La Cassazione ha stabilito che le azioni dimostrative contro l'Alta Velocità
non si possono considerare atti terroristici, perché non avevano obiettivi
che miravano al cuore dello Stato. Le azioni dimostrative contro l’Alta
Velocità in Val di Susa non sono punibili come atti terroristici, anche
se gli "anarco- insurrezionalisti" le hanno apertamente rivendicate
con un volantino. La Cassazione ha dichiarato nulla la sentenza di condanna
per terrorismo inflitta al gruppo anarchico che in Val di Susa avevano preso
di mira il progetto dell'Alta Velocità incendiando enti locali e manomettendo
l’impianto d'illuminazione in una galleria autostradale.
In sostanza la riflessione della Suprema Corte è la seguente: non possono
essere condannati per terrorismo perché non avevano obiettivi che miravano
al cuore dello Stato. Anche i volantini con le rivendicazioni che contenevano
affermazioni eversive non sono sufficienti a dimostrare l’intento terroristico.
I limiti entro i quali perseguire i reati eversivi fissati dalla Cassazione
sono contenuti nelle motivazioni della sentenza 5578, del 12 febbraio, con la
quale si dichiara nulla la condanna per "partecipazione ad associazione
con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordinamento costituzionale"
nei confronti di Silvano Pelissero. I reati di Pelissero e dei suoi due complici,
Edoardo Massari e Maria Rosas detta Soledad, morti suicidi, sono stati inseriti
nel contesto dell'associazione per delinquere perseguibile in base all'art.
416 del codice penale.
L’ipotesi di reato di terrorismo, spiega la Cassazione rimproverando il
dispositivo della sentenza del tribunale di Torino, ricorre solo quando ad essere
colpiti sono "specifici organi, istituzioni, organismi di portata nazionale,
la cui incolumità e normalità di funzionamento è necessaria
per la sopravvivenza dell'ordinamento democratico italiano".
In caso contrario si tratta solo di gruppi delinquenziali con "velleitarie
intenzioni insurrezionali". La Cassazione ha colto l’occasione per
invitare gli inquirenti a non "ingigantire" la portata di certe inchieste.
Questa conclusione è perfettamente in linea con il progetto della Commissione
Grosso di riforma del diritto penale. Al secondo comma dell'art. 2 del progetto
si legge che "le norme incriminatrici non si applicano ai fatti che non
determinano una offesa al bene giuridico protetto" (in questo caso lo Stato,
tutelato dall'art. 270 bis del codice penale).
L'accusa di terrorismo decade nel momento in cui lo Stato 'centrale' non è
stato toccato dalle azioni criminose. I supremi giudici hanno ritenuto già
applicabile "questo parametro di interpretazione essendo pienamente consonante
con i principi costituzionalmente garantiti di libertà di associazione
e di tipicità dei comportamenti sanzionabili penalmente".
Quindi non basta a far sussistere il reato di terrorismo la sola intenzione
proclamata dai membri di una organizzazione, di essersi associati per sovvertire
violentemente l'ordinamento dello Stato. Anche se gli aderenti all'associazione
commettono illeciti penali violenti definendoli azioni eversive, questi atti
restano "di per sé stessi, inidonei, a porre in pericolo il bene
tutelato da detta norma".
"Pur in presenza di affermazioni eversive ricavate dai volantini sequestrai
all'imputato e dalle rivendicazioni degli illeciti perpetrati dai sodali dell'organizzazione
('Lupi grigi'), si è affermata la sussistenza di una organizzazione terroristica
eversiva ex art. 270 bis cp sulla scorta di comportamenti illeciti inidonei
ad offendere il bene giuridico tutelato dalla norma". Infatti - concludono
i magistrati - "aldilà delle proclamate intenzioni (peraltro miranti,
con metodi illeciti, a sollecitare l'attenzione della pubblica opinione e a
protestare in merito al degrado ecologico della Val di Susa per la progettata
costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità) le azioni contestate
all'imputato, essendo rimaste circoscritte all'offesa di beni, di proprietà
privata o di enti pubblici locali, situati soltanto in zona circoscritta e periferica
del territorio dello Stato e non avendo, invece, colpito specifici organi, istituzioni,
organismi di portata nazionale, la cui incolumità e normalità
di funzionamento è necessaria per la sopravvivenza dell'ordinamento democratico
italiano, si sono dimostrate inidonee a produrre l'evento del reato in questione,
di guisa che detto comportamento associativo non può essere sussunto
nell'illecito di cui all'art. 270 bis cp". La Corte di Appello di Torino
deve ora ridimensionare la pena inflitta in secondo grado a Pelissero: sei anni
e un mese di reclusione.