Tecnologia per detenuti
Robert Ash
Domenica, Il Sole24ORE, 25 aprile 2004
Nelle carceri americane si diffondono sistemi di controllo sempre più invasivi. Il braccialetto elettronico viene usato dentro gli istituti di pena, non fuori come si era prospettato in Italia.
Ricordate la storia dei braccialetti elettronici? Dopo appena due anni di sperimentazione
sono scomparsi nell'oblio e nel disinteresse generale. In realtà non
erano dei braccialetti veri e propri ma delle cavigliere. Un'idea dell'ex ministro
degli Interni Enzo Bianco per decongestionare le carceri italiane, sull'onda
delle sperimentazioni avviate in Inghilterra, Belgio, Francia, Stati Uniti e
Singapore. Da noi però non hanno funzionato. Lasciamo perdere la fuga
del primo sorvegliato, il peruviano Augusto Tena, scomparso senza lasciare tracce.
Forse si trattò di un caso. Quella che è venuta meno è
stata la volontà di portare avanti il progetto. Peccato, verrebbe da
dire. Peccato per i 140 milioni di euro spesi e per quei detenuti condannati
per reati minori che potrebbero usufruire degli arresti domiciliari. Oggi i
gestori del servizio sono in causa con lo Stato perché non ricevono più
i soldi pattuiti. A Milano qualche mese fa il giudice della terza sezione penale,
Angelo Mambriani, dispose l'applicazione del braccialetto elettronico per un
detenuto. Dalla questura risposero via fax che i contratti sottoscritti per
l'attivazione dei braccialetti erano scaduti nell'ottobre 2001. Il servizio
quindi non era più applicabile.
Secondo alcuni dietro questo fallimento ci sarebbero i grossi interessi che
ruotano attorno all'apparato detentivo del nostro Paese. Appalti milionari che
però in America hanno avuto singolarmente l'effetto opposto: ma lì
la tecnologia non viene usata tanto per decongestionare le carceri quanto per
controllare meglio i detenuti. Le prigioni stesse sono diventate terreno per
sperimentare nuovi sistemi di analisi e di controllo che in alcuni casi hanno
mutato radicalmente l'aspetto degli istituti di pena. Un esempio? La prigione
di massima sicurezza di Pelican Bay in California. Una serie di edifici innocui
circondati da un recinto basso. Che senso ha innalzare mura di cinque metri
quando si adoperano dei sensori perimetrali di movimento tanto sensibili da
percepire il battito cardiaco di un topo? Ed è solo una delle tante sorprese
avveniristiche di Pelican Bay. I sistemi a raggi X della serie 500 della Rapidscan
sono stati testati qui prima di arrivare sul mercato.
Costruita nel 1989 la Pelican Bay State Prison, con oltre 160mila carcerati,
1.400 impiegati e un budget annuo di 115 milioni di dollari, è una delle
trentadue prigioni californiane delle quali ventuno costruite negli ultimi due
decenni. il sistema carcerario più vasto non solo di tutti gli Stati
Uniti, che nel suo complesso arriva a due milioni di detenuti, ma anche di tutto
l'Occidente con una popolazione carceraria pari a quella di Francia, Inghilterra,
Norvegia, Germania, Giappone e Singapore messe assieme.
Dietro la svolta tecnologica delle carceri californiane c'è il Law Enforcement
and Corrections Technology Center che in accordo con il National Institute of
Justice Office of Science and Technology, produce, sperimenta e testa sistemi
innovativi per migliorare l'efficienza delle forze dell'ordine. Tecnologie che
magari fra qualche anno vedremo anche negli aeroporti o all'entrata delle banche
come il nuovo sistema di scansione in grado di percepire sostanze illegali di
qualsiasi tipo addosso a una persona e utilizzato in un paio di prigioni californiane
per stroncare il contrabbando e la vendita di stupefacenti. Alla Calipatria
State Prison invece sono stati introdotti dei braccialetti elettronici messi
a punto dall'Alanco su tecnologia Motorola. Non servono per le persone agli
arresti domiciliari, ma per controllare in tempo reale con esattezza millimetrica
la posizione di tutti detenuti all'interno del carcere. Potenzialmente, se anche
altre prigioni americane dovessero adottare questi braccialetti elettronici,
il giro d'affari della Alanco potrebbe toccare il miliardo e mezzo di dollari.
Certo, grazie alla tecnologia i detenuti vedono la loro privacy diminuire sensibilmente.
Secondo Larry Cothran, che dirige la sezione carceraria del Law Enforcement
and Corrections Technology Center, è un piccolo prezzo da pagare rispetto
ai vantaggi.
Che le condizioni dei detenuti non siano in cima alla lista delle priorità
del sistema carcerario americano lo prova l'adozione della Stun Belt. Una cintura
elettronica con comando a distanza attraverso la quale si può infliggere
a chi la indossa una potente scarica elettrica per otto secondi. Sembra che
provochi dolori lancinanti riducendo all'impotenza il soggetto che, perdendo
il controllo del proprio corpo, di media si urina e defeca addosso. Stando ad
Amnesty Intemational viene prodotta dalla Stun Tech e dalla Nova Products ed
è stata adottata dalla polizia di venti Stati americani.
A ben guardare l'intero sistema carcerario americano è un affare da capogiro
non solo per chi produce tecnologia. Stiamo parlando di un business da trentacinque
miliardi di dollari l'anno nel quale sono coinvolte società private che
costruiscono le prigioni stesse e a volte le amministrano, come nel caso della
Bobby Ross Group, della Corrections Corporation of America che possiede oltre
sessanta istituti fra Stati Uniti, Australia e Inghilterra per un totale di
cinquantamila detenuti, o della Wackenhut Corrections, da poco ribattezzata
Geo Group, e che ha istituti di pena in Cile e in diversi altri Paesi.
Per il business del futuro la parola magica sono i sistemi biometrici. Le forze
di polizia di ventisei Stati americani, iniziando dal Texas e dalla California,
li hanno già. A Singapore usano apparecchi della Nec per controllare
il movimento di lavoratori pendolari e stagionali provenienti dalla Malesia
attraverso una tessera di riconoscimento di tipo Smartcard e la scansione delle
impronte. Insomma la tecnologia viene impiegata più che per aprire le
carceri per estendere i sistemi di controllo all'intero territorio.