"Tolleranza zero", il credo si diffonde
Dagli Stati Uniti all'Europa
di Loïc Wacquant (1999)
Da alcuni anni, l'Europa intera è investita da un'ondata
di panico morale di tale ampiezza e virulenza da influire sulla politica degli
stati e ridisegnare la fisionomia delle società che investe. Il suo
oggetto apparente tanto apparente da pervadere il dibattito pubblico è
la delinquenza "giovanile", la "violenza urbana", i disordini
il cui crogiolo sarebbero i "quartieri a rischio" con i loro abitanti,
primi colpevoli delle "inciviltà". Tutti termini da mettere
tra virgolette, poiché il loro significato non è meno vago dei
fenomeni che vorrebbero designare: nulla dimostra infatti una loro specificità
"giovanile" e men che meno "urbana" o legata a determinati
"quartieri".
Queste nozioni rientrano in una costellazione di
termini e di tesi sulla criminalità, la violenza, la giustizia, la
disuguaglianza e la responsabilità di provenienza americana: concetti
che si sono insinuati nel dibattito europeo fino ad inquadrarlo. Il
loro potere di persuasione è dovuto in parte al ritrovato prestigio
di chi li ha lanciati (1),
e soprattutto alla loro onnipresenza. La banalizzazione di queste analisi
serve a dissimulare un obiettivo in larga misura estraneo ai problemi su cui
vertono: quello di ridefinire la missione dello stato, che ovunque tende a
ritirarsi dall'arena economica e a ridurre il proprio ruolo sociale, mentre
estende e inasprisce i propri interventi penali.
Lo stato sociale europeo avrebbe dunque innanzitutto
l'obbligo di ridimensionarsi, e quindi quello di elevare al rango di priorità
la "sicurezza", strettamente definita in termini fisici, ignorando
ogni altro rischio (salariale, sociale, sanitario, educativo ecc.) per infierire
contro le proprie pecorelle disperse. Il "coraggio civile", la "modernità
politica", la stessa audacia progressista imporrebbero
oggi di adottare i luoghi comuni e i dispositivi di sicurezza più sfruttati
(2).
Sarebbe il caso di ripercorrere in ogni suo anello
la lunga catena delle istituzioni, degli agenti e i supporti discorsivi (note
di consulenti, relazioni di commissioni, scambi parlamentari, missioni di
funzionari, colloqui di esperti, libri destinati agli studiosi o al grosso
pubblico, conferenze stampa, articoli di giornali e servizi televisivi ecc.)
che hanno veicolato una nuova concezione penale divenuta ormai moneta corrente,
tendente a criminalizzare la miseria, e di conseguenza a normalizzare il lavoro
dipendente precario. Dopo la sua incubazione in America, questa concezione
si è internazionalizzata in forme talora modificate e non immediatamente
riconoscibili (a volte proprio da chi le diffonde) ma sempre nel segno di
un'ideologia economica e sociale fondata sull'individualismo e sulla mercificazione,
di cui è traduzione e complemento in materia di "giustizia".
Questa vasta rete di diffusione, partita da Washington
e da New York, che ha attraversato l'Atlantico per insediarsi a Londra e irradiare
da qui i propri canali sull'intero continente europeo, ha avuto origine nel
complesso degli organi dello stato americano che hanno l'incarico ufficiale
di attuare e quindi mettere in vetrina il "rigore penale": in particolare,
il ministro federale della giustizia e il Dipartimento di stato (che tramite
le sue ambasciate milita attivamente in tutti i paesi ospiti in favore di
politiche penali ultrarepressive, soprattutto in materia di stupefacenti),
e inoltre gli organismi parapubblici e professionali legati all'amministrazione
della polizia e dei penitenziari, i media e le imprese private che partecipano
all'economia carceraria (aziende appaltatrici nel campo
dell'edilizia, della gestione carceraria, dell'assistenza sanitaria ai detenuti,
delle tecnologie per l'identificazione e la sorveglianza ecc.) (3).
Peraltro in questo campo, come in molti altri, il
settore privato fornisce un contributo decisivo alla concezione e alla realizzazione
della "politica pubblica". Di fatto, il ruolo eminente dei think
tanks neoconservatori nella definizione e nella successiva internazionalizzazione
della nuova doxa punitiva pone in evidenza i legami organici, ideologici
e pratici tra il deperimento del settore sociale dello stato e il dispiegamento
del suo braccio penale.
Londra, terra di ricezione europea
In effetti, i "pensatoi" e istituti di consulenza che sulle due
rive dell'Atlantico hanno preparato, con un paziente lavoro di erosione intellettuale,
l'avvento del "liberalismo reale" di Ronald Reagan e Margaret Thatcher,
hanno svolto a un decennio di distanza una seconda funzione: quella di veicolare
alle élites politiche e mediatiche i concetti, i principi e le misure
in grado di giustificare e accelerare l'instaurazione di un apparato penale
tanto multiforme quanto iperbolico. Quegli stessi che ieri militavano con
il ben noto successo in favore del "meno stato", per tutto ciò
che attiene alle prerogative del capitale e all'utilizzo della manodopera,
esigono oggi con pari ardore "più stato", per dissimulare
o contenere le conseguenze deleterie della deregulation nel campo del
lavoro dipendente e dei tagli alla protezione sociale.
Sul versante americano, più
ancora dell'American Enterprise Institute, del Cato Institute
o della Fondazione Heritage (4),
è stato il Manhattan Institute a farsi carico di diffondere
le tesi e i dispositivi di repressione dei "disordini" suscitati
da quella che già Alexis de Tocqueville definiva "l'ultima plebaglia
delle nostre grandi città". Nel 1984, l'istituto fondato da Anthony
Fischer (il mentore di Margaret Thatcher) e da William Casey (che sarà
direttore della Cia durante la presidenza di Reagan) per applicare ai problemi
sociali i principi dell'economia di mercato ha messo in orbita il libro di
Charles Murray dal titolo Losing Ground, che servirà da "bibbia"
dalla crociata di Reagan contro lo stato sociale. L'autore imputa l'aumento
della povertà in America all'eccessiva generosità della politica
di aiuti agli indigenti, la quale a suo parere avrebbe premiato l'inattività
e indotto il degrado morale tra i ceti popolari, favorendo in particolare
quelle unioni "illegittime" che considera come la causa ultima di
tutti i mali delle società moderne, compresa la "violenza urbana".
Nei primi anni 90, il Manhattan Institute
organizza una conferenza sulla "qualità della vita", seguita
dalla pubblicazione di un numero speciale della sua rivista, City,
sullo stesso tema. L'idea al centro di quest'iniziativa è la "inviolabilità
degli spazi pubblici", considerata indispensabile alla vita urbana mentre,
per converso, il "disordine" nel quale si compiacciono i ceti indigenti
sarebbe il terreno naturale del crimine. Tra i partecipanti a questo "dibattito"
non manca il procuratore di New York, Rudolph Giuliani (poco prima battuto
alle elezioni municipali dal democratico di colore David Dinkins) che da quell'incontro
trae i temi per la sua campagna vittoriosa del 1993. Gli stessi principi hanno
orientato la politica giudiziaria e di ordine pubblico che ha fatto di New
York la vetrina mondiale della "tolleranza zero", dando carta bianca
alle forze dell'ordine per la repressione della microcriminalità e
dei senzatetto nei quartieri del degrado.
È sempre il Manhattan Institute che
in questa scia divulga la cosiddetta teoria della "mattonella rotta",
formulata nel 1982 da James Q. Wilson e George Kelling in un articolo pubblicato
dalla rivista Atlantic Monthly, secondo la quale le grandi patologie
criminali vanno affrontate lottando palmo a palmo contro i piccoli disordini
quotidiani. Questo postulato, mai convalidato sul piano empirico, è
servito da alibi alla riorganizzazione del lavoro della polizia, sotto l'impulso
di William Bratton, già responsabile della sicurezza della metropolitana
di New York, promosso alla carica di capo della polizia municipale.
Obiettivo di questa riorganizzazione: placare la
paura dei ceti medio-alti quelli che votano con un'azione vessatoria permanente
contro i poveri negli spazi pubblici (strade, parchi, stazioni, bus, metropolitana
ecc.). A questo scopo vengono decuplicati gli effettivi e i mezzi a disposizione
delle pattuglie, mentre le responsabilità operative sono deferite ai
commissari dei quartieri, con l'obbligo di risultati quantificati, sulla base
di una copertura a tappeto informatizzata (con schedario segnaletico e cartografico
centrale, consultabile su microcomputer a bordo delle vetture in servizio
di pattugliamento) per consentire il dispiegamento continuo e l'intervento
quasi istantaneo delle forze dell'ordine. Tutto questo ai fini di un'applicazione
inflessibile della legge, in particolare contro reati minimi quali l'ubriachezza,
i rumori molesti, la mendicità, l'offesa al pudore e "altri comportamenti
antisociali associati ai senzatetto", secondo la terminologia di George
Kelling.
È a questa nuova politica che le autorità
cittadine, e con esse i media nazionali e internazionali, attribuiscono la
riduzione della criminalità a New York in questi ultimi anni, sebbene
il calo abbia preceduto di tre anni la messa in atto di questa tattica poliziesca,
e si sia verificato anche in città che non l'hanno applicata.
Nel 1998, tra i "conferenzieri" invitati
dal Manhattan Institute al suo prestigioso luncheon forum, riservato
ai più noti esponenti della politica, del giornalismo, delle fondazioni
filantropiche e degli istituti di ricerca della Costa, figurava anche William
Bratton: promosso "consulente internazionale" in materia di polizia
urbana, ha tradotto in moneta sonante la gloria di aver "bloccato l'epidemia
del crimine" a New York attraverso la pubblicazione
di un libro più o meno autobiografico, nel quale predica ai quattro
venti il nuovo credo della "tolleranza zero" (5).
A cominciare dalla Gran Bretagna, paese d'accoglienza e di acclimatazione
di queste politiche, in attesa di conquistare l'Europa.
Sul versante britannico, l'Adam Smith Institute,
il Centre for Policy Studies e l'Institute of
Economic Affairs (Iea) hanno operato di concerto per la diffusione
delle concezioni neoliberali in materia economica e sociale (6),
oltre che delle tesi punitive elaborate in America e introdotte ai tempi di
John Major, prima di essere riprese e amplificate da Anthony Blair. Ad esempio,
alla fine del 1989, l'Iea (fondata, come il Manhattan Institute,
da Anthony Fischer, sotto l'alto patronato intellettuale di Friedrich von
Hayek) orchestrava, su iniziativa di Rupert Murdoch, una serie di pubblicazioni
e incontri dedicati al "pensiero" di Charles Murray. Quest'ultimo
scongiurava allora i britannici di procedere a una drastica stretta nel campo
delle prestazioni sociali, allo scopo di contenere nel Regno unito l'emergere
di una cosiddetta "underclass" di poveri alienati, dissoluti
e pericolosi, parente stretta di quella che stava "devastando"
le città americane, in conseguenza delle misure sociali introdotte
negli anni 60, ai tempi della "guerra alla povertà" (7).
Questo intervento, che ha avuto una vasta risonanza
sui media, ha dato luogo alla pubblicazione di un libro a più mani
nel quale si possono leggere le elucubrazioni di Charles Murray sulla necessità
di far pesare sui "giovani maschi neri, che sono essenzialmente dei barbari"
la "forza civilizzante del matrimonio". In un altro capitolo Frank
Field, responsabile del welfare in seno al partito laburista e futuro
ministro degli affari sociali di Blair, raccomanda misure contro la maternità
fuori dal matrimonio e i "padri assenti", per costringerli ad assumersi
l'onere finanziario della loro progenitura illegittima. Si vede così
delinearsi un netto consenso tra la destra americana più reazionaria
e l'autoproclamata avanguardia della "nuova sinistra" europea, intorno
al concetto dei "poveri cattivi" che devono essere ripresi in mano
(di ferro) dallo stato.
Nel 1994 Charles Murray torna alla carica in occasione
di un suo nuovo soggiorno a Londra; nel frattempo, la nozione di underclass
è entrata a far parte del linguaggio politico, e Murray non trova difficoltà
a convincere il suo pubblico che le fosche previsioni da lui formulate nel
1989 si sono avverate: l'«illegittimità», la «dipendenza»
e la criminalità sono aumentate di concerto tra i nuovi poveri di
Albione, e i loro effetti congiunti minacciano di morte repentina la civiltà
occidentale (8).
Nel 1995 il suo compagno di lotta ideologica Lawrence Mead, politologo neoconservatore
della New York University, viene a spiegare ai britannici che se lo
stato deve astenersi dall'aiutare materialmente i poveri, ha però il
dovere di sostenerli moralmente imponendo loro di lavorare. Si tratta della
tematica, da allora canonizzata da Anthony Blair, degli
"obblighi di cittadinanza", con i quali si giustifica l'istituzione,
nel 1996 negli Stati uniti e tre anni dopo nel Regno unito (9),
dell'obbligo al lavoro salariato, in deroga al diritto sociale e del lavoro,
per le persone "dipendenti" dagli aiuti dello stato.
Lo stato paternalista è tenuto anche ad essere
uno stato punitivo. Nel 1997 l'Iea invita nuovamente Charles Murray,
che stavolta promuove l'idea di un "carcere funzionante": in altri
termini, la spesa penitenziaria è vista come un investimento razionale
e redditizio per la società. Murray si fonda su uno "studio"
del ministero federale della giustizia, e conclude che l'effetto "neutralizzante"
del triplicarsi della popolazione carceraria degli Stati uniti tra il 1975
e il 1989 sarebbe stato di per sé sufficiente a prevenire in un
solo anno, il 1990, 390.000 tra omicidi, stupri e rapine (10).
«Tolleranza Zero!»
Alcuni mesi dopo la visita di Murray, l'Iea invita l'ex capo della
polizia di New York, William Bratton, a divulgare il concetto di "tolleranza
zero" nel corso di una conferenza stampa truccata da colloquio, alla
quale prendono parte vari responsabili della polizia britannica. La "tolleranza
zero" è in effetti il complemento poliziesco all'incarcerazione
di massa conseguente alla penalizzazione della miseria, in Gran Bretagna come
negli Stati uniti. In occasione di quest'incontro, al quale i media hanno
conferito grande risalto, si è appreso che "le forze dell'ordine,
sia in Gran Bretagna che negli Usa, sono sempre più concordi nel ritenere
che i comportamenti criminali e protocriminali come il lancio di rifiuti,
le ingiurie, le scritte sui muri e il vandalismo vanno repressi con fermezza,
onde impedire lo sviluppo di comportamenti criminosi più gravi".
Com'è ormai consuetudine, all'incontro è
seguita la pubblicazione di un'opera collettiva dal titolo: Zero Tolerance:
Policing A Free Society (Tolleranza zero: l'ordine pubblico in una società
libera). Il titolo riassume tutta una filosofia politica: una società
"libera" nel senso di liberale e non interventista "in alto",
soprattutto in materia di fisco e di tutela dell'occupazione; ma intrusiva
e intollerante "in basso", per tutto ciò che attiene ai comportamenti
pubblici da parte dei ceti popolari, stretti in una morsa tra la generalizzazione
della sottoccupazione e del lavoro precario da un lato e la riduzione della
tutela sociale e dei servizi pubblici dall'altro. Queste nozioni sono servite
da quadro alla legge sul crimine e sui disordini votata dal parlamento neolaburista
nel 1998, la più repressiva del dopoguerra. Il primo ministro britannico
ha così motivato il suo sostegno alla "tolleranza zero":
"È importante affermare che non tolleriamo più le infrazioni
minori. Il principio di base sta qui nel dire: sì,
è giusto essere intolleranti verso i senzatetto nelle strade (11)."
Prendendo le mosse dal Regno unito, le nozioni e
i dispositivi promossi dai think tanks neoconservatori degli Stati
uniti si sono diffusi in tutta Europa. Ormai, per un funzionario europeo è
difficile esprimersi sul tema della "sicurezza" senza lasciarsi
sfuggire qualche slogan "made in Usa", magari corredato,
in omaggio all'onore nazionale, dell'aggettivo "repubblicano": "tolleranza
zero", coprifuoco, "violenza giovanile" (ove si intende quella
dei giovani cosiddetti immigrati, in quartieri economicamente allo stato brado),
focalizzazione sui piccoli trafficanti di droga, confine giuridico sempre
più indistinto tra minori e adulti, carcere per i giovani multirecidivi,
privatizzazione dei servizi giudiziari ecc.
Il consenso dei governanti dei diversi paesi su questi
temi e su queste politiche assume forme diverse: si va dalla posizione esplicita
ed entusiastica di Blair a quella di Jospin, che tradisce la sua vergogna
con qualche maldestro tentativo di diniego, attraverso tutta una gamma di
posizioni intermedie. Nessuno sembra poter sfuggire all'obbligo di schierarsi
con gli agenti dell'impresa transnazionale impegnata a far accettare il nuovo
ethos punitivo ai dirigenti e funzionari degli stati europei, che dopo
essersi convertiti alle virtù del mercato (cosiddetto libero) e alla
necessità del meno stato (sociale, beninteso) si allineano anche all'imperativo
del "ristabilimento" dell'ordine (repubblicano) universalizzandolo
in seno alla ristretta cerchia dei paesi capitalisti che si pensano come l'universo.
Là dove si rinuncia a creare posti di lavoro si istituiranno commissariati,
ovviamente nell'attesa di costruire nuovi penitenziari. L'espansione dell'apparato
poliziesco e penale può peraltro contribuire alla creazione di posti
di lavoro nell'ambito della sorveglianza degli esclusi dal mondo del lavoro:
i 20.000 addetti alla sicurezza e i 15.000 agenti locali che si prevede di
ammassare entro il 1999 nei "quartieri a rischio" rappresentano
un buon decimo dei posti di lavoro per i giovani promessi dal governo francese.
In nome di una pseudo-scienza
I paesi importatori dei sistemi penali americani non si accontentano di recepire
l'esempio; spesso prendono l'iniziativa prendendo a prestito gli strumenti
repressivi Usa per adattarli alle rispettive necessità e alle tradizioni
nazionali in campo politico e intellettuale, in particolare grazie alle varie
"missioni di studio" che si moltiplicano attraverso l'Atlantico.
Sull'esempio di Gustave de Beaumont e di Alexis de
Tocqueville, partiti nella primavera del 1831 per un'esplorazione sul "terreno
classico del sistema penitenziario", numerosi parlamentari, esperti in
materia penale e alti funzionari dell'Unione europea si recano regolarmente
in pellegrinaggio a New York, a Los Angeles e a Houston, nell'intento
di "penetrare i misteri della disciplina americana", oltre che nella
speranza di attivare "qualche risorsa segreta" in patria (12).
Ad esempio, è stato in seguito a una missione finanziata dalla Corrections
Corporation of America, prima società di incarcerazione privata
degli Stati uniti, che Sir Edward Gardiner, presidente della Commissione interni
della Camera dei Lord, ha avuto modo di scoprire le virtù della privatizzazione
penitenziaria. Così, dopo aver indirizzato il Regno unito verso un
sistema carcerario a scopo di lucro, è divenuto egli stesso membro
del Consiglio d'amministrazione di una delle principali imprese che si spartiscono
il succulento mercato penale (dal 1993 al 1998 il numero dei clienti delle
carceri private britanniche è passato da 200 a 3800).
L'altro veicolo di diffusione della nuova concezione
penale in voga in Europa è costituito dai rapporti ufficiali: testi
"pre-pensati", grazie ai quali i governi rivestono le loro proposte
normative degli orpelli di quella pseudo-scienza che i pensatori meglio sintonizzati
con la problematica mediatico-politica del momento sanno così bene
produrre a comando. Questi rapporti sono fondati sul seguente contratto: come
contropartita a una fugace notorietà mediatica, il ricercatore accetta
di abiurare la sua autonomia intellettuale, che chiede di rompere con la definizione
ufficiale del "problema sociale" assegnato e di analizzare la costruzione
politica, amministrativa e giornalistica precostruita.
Questi lavori si fondano sulle relazioni prodotte,
in circostanze e secondo canoni analoghi, nelle società assunte a "modello",
in maniera tale che la concezione comunemente accettata negli ambienti governativi
di un paese trovi il proprio avallo da parte dei dirigenti degli stati vicini,
secondo un processo di rafforzamento circolare. Un esempio tra tanti: l'allegato
al rapporto della missione affidata da Lionel Jospin a due deputati socialisti,
dal titolo "Risposte alla delinquenza minorile", che lascia sbalorditi:
l'autore, Hubert Martin, consulente per gli affari sociali presso l'ambasciata
di Francia negli Stati uniti, intona un panegirico al coprifuoco
imposto agli adolescenti nelle metropoli americane. (13)
La sua nota si fonda sui risultati di una pseudo-inchiesta condotta e pubblicata
dall'Associazione nazionale dei sindaci delle grandi città statunitensi
allo scopo di difendere questo espediente poliziesco cui la "vetrina"
dei media riserva un posto d'elezione.
In verità, si tratta di programmi che non
hanno un'incidenza misurabile sulla delinquenza, ma si limitano in realtà
a spostarla nel tempo e nello spazio. Sono costosissimi in termini di uomini
e di mezzi, dato che comportano ogni anno decine di migliaia di arresti, registrazioni,
trasferimenti e l'eventuale incarcerazione di giovani che non hanno violato
nessuna legge. Peraltro queste misure, lungi dal raccogliere un "consenso
locale", sono vigorosamente contestate davanti ai tribunali
per la loro vocazione repressiva e per l'applicazione discriminatoria,
che contribuisce a criminalizzare i giovani di colore dei quartieri segregati
(14).
Così una misura di polizia che non ha altri effetti al di fuori di
quelli criminogeni e liberticidi, e si giustifica solo in base a considerazioni
di tipo mediatico, finisce per generalizzarsi, poiché ciascun paese
la applica col pretesto dei "successi" riportati altrove.
I think tank americani e i loro alleati in
campo burocratico e mediatico provvedono alla gestazione e alla diffusione,
prima nazionale e poi internazionale, di termini, teorie e misure che si intrecciano
per penalizzare l'insicurezza sociale e le sue conseguenze. La trasposizione
è parziale o integrale, consapevole o meno, e i funzionari preposti
a metterla in pratica devono assicurarne l'adattamento all'idioma culturale
e alle tradizioni degli stati riceventi. Una terza operazione, di presentazione
in veste scientifica, viene poi a raddoppiare il lavoro, accelerando il traffico
delle categorie interpretative neoliberali, sempre più intenso tra
New York e Londra, e da qui con Parigi, Bruxelles, Monaco, Milano e Madrid.
Attraverso scambi, interventi e pubblicazioni di
carattere universitario, reale o simulato, i "traghettatori" intellettuali
riformulano le varie categorie in una sorta di pidgin politologico,
abbastanza concreto per agganciare i responsabili politici e i giornalisti,
preoccupati di restare "aderenti alla realtà" (quella proiettata
dalla visione autorizzata del sociale) ma anche abbastanza astratto per non
rivelare troppo smaccatamente il contesto nazionale d'origine. Così,
queste nozioni divengono luoghi comuni semantici, in cui si riconoscono tutti
coloro che, al di là delle diversità di professione, nazionalità
e persino di affiliazione politica, sono portati a vedere la società
neoliberale avanzata quale vorrebbe essere.
Lo dimostra in maniera eclatante il libro di Sophie
Body-Gendrot, Les Villes face à l'insécurité:
des ghettos américains aux banlieues françaises (15):
una finta ricerca, su un finto oggetto interamente precostituito in base alle
tesi politiche e mediatiche comunemente accettate, con il successivo avallo
di dati spigolati da servizi di settimanali, sondaggi d'opinione e pubblicazioni
ufficiali; il tutto è poi debitamente "autenticato" (agli
occhi del lettore alle prime armi) da alcuni rapidi sopralluoghi nei quartieri
incriminati (nel senso letterale del termine). Già il titolo una sorta
di condensato prescrittivo della nuova doxa di stato suggerisce quel
che è bene pensare del nuovo rigore poliziesco e penale, proclamato
come ineluttabile, urgente e benefico. Ed ecco una breve citazione, tratta
dall'inizio del libro: "La crescita inesorabile dei fenomeni di violenza
urbana lascia perplessi tutti gli specialisti. Si dovrà optare per
la repressione a tutto campo, concentrare i mezzi sulla prevenzione, oppure
ricercare una via di mezzo? Combattere i sintomi, o affrontare le cause profonde
della violenza e della delinquenza? Secondo un sondaggio ... ".
La gestione poliziesca della miseria
Fonte: Le monde diplomatique Aprile 1999
Note:
(1) Sulla diffusione di questa nuova vulgata planetaria, i cui termini-feticcio, si ritrovano ovunque: "globalizzazione" e "flessibilità", "multiculturalismo" e "comunitarismo", "ghetto" o "underclass", con i loro cugini "postmoderni": identità, minoranza, etnicità, frammentazione ecc., leggere Pierre Bourdieu e Loïc Wacquant, "Les ruses de la raison impérialiste", Actes de la recherche en sciences sociales, n&oord 121-122, Parigi, marzo 1998.
Torna al testo(2) Régis Debray e al., "Républicains, n'ayons pas peur!", Le Monde, 4 settembre 1998.
Torna al testo(3) Cfr. Steven Donziger, "Fear, Politics, and the Prison-Industrial Complex", in The Real War on Crime, New York, Basic Books, 1996, pp. 63-98.
Torna al testo(4) Leggere Serge Halimi, "Dove nascono le idee della destra americana", le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 1995.
Torna al testo(5) Peter Knobler e William W. Bratton. Turnaround: How America's Top Cop Reversed the Crime Epidemic, New York, Random House, 1998.
Torna al testo(6) Keith Dixon, Les évangélistes du marché, Parigi, Editions Liber- Raisons d'agir, 1998.
Torna al testo(7) Charles Murray, The Emerging British Underclass, Londra, Institute of Economic Affairs, 1990.
Torna al testo(8) Institute for Economic Affairs, Charles Murray and the Underclass: The Developing Debate, Londra, 1995.
Torna al testo(9) Alan Deacon (ed.), From Welfare to Work: Lessons from America, Londra, Iea, 1997. Leggere inoltre Loïc Wacquant, "Quando Clinton riforma la povertà", le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 1996.
Torna al testo(10) Charles Murray (dir.), Does Prison Work?, Iea, Londra, 1997, p. 26.
Torna al testo(11) Norman Dennis e al., Zero Tolerance: Policing A Free Society, Iea, Londra, 1997. La dichiarazione di Blair è riportata da The Guardian del 10 aprile 1997. Ringrazio Richard Sparks, docente di criminologia presso la Keele University, per le sue preziose indicazioni in merito.
Torna al testo(12) Le espressioni tra virgolette sono quelle di Beaumont e Tocqueville, "Système pénitentiaire aux Etats Unis et son application en France", in Alexis de Tocqueville, Oeuvres complètes, Gallimard, Parigi, 1984, vol. IV, p. 11.
Torna al testo(13) Christine Lazergues e Jean-Pierre Balduyck, Réponses à la délinquance des mineurs, La Documentation française, Parigi, 1998, pp. 433-436.
Torna al testo(14) Leggere in proposito William Ruefle e Kenneth Mike Reynolds, "Curfews and Delinquency in Major Americal Cities", Crime and Delinquency, 41-3, luglio 1995, pp. 347-363.
Torna al testo(15) Sophie Body-Gendrot, Les villes face à l'insécurité. Des ghettos américains aux banlieues françaises, Parigi, Bayard Editions, 1998.
Torna al testo(16) Jean-Pierre Chevènement le aveva commissionato in precedenza un "Rapporto sulla violenza urbana", e la Direction Interministérielle à la Ville ha finanziato una sua missione di alcune settimane, che le ha consentito di "vivere esperienze nei quartieri a rischio degli Stati uniti".
Torna al testo(17) Leggere l'incisivo studio di Katherine Beckett sul caso americano: Making Crime Pay: Law and Order in Contemporary American Politics, Oxford University Press, 1997.
Torna al testo(18) Sulla costruzione di questa nozione nell'area di intersezione tra l'ambito universitario e quello burocratico, leggere Yves Dezalay e Bryant Garth, "Le Washington consensus: contribution à une sociologie de l'hégémonie du néolibéralisme", Actes de la recherche en sciences sociales, n&oord 121- 122, Parigi, marzo 1998.
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