Ventotene
di Alberto Jacometti (1974)


Ciò che il confinato può fare e ciò che non può fare
Ma che cosa dunque si può fare a Ventotene?
Ognuno di noi al suo arrivo all'isola viene munito, per cura della Direzione, di un libretto dalla copertina rossa. Il confinato dovrà da quel momento non separarsi mai da quel libretto. È la così detta carta di permanenza. Contiene in fondo un foglietto firmato dal direttore della colonia e timbrato con il bollo della Direzione, che il confinato deve firmare a sua volta; s'intitola: Prescrizioni. Lì s'impara ciò che il confinato non deve fare. Prima però di erudirlo nella parte negativa della condotta da tenere gli si impone di "darsi a stabile lavoro". E questa è la più bella beffa che a un povero cristo che arriva a Ventotene senza un soldo si possa combinare.
Darsi a stabile lavoro? Ma lui non domanda di meglio. Sarebbe, persino disposto, se necessario, a cambiare mestiere: si sa, o almeno si intuisce che, a Ventotene, di meccanici, d'autisti o di professori i di filosofia non ci sia gran richiesta. Ma che mestiere scegliere? Di industria non ce n'è. La terra - chi vuol fare il contadino - è fuori limite; fino al '42 non era concesso per nessuna ragione di varcarlo. Fare il commerciante? I commercianti locali vi si oppongono con la più strenua energia e poi, per fare il commerciante, occorre disporre di quattrini. Studenti non ce n'è. Si potrebbe fare il pescatore, ma il mare è una delle cose vietate. Rimane l'artigianato: il ciabattino, lo zoccolaio, il sarto, il falegname, il fabbro, l'arrotino, il cordaio, il canestraio. Popolazione totale dell'isola: meno di tremila persone, quanti artigiani volete che possano sussistere? Trenta? Cinquanta? E poi? La prima prescrizione della carta di permanenza, l'unica accettata volonterosamente, è quindi un inganno e una menzogna.
Le altre ..Vediamo un po'. Non si può varcare il limite del confino; e va bene. Ma non si può neppure cambiare di mensa o cambiare di posto in dormitorio senza la preventiva autorizzazione.
Non si può rincasare più tardi dell'ora fissata o uscire dai cameroni prima (del resto vi siamo rinchiusi), e siamo d'accordo. Ma non si può neppure tenervi un coltello, che dico un coltello, un temperino, un cavatappi, un apriscatole; e ci fu un tempo in cui non si poteva tenervi un paio di forbici o un rasoio di sicurezza. Adesso tuttavia le forbici devono essere spuntate.
Non si può tenere carte da gioco; non si può giocare alla morra. Non si può frequentare postriboli, osterie, cinema, teatri, spettacoli o trattenimenti pubblici.
In un caffè o in una trattoria non ci si può sedere.
Non si può assistere alle funzioni religiose senza un permesso speciale; non si può quindi entrare in chiesa.
Non si può varcare la soglia di nessuna abitazione privata, di nessun laboratorio (anche se di confinati) per nessuna ragione.
Non si può possedere una macchina fotografica e neppure una macchina da scrivere; né un binocolo; né una lampada tascabile.
Non si può avere una cameretta fuori, neppure per studiare, neppure durante il solo giorno.
Non si può scrivere a chi si vuole, non si può ricevere letture da chicchessia; anche per i familiari, per la moglie, i figli, è indispensabile un'autorizzazione ministeriale.
Non si può imbucare la corrispondenza se non nella buca speciale; non si può ricevere da casa libri, giornali o riviste.
Non si può far prestiti; e quindi contrarre debiti.
Non si può parlare una lingua estera; o parlare o comunque fare rumore durante le ore di riposo prescritte dal regolamento.
Tutto questo dice la carta di permanenza. Ma ci sono cose che non dice e che non si possono fare egualmente.
Non si può:
scrivere più di una cartolina o una lettera la settimana;
entrare in un camerone che non sia il proprio;
cucinare e mangiare in camerone;
portare vino in camerone;
mangiare in compagnia fuori della mensa o fuori dell'orario in mensa;
trattenersi in mensa al di là dell'ora dei pranzi;
detenere una lampada a spirito;
tenere in tasca più di cento lire;
prelevare più di cento lire settimanali dal proprio libretto di Cassa di risparmio;
frequentare o parlare con i parenti di altri confinati (anche se sono vostri amici);
leggere giornali esteri, o giornali non autorizzati, o libri non autorizzati; o libri concessi a X e non a voi; quindi prestar libri concessi a voi e non ad altri;
scrivere su quaderni o su agende o su fogli non timbrati;
leggere un giornale ad alta voce perché altri sentano; commentare le notizie del giornale;
commentare le notizie della radio;
parlare di politica; di uomini politici; di guerra;
entrare nei locali della Direzione senza giacca; o con il cappello in testa.
In certi periodi:
portare calzoncini corti;
tenere il materasso non arrotolato sulla branda;
stare a torso nudo sui piazzali; sedersi sui piazzali; sedersi sui muretti dei piazzali;
mettere le brande o i materassi al sole;
sostare vicino al padiglione delle donne;
accedere nei corridoi della Direzione in più di uno alla volta. Mi par che basti.
E allora cosa si può fare?
Si può:
dormire tutto il giorno, salvo l'ora degli appelli;
passeggiare tutto il giorno;
leggere e scrivere;
affacciarsi agli usci delle case;
giocare a scacchi e a dama;
andare a piedi nudi e con i calzoni rotti.

Piccole vessazioni, piccole angherie, dispettucci e brutalità
A questo punto una domanda viene spontanea alle labbra. È possibile la vita in tali condizioni? Sì, è possibile. Sarebbe possibile. Se, data una tavola di restrizioni, questa tavola fosse mantenuta ferma, rispettata, la vita sarebbe possibile. Non c'è legge, per soffocante e ferrea che sia, che possa impedire alla vita di trovare una manciata di terra su cui abbarbicarsi, una fenditura attraverso alla quale crescere e fogliare. La vita è nello stesso tempo più dura e più versatile, più intelligente e furba, di qualunque legge. Qui si badi c'è, ad onta di tutto, la condizione primordiale della vita: l'aria aperta. C'è poi la grande valvola di sicurezza della lettura. Sopprimete la lettura e farete dei confinati degli ipocondriaci - o delle belve.
Ciò che rende la vita difficile e quasi insopportabile è l'arbitrio. Non la legge dura, ma il non rispetto della legge. Ciò che sgomenta, indispettisce, esaspera, è la libera interpretazione della legge, il sopruso, il malvolere, l'estrosità di chi la legge deve fare rispettare. Allora il cittadino non sa più che fare. Allora il confinato - il confinato ordinario almeno - è alla mercé non soltanto del commissario o del vice-commissario, ma dell'ufficio politico, di ogni agente, di ogni milite, di trecentocinquanta volontà, del capriccio, della malvagità, dell'odio, del sadismo dei pazzi, dei perversi, di un nemico politico dichiarato e tremebondo.
E la prima mostruosità è commessa dal Governo con il mettere a contatto milizia e confinati. Si sa che cosa sia la milizia. La milizia non è un organo dello Stato, è un organo di un partito, il partito che ha confiscato lo Stato. La sua guardia del corpo, la sua sicurezza. I confinati sono i nemici di quel partito. Metterli a contatto significa volere la provocazione. E questa non manca - ora con più ora con meno tracotanza - di essere messa in atto. Sono, durante la guerra spagnola, commenti beffardi fatti ad alta voce, manifestazioni di giubilo e risate a ogni vittoria franchista; è la gazzarra inscenata alla caduta di Barcellona. Il confinato tace, si morde le labbra a sangue, ricaccia indietro l'urlo di rivolta e il singhiozzo. Sono, durante questa guerra, le esclamazioni che accompagnano l'annuncio dato dalla radio delle strepitose vittorie tedesche. I lazzi scagliati a bella posta davanti a noi. Le false notizie di inverosimili vittorie fatte circolare. E il continuo spionaggio eseguito intorno ai nostri sentimenti, alle nostre gioie, alle nostre angosce, alle nostre smorfie.
Sono provocazioni senza causa, improvvise, dettate, chi lo sa, dal vino o da una cattiva digestione: interpellazioni brutali, punizioni assurde (richiesta della carta di permanenza e conseguente consegna in camerone), irruzioni sbalorditive nelle camerette o nelle camerate, perquisizioni cervellotiche e, talvolta, torture cinesi vere e proprie come quella, se sei seduto all'aria aperta, di passarti innanzi e indietro a pochi centimetri di distanza finché... non te ne vai o sbotti.
Chi reagisce ha torto. Sempre. La consegna è applicata, in novantacinque casi su cento, senza interrogazione del colpevole. Il consiglio di disciplina (che io non vidi funzionare mai) è composto, oltre che dai funzionari di polizia, dal medico della colonia e dal prete. Il prete è il difensore. Nei casi gravi c'è la denuncia all'autorità giudiziaria. Ma nei casi gravi che il Tribunale assolverebbe, la Direzione (o il Ministero) hanno la facoltà di applicarti una misura in virtù della quale sei mandato in carcere per cattiva condotta, senza alcun giudizio. Vi puoi restare fino a sei mesi. I mesi di prigione non contano agli effetti del confino.
Vicino alla milizia, talora più feroci e più brutali, ci sono gli agenti di pubblica sicurezza. Anche loro sono fascisti. L'ostentano. Poi c'è la squadra politica. In certi periodi la squadra politica, è stata la vera padrona del confino. Poteva fare tutto e non se ne privava. Il direttore la copriva sempre. Ecco qui. C'è la disposizione che un confinato non può entrare in un camerone che non sia il suo. È caduta in disuso da anni. Un giorno salta il ticchio a uno della squadra politica di ristabilirla. Detto fatto: manda in giro per le camerate e fa togliere la carta di permanenza a tutti i confinati in rottura di regolamento. Lo stesso per la disposizione che riguarda i parenti dei confinati. Durante mesi e mesi ci si può intrattenere con loro, accompagnandoli ecc. ecc. Un giorno trac, il confinato che scambierà una parola con un visitatore che non sia suo parente, sarà punito (il visitatore mandato via). Perché? Per eccitarci? Lo stesso per ciò che riguarda il torso nudo. Per tutta l'estate del '41 è ammesso stare a torso nudo nei limiti della città confinaria. Nell'estate del '42 ai primi grandi calori qualche confinato si sfila la camicia o la maglietta. S'avvicina un agente della squadra politica:
"Copritevi!".
"Perché?".
"Perché è proibito stare in quell'arnese ".
"Ma...".
"Datemi la carta di permanenza".
Qualcuno va su dal direttore, racconta la faccenda. Il direttore risponde:
"Sono io che ho dato la disposizione".
L'altro insiste: "Ma l'anno scorso... " e il direttore sorridendo: "È così".
Perché questo: i piazzali dei cameroni, dal lato esterno, sono muniti di bassissimi cornicioni piatti. È evidente che il costruttore li destinò, oltre che a ornare, a servire da sedile. Nelle ore calde vi si mettono gli amatori di sole, nelle ore fresche tutti.
Ancora. Durante l'appello diurno che nella primavera del '42 già si svolgeva alla mezza dopo mezzogiorno, alcuni confinati, nell'attesa di essere chiamati (l'appello durava più di mezz'ora), avevano preso l'abitudine di sedersi sui mattoni disposti ai bordi delle aiuole. Interviene l'ufficio politico e li fa alzare. Gli effetti della denutrizione incominciavano giusto a farsi sentire. Avvenne che in pochi giorni tre confinati, in quella lunga attesa, sotto il sole già cocente, cadessero svenuti. Si andò su dal direttore e gli si fece presente la cosa. Gli si chiese di dividere l'appello in due e di permettere che, nell'attesa di essere chiamati, ci si potesse sedere. Il direttore accettò le due richieste.
Passarono alcuni mesi.
Un giorno la squadra politica si mette a dar la caccia a coloro che siedono sui cornicioni dei piazzali, sulle gradinate, dappertutto; pretende che nell'interno della città confinaria nessuno possa sedersi se non su sedie e sgabelli. Ma come? Ma sono impazziti? Non ci si può più sedere? Ma perché? Certo è un equivoco. Certo è un demente chi si è messo a fare dello zelo. Tutto il confino pensa questo (tutti meno i più anziani e sperimentati). Tutto il confino è in effervescenza. Si delega uno ad andare dal direttore. Ci va: "Signor direttore, ieri è successo questo e questo. Siccome ho elementi tali per supporre che lei non ne sia al corrente o che, comunque, la disposizione non venga da lei, così la pregherei... ".
"Vi sbagliate, sono io che ho dato l'ordine". HOW CAN CASINOS AND AFFILIATES WORK TO MAXIMIZE PLAYER SIGNUPS?
"Ma signor direttore, proprio lei che alcuni mesi fa ci autorizzava perfino a sederci durante l'ora degli appelli!".
"Ho mutato idea".
"Allora devo capire?".
"Che non ci si può sedere, sì".
Il direttore sorride. È molto cortese, il nostro ultimo direttore. Non come l'altro, Meo, quello che scoppiò in seguito a una indigestione e che si trova ora lassù, a Villa Meo. Quello aveva fatto la guerra. Dovevano essere dei residui di guerra. Gli accadeva - e più spesso di quello che non sia lecito - di montare in collera. Diventava un facchino. La testa gli si incendiava, gli occhi gli schizzavano dalle orbite e la cicatrice del viso diventava violetta. Eruttava tutto il marciume che aveva in fondo: un fiotto di cloaca. Ho assistito io alla scenata che fece un giorno a un certo Bassi perché se ne stava nel corridoio della direzione con il berretto in testa. Il Bassi è un minorato della guerra di Spagna, un povero relitto d'uomo. Lo aggredì in un modo selvaggio, lo insultò, lo vituperò, lo minacciò con i pugni sulla faccia.
Di tanto in tanto i militi o gli agenti si mettono a picchiare: in poco tempo ciò diventa un'abitudine. L'ultima volta fu nel '42. Incominciò un certo Ariola, uno dei più brutali, rozzi, feroci agenti della squadra politica. La faccenda si ripeté due, tre, quattro volte. Si coglieva l'occasione di un arresto e, prima di rinchiudere l'arrestato in camera di sicurezza, lo si percuoteva con pugni, schiaffi, calci. Dal piazzale superiore si udivano le urla e i tonfi. Il guaio è che, in questi casi, l'arrestato o è condotto via in prigione o, se è rilasciato, con una scusa o con l'altra si sottrae all'obbligo morale della testimonianza. Ha paura delle rappresaglie. Si tratta in genere di manciuriani, di ladruncoli, di ubriaconi. Va fino a negare i fatti, a spiegare i lividi con cadute immaginarie ecc. Nel 1942 eravamo in queste condizioni: di sapere che gli agenti battevano i confinati condotti in camera di sicurezza e di non poterlo dimostrare.
Il 26 agosto capita questo: Braccialarghe, un politico questa volta, si avvicina all'infermeria e chiama ad alta voce un suo compagno. All'infermeria era ricoverato un tale, accusato di non so più che cosa, che la direzione isolava momentaneamente. Esce un agente, un certo Luigi Russo, un altro fra i peggiori strumenti della colonia, e intima al Braccialarghe di andarsene immediatamente. Questi, all'oscuro di ogni cosa, fa osservare che nulla gli vieta di starsene lì. L'agente fa il gesto di sospingerlo violentemente. Braccialarghe dice: "Giù le mani". L'altro lo acciuffa in malo modo e lo conduce in caserma. Qui lo batte a più riprese. Si ode distintamente il rumore dei ceffoni. La sera stessa il confino entra in ebollizione. Del Braccialarghe si è sicuri, il Braccialarghe parlerà. Si riesce a comunicare con lui. Egli conferma di essere stato picchiato; gli si dice di querelare l'aguzzino. L'indomani, al momento dell'appello, per sottrarlo alla vista dei compagni, è condotto al porto e spedito a Ponza, in carcere. Troppo tardi. Ci siamo intesi. Qualunque cosa avvenga la faccenda non sarà più soffocata. Si avverte la famiglia del detenuto, si avvertono gli amici in continente. Poi, quattro confinati mandano quattro raccomandate al Ministero, denunciando i fatti. I confinati, come i detenuti, hanno questa prerogativa: di poter corrispondere con il Ministero in busta chiusa. È vero che la direzione del carcere - o della colonia - apre ogni volta le lettere e prende visione del contenuto. Le raccomandate partono. Che succederà? Può succedere questo: che i quattro siano mandati in prigione per misura disciplinare. La Direzione evidentemente non osa. Il Ministero - c'è Senise e Senise ha fiutato da tempo il vento politico - manda a Ventotene un ispettore. Tutto va bene.

 


Fonte: Alberto Jacometti, Ventotene, Marsilio Editori, 1974.