Dallo stato sociale allo stato carceriere
Conosciamo bene i costi diretti, sul piano sociale
e umano, del sistema di insicurezza sociale offerto al mondo come "modello"
dagli Stati uniti (1).
Meno noto è il suo complemento sociologico: l'ipersviluppo delle
istituzioni con le quali si cerca di rimediare alle carenze della protezione
sociale (safety net) dispiegando, negli strati inferiori della
società, una rete poliziesca e penale (drag net) dalle
maglie sempre più fitte. Fonte: Le monde diplomatique Luglio 1998
Note
(2) David Chalmers, And the Crooked Places Made
Straight: The Struggle for Social Change in the 1960s, Temple University
Press, Filadelfia, 1991, e James T. Patterson, Grand Expectations:
The United States, 1945-1974, Oxford University Press, New York,
1996. (3) Su questi dibattiti, Norval Morris, The Future
of Imprisonment, The University of Chicago Press, Chicago, 1974.
(4) Salvo indicazioni contrarie, per tutte queste
statistiche ci si è basati sulle diverse pubblicazioni del Bureau
of Justice Statistics del ministero federale della giustizia, e in particolare
sulle sue relazioni periodiche Correctional Populations in the United
States, Washington, Government Printing Office. (5) Diana Gordon descrive efficacemente questa sinergia
in The Justice Juggernaut: Fighting Street Crime, Rutgers University
Press, New Brunswick, 1991. (6) Lo stato dell'Illinois ha immesso sul Web una
sintesi del casellario giudiziario e i dati segnaletici di tutti i suoi
detenuti, in modo che con qualche colpetto di mouse chiunque possa sapere
tutto del passato giudiziario di un detenuto. (7) Si vedano i dati compilati da Steve Gold, Trends
in State Spending, Center for the Study of the States, Rockefeller
Institute of Government, Albany (New York), 1991. (8) Questa valutazione accomuna in effetti bianchi
anglosassoni e ispanici, aumentando così indebitamente il tasso
dei bianchi di origine europea; un effetto di maggiorazione peraltro
sempre più sensibile nel tempo, dal momento che la fascia di
popolazione di origine latina è quella il cui tasso di incarcerazione
è cresciuto più rapidamente in quest'ultimo periodo. (9) È il titolo dell'opera principale di Jerome
Miller, Search and Destroy: African-American Males in the Criminal
Justice System, Cambridge University Press, Cambridge, 1997. (10) Per una discussione di questi diversi punti,
leggere Loïc Wacquant, "Crime et chëtiment en Amérique
de Nixon à Clinton", Archives de politique criminelle,
Parigi n.20, primavera 1998. (11) David Rothman, The Discovery of the Asylum:
Social Order and Disorder in the New Republic, Little, Brown, Boston,
1971, pp. 239-240. (12) Bruce Western e Katherine Beckett, "How
Unregulated is the U.S. Labour Market? The Penal System as a Labour
Market Institution", comunicazione al Congresso annuale dell'American
Sociological Association, 39 pagine, 1997, p. 31. (13) Loïc Wacquant, "Les pauvres en
pëture: la nouvelle politique de la misère an Amerique",
Hérodote, Parigi, n. 85, primavera 1997. (14) Come dimostra David Garland in Punishment
and Welfare: A History of Penal Strategies, (Gower Aldershot, 1985),
nel caso paradigmatico dell'Inghilterra vittoriana.
La criminalizzazione della miseria negli Stati uniti
di Loïc Wacquant (1998)
Alla deliberata atrofia dello stato sociale
corrisponde l'ipertrofia dello stato penale; la miseria e il deperimento
del primo hanno come contropartita diretta e necessaria l'espansione
e lo sviluppo del secondo. L'evoluzione del sistema penale negli Stati
uniti è caratterizzata da quattro principali fattori: l'aumento
della popolazione carceraria; il controllo esercitato su un numero sempre
maggiore di persone ai margini del sistema penitenziario; la spettacolare
ipertrofia del settore penale nell'ambito dell'amministrazione federale
e di quelle locali, e infine il costante aumento della proporzione di
neri tra i detenuti. Questo processo è iniziato con l'involuzione
sociale e razziale avvenuta durante gli anni 70, in
risposta all'avanzata democratica prodotta dalla sollevazione nera e
dai movimenti popolari di contestazione sorti sulla sua scia (studenti,
donne, oppositori alla guerra del Vietnam, ecologisti) (2).
La popolazione in stato di detenzione, ai tre
livelli dell'apparato penale: carceri delle città e delle contee,
reclusori dei cinquanta stati dell'Unione e penitenziari federali, è
aumentata a un ritmo folgorante. Durante gli anni 60, la demografia
penitenziaria del paese presentava una tendenza decrescente: nel 1975
il numero dei detenuti era sceso a 380.000, al termine di un periodo
di riduzione lenta ma costante (dell'1% circa l'anno). Si discuteva
allora di "alternative al carcere", di pene sostitutive, e
si proponeva di limitare la detenzione ai soli "criminali
pericolosi", che rappresentavano il 10-15% dei delinquenti; qualcuno
ha avuto addirittura l'audacia di preannunciare il tramonto dell'istituzione
penitenziaria (3).
Ma la curva doveva rovesciarsi bruscamente e quindi impennarsi. Dieci
anni dopo, il numero dei detenuti era balzato a 740.000, per superare
addirittura 1,6 milioni nel 1995. Durante il decennio 90, il ritmo di
crescita è stato dell'8% l'anno. Questa triplicazione nel corso
di quindici anni costituisce un fenomeno senza precedenti in una società
democratica. Gli Stati uniti sono in testa davanti alle altre nazioni
più progredite, dato che il loro tasso di popolazione carceraria,
di oltre 600 detenuti su 100.000 abitanti nel 1997
(quintuplicato dal 1973) è da 6 a 10 volte superiore a quelli
dei paesi dell'Unione europea (4).
Persino in Sudafrica, durante il regime dell'apartheid, la pena detentiva
veniva applicata con minor frequenza che negli Stati uniti di oggi.
In California, uno stato che ancora recentemente occupava il primo posto
negli stanziamenti per l'istruzione e la sanità pubblica, ma
nel frattempo si è convertito al "tutto penale", il
numero delle persone detenute nei soli istituti correzionali dello stato
è passato in dieci anni da 17.300 (1975) a 48.300 (1985), per
superare, dopo un altro decennio, il numero record di 130.000. Se a
questi reclusi si aggiungono quelli delle carceri delle città
o delle contee (il solo penitenziario della contea di Los Angeles ne
ospita 20.000) si raggiunge il numero esorbitante di 200.000 anime,
pari alla popolazione di un'importante città di provincia europea.
Ma il boom delle reclusioni di questa fine
secolo non dà ancora la giusta misura della straordinaria espansione
dell'impero penale americano. Da un lato infatti non si tiene conto
delle persone in libertà vigilata (probation) o condizionale
(parole), Data l'impossibilità di aumentare la capienza
delle carceri con velocità sufficiente ad assorbire l'afflusso
dei condannati, il numero delle persone tenute nelle anticamere e dietro
le quinte del carcere è cresciuto ancora più rapidamente
di quello dei detenuti che marciscono dietro le sbarre. In sedici anni,
questa cifra si è quasi quadruplicata, andando a sfiorare i 4
milioni nel 1995: 3,1 milioni "on parole" e 700.000
"on probation". In conclusione, nell'anno citato erano
5,4 milioni gli americani sottoposti a tutela penale: una cifra che
rappresenta quasi il 5% degli uomini di oltre 18 anni, e tra i neri
due uomini su dieci.
D'altra parte, in aggiunta alle pene cosiddette
intermedie quali gli arresti domiciliari o l'assegnazione a un centro
disciplinare (boot camp), l'inserimento in un programma di "osservazione
intensiva" o la sorveglianza telefonica o elettronica, (con l'aiuto
di braccialetti e altri gadgets tecnici), le possibilità di controllo
del sistema penale si sono considerevolmente estese grazie alla proliferazione
delle banche dati in campo criminologico, con la conseguente possibilità
di decuplicare i mezzi e i punti di controllo a distanza. Negli anni
70 e 80, su iniziativa della Law Enforcement Administration Agency
(l'organismo federale incaricato di promuovere la lotta contro la criminalità)
le polizie, i tribunali e le amministrazioni penitenziarie di 50 stati
hanno istituito banche dati centralizzate e informatizzate.
Come risultato della nuova
sinergia tra le funzioni di "cattura" e quelle di "osservazione"
dell'apparato penale (5),
esistono ormai oltre 50 milioni di schede criminali (10 anni fa erano
35 milioni) riguardanti circa 30 milioni di individui, pari a quasi
un terzo della popolazione adulta maschile del paese! Hanno accesso
a queste banche dati (rap sheets) non solo gli enti pubblici
quali l'Fbi, l'Ins (polizia incaricata del controllo sugli stranieri)
o i servizi sociali, ma anche persone o organismi privati. I dati vengono
utilizzati dai datori di lavoro per scartare le domande d'impiego di
persone che hanno avuto a che fare con la giustizia; e poco importa
che siano spesso scorrette, obsolete, anodine o addirittura illegali.
Con la messa in circolazione di queste schede vengono a trovarsi nel
mirino dell'apparato poliziesco e penale non solo i criminali
o le persone semplicemente sospettate di aver commesso un reato,
ma anche i loro familiari, gli amici, i vicini, e persino i quartieri
in cui abitano (6).
Uno spettacolare rigonfiamento del settore
penale in seno all'amministrazione federale e a quelle locali è
stato al tempo stesso il mezzo e la conseguenza della bulimia carceraria.
Questa terza tendenza è tanto più notevole in quanto si
produce in un periodo di vacche magre per il settore pubblico. Tra il
1979 e il 1990, la spesa degli stati in campo carcerario è aumentata
del 325% in ordine al funzionamento e del 612% in ordine alla costruzione,
con un ritmo tre volte maggiore di quello della spesa militare a livello
nazionale, che pure ha goduto di eccezionali favori sotto le presidenze
di Ronald Reagan e di George Bush. A partire dal 1992, quattro stati
hanno dedicato agli istituti di pena più di un miliardo di dollari:
la California (3,2 miliardi) lo stato di New York (2,1), il Texas (1,3)
e la Florida (1,1). In totale, nel 1993 gli Stati uniti hanno speso
per le loro carceri una cifra superiore del 50% alla voce di bilancio
dedicata all'amministrazione giudiziaria (32 miliardi di dollari contro
21), mentre dieci anni prima i bilanci di queste due voci si equivalevano
(intorno ai 7 miliardi ciascuna).
Peraltro, questa politica di espansione del
settore penale non è appannaggio dei repubblicani. Negli ultimi
cinque anni, mentre il presidente Clinton proclamava in tutto il paese
il suo orgoglio per aver posto fine all'era del "big government",
e sotto l'egida del candidato alla sua successione, Albert Gore, la
Commissione riforme dello stato federale si applicava a sfoltire i programmi
e a ridurre i posti di lavoro nei servizi pubblici, venivano costruite
213 nuove prigioni un dato che peraltro non include i reclusori privati
che hanno proliferato, in seguito all'apertura di un lucroso mercato
degli istituti di pena privati. Nello stesso tempo, il numero dei dipendenti
delle sole carceri federali e degli stati passava da 264.000 a 347.000.
Di fatto, secondo l'Ufficio del censimento, tra tutte le attività
dello stato la formazione e l'assunzione delle guardie carcerarie è
quella che ha fatto registrare la più rapida crescita nel corso
dell'ultimo decennio.
In tempi di penuria fiscale, l'aumento dei
fondi e del personale per gli istituti di pena sono stati possibili
solo a scapito degli stanziamenti per l'assistenza sociale, la sanità
e l'istruzione. Gli Stati uniti di fatto hanno scelto
di costruire per i poveri case di reclusione e di pena piuttosto che
dispensari, asili nido e scuole (7).
Dal 1994, il bilancio annuale del California Department of Corrections
(ente preposto ai centri di reclusione di stato riservati ai condannati
a pene superiori a un anno) supera quello del campus dell'Università
di California. Il bilancio proposto dal governatore Pete Wilson nel
1995 prevedeva peraltro la soppressione di un migliaio di posti nel
settore dell'insegnamento superiore per finanziare 3.000 posti di guardie
carcerarie. Una preferenza onerosa per il pubblico erario, dato che
in California, grazie all'influenza politica del sindacato del personale
carcerario, lo stipendio di un secondino supera del 30% quello di un
professore incaricato universitario.
Se l'iperinflazione carceraria è stata
accompagnata da un'estensione "a latere" del sistema
penale, decuplicando le sue capacità di inquadramento e di neutralizzazione,
va detto che queste capacità si esercitano prioritariamente sulle
famiglie e sui quartieri diseredati, e in particolare sui ghetti neri
delle metropoli. Ne testimonia la quarta tendenza di rilievo dell'evoluzione
americana in questo campo: l'aumento costante della proporzione dei
detenuti di colore tra la popolazione carceraria. Dal 1989, per la prima
volta nella storia, gli afro-americani sono in maggioranza in seno agli
istituti di pena, benché rappresentino soltanto il 12% della
popolazione del paese.
Nel 1995, i 22 milioni di neri in età
adulta hanno fornito un contingente di 767.000 detenuti, di 999.000
condannati in libertà vigilata e di 325.000 rilasciati "on
parole", per un tasso globale di assoggettamento
a tutela penale del 9,4%. Per i bianchi (163 milioni di adulti), secondo
una stima tendenzialmente alta questo tasso è dell'1,9% (8).
Per quanto riguarda i soli detenuti, tra le due comunità il divario
è da 1 a 7,5, e ha mostrato una tendenza all'aumento durante
lo scorso decennio: su 100.000 adulti, 528 contro 3.544 nel 1985; dieci
anni dopo, 919 contro 6.926. In termini di probabilità statistica
riferita alla durata media di una vita, un individuo di sesso maschile
e di pelle nera ha più di una possibilità su quattro di
scontare almeno un anno di carcere; un ispanico ne ha una su sei, contro
una su 23 per un bianco. Questa "sproporzione razziale", come
pudicamente la definiscono i criminologi, è ancora più
pronunciata tra i giovani, primi bersagli della politica di penalizzazione
della povertà, dato che oltre un terzo dei neri di età
compresa tra i 20 e i 29 anni si trova in stato di detenzione, oppure
sotto l'autorità di un giudice correzionale o in attesa di giudizio.
Nelle grandi città i giovani nelle stesse condizioni sono più
della metà, con punte che superano l'80% nel cuore dei ghetti.
Tanto che, per parafrasare un termine tristemente diffuso durante la
guerra del Vietnam, il funzionamento del sistema giudiziario
americano si potrebbe descrivere come una "missione di localizzazione
e di distruzione" dei giovani neri (9).
In effetti, l'enorme divario tra la popolazione
bianca e quella di colore è dovuto solo in parte alla diversa
propensione a delinquere, e si spiega soprattutto con il carattere fondamentalmente
discriminatorio delle pratiche giudiziarie e penali. Tra la popolazione
nera, i consumatori di droga sono il 13% (una percentuale pressappoco
equivalente alla sua incidenza demografica), ma rappresentano un terzo
degli arrestati e tre quarti degli incarcerati per violazione delle
leggi sugli stupefacenti. Ora, la politica della "guerra alla droga",
con l'abbandono dell'ideale della riabilitazione e il moltiplicarsi
dei dispositivi repressivi (generalizzazione del regime delle pene fisse
e non riducibili, pena perpetua inflitta automaticamente al terzo reato
commesso, maggiori sanzioni per le violazioni dell'ordine
pubblico) costituisce una delle principali cause dell'aumento della
popolazione carceraria (10).
Nel 1995, sei nuovi condannati su dieci erano finiti dietro le sbarre
per detenzione e commercio di droga. Quello carcerario è un settore
nel quale i neri godono di fatto di una "promozione differenziale"
non priva di ironia, nel momento in cui il paese volta le spalle ai
programmi di affirmative action che avrebbero dovuto ridurre
le disuguaglianze razziali più stridenti nel campo dell'accesso
all'istruzione e al lavoro.
È comunque importante notare, al di
là dei dati numerici, la logica profonda di questo ribaltamento
del sociale nel penale: lungi dal contraddire il progetto neoliberale
di deregulation e di spoliazione del settore pubblico, l'ascesa
dello stato penale americano costituisce qualcosa come il suo negativo,
nel senso dell'altra faccia della medaglia, ma anche di elemento rivelatore.
Questo fenomeno riflette infatti l'attuazione di una politica di criminalizzazione
della miseria, complemento indispensabile dell'imposizione del lavoro
dipendente precario e sottopagato, nonché della revisione dei
programmi sociali in senso restrittivo e punitivo. Al momento della
sua istituzionalizzazione nell'America della metà del XIX secolo,
"la pena carceraria era innanzitutto un metodo
volto al controllo delle popolazioni devianti e dipendenti", e
i detenuti erano per lo più poveri e immigrati europei arrivati
da poco nel Nuovo mondo (11).
Ai giorni nostri, l'apparato carcerario americano
svolge un ruolo analogo nei riguardi delle fasce di popolazione rese
superflue dalla duplice ristrutturazione del rapporto salariale e dell'assistenza
da parte dello stato: i settori della classe operaia in declino e i
neri. Questo sistema assume così un posto centrale tra gli strumenti
di governo della miseria, al crocevia tra il mercato del lavoro dequalificato,
i ghetti urbani e i servizi sociali "riformati" e a sostegno
della disciplina del cosiddetto rapporto di lavoro flessibile. In primo
luogo, il sistema penale contribuisce direttamente a regolare i segmenti
inferiori del mercato occupazionale, e lo fa in maniera infinitamente
più coercitiva di qualsiasi prelievo sociale o regolamento amministrativo.
Il suo effetto in questo senso consiste nel comprimere artificialmente
il livello della disoccupazione, sottraendo a forza milioni di uomini
alla popolazione in cerca di un lavoro; inoltre, esso incrementa fortemente
l'occupazione nel settore del beni e dei servizi carcerari. Si valuta
ad esempio che durante il decennio 90, le carceri americane hanno abbassato
di due punti l'indice della disoccupazione negli Stati uniti. Di fatto,
secondo i ricercatori Bruce Western e Katherine Beckett, se si tiene
conto dei differenziali tra i tassi di popolazione detenuta dei due
continenti, si può constatare, in contrasto con le tesi attivamente
diffuse e comunemente prese per buone, che il tasso di disoccupazione
dichiarato dagli Stati uniti nell'ultimo ventennio
ha superato quasi sempre (in 18 anni su 20) quello dell'Unione europea
(12).
D'altra parte, questi due autori hanno dimostrato che l'ipertrofia carceraria
è un meccanismo a due facce: se da un lato, a breve termine,
migliora apparentemente la situazione occupazionale comprimendo l'offerta
di manodopera, a lungo termine non può che aggravarla in quanto
pone milioni di persone in condizioni di non poter praticamente più
trovare un posto di lavoro: "L'alta proporzione della popolazione
incarcerata riduce il dato percentuale della disoccupazione negli Stati
uniti, ma il mantenimento di questo basso livello sarà tributario
di un'espansione ininterrotta del sistema penale".
La massiccia e crescente preponderanza dei
neri, a tutti i livelli dell'apparato penale, getta una cruda luce sulla
seconda funzione assunta dal sistema carcerario nel nuovo sistema di
governo della miseria: quella di sovrapporsi al ghetto per relegare
una popolazione considerata deviante e pericolosa, oltre che superflua,
sia sul piano economico dato che gli immigrati messicani o asiatici
sono assai più docili sia su quello politico poiché i
neri poveri non votano, e il centro di gravità elettorale del
paese si è comunque spostato verso i quartieri periferici bianchi.
La carcerazione è in questo senso soltanto la manifestazione
parossistica della logica dell'esclusione, della quale il ghetto è
al tempo stesso strumento e prodotto, fin dalle sue origini storiche.
Infine, le istituzioni carcerarie sono in presa diretta con gli organismi
e i programmi incaricati di "assistere" le fasce di popolazione
emarginate. Da un lato, la logica punitiva propria al settore penale
tende a contaminare, e quindi a ridefinire gli obiettivi e i dispositivi
dell'assistenza sociale. Dall'altro, che lo vogliano o no, gli istituti
di pena devono far fronte, in emergenza e con i mezzi di cui dispongono,
a tutte le difficoltà sociali e sanitarie che la loro "clientela"
non ha potuto risolvere altrove. Infine, i vincoli di bilancio e la
moda politica del "meno stato" spingono alla mercantilizzazione,
sia nel campo dell'assistenza sociale che in quello della reclusione.
Numerosi stati, quali il Texas o il Tennessee,
hanno già trasferito buona parte dei loro detenuti in reclusori
privati, e subappaltato la gestione amministrativa dell'assistenza sociale
a ditte specializzate. Un modo per rendere redditizi i poveri e i criminali,
in senso ideologico oltre che economico. Quello che si sta costituendo
è un sistema commerciale in ambito carcerario e assistenziale,
destinato a sorvegliare e a punire la popolazione
restia a sottomettersi al nuovo ordine economico, in base a una divisione
del lavoro per generi (13);
la componente carceraria si occupa prevalentemente dei maschi, mentre
quella assistenziale esercita la propria tutela sulle donne e sui bambini.
Ed è la stessa popolazione a circolare da un polo all'altro di
questa rete, in un circuito pressoché chiuso.
L'esperienza americana dimostra che oggi, come
già alla fine del secolo scorso, non si può isolare la
politica sociale da quella penale, o in altri termini, il mercato del
lavoro dall'assistenza sociale (se ancora possiamo
definirla tale) e dal carcere, se non ci si vuole precludere la comprensione
di questi diversi ambiti (14).
Dovunque l'utopia neoliberale è riuscita a tradursi in realtà,
le fasce più deboli e tutti coloro che sono stati estromessi
dall'ambito del lavoro ancora tutelato non ne hanno tratto, come proclamano
i suoi paladini, una maggiore libertà, ma al contrario la sua
limitazione o soppressione. È il risultato della regressione
verso un paternalismo repressivo d'altri tempi, quello del capitalismo
selvaggio, oggi ancor più inasprito da uno stato punitivo onnisciente
e onnipotente.
(1) Leggere "L'eterno
ritorno del miracolo americano" di Loïc Wacquant, "La
généralisation de l'insécurité salariale en
Amerique", Actes de la recerche en sciences sociales, dicembre
1996.
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