Human Rights First accusa: gli Stati Uniti dispongono di decine di carceri all'estero di cui negano persino l'esistenza. Non consentono alla Croce Rossa Internazionale di visitare i prigionieri e non informano le famiglie dei detenuti sulle loro condizioni. Contribuendo così a creare quel clima di impunità in cui sono nate le torture di Abu Ghraib.
Non ci sono solo gli orrori documentati di Abu Ghraib o le rare foto dei detenuti inginocchiati a Camp Delta, nella base di Guantanamo. Da quando hanno dichiarato la “guerra al terrorismo”, in altre decine di prigioni all’estero gli Stati Uniti detengono presunti terroristi negando loro i diritti riconosciuti dalle Convenzioni di Ginevra, sfiancandoli negli interrogatori con torture fisiche e psicologiche, impedendo alla Croce Rossa Internazionale (Icrc) di visitarli e spesso omettendo di informare le famiglie non solo delle loro condizioni, ma anche del fatto stesso di averli arrestati. È la denuncia di Human Rights First, contenuta nel rapporto “Ending Secret Detention”.
“Secret”, appunto. Perché una ventina di questi centri di detenzione, stima l’organizzazione che si batte per il rispetto dei diritti umani, ufficialmente non esistono. Washington non li riconosce, ma basandosi sulle testimonianze di varie fonti Human Rights First ne ha localizzati nove in Iraq, sette in Afghanistan, uno in Pakistan, un altro alla base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, uno in Giordania, nonché due su altrettante navi militari della marina statunitense. Inoltre, tra Afghanistan e Iraq sarebbero operativi circa venti “siti di transito”, utilizzati per trattenere i detenuti giusto il tempo necessario per decidere in quale carcere mandarli.
Mancando il riconoscimento degli Usa, nessun rappresentante della Icrc o di altre organizzazioni internazionali ha mai potuto verificare il trattamento dei prigionieri in questi centri. Ma è un fatto che l’assenza di trasparenza contribuisce a creare un clima di impunità che può facilmente portare ad abusi e violenze per estorcere confessioni. “Il governo degli Stati Uniti tiene in custodia dei detenuti utilizzando un sistema segreto di carceri off-shore senza un’adeguata supervisione, del quale non rispondono e che rimane fuori dalla portata del diritto”, dice Deborah Pearlstein, direttrice della sezione di Human Rights First che si occupa dei centri di sicurezza statunitensi.
E di questo sistema non fanno parte solo le carceri segrete, ma anche i centri conosciuti, come quello della base navale di Guantanamo. Tuttavia, il fatto che siano noti non è per niente una garanzia di trasparenza. Nell’ormai famigerato carcere di Abu Ghraib il marcio è venuto fuori solo dopo la pubblicazione da parte dei media di decine di fotografie delle sevizie subite dai prigionieri, portando in breve tempo a miglioramenti significativi nel trattamento dei prigionieri, come l’abolizione dell’usanza di incappucciare le persone sottoposte ad interrogatorio.
Ma per quanto riguarda la base navale Usa a Cuba, per esempio, il clima di segretezza permane. Come spiega il rapporto di Human Rights First, l’amministrazione statunitense fornisce dati contrastanti sul numero dei detenuti. Partendo dalle cifre ufficiali sui prigionieri nel luglio 2003 e tenendo conto degli arrivi e delle partenze dichiarate da Washington fino all’aprile 2004, non si spiega la “sparizione” di sette detenuti che mancano all’appello: ce ne dovrebbero essere 602, ce ne sono 595. E rimane ovviamente irrisolta – in attesa di una sentenza della Corte Suprema, prevista per le prossime settimane – la questione della qualifica dei detenuti, che Washington considera “combattenti illegali” inabilitati a godere dei diritti garantiti dalla Convenzione di Ginevra sull’equo trattamento dei prigionieri di guerra.