Triora
[...] Triora è un'altra importante località la cui storia ci conduce
davanti alle streghe che si diceva infestassero il paese e il circondario.
Triora si trova nella provincia di Imperia, chi volesse farci un giro per ammirare
il paese e girare tra le antiche vie dove si respira ancora un'aria inquietante
soprattutto dopo il crepuscolo, può giungervi comodamente da Genova prendendo
l'autostrada in direzione della Francia e uscendo a Taggia, indi inoltrandosi
nella valle Argentina dopo circa mezz'ora di strada si giunge a Triora.
La storia di Triora è antichissima, visti i ritrovamenti preistorici
che possono essere ammirati nel museo, punto strategico d'accesso alla valle
Triora era tenuta in gran conto già dai romani e al centro della città
si ergeva un importante centro di culto pagano, esattamente dove oggi sorge
la chiesa. Ma ciò che rende Triora un luogo di interesse e una "città
delle streghe" e quanto accadde nel 1587 quando durante l'imperversare
di una carestia, i malefici di presunte streghe furono considerati la causa
della piaga che affliggeva il paese. Radunato il parlamento cittadino (cioè
l'assemblea di tutti i cittadini) questi affidò al Podestà l'incarico
di individuare le streghe e processarle. Il Podestà era sempre un forestiero
che restava in carica due o tre anni e che dipendeva dal Doge e dal Governo
di Genova. L'allora podestà Stefano Carrega convocò l'intervento
del vescovo di Albenga che inviò un suo vicario Girolamo Dal Pozzo e
dell'Inquisitore di Genova che inviò un altro vicario di cui si ignora
il nome. Questi due inviati iniziarono subito a istituire il processo dopo aver
tenuto in Chiesa una solenne predica che incitava i cittadini a denunciare qualsiasi
sospetto. Va notato che il processo non si iniziava per vaghe accuse di qualche
malevolo, ma per voto unanime del Parlamento di Triora che si era impegnato
a sostenere le spese del processo.
Naturalmente le denunce non tardarono ad arrivare furono arrestate una ventina
di persone e alla fine furono dichiarate ree tredici donne, quattro ragazze
ed un fanciullo. Ma le arrestate non tardarono a fare altri nomi e alla fine
del 1588 erano già altre trenta le persone sospettate, tra cui anche
donne di rango sociale elevato. Tra i trioresi intanto cominciava a crescere
il malcontento per i pericoli che un tale processo stava portando e per le spese
sostenute dalla popolazione. E' il Consiglio degli Anziani, che rappresentava
la classe sociale più distinta, a muovere protesta formale contro l'operato
dei due inquisitori, scavalcando il Parlamento triorese che messo su da un medico
amico dei due vicari rifiutava di fare pressioni sul podestà affinché
chiedesse un intervento del Governo di Genova, è il Consiglio stesso
a chiedere questo intervento. Intanto nel carcere che era stato allestito in
alcuni alloggi vicino alla Chiesa, una delle prigioniere, Isotta Stella, una
povera vecchia sessant'enne, era morta a causa delle torture inflittele e un'altra
si era suicidata gettandosi dalla finestra.
La lettera arriverà al Doge e ai governatori di Genova che reclameranno
presso il vescovo di Alberga. Questi invierà una lunga lettera in cui
il vicario Girolamo Dal Pozzo si discolperà dalle accuse di aver usato
sistemi troppo cruenti giustificando la morte di Isotta Stella sulle basi del
suo rifiuto alla conversione e sul fatto che a giudizio del vicario non potesse
avere più di sessant'anni, infine concludeva che comunque "senes
etiam quod essent decrepiti aetatis possent torqueri in crimine lesae maiestatis
et praesertim divinae" (cioè che "anche i vecchi per quanto
decrpiti possono essere sottoposti a tortura nel delitto di lesa maestà
e specialmente quella divina"). Il Vicario comunque si rassegnerà
a non istituire più ulteriori processi e quindi a non coinvolgere la
classe benestante che stava a cuore agli anziani in queste vicende, ma di portare
a termine i processi rimasti. Seguono nella lettera giustificazioni sul suo
operato sulle torture e la tonsura a cui aveva sottoposto le arrestate e l'assicurazione
che i processi sarebbero stati chiusi in pochi giorni. Il Consiglio degli Anziani
ottenuta soddisfazione per le persone che proteggeva abbandonerà ulteriori
lamentele.
Tuttavia il Doge di Genova era poco persuaso della correttezza dei processi
che si sarebbero dovuti svolgere, inoltre i vicari si trattennero a Triora senza
dare inizio ad alcunché finché fu lo stesso Padre Inquisitore
di Genova ad andare a Triora e a interrogare di persona le prigioniere, di queste
una giovine venne scarcerata subito, ma per le altre la situazione non mutò.
A questo punto l'8 giugno del 1588 giungeva a Triora inviato dal Governo di
Genova il commissario straordinario Giulio Scrivani, originario di Chiavari
probabilmente, con l'intento di risolvere questi processi che ancora preoccupavano
molte famiglie trioresi. Ma l'intervento dello Scrivani non avrà i risultati
sperati, al contrario l'inquisizione Triorese raggiunge con lui gli apici. Pochi
giorni dopo il suo arrivo tredici donne incarcerate (Franceschina Ciocheto,
Gioanina Ricolfa, Cattarina del Borigio e sua sorella Luchina, Gioannetta Guerra
e sua figlia Magdalena, Battestina Giauna, Battestina Sella, Battestina Augura,
Agostina Carlina, Battistina Carlina, Domeneghina Borella, Maria Matellona),
accusate di essere streghe e un uomo (Biagio Verrando), accusato di essere uno
stregone, vengono mandati a Genova e imprigionati il 30 giugno nel Palazzo Criminali,
su ordine del Dege. Non per questo lo Scrivani rimarrà inattivo al contrario
il 22 luglio era già in grado di spedire a Genova quattro processi con
la proposta di condanna a morte per quattro streghe di Andagna nei pressi di
Triora. Un'altra strega venne inoltre inquisita a Badalucco, Luchina Rosso,
assieme alla sua accusatrice Pierina Gentile Moro. Il senato Genovese autorizza
su revisone di tre giureconsulti le condanne a morte e lo Scrivani si profonde
in descrizioni sulla morte di Luchina che lui aveva proposto fosse eseguita
a CastelFranco suo paese di origine, sospesa in laccio in modo che morisse naturalmente.
Ma il caso più clamoroso fu quello di Franchetta del fu Giovanni Battistino
Borelli, questa accusata più volte dalle streghe di Andana non fu inquisita
subito perché di famiglia benestante, ma alla fine lo Scrivani mise le
mani anche su di lei, egli avrebbe continuato le torture se l'avvocato Ludovico
Alberti non fosse intervenuto, ottenendone il rilascio e l'incarcerazione domiciliare.
Franchetta però fuggì, probabilmente in una abitazione lontana
da Triora nei possedimenti dei Borelli, con gran sgomento di quelli che l'avevano
in custodia, condannati immediatamente a versare una somma di mille scudi, una
cifre enorme per quell'epoca. Tuttavia la Franchettà nel frattempo era
tornata e i due che l'avevano in custodia, fra cui il fratello, furono prosciolti,
ma per lei iniziò un vero e proprio supplizio, venne sottoposta a ore
e ore di supplizio al cavalletto e tuttavia mai nulla confessò, fu perfino
fatta esorcizzare nel timore che il demonio la proteggesse e poi riposta di
nuovo sul cavalletto, ma nulla di quanto si aspettavano i suoi torturatori uscì
dalle sue labbra. Non si sa se venne fatta rilasciare dallo Scribani, sappiamo
che morirà alcuni anni dopo, il 2 gennaio del 1995 e l'iscrizione del
suo decesso nel liber mortuorum fa propendere per una positiva conclusione della
vicenda.
Ma l'instancabile Scrivani non cessò la sua attività, fece incarcerare
e perseguitare altre supposte streghe, una tal Marchina di Montalto morì
tra i supplizi delle torture e un'altra, tal Giovannina, dopo essere fuggita,
secondo lo Scribani per opera del demonio, fu ripresa e trovata qualche giorno
dopo morta in carcere con una correggia attorno al collo, anche in questo evento
si pensò all'intervento del maligno.
Fu l'intervento della Santa Inquisizione a Roma a fermare lo Scrivani, commissario
del Governo di Genova, accusandolo di aver interferito in materia di pertinenza
ecclesiastica. Egli fu costretto quindi ad inviare a Genova le cinque streghe
di cui doveva chiudere il processo. Lo Scribani, ormai sconvolto e in preda
ad allucinazioni, veniva scomunicato e poi assolto e allontanato da Triora.
Della sorte dei carcerati non si hanno notizie certe se non che l'8 febbraio
del 1589 erano ancora incarcerate in attesa della revisione dei processi , tre
erano morte in carcere a causa dell'età e degli stenti a cui erano sottoposte.
Non ci è dato di sapere molto altro, ad agosto la situazione non era
ancora risolta. Si può in qualche modo arguire dalle ultime lettere tra
il Cardinale di S. Severina e il Doge che il Tribunale del Sant'Uffizio abbia
proceduto con minore severità delle autorità ecclesiastiche e
civili di Genova, e che almeno alcune tra le donne sopravvissute siano state
messe in libertà. The biggest Dubai escort directory will help you to find the best girls.
Fra le varie ipotesi ve n'è una che indica in San Martino di Struppa,
paese di deportazione dei carcerati genovesi, il paese in cui queste malcapitate
trovarono nuova dimora. A prova di ciò nei libri parrocchiali del 1600
compare il cognome "Bazoro" o "Bazora" oggi trasformatosi
in "Bazzurro", che richiama il vocabolo dialettale bàzura,
baggiura o bàgiua con il quale viene indicata comunemente la strega in
alta Valle Argentina.
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