Tocqueville. Le prigioni della democrazia
Maurizio Cecchetto, Avvenire, 8 giugno 2002
I suoi scritti sulle carceri americane ed europee mettono in luce una svolta che attraverso l'isolamento in «celle» apre la strada alla detenzione moderna.
Esiste un ancíen régime del sistema carcerario, che
Tocqueville descrive come luogo di promiscuità, di soggezione dispotica
al più forte e di corruzione: «La somma di tutti i vizi e di
tutte le immoralità». Ma esiste anche una nuova epoca delle carceri,
essa comincia col «progetto cellulare». Tocqueville ne tratta
negli «Scritti penitenziari», il più organico e importante
è «Le système pénitentiaire aux Etats-Unis et son
application en France» uscito in prima edizione nel 1833 e rivisto in
due edizioni fino al 1845, che ora viene tradotto, con altri scritti sulla
carcerazione, nel volume delle Edizioni di Storia e Letteratura, a cura di
Lucia Re.
È importante ricordare che queste riflessioni nascono di ritorno dal
suo primo viaggio negli Stati Uniti dove, avvocato ancor giovane, si era recato
col sostegno governativo per studiare appunto il sistema di detenzione americano.
In quel viaggio conoscerà molto altro, e da questo prenderà
spunto per il suo saggio oggi più famoso: «La democrazia in America».
Tocqueville ne è certo, non si tratta di rigenerare l'anima dei cattivi,
compito che spetta alla religione, occorre invece fare in modo che il detenuto
torni a essere un cittadino, cioè un membro della democrazia. Con laconico
scetticismo, che gli viene dall'incredulità giansenista, spiega: «Se
la società non ha il potere di graziare le coscienze, la religione
lo ha. Quando la società perdona, mette l'uomo in libertà; ecco
tutto: non è che un fatto materiale». E aggiunge: «Uscendo
dalla prigione, egli (il detenuto) non è un uomo onesto, ma ha contratto
delle abitudini oneste... Senza avere l'amore del bene, può detestare
il crimine di cui ha subito le conseguenze crudeli e, se non è più
virtuoso, è almeno più ragionevole» Non è un'utopia
quella che Tocqueville apprende in America; all'inizio del suo saggio principale,
egli nota che mentre in Pennsylvania la pena di morte, la mutilazione e la
frusta venivano abolite dopo il 1786 grazie all'opera svolta dai Quaccheri,
si faceva largo una nuova idea della pena, sostituita dai castighi corporali
e dalla reclusione isolata, «cellulare» appunto.
Per Lucia Re il sistema penitenziario di cui parla Tocqueville è un
modello immaginario, poiché la dimensione federalista dell'Unione implicava
già allora che ogni Stato adottasse il sistema carcerario ritenuto
più affidabile. Tocqueville, allora, si rifà sostanzialmente
a due esperienze, il carcere di Filadelfia e quello di Auburn nello Stato
di New York. Di Filadelfia approva la disciplina fondata su un pragmatismo
severo ma senza eccessi pedagogici: l'unico rischio di sovversione si pone
quando il detenuto entra in carcere, ma varcata quella soglia esso viene rinchiuso
nella sua cella, e vive isolato; può anche rifiutarsi di lavorare,
ma questa deroga dalla disciplina implica la riduzione della razione quotidiana
di cibo e la reclusione in una segreta oscura.
Tocqueville sottolinea la possibilità di scelta, in quanto è
cosciente che il carcere non è un luogo di villeggiatura: il detenuto
«deve dunque scegliere fra un ozio perpetuo al buio e un lavoro ininterrotto
nella propria cella». Egli ritiene che si possa dare al carcerato un
incentivo al lavoro pagandolo, ma la ragione economica non deve prevalere.
Il «progetto cellulare» secondo Tocqueville è necessario
per spezzare i sodalizi fondati sulla legge della giungla che regnavano nelle
carceri di «antico regime», dove si creavano consorterie, comunità,
spiriti di corpo attorno a nuovi tiranni: in pratica, Tocqueville critica
il vecchio carcere perché è l'immagine e l'ambito dove si crea
una società antitetica alla società degli onesti.
L'isolamento cellulare diventa una sorta di quarantena per tutelare l'idea
del convivere sociale e non l'ossequio a un paradigma redentivo. La rieducazione
salvaguarda una certa idea di società, ed è meno interessata
alle ragioni del singolo (una posizione non diversa da quella che, sotto la
minaccia dell'insicurezza sociale e politica, spinge oggi gli Stati a scelte
talvolta assai discutibili); è la democrazia, dunque, il valore tutelato
dal «progetto cellulare». E il succo della questione spremuto
dalla curatrice - è che «gli uomini liberi devono essere "governati"
mentre i delinquenti vanno "domati"». Si direbbe una differenza
anzitutto pratica.