circa
due settimane più tardi, a dispetto di tutte le statistiche, le quali
indicano che solo una piccola percentuale di furti urbani viene felicemente
risolta in Olanda (a Dordrecht è di circa il 25%) - mi telefonò
la polizia, informandomi di aver preso i responsabili a causa del loro coinvolgimento
in un atto di vandalismo compiuto in una città vicina. Mi dissero di
aver recuperato parte dei nostri averi e mi chiesero di andare a identificarli.
Scoprii poi che la polizia aveva vari oggetti della cui mancanza non mi ero
neppure accorto; quasi tutto venne recuperato tranne un coltello di cui parlerò
più avanti. Non è un coltello prezioso, ma è molto affilato;
l'avevo preso da poco in Finlandia, lo uso per cucinare e ha per me un valore
tutto particolare.
Dei tre giovani, due avevano sedici anni e il terzo diciassette. Chiesi di
parlare con loro. La polizia mi disse che non aveva obiezioni, se la famiglia
dava il consenso. Quindi, contattarono i genitori di un ragazzo, che si dissero
d'accordo: mi recai in visita alla famiglia la sera stessa. Non avevo idea
di come sarebbe andata, poiché non avevo modelli per queste occasioni.
Il ragazzo era molto più piccolo di come mi ero immaginato il ladro;
sembrava così minuto, con gli occhiali, quasi come un uccellino. Pensavo
che gli avrei mostrato i miei sentimenti, facendolo pentire delle sue azioni;
mi resi conto però di non poterlo fare: avevamo difficoltà a
parlarci. Non faticai comunque a identificarmi con i genitori, per i quali
era stato orribile. Dopo essere stati scoperti, due dei ragazzi erano scappati
di casa, lasciando i genitori alla loro affannosa ricerca. Si trovavano ora
ad affrontare un dramma simile al mio, e questo facilitava la mia identificazione
con loro. Paragonato a quello che senti come genitore in circostanze simili,
il furto diveniva piccola cosa, e questo influì non poco sui miei sentimenti
riguardo ai fatti successi. Iniziai quindi a parlare col ragazzo pensando
a un qualche tipo di risarcimento da parte sua per quello che aveva fatto.
Quando gli chiesi se c'era qualcosa che voleva fare, mi rispose: "Non
proprio"; questo creò una specie di legame fra noi, perché
era stata una risposta reale e sincera. Capivo come potesse rispondere così
a quello strano uomo che era venuto a casa sua. Gli chiesi allora del coltello
- magari insignificante rispetto ai danni fatti in casa, ma d'importanza fondamentale
per me - e questo si rivelò l'inizio di una vera comprensione fra di
noi. Si rese conto che io volevo il coltello e che questo era qualcosa che
avrebbe potuto fare; poteva cercare di trovarlo per me. Andammo poi a incontrare
gli altri ragazzi e i genitori, avendo lo stesso tipo di difficoltà
nella comunicazione. Infine, ci recammo in gruppo a casa mia, dove i genitori
sedettero con noi in cucina, mentre i ragazzi si misero a cercare il coltello
in un albergo abbandonato di fianco a casa mia.
Durante la discussione dissi: "Ora che avete trovato casa mia, dovreste
entrare dalla porta principale; è di lì che si entra".
Dire ciò mi fece sentire soddisfatto. Mi raccontarono poi la triste
storia dell'altra figlia. In questo momento importante, era evidente che lo
schema di riferimento della giustizia criminale stava davvero segmentando
in modo artificiale la situazione in tutti i modi. Recideva i legami fra persone
normalmente legate l'una all'altra; in un certo senso rendeva irreale la situazione
su un livello sociale. Per i genitori era un grosso dramma, di cui parlare
in ogni momento, anche se non sapevano esattamente cos'era successo. Avevano
alcuni frammenti di informazioni da parte della polizia e dei loro figli,
ma non un'immagine coerente dei fatti. Fu solo dopo essere stati tutti insieme
in quella casa che compresero per la prima volta la sequenza degli avvenimenti
di cui discutere poi con i figli. A questo punto la faccenda iniziava a prendere
una dimensione reale. Il coinvolgimento del sistema della giustizia criminale
portò i genitori a dire: "Non è responsabilità di
mio figlio, ma degli altri". Questo significava che eravamo portati a
gestire i ragazzi individualmente, separandoli in modo poco utile l'uno dall'altro.
Dopo tutto, infatti, erano coinvolti come gruppo nella faccenda che ci aveva
portato tutti quanti nella mia cucina.
I ragazzi trovarono il coltello e i genitori, molto più abili manualmente
di me, iniziarono a sistemare le cose in casa. Questo ci diede la piacevole
sensazione di essere occupati in un'attività comune e di poterci così
conoscere meglio. Mi accorgevo che il problema fra genitori e figli era che
i genitori facevano continuamente riferimento ai furti, il che annoiava a
morte i ragazzi. Per questo decisi che sarebbe stata una buona idea per loro
di andare in vacanza per trovare stimoli nuovi; eravamo stati impegnati in
un dibattito sterile anche troppo a lungo, pensavo. Uno di loro apparteneva
alla borghesia; un altro era figlio di operai, il terzo era disoccupato e
senza soldi, e quindi non in grado di pagarsi una vacanza. Osservai che il
campeggio era relativamente economico, ma loro non avevano la tenda, così
gliene imprestammo una e andarono in vacanza per un breve periodo.
I genitori aiutavano noi, e i ragazzi venivano la domenica o anche più
spesso per lavorare in giardino. Sembrava che gli piacesse venire da noi;
a volte la frequenza delle loro visite era anche un fastidio, perché
avevamo altre cose da fare! Uno dei motivi che li aveva spinti a rubare nelle
case era che a scuola si annoiavano - un motivo abbastanza comune - e avevano
iniziato a bigiare. Una volta stavano curiosando nell'albergo abbandonato
e avevano notato la nostra casa, che li aveva attirati per la varietà
di ciò che conteneva - un misto fra la Grotta di Aladino, e Alì
Baba e i 40 ladroni! Risultato della crisi causata dalle irruzioni fu un chiarimento
di alcuni aspetti del rapporto genitori-figli e il cambio di scuola con una
dove andavano molto meglio.
Eravamo assicurati, e quindi risarciti dei danni materiali; eravamo diventati
una specie di zii per i ragazzi e di amici per i genitori. Quanto a me, ho
imparato molto sulla vita di persone in situazioni di cui prima sapevo molto
poco. Tutto sommato, si rivelò un'esperienza utile per tutti noi, e
non esagero nel dirlo. Se le cose non fossero andate così, non avremmo
guadagnato da questa esperienza; non è che le avessi predisposte, semplicemente
avevo dato il via con la mia visita ai ragazzi e alle loro famiglie. Le cose
poi presero il loro corso; l'unica parte specifica per quanto mi riguardava
consisteva nella mia conoscenza dei procedimenti della giustizia criminale.
Passarono sei mesi prima che i ragazzi venissero incriminati dei furti, e
altri sette o otto prima del processo; per tutto questo tempo nessuna delle
varie organizzazioni dei servizi sociali venne mai da me; io d'altra parte
non mi recai da loro perché mi interessava, da un punto di vista della
ricerca, vedere cosa sarebbe successo.
Un certo numero di persone dei servizi sociali, di diverse organizzazioni
a seconda della condizione sociale, si recò dalle famiglie, che ricevettero
consigli e suggerimenti contraddittori fra loro, tanto che spesso venivano
da me per avere il mio parere sul da farsi. Quando le accuse vennero formalizzate,
né io né mia moglie vedevamo cosa si potesse guadagnare da un
processo: non ci sembrava che un'udienza avesse senso; telefonai quindi al
pubblico ministero, che abitava di fronte a me ed essendo il tribunale nelle
vicinanze, andai a parlare con lei di persona, non come professore di legge
criminale e di criminologia, ma come vittima. Rimase colpita dal racconto
dei fatti ma insistette che con tre furti con scasso e altri atti di vandalismo,
ci sarebbe comunque dovuto essere un processo. Però, mentre prima pensava
a una pena da scontare in carcere, cambiò parere dicendosi pronta a
consigliare un proscioglimento condizionale. Nonostante la mia opposizione,
insistette nell'affermare che la giustizia criminale non è solo un
fatto privato, e che anche l'interesse pubblico va preso in considerazione.
Mia moglie iniziò a ridere; sia io sia il pubblico ministero ci unimmo
alla sua risata.
Si svolse quindi l'udienza, che a mio parere fu molto commovente. La pubblica
accusa si era preparata bene al caso e disse che sapeva, e infine accettava,
il modo in cui avevamo affrontato la situazione; l'unico motivo per cui voleva
perseguire i ragazzi era per sottolineare la gravità di furti con scasso
come quelli da noi subiti; era importante ciò che essi simbolizzavano.
Anche il giudice, a mio avviso, fu molto comprensivo, e parlò in modo
comprensibile a tutti, allo stesso tempo con molta dignità e sostenendo
importanti difese legali; capacità interessante questa.
Ci eravamo recati in tribunale tutti insieme da casa mia, otto o nove che
eravamo, poiché eravamo tutti un po' nervosi; avevamo preso un caffè
e un bicchiere insieme per alleviare un po' la tensione.
Sedemmo sulla stessa panca nell'aula del tribunale e, nonostante io sia un
po' sordo, sentivo perfettamente; tutti parlavano molto chiaramente. Tuttavia,
gli altri si lamentarono in seguito che i funzionari parlavano a voce troppo
bassa; era chiaro che non capivano molto delle procedure, forse perché
erano ancora molto tesi. Nonostante le circostanze favorevoli - ci conoscevamo
molto bene e io avevo spiegato esattamente cosa sarebbe successo - non compresero
praticamente nulla. Uno dei ragazzi confessò di essere stato nervoso
per settimane pensando all'udienza in tribunale; non era quindi mancanza di
interesse. Un altro disse di essere stato sul punto di addormentarsi; mi ricordai
che a volte quando ho un litigio serio con mia moglie, a volte mi sento molto
stanco - una specie di valvola di sicurezza per evitare un sovraccarico emotivo.
Questa è la storia, che mi ha insegnato molto sul modo in cui il sistema
della giustizia criminale segmenta in modo artificiale ciò che ci sta
a cuore. Ovviamente non voglio generalizzare in modo eccessivo questa esperienza,
anche se non penso sia stata per nulla eccezionale - benché ora lo
sembri in quanto la descrivo nei dettagli avendone fatto parte. Conosco esempi
simili in Olanda (non è però facile venirne a conoscenza). Ci
fu, per esempio, un caso di omicidio in Olanda in cui i genitori della ragazza
uccisa e quelli dell'assassino si incontrarono e stabilirono un rapporto importante
sia per loro sia per l'uccisore. Pensate anche all'esempio del treno delle
Molucche in cui gli ex ostaggi continuano a fraternizzare e a far visita in
carcere ai loro sequestratori.
Questi esempi servono a corroborare la nostra esperienza, e cioè che
in determinate condizioni nelle quali si reagisce in modo da offrire una risposta
più collettiva e meno frammentata ai fatti criminalizzabili, si offre
un potenziale enorme ai membri della comunità, perché si prendono
provvedimenti fecondi e riparatori sia per le vittime sia per i criminali,
tali da consentire il superamento dell'antitesi vittima-criminale.
Viceversa, le risposte tradizionali a fatti criminalizzabili danno esempi
eccellenti di quello che Nils Christie chiama il "furto dei conflitti",
dal momento che spesso inibiscono la naturale tendenza degli uomini all'unione
quando si presenta una crisi, impedendo così anche gli sviluppi sociali
e personali suscettibili di prodursi in casi simili. Questo significa, a mio
avviso, che uno degli aspetti importanti del "coinvolgimento comunitario"
- idea che ora i più sottoscrivono, ma di cui solo pochi hanno un'idea
appena più che vaga - è un tentativo di recuperare la possibilità
che la gente comune sia direttamente coinvolta in risposte sociali orientate
sul punto di vista della vittima.
Per tornare un attimo a ciò che suggeriva Wilkins, abbiamo nel micro
contesto i processi di attribuzione della colpa - e l'azione di riparazione
collegata a questo fatto particolare - e nel macro contesto i processi di
azione riparatrice e di controllo - la questione di come affrontare questo
tipo di fatti e come cambiare l'organizzazione sociale per renderla più
semplice. Nell'unione di queste due sfere è importante che tutte le
organizzazioni aventi a che fare con la giustizia criminale - la polizia,
gli insegnanti, la pubblica accusa, gli operatori sociali, i tribunali e i
ricercatori accademici - suggeriscano e chiariscano le possibilità
positive di risposte a fatti criminalizzabili tali da incoraggiare un più
vasto coinvolgimento pubblico. Dopo tutto, mancando le conoscenze o le idee
iniziali su come muoversi, è difficile - talmente difficile da poterne
essere intimorita - per una persona qualunque mettersi a fare alcunché.
Una volta iniziato, però, il processo può avere uno slancio
autonomo.
È nostra ferma convinzione che quanto facciamo allorché perseguiamo
questo corso di azioni è semplicemente di riattivare un qualcosa che
esiste già nella società. Lo sviluppo di questo potenziale non
dipende dal trovare risposte al problema del crimine - chi è coinvolto
non si sente investito da tali questioni - ma piuttosto dall'affrontare una
situazione critica immediata che richiede un'azione. Dipende però dagli
atteggiamenti e dalle attività del servizio di polizia, a causa della
sua posizione chiave come punto d'accesso al sistema della giustizia criminale
da un lato e come risorsa per chi viene direttamente coinvolto dall'altro.
Fu infatti la polizia a rendere possibili le mie stesse azioni, perché
se non avesse risolto il caso, dandomi le informazioni in suo possesso, non
avrei potuto far visita alle famiglie.
2. Violenza sessuale e uso della legge civile
Dal 1984 stiamo studiando in Olanda uno sviluppo che va nella direzione di
un maggior impiego della giustizia civile in casi in cui si può applicare
un certo tipo di giustizia criminale. Un esempio è l'uso di procedure
civili sommarie da parte di vittime di violenza sessuale. Donne continuamente
importunate o minacciate da ex partner, o più di recente, vittime di
violenza o stupro possono richiedere un ordine del tribunale che impedisca
all'uomo di avvicinarsi entro un certo raggio dall'abitazione della donna.
Nel nostro studio empirico abbiamo riscontrato che la possibilità di
un'ingiunzione da parte del tribunale civile era una risposta decisamente
migliore alle esigenze delle donne vittime di quella fornita dal sistema della
giustizia criminale. (18)
Tre sono gli elementi che hanno reso l'ingiunzione da parte del tribunale
un modo (strategico) molto migliore per gli avvocati femministi e le loro
clienti di affrontare casi di violenza sessuale. In primo luogo questo specifico
tipo di procedure sommarie appare come un sistema molto allettante e accessibile
a persone che non hanno più a disposizione metodi non-legali per affrontare
i loro problemi. Per esempio, per le donne che in Olanda vivono col sussidio
di disoccupazione è una procedura economica, facilmente comprensibile,
veloce e flessibile, dotata di un tasso di successo relativamente elevato.
Allo stesso tempo concerne anche la definizione di minaccia nella vita quotidiana
delle vittime. Inoltre, la vittima detiene il controllo della procedura dall'inizio
alla fine. In qualunque momento può decidere di recedere dalla procedura,
di contrattare con la parte avversa, di eseguire oppure no la sentenza del
giudice. Essa non dipende affatto da altre istituzioni come, per esempio,
in un caso di giustizia criminale.
Le serve solo un avvocato, e coloro che si specializzano in questo tipo di
procedura sono molto motivati e simpatizzano profondamente con le clienti.
Il che mi conduce alla seconda ragione per la quale l'ingiunzione del tribunale
è uno strumento così adatto al trattamento dei casi di violenza
sessuale. Da vittima di violenza sessuale e da una condizione pietosa e umiliante
di dipendenza, essa diventa parte attiva, parte lesa in un caso di legge civile.
Con ciò dimostra non solo a chi la minaccia, ma anche a se stessa e
al mondo esterno che possiede una propria vita e una identità propria,
e che è in grado di tracciarne le linee guida. Già questo aumenta
le sue capacità di difesa. Quindi, l'essere parte lesa nelle procedure
civili significa crescita individuale e porta con sé una funzione di
emancipazione personale.
Il terzo elemento cui voglio accennare è la pubblicità. Non
solo le vittime di violenza sessuale, ma anche i giornalisti considerano le
procedure sommarie e in particolare le ingiunzioni del tribunale civile un'azione
legale accessibile, il che significa un sacco di pubblicità. Avvocati
femministi hanno fatto un uso deliberato di questa pubblicità per attirare
l'attenzione sul problema della violenza sessuale, e per dimostrare al mondo
e alle altre donne che è veramente possibile tirare una riga e mettere
fine a questo problema. Possiamo chiamare questo un effetto strutturalmente
emancipante, mentre la combinazione del primo e del secondo elemento citati
creavano un effetto individualmente emancipante. Anche in altre aree problematiche
abbiamo riscontrato esempi interessanti sulle possibilità che la legge
civile assuma una funzione emancipante nel trattamento di eventi criminalizzabili.
Consente l'integrazione delle attività di comunità e movimenti
sociali di natura tanto legale che non legale, combinando effetti preventivi
e correttivi.
3. Ricerca-azione come metodo per innescare e sostenere il coinvolgimento della comunità nella prevenzione
In un quartiere di una cittadina olandese di medie dimensioni si verificarono
delle agitazioni: parte della popolazione si sentiva gravemente minacciata
da altri gruppi della zona, e la qualità della vita peggiorò.
Ciò condusse a numerose accuse di criminalizzazione e a drammatici
articoli di stampa sull'argomento. La maggiore attività della polizia
nel quartiere - di sorveglianza e di tipo punitivo - invece di migliorare
la situazione la peggiorò. La gente iniziava ad andarsene.
Consigliammo allora al comitato di quartiere di prendersi personalmente carico
della situazione, e offrimmo il nostro aiuto con una ricerca-azione secondo
uno schema di concettualizzazione del tipo proposto in questa relazione. (19)
La nostra proposta consisteva nell'iniziare con una ricerca indipendente sotto
gli auspici del comitato di quartiere in cui avremmo cercato di fare un inventario:
(1) dei diversi gruppi ("tribù") che vivevano nel quartiere
e del loro stile di vita; (2) delle interazioni tra i gruppi; (3) delle cose
buone e di quelle cattive che essi provavano nel quartiere; (4) a quali persone,
gruppi, istituzioni o strutture attribuivano la colpa dei problemi vissuti;
(5) che cosa pensavano andasse fatto per risolvere tali problemi; (6) che
cosa facevano in concreto per questi problemi. Parimenti (7) avremmo fatto
un inventario delle opinioni delle varie istituzioni (diversi tipi di polizia,
di operatori sociali, settore medico, autorità preposte all'assegnazione
delle case) per quanto riguardava i punti 3-6.
Come metodo di ricerca avremmo usato: (1) un'analisi documentaria, anche di
natura storica; (2) l'osservazione diretta; (3) le interviste.
Avremmo poi presentato la "mappa" risultante da questa ricerca alla
discussione nel quartiere, adattandola sulla base della discussione. Infine,
avremmo formulato alcune raccomandazioni sui modi in cui si poteva ottenere
un miglioramento. Tutto procedette secondo la nostra proposta. Sulla base
dei dati operammo una distinzione fra nove gruppi diversi, descrivendone stile
di vita e interazione reciproca. Assegnammo un nome positivo a ciascun gruppo
(per esempio, "uomini forti" per il gruppo visto da altri come formato
da criminali incalliti e pericolosi), nomi accettati poi da tutti nella successiva
discussione.
La ricerca evidenziò enormi differenze fra i diversi gruppi, fra le
istituzioni, fra i gruppi e le istituzioni sulla definizione dei problemi,
sulla responsabilità di questi problemi, e sul da farsi.
Se erano in contatto quotidianamente, gli stili di vita di alcuni gruppi coincidevano
in gran parte. Non c'erano invece punti di contatto fra altri gruppi. Spesso
si verificavano gli stessi problemi nelle interazioni fra gruppi o all'interno
di uno stesso gruppo.
Quando sorgevano problemi in una situazione di infra-gruppo o fra gruppi diversi
con stili di vita coincidenti, gli interessati riuscivano ad affrontare da
soli i problemi in modo positivo e civile. Quando i problemi sorgevano in
situazioni in cui i gruppi avevano stili di vita completamente diversi portavano
a pretese di criminalizzazione, e spesso se ne perdeva il controllo.
L'impulso primario delle nostre raccomandazioni tendeva a promuovere una riorganizzazione
sociale in modo da far coincidere maggiormente gli stili di vita.
Il fatto che il comitato di quartiere si assumesse la responsabilità
diretta della situazione nel quartiere e che la ricerca funzionasse fin dall'inizio
come "rituale per il riordino" indicava che si stava operando una
riorganizzazione sociale. I problemi principali sono diminuiti per frequenza
e intensità, mentre i problemi secondari, collegati principalmente
a interventi di giustizia criminale che peggioravano i problemi primari, hanno
cessato di esistere (per esempio articoli di stampa negativi). Gli abitanti
hanno smesso di abbandonare il quartiere. Sono notevolmente migliorati i rapporti
fra le diverse istituzioni e i diversi gruppi. La ricerca si è rivelata
un contributo all'emancipazione dei diversi gruppi nel quartiere e l'emancipazione
ha consentito alla gente del quartiere di allentare la crisi.
Un'analoga analisi condotta in un'area più rurale ha portato a risultati
simili. (20)
Conclusione
Da un punto di vista accademico, non è possibile offrire una formula
preconfezionata per procedure alternative nei confronti del crimine. Se vogliamo
compiere progressi nel campo delle alternative dobbiamo abbandonare l'organizzazione
culturale e sociale della giustizia criminale. La giustizia criminale verte
sulla figura del criminale, si basa sull'attribuzione della colpa ed esprime
un punto di vista da "giudizio universale" sul mondo. Non fornisce
quindi le informazioni e il contesto dentro cui definire e affrontare in modo
emancipatorio situazioni problematiche.
Se vogliamo progredire, abbiamo bisogno di un approccio orientato anzitutto
su coloro che sono direttamente coinvolti (persone o gruppi che vivono direttamente
eventi problematici), e che ci obblighi a esaminare tutte le risorse attivabili
per affrontare tali eventi e situazioni. Ciò è possibile solo
se ci liberiamo dall'idea che situazioni criminalizzabili estremamente diverse
fra loro abbiano qualcosa in comune. Dobbiamo ridefinire in maniera autonoma
ogni area problematica indipendentemente dalle definizioni della giustizia
criminale (e anche della criminologia come parte della giustizia criminale).
Solo allora diventerà possibile riconoscere e incoraggiare (elementi
di) pratiche alternative e disfarci di misure legittimizzate come punizione,
misure che sono invece per necessità evidentemente ingiuste.
Fonte: intervento al convegno Primavera dell'abolizionismo,
Zurigo, 28-29-30 maggio 1999.
Pubblicato sul sito Archivio Primo Moroni/Abolizionismo http://www.inventati.org/apm/abolizionismo/index.php
Bibliografia
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Faugeron C. - Hulsman L., Le développement de la criminologie au sein
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Hulsman, L. - Bernat de Celis, Penas Perdidas, Luam, Nileroi, R.J.
Zaffaroni, E., En busca de las penas perdidas, Ediar, Buenos Aires, 1989.
Note:
1 Nei contesti sociali che ho conosciuto in molte parti del mondo le interazioni
basate sulla punizione si riferivano a situazioni problematiche semplici di
importanza minore. Istanze più complicate o più importanti erano
sempre affrontate in maniera diversa.
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2 Questo vale anche per i professionisti che operano nelle organizzazioni
formanti la base materiale del sistema. La divisione del lavoro interna al
sistema rende praticamente impossibile ai funzionari un'esperienza diretta
delle diverse attività che insieme costituiscono il processo di criminalizzazione.
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3 Una punizione "completa" presuppone un accordo fra chi punisce
e chi viene punito: "chi punisce" volendo punire e chi viene punito
accettando l'attività di colui che punisce come punizione. È
anche possibile che qualcuno percepisca una decisione da parte di qualcun
altro come una punizione, benché chi punisce non ne abbia intenzione.
Prendiamo per esempio il caso di qualcuno cui vengono assegnati nell'ambito
del proprio lavoro compiti da lui percepiti come degradanti; si avrà
quindi la supposizione errata che questo cambio di mansioni sia una forma
di punizione.
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4 Claudia Laub, sociologa argentina che ha lavorato per lungo tempo al ministero
degli Affari Sociali nella provincia di Cordova, Argentina, ha un ruolo primario
in quest'associazione. Partecipa anche al Forum Europeo per la Sicurezza Urbana,
nel cui ambito la incontrai per la prima volta; la partecipazione alle attività
del Forum è stata per me di grande utilità per una migliore
comprensione degli argomenti dibattuti in questo saggio.
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5 Mi riferisco in primo luogo al valore critico accademico contenuto nell'espressione:
"non è necessariamente così": valore critico emancipatorio.
Una parte molto importante della produzione accademica si riferisce a valori
che non emancipano affatto.
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6 Spiegherò più avanti e in maniera più dettagliata come
il fatto che alcuni aspetti di una situazione diano il via a processi di criminalizzazione
(primaria o secondaria) non significhi affatto che la situazione sia problematica.
Organizzazioni come la polizia, i tribunali, il potere esecutivo e il parlamento
si occupano principalmente di attività criminalizzanti perché
il farlo viene percepito come loro interesse e il non farlo come potenzialmente
dannoso. Lo stesso, in gran parte, vale per i singoli attori entro queste
istituzioni. Considerando il linguaggio prevalente nel dibattito sulla giustizia
criminale (e nel dibattito politico in generale) è facile per i singoli
attori neutralizzare "la propria responsabilità" rispetto
alle conseguenze.
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7 Dico "dare una mano a chi..." e non "sviluppare modelli per...",
in quanto sono d'accordo con la definizione di Foucault (1985) del ruolo dello
studioso rispetto a questi argomenti. Secondo Foucault, lo studioso non dovrebbe
sforzarsi di rivestire il ruolo del profeta-intellettuale che dice alla gente
cosa deve fare, fornendole schemi di pensiero, obiettivi e mezzi (che egli
sviluppa nella sua mente, lavorandoci su con gli strumenti di cui dispone,
che è il modo tradizionale in cui molti studiosi di legge criminale
hanno finora operato). Al contrario, il ruolo dello studioso è di mostrare
1) come le istituzioni funzionano realmente e 2) quali sono le conseguenze
reali del loro funzionamento nei diversi settori della società. Inoltre,
egli deve rivelare 3) i sistemi di pensiero sottesi a queste istituzioni e
alle loro pratiche. Deve mostrare il contesto storico di questi sistemi, le
restrizioni che esercitano su di noi, e il fatto che sono diventate così
familiari da essere ormai parte delle nostre percezioni, dei nostri atteggiamenti
e comportamenti. Infine 4) egli deve lavorare con chi se ne occupa e con i
professionisti per modificare le istituzioni e le loro pratiche, sviluppando
in modo speculativo modelli di alternative.
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8 Intendo un accordo sul fatto che le strutture dello Stato dovrebbero essere
secolari e non fondamentaliste. Ognuno sarà consapevole del fatto che
questo requisito, in molte aree, non è affatto soddisfatto. Molte pratiche
dello Stato seguono tuttora il modello delle religioni totalitarie e autoritarie.
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9 Vi accenno in forma "stenografica" come li ho presentati in passato
in Hulsman (1996). Li ho poi successivamente sviluppati in Faugeron, Hulsman
(1996).
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10 L'idea di fondo è che la punizione proporzionale alla gravità
sia la pietra miliare dell'ordine. Collegata a questo assunto è l'idea
che chi abbia commesso crimini particolarmente gravi non possa sottrarsi alla
punizione: "Questo è così grave che non si può lasciarlo
impunito". In pratica, fatti con conseguenze veramente disastrose come
la pulizia etnica in Iugoslavia e in Africa quasi sempre sfuggono alla punizione.
È mia esperienza personale poi che persone da me incontrate (in Olanda
e altrove) usano il modello punitivo del controllo sociale per trasgressioni
alle regole minori e non importanti. Quando ci si trova di fronte a cose importanti,
le persone devono rifarsi a forme molto diverse di regola sociale: premi,
conciliazione, negoziazione. Ciò vale non solo per questioni familiari,
ma in generale (rapporti di lavoro, ecc.).
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11 In altri processi legali (civile/amministrativo), la persona che ha subìto
un torto è chiaramente il cliente e ha il potere (sui professionisti)
di indirizzare il procedimento. Se non è soddisfatto può interrompere
il procedimento. Anche la parte convocata in tribunale diventa un cliente
e anch'essa ha questo potere. Nella giustizia criminale non è così.
Questo aspetto è stato sviluppato in Faugeron, Hulsman (1996).
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12 Nelle inchieste di auto-denuncia si chiede a un campione di persone quanto
spesso avessero commesso atti potenzialmente criminali in un determinato periodo
e in che misura a questi atti seguisse un intervento della giustizia criminale.
Nelle inchieste delle vittime si pongono domande sulla frequenza e sulla natura
del problema conseguenza di un atto di tipo criminale. In molti Paesi - USA,
Olanda ecc. - le inchieste delle vittime avvengono regolarmente e conducono
a statistiche separate, che poi formano la base primaria dei dati per i criminologi
(insieme alle statistiche dei tribunali e della polizia).
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13 Ciononostante l'impatto negativo della criminalizzazione su alcuni segmenti
della popolazione è molto superiore a quanto sia normalmente ritenuto.
Persino in un Paese come l'Olanda (con una popolazione carceraria relativamente
bassa) uno studio statistico condotto negli anni Sessanta indicava che 1 maschio
su 10 morto in un certo periodo era stato incarcerato almeno una volta. In
alcune città americane più della metà della popolazione
nera maschile fra i 18 e i 45 anni è in prigione, in libertà
vigilata o in libertà sulla parola.
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14 Queste sono le parole usate nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
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15 Molto interessante al proposito è Hanak, Steher, Steinert (1989)
perché ci permette di fare un paragone fra situazioni problematiche
criminalizzabili e non. Di sovente, le persone coinvolte nei dibattiti sulla
giustizia criminale sono così "possedute" dai relativi miti
e immagini da non accorgersi di come l'assenza di una reazione della giustizia
criminale a un fatto criminalizzabile non significhi affatto che tale evento
non venga affrontato (quid non est in actu est in mundo). Se c'è una
persona direttamente coinvolta per la quale un fatto criminalizzabile è
problematico, questa persona avrà sempre a che fare con questo fatto
in un modo o nell'altro e potrà, quindi, rivolgersi per un aiuto a
professionisti o a non-professionisti.
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16 Si veda su questo caso anche Stijn Hegenhuis, The disapperance of a Victim
Position, in J.R. Blad, H. van Maastrigt, N. Uildriks (a cura di), The Criminal
Justice System as a Social Problem: an Abolitionist Perspective, vedasi n.
1.
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17 Si veda S. Hogenhuis, n. 11
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18 J. Hes, From Victim of (Sexual) violence to Claimant in a Civil Law Case,
Atti del V Simposio intenazionale di Vittimologia, Zagabria, 1985; J. Hes
- L. Hulsman, Civil Justice as an Alternative to Criminal Justice, Atti per
ICOPA III, Montreal, 1987; M. Spector e S. Batt, Towards a More Active Victim,
in J.R, Blad - H. Van Mastrigt - N. Uildricks, (a cura di), The Criminal Justice
System as a Social Problem: An Abolitionist Perspective, vedasi n. 1.
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19 H. van Ransbeek, Het Noorderkqartier, ergernis en pleizer, Rotterdam, Erasmus
Univeriteit, 1985.
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20 H. van Ransbeek, Kleine crominaliteit?, Rotterdam, Erasmus Universiteit,
1987.
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