Nel Ragazzo dai capelli verdi di Joseph Losey, la maestra di fronte al "diverso" fa l'appello tranquilla e poi chiede, quanti hanno i capelli neri, quanti biondi, verdi, rossi, castani? E registra meticolosamente i risultati. Burocratico monitoraggio, splendido. Nessuno in classe trova più da commentare.
In seconda quest'anno ho una ragazza marocchina e due cinesi, dieci pratesi, sei che vengono da Tobbiano, una siciliana, cinque calabresi, due di Vergaio e due di Montemurlo.
È venuta in classe una collega che mi ha chiesto chi erano gli extra comunitari perché c'è un progetto per loro. Si chiama crocus (forse sono finiti i nomi, tipo socrates, erasmus, comenius eccetera). Il progetto in questione (di cui pochi sanno poco, ma si accontentano e i più se ne disinteressano serenamente) si occupa del recupero delle abilità linguistiche di base per iniziativa dell'Ente Spaziale Europeo. Si interviene sulla lingua madre (e va bene) ma anche sul recupero dell'italiano. Ho l'impressione che la scuola sia vista dall'alto proprio come terra di nessuno, deserto disponibile per gli esperimenti spaziali: perché mi domando come mai altri dovrebbero (tramite computer, test a distanza, domande risposte, esatto sbagliato eccetera) occuparsi del recupero dei miei studenti. Senza nemmeno interpellarmi: quali problemi hanno, perché, cosa fare, come, quando... La miseria simbolica della scuola si mostra nel fatto che a noi insegnanti appare tutto normale: c'è dietro una università, ci regalano dei computer, male non farà, perché non provare? Non vale la pena sollevare dubbi.
I tre extra studenti non hanno il minimo bisogno di recuperare l'italiano (casomai quegli altri, di "cultura superiore"). Sarà una grande delusione per lo spazio. Ma non sono riuscito a scherzare gran che con la mia collega del progetto. È che perdiamo troppo tempo a incasellare progetti in modelli di finanziamento, ad aprire sportelli, ad aderire a iniziative. E si perde di vista l'essenziale, le cose che davvero sono brucianti e lasciano segni nell'anima.
Aziza è araba. Come Merìta, bambina musulmana di quinta elementare. Aziza si dichiara tranquillamente atea, come mi dice di essere anche Yong; ho il sospetto che sia liberatoria per loro questa possibilità di non avere nessun dio un problema di meno quando tutti se li litigano. Merìta ogni tanto non può mangiare, mi raccontava mia figlia, un po' come fosse un tipo buffo, una cosa curiosa e degna di rispetto.
Non so come si vedono oggi in questo orrendo tempo di guerra, che sarebbe ovunque guerra civile, odio della porta accanto i miei studenti del progetto. Non è che chieda gran che in classe, perché tutto mi sembra così delicato che ho paura di fare danni. Non mi piace nemmeno fare propaganda di buoni sentimenti o immaginare che il rapporto con le altre etnie possa essere solo una festa dell'accoglienza.
Penso che fra i più piccoli, forse, esistono altri piani di esperienza e discorso: non so quanto l'odio delle parole adulte davvero invada lo scambio delle merendine durante l'intervallo (lei non può mangiare per la sua religione babbo, allora non gliel'ho potuto dare). Mi domando se quello che si deposita fra i più grandi dai telegiornali e dalle piantine militari, lasci intatte e salve le relazioni nell'intervallo, o se i fondamentalismi occidentali e islamici, il gusto delle graduatorie di civiltà, non avvelenino l'aria di tutti. Certo Lou Feng, Aziza e Yong hanno un nome ormai, per tutti. È una cosa grande: non sono più solo i cinesi e l'araba, sono compagni di classe in ordine alfabetico nell'appello. È la grande occasione della scuola. Ma questo ho l'impressione che non ripari dal giudizio sugli "altri", ragazzi e ragazze dai capelli verdi. Se uno dice che il sin-daco di N.Y. è un immigrato e che potrebbe capitare anche da noi, fra qualche generazione magari, tutti si ribellano: ci mancherebbe altro, già ora siamo invasi dice la calabrese i cui genitori, qualche anno fa, non sarebbero potuti entrare in un bar di Torino. Quando fai notare che gli invasori stanno nel banco accanto, ti dicono ma che c'entra lei, lei è Yong.
Io spero sempre che gli spazi ravvicinati un po' di anticorpi li abbiano depositati e li depositino. Ma non sono certo che basti a far passare la nottata.