Ciò che il confinato può fare e ciò che non può
fare
Ma che cosa dunque si può fare a Ventotene?
Ognuno di noi al suo arrivo all'isola viene munito, per cura della Direzione,
di un libretto dalla copertina rossa. Il confinato dovrà da quel momento
non separarsi mai da quel libretto. È la così detta carta di permanenza.
Contiene in fondo un foglietto firmato dal direttore della colonia e timbrato
con il bollo della Direzione, che il confinato deve firmare a sua volta; s'intitola:
Prescrizioni. Lì s'impara ciò che il confinato non deve fare.
Prima però di erudirlo nella parte negativa della condotta da tenere
gli si impone di "darsi a stabile lavoro". E questa è la più
bella beffa che a un povero cristo che arriva a Ventotene senza un soldo si
possa combinare.
Darsi a stabile lavoro? Ma lui non domanda di meglio. Sarebbe, persino disposto,
se necessario, a cambiare mestiere: si sa, o almeno si intuisce che, a Ventotene,
di meccanici, d'autisti o di professori i di filosofia non ci sia gran richiesta.
Ma che mestiere scegliere? Di industria non ce n'è. La terra - chi
vuol fare il contadino - è fuori limite; fino al '42 non era concesso
per nessuna ragione di varcarlo. Fare il commerciante? I commercianti locali
vi si oppongono con la più strenua energia e poi, per fare il commerciante,
occorre disporre di quattrini. Studenti non ce n'è. Si potrebbe fare
il pescatore, ma il mare è una delle cose vietate. Rimane l'artigianato:
il ciabattino, lo zoccolaio, il sarto, il falegname, il fabbro, l'arrotino,
il cordaio, il canestraio. Popolazione totale dell'isola: meno di tremila
persone, quanti artigiani volete che possano sussistere? Trenta? Cinquanta?
E poi? La prima prescrizione della carta di permanenza, l'unica accettata
volonterosamente, è quindi un inganno e una menzogna.
Le altre ..Vediamo un po'. Non si può varcare il limite del confino;
e va bene. Ma non si può neppure cambiare di mensa o cambiare di posto
in dormitorio senza la preventiva autorizzazione.
Non si può rincasare più tardi dell'ora fissata o uscire dai cameroni
prima (del resto vi siamo rinchiusi), e siamo d'accordo. Ma non si può
neppure tenervi un coltello, che dico un coltello, un temperino, un cavatappi,
un apriscatole; e ci fu un tempo in cui non si poteva tenervi un paio di forbici
o un rasoio di sicurezza. Adesso tuttavia le forbici devono essere spuntate.
Non si può tenere carte da gioco; non si può giocare alla morra.
Non si può frequentare postriboli, osterie, cinema, teatri, spettacoli
o trattenimenti pubblici.
In un caffè o in una trattoria non ci si può sedere.
Non si può assistere alle funzioni religiose senza un permesso speciale;
non si può quindi entrare in chiesa.
Non si può varcare la soglia di nessuna abitazione privata, di nessun
laboratorio (anche se di confinati) per nessuna ragione.
Non si può possedere una macchina fotografica e neppure una macchina
da scrivere; né un binocolo; né una lampada tascabile.
Non si può avere una cameretta fuori, neppure per studiare, neppure durante
il solo giorno.
Non si può scrivere a chi si vuole, non si può ricevere letture
da chicchessia; anche per i familiari, per la moglie, i figli, è indispensabile
un'autorizzazione ministeriale.
Non si può imbucare la corrispondenza se non nella buca speciale; non
si può ricevere da casa libri, giornali o riviste.
Non si può far prestiti; e quindi contrarre debiti.
Non si può parlare una lingua estera; o parlare o comunque fare rumore
durante le ore di riposo prescritte dal regolamento.
Tutto questo dice la carta di permanenza. Ma ci sono cose che non dice e che
non si possono fare egualmente.
Non si può:
scrivere più di una cartolina o una lettera la settimana;
entrare in un camerone che non sia il proprio;
cucinare e mangiare in camerone;
portare vino in camerone;
mangiare in compagnia fuori della mensa o fuori dell'orario in mensa;
trattenersi in mensa al di là dell'ora dei pranzi;
detenere una lampada a spirito;
tenere in tasca più di cento lire;
prelevare più di cento lire settimanali dal proprio libretto di Cassa
di risparmio;
frequentare o parlare con i parenti di altri confinati (anche se sono vostri
amici);
leggere giornali esteri, o giornali non autorizzati, o libri non autorizzati;
o libri concessi a X e non a voi; quindi prestar libri concessi a voi e non
ad altri;
scrivere su quaderni o su agende o su fogli non timbrati;
leggere un giornale ad alta voce perché altri sentano; commentare le
notizie del giornale;
commentare le notizie della radio;
parlare di politica; di uomini politici; di guerra;
entrare nei locali della Direzione senza giacca; o con il cappello in testa.
In certi periodi:
portare calzoncini corti;
tenere il materasso non arrotolato sulla branda;
stare a torso nudo sui piazzali; sedersi sui piazzali; sedersi sui muretti dei
piazzali;
mettere le brande o i materassi al sole;
sostare vicino al padiglione delle donne;
accedere nei corridoi della Direzione in più di uno alla volta. Mi par
che basti.
E allora cosa si può fare?
Si può:
dormire tutto il giorno, salvo l'ora degli appelli;
passeggiare tutto il giorno;
leggere e scrivere;
affacciarsi agli usci delle case;
giocare a scacchi e a dama;
andare a piedi nudi e con i calzoni rotti.
Piccole vessazioni, piccole angherie, dispettucci e brutalità
A questo punto una domanda viene spontanea alle labbra. È possibile
la vita in tali condizioni? Sì, è possibile. Sarebbe possibile.
Se, data una tavola di restrizioni, questa tavola fosse mantenuta ferma, rispettata,
la vita sarebbe possibile. Non c'è legge, per soffocante e ferrea che
sia, che possa impedire alla vita di trovare una manciata di terra su cui
abbarbicarsi, una fenditura attraverso alla quale crescere e fogliare. La
vita è nello stesso tempo più dura e più versatile, più
intelligente e furba, di qualunque legge. Qui si badi c'è, ad onta
di tutto, la condizione primordiale della vita: l'aria aperta. C'è
poi la grande valvola di sicurezza della lettura. Sopprimete la lettura e
farete dei confinati degli ipocondriaci - o delle belve.
Ciò che rende la vita difficile e quasi insopportabile è l'arbitrio.
Non la legge dura, ma il non rispetto della legge. Ciò che sgomenta,
indispettisce, esaspera, è la libera interpretazione della legge, il
sopruso, il malvolere, l'estrosità di chi la legge deve fare rispettare.
Allora il cittadino non sa più che fare. Allora il confinato - il confinato
ordinario almeno - è alla mercé non soltanto del commissario
o del vice-commissario, ma dell'ufficio politico, di ogni agente, di ogni
milite, di trecentocinquanta volontà, del capriccio, della malvagità,
dell'odio, del sadismo dei pazzi, dei perversi, di un nemico politico dichiarato
e tremebondo.
E la prima mostruosità è commessa dal Governo con il mettere
a contatto milizia e confinati. Si sa che cosa sia la milizia. La milizia
non è un organo dello Stato, è un organo di un partito, il partito
che ha confiscato lo Stato. La sua guardia del corpo, la sua sicurezza. I
confinati sono i nemici di quel partito. Metterli a contatto significa volere
la provocazione. E questa non manca - ora con più ora con meno tracotanza
- di essere messa in atto. Sono, durante la guerra spagnola, commenti beffardi
fatti ad alta voce, manifestazioni di giubilo e risate a ogni vittoria franchista;
è la gazzarra inscenata alla caduta di Barcellona. Il confinato tace,
si morde le labbra a sangue, ricaccia indietro l'urlo di rivolta e il singhiozzo.
Sono, durante questa guerra, le esclamazioni che accompagnano l'annuncio dato
dalla radio delle strepitose vittorie tedesche. I lazzi scagliati a bella
posta davanti a noi. Le false notizie di inverosimili vittorie fatte circolare.
E il continuo spionaggio eseguito intorno ai nostri sentimenti, alle nostre
gioie, alle nostre angosce, alle nostre smorfie.
Sono provocazioni senza causa, improvvise, dettate, chi lo sa, dal vino o
da una cattiva digestione: interpellazioni brutali, punizioni assurde (richiesta
della carta di permanenza e conseguente consegna in camerone), irruzioni sbalorditive
nelle camerette o nelle camerate, perquisizioni cervellotiche e, talvolta,
torture cinesi vere e proprie come quella, se sei seduto all'aria aperta,
di passarti innanzi e indietro a pochi centimetri di distanza finché...
non te ne vai o sbotti.
Chi reagisce ha torto. Sempre. La consegna è applicata, in novantacinque
casi su cento, senza interrogazione del colpevole. Il consiglio di disciplina
(che io non vidi funzionare mai) è composto, oltre che dai funzionari
di polizia, dal medico della colonia e dal prete. Il prete è il difensore.
Nei casi gravi c'è la denuncia all'autorità giudiziaria. Ma
nei casi gravi che il Tribunale assolverebbe, la Direzione (o il Ministero)
hanno la facoltà di applicarti una misura in virtù della quale
sei mandato in carcere per cattiva condotta, senza alcun giudizio. Vi puoi
restare fino a sei mesi. I mesi di prigione non contano agli effetti del confino.
Vicino alla milizia, talora più feroci e più brutali, ci sono
gli agenti di pubblica sicurezza. Anche loro sono fascisti. L'ostentano. Poi
c'è la squadra politica. In certi periodi la squadra politica, è
stata la vera padrona del confino. Poteva fare tutto e non se ne privava.
Il direttore la copriva sempre. Ecco qui. C'è la disposizione che un
confinato non può entrare in un camerone che non sia il suo. È
caduta in disuso da anni. Un giorno salta il ticchio a uno della squadra politica
di ristabilirla. Detto fatto: manda in giro per le camerate e fa togliere
la carta di permanenza a tutti i confinati in rottura di regolamento. Lo stesso
per la disposizione che riguarda i parenti dei confinati. Durante mesi e mesi
ci si può intrattenere con loro, accompagnandoli ecc. ecc. Un giorno
trac, il confinato che scambierà una parola con un visitatore che non
sia suo parente, sarà punito (il visitatore mandato via). Perché?
Per eccitarci? Lo stesso per ciò che riguarda il torso nudo. Per tutta
l'estate del '41 è ammesso stare a torso nudo nei limiti della città
confinaria. Nell'estate del '42 ai primi grandi calori qualche confinato si
sfila la camicia o la maglietta. S'avvicina un agente della squadra politica:
"Copritevi!".
"Perché?".
"Perché è proibito stare in quell'arnese ".
"Ma...".
"Datemi la carta di permanenza".
Qualcuno va su dal direttore, racconta la faccenda. Il direttore risponde:
"Sono io che ho dato la disposizione".
L'altro insiste: "Ma l'anno scorso... " e il direttore sorridendo:
"È così".
Perché questo: i piazzali dei cameroni, dal lato esterno, sono muniti
di bassissimi cornicioni piatti. È evidente che il costruttore li destinò,
oltre che a ornare, a servire da sedile. Nelle ore calde vi si mettono gli
amatori di sole, nelle ore fresche tutti.
Ancora. Durante l'appello diurno che nella primavera del '42 già si
svolgeva alla mezza dopo mezzogiorno, alcuni confinati, nell'attesa di essere
chiamati (l'appello durava più di mezz'ora), avevano preso l'abitudine
di sedersi sui mattoni disposti ai bordi delle aiuole. Interviene l'ufficio
politico e li fa alzare. Gli effetti della denutrizione incominciavano giusto
a farsi sentire. Avvenne che in pochi giorni tre confinati, in quella lunga
attesa, sotto il sole già cocente, cadessero svenuti. Si andò
su dal direttore e gli si fece presente la cosa. Gli si chiese di dividere
l'appello in due e di permettere che, nell'attesa di essere chiamati, ci si
potesse sedere. Il direttore accettò le due richieste.
Passarono alcuni mesi.
Un giorno la squadra politica si mette a dar la caccia a coloro che siedono
sui cornicioni dei piazzali, sulle gradinate, dappertutto; pretende che nell'interno
della città confinaria nessuno possa sedersi se non su sedie e sgabelli.
Ma come? Ma sono impazziti? Non ci si può più sedere? Ma perché?
Certo è un equivoco. Certo è un demente chi si è messo
a fare dello zelo. Tutto il confino pensa questo (tutti meno i più
anziani e sperimentati). Tutto il confino è in effervescenza. Si delega
uno ad andare dal direttore. Ci va: "Signor direttore, ieri è
successo questo e questo. Siccome ho elementi tali per supporre che lei non
ne sia al corrente o che, comunque, la disposizione non venga da lei, così
la pregherei... ".
"Vi sbagliate, sono io che ho dato l'ordine". HOW CAN CASINOS AND AFFILIATES WORK TO MAXIMIZE PLAYER SIGNUPS?
"Ma signor direttore, proprio lei che alcuni mesi fa ci autorizzava perfino
a sederci durante l'ora degli appelli!".
"Ho mutato idea".
"Allora devo capire?".
"Che non ci si può sedere, sì".
Il direttore sorride. È molto cortese, il nostro ultimo direttore.
Non come l'altro, Meo, quello che scoppiò in seguito a una indigestione
e che si trova ora lassù, a Villa Meo. Quello aveva fatto la guerra.
Dovevano essere dei residui di guerra. Gli accadeva - e più spesso
di quello che non sia lecito - di montare in collera. Diventava un facchino.
La testa gli si incendiava, gli occhi gli schizzavano dalle orbite e la cicatrice
del viso diventava violetta. Eruttava tutto il marciume che aveva in fondo:
un fiotto di cloaca. Ho assistito io alla scenata che fece un giorno a un
certo Bassi perché se ne stava nel corridoio della direzione con il
berretto in testa. Il Bassi è un minorato della guerra di Spagna, un
povero relitto d'uomo. Lo aggredì in un modo selvaggio, lo insultò,
lo vituperò, lo minacciò con i pugni sulla faccia.
Di tanto in tanto i militi o gli agenti si mettono a picchiare: in poco tempo
ciò diventa un'abitudine. L'ultima volta fu nel '42. Incominciò
un certo Ariola, uno dei più brutali, rozzi, feroci agenti della squadra
politica. La faccenda si ripeté due, tre, quattro volte. Si coglieva
l'occasione di un arresto e, prima di rinchiudere l'arrestato in camera di
sicurezza, lo si percuoteva con pugni, schiaffi, calci. Dal piazzale superiore
si udivano le urla e i tonfi. Il guaio è che, in questi casi, l'arrestato
o è condotto via in prigione o, se è rilasciato, con una scusa
o con l'altra si sottrae all'obbligo morale della testimonianza. Ha paura
delle rappresaglie. Si tratta in genere di manciuriani, di ladruncoli, di
ubriaconi. Va fino a negare i fatti, a spiegare i lividi con cadute immaginarie
ecc. Nel 1942 eravamo in queste condizioni: di sapere che gli agenti battevano
i confinati condotti in camera di sicurezza e di non poterlo dimostrare.
Il 26 agosto capita questo: Braccialarghe, un politico questa volta, si avvicina
all'infermeria e chiama ad alta voce un suo compagno. All'infermeria era ricoverato
un tale, accusato di non so più che cosa, che la direzione isolava
momentaneamente. Esce un agente, un certo Luigi Russo, un altro fra i peggiori
strumenti della colonia, e intima al Braccialarghe di andarsene immediatamente.
Questi, all'oscuro di ogni cosa, fa osservare che nulla gli vieta di starsene
lì. L'agente fa il gesto di sospingerlo violentemente. Braccialarghe
dice: "Giù le mani". L'altro lo acciuffa in malo modo e lo
conduce in caserma. Qui lo batte a più riprese. Si ode distintamente
il rumore dei ceffoni. La sera stessa il confino entra in ebollizione. Del
Braccialarghe si è sicuri, il Braccialarghe parlerà. Si riesce
a comunicare con lui. Egli conferma di essere stato picchiato; gli si dice
di querelare l'aguzzino. L'indomani, al momento dell'appello, per sottrarlo
alla vista dei compagni, è condotto al porto e spedito a Ponza, in
carcere. Troppo tardi. Ci siamo intesi. Qualunque cosa avvenga la faccenda
non sarà più soffocata. Si avverte la famiglia del detenuto,
si avvertono gli amici in continente. Poi, quattro confinati mandano quattro
raccomandate al Ministero, denunciando i fatti. I confinati, come i detenuti,
hanno questa prerogativa: di poter corrispondere con il Ministero in busta
chiusa. È vero che la direzione del carcere - o della colonia - apre
ogni volta le lettere e prende visione del contenuto. Le raccomandate partono.
Che succederà? Può succedere questo: che i quattro siano mandati
in prigione per misura disciplinare. La Direzione evidentemente non osa. Il
Ministero - c'è Senise e Senise ha fiutato da tempo il vento politico
- manda a Ventotene un ispettore. Tutto va bene.
Fonte: Alberto Jacometti, Ventotene, Marsilio Editori, 1974.