LA COMUNITA’ DEL SOLE
Mercoledì 9 Febbraio nella sala-teatro dello Spazio Sociale Occupato e Autogestito Filo Rosso di Cosenza, si è tenuta la presentazione del libro : "Sull’identità meridionale. Forme di una cultura mediterranea" (Ed. Bollati Boringhieri) con la presenza dell’autore Mario Alcaro. La presentazione del libro è stata curata da Franco Piperno.
Quella che segue è l’introduzione all’iniziativa tenuta da una compagna del centro sociale attivo da quattro anni nell’Università della Calabria.
Non è la prima volta che lo Spazio Sociale Filo Rosso organizza la presentazione di un libro, e iniziative come queste sono sempre momenti vivaci e stimolanti.
Abbiamo sempre considerato questo Spazio un grande laboratorio polivalente dove sperimentare e soddisfare le nostre curiosità.
Oggi la presenza dell’autore è una nuova occasione di crescita e di entusiasmo.
In questi ultimi tempi i dibattiti su: lavoro, disoccupazione, federalismo, immigrazione, criminalità, sia a livello locale che nazionale hanno riacceso l’attenzione sulle condizioni del Sud e diventa di fondamentale importanza ridefinire i rapporti tra un paese come il nostro ed il resto del Mediterraneo.
Il mondo istituzionale spesso delude, per l’arretratezza delle analisi politiche, per il fatto di proporre ancora per il Sud soluzioni assistenzialistiche, pensando che in nome della flessibilità, delle agevolazioni al mercato del lavoro, con la scusa dell’emergenza, sia possibile infrangere le garanzie più elementari. Vengono riproposte le vecchie immagini di un Sud passivo, vittimista, stretto nelle mani della mafia, incapace di esprimere uno spirito pubblico.
Si alimentano così sempre gli stessi giudizi o pregiudizi nei quali anche i meridionali finiscono per rispecchiarsi.
Sarebbe ora di riconoscere l’esperienza diretta che esprime il territorio attraverso tutte le sue forme dalle istituzioni locali, all’associazionismo, ai gruppi informali, ai centri sociali, che da tempo sviscerano su questioni fondamentali come i mutamenti del mondo della produzione e del lavoro, la qualità della vita, le nuove frontiere raggiunte dalla tecnologia e si interrogano sullo sviluppo sostenibile che rispetti i nostri territori.
I processi economici introducono, secondo le più feroci leggi di mercato, modelli di esistenza che esaltano individualismo e sopraffazione, generano masse crescenti di esclusi, povertà e conformismo delle relazioni sociali. Questa modernità viene sbandierata come l’idea vincente, l’unica forma di progresso possibile che va bene per tutti.
In nome di questa grande certezza chiamata globalizzazione si sta operando la più grande mutazione in corso: l’uniformità dell’intero pianeta.
Questa trasformazione procede con costi evidenti.
Sul piano internazionale i conflitti e le vaste aree sfruttate sono il frutto del tentativo di conquista di nuovi mercati, dell’imposizione di modelli e tempi di vita che non appartengono alle tradizioni e alle culture dei popoli locali. Si assiste, a volte con un sentimento di impotenza, alle guerre, alla progressiva deturpazione dei territori, allo smantellamento della memoria, al fenomeno disumano dei clandestini.
Noi non siamo esenti da tutto questo. Ci rendiamo conto che notevoli cambiamenti ci coinvolgono e non crediamo che per molti ciò sia ancora sul piano della percezione. Se pensiamo ai racconti dei nostri genitori ci rendiamo conto di come sono cambiati i rapporti sociali, del mutamento dei ritmi di vita, dell’evoluzione dei saperi. Soprattutto se consideriamo il passaggio dalla realtà di tanti nostri paesi, alla città. Nel constatare tutto questo possiamo riscoprire e rispolverare vecchie formule per concepire una modernità diversa.
Si parla tanto di mondializzazione, di libero mercato, di flussi di denaro enormi e incontrollabili con cui le multinazionali avanzano inarrestabili ma qual è il prezzo di tutto questo? Non possiamo immaginare una neutralità culturale in cui il linguaggio stesso viene assorbito, sarebbe come vedere prospettive senza colori.
Il ritorno al Mediterraneo non è solo la ricerca a ritroso delle proprie origini, è anche il desiderio di guardare al futuro con consapevolezza e capacità di comprensione, forti che nel rispetto delle differenze culturali si possano trovare soluzioni adeguate per una convivenza pacifica. Si vuole così ampliare l’insieme e la varietà delle definizioni e non essere classificati solo come " moderni, europei, occidentali". Si tratterebbe di rendere giustizia alle varie identità che animano il mondo riconoscendole.
In un’epoca in cui allo stress collettivo si somma l’incertezza economica e la scomparsa dei legami solidali, il fatto che il meridione non collassi pone di fronte alcuni interrogativi.
Oltre al fatto di essere uomini e donne del Sud, per questi motivi il libro di Alcaro "Sull’identità meridionale" ha suscitato il nostro interesse.
Ci è piaciuto il taglio non economico del libro, siamo stufi di ascoltare solo analisi economiche, quando oltre ad essere più piacevole, il discorso, il ragionamento eredità di questa terra, punto di fusione della cultura araba, greca,…, ci chiarificano ed aprono ad altre idee.
Ci siamo trovati spesso al centro dell’attenzione, nel corso di iniziative a livello nazionale, per il fatto di essere un centro sociale che agisce nel meridione, ed in particolar modo in Calabria nel territorio universitario.
Se di fronte alle questioni poste sul piano internazionale, per il quale il livello di azione minimo è la contestazione e la solidarietà, si prova a volte un sentimento di impotenza, ciò non avviene se pensiamo all’agire comune sul proprio territorio.
Alcaro esordisce con una citazione di Aristotele sull’amicizia.
"senza amicizia non ci potrebbe essere comunità e senza comunità non c’è ordine politico possibile… "
La forza dei legami parentali e amicali diventano l’unica risorsa in un contesto che non ha molto da offrire. Il tessuto delle relazioni, la partecipazione della famiglia e del vicinato alla vita di una persona è stato un sostegno, ha permesso la costruzione di un’identità forte, la trasmissione dei saperi, della memoria. Ma a volte questo tessuto di relazioni è stato invasivo e coercitivo determinante di una certa dipendenza intesa come mancanza di autonomia nelle scelte che riguardano la propria persona. Se consideriamo il fenomeno dell’emigrazione, questo ha determinato l’emotività del meridione, sentimenti di dolore e sacrificio che accompagnano i racconti dei nostri parenti. Ma per molti ha coinciso con un percorso di emancipazione e liberazione da vincoli soffocanti, soprattutto per le donne. Se Alcaro pone l’attenzione sulla ricchezza dei legami familiari, però non mette o forse non può mettere in discussione la famiglia mononucleare, quando per noi la " famiglia allargata " diventa il bisogno di avere rapporti sociali basati sulla reciprocità, non impersonali, nella piena autonomia dei soggetti. Questo può essere una delle caratteristiche che animano uno spazio sociale in una cittadina del mezzogiorno. Non si può pensare al meridione come un grande piagnisteo. In questi ultimi anni, proprio partendo da sé, da un tessuto di relazioni solidali, hanno preso vita attività culturali, associazioni, forme di cooperazione che si occupano di ambiente, servizi, assistenza e non ultimo i centri sociali.
Il centro sociale rappresenta a nostro avviso una realtà vincente sul sentimento di sfiducia, di passività. La cooperazione non formale si sperimenta tra persone che spesso non hanno alle spalle alcun legame di sangue o amicale. Superando così i presupposti di cui Alcaro parla. Qualità della vita significa anche spazi in cui le relazioni non siano mercificate, credere nella possibilità di modificare la realtà, di esserne partecipe. Soprattutto nei contesti metropolitani per sfuggire al fenomeno della dispersione e dell’esclusione, lo spazio sociale diventa il centro o la piazza come punto di ritrovo, di condivisione. Diventa lo spazio agibile al di fuori degli schemi condominiali, cittadini o veteropaesani. Lo spazio sociale è terreno conquistato dal desiderio. Significa riappropriarsi del proprio tempo, altrimenti speso nell’attesa che qualcuno ci risolva i problemi tra sentimenti di passività e frustrazione.
La capacità di proporre soluzioni per una gestione diversa del territorio è una delle forme con cui si esprime lo spirito pubblico. Assecondando i propri interessi si sviluppano competenze diverse secondo percorsi autoformativi che partono dal semplice scambio di conoscenze. Vuol dire riconoscere la propria potenza, nel significato di aver la possibilità di.
Anche l’università potrebbe diventare un corpo organico che esprime i propri bisogni e propone progetti e soluzioni nel rispetto del territorio perché l’idea di comunità, di cui Alcaro tanto parla, ci piace.
Non si tratta di sentimentalismo ma del frutto dell’esperienza costruita quotidianamente con la gestione di uno spazio sociale.
Se consideriamo il locale nel locale, il referente più diretto è l’università. E visto che non ci consideriamo una comunità ripiegata su se stessa, continuamente ci siamo protesi sul territorio lanciando proposte per autogoverno dell’università, che ribalti l’idea corrente di autonomia universitaria, o la creazione di una consulta, tra gruppi informali e associazioni presenti sul territorio che discuta di progettualità e gestione degli spazi. La comunità può essere il luogo di una democrazia partecipativa, e significa assumersi il carico di tutte le responsabilità, contrariamente a quanto pensano i detrattori di quest’idea, proprio perché non si riconoscono né padri, né madri.
Non è più concepibile l’esistenza di strutture astratte sia esse nazionali o sovranazionali, ma comunità che interagiscono sperimentando, a nostro avviso, la forma migliore di resistenza e protagonismo: una rete di cooperazione diretta che si propaga riproducendo nello spazio, e nel tempo il tessuto di relazioni su cui Alcaro pone l’attenzione.
Non pensarci come utenti del mondo ma abitanti del mondo, significa rivitalizzare la sensualità della politica, ricongiungersi con la natura, superare le definizioni di maschile e femminile per realizzare la città del desiderio:
la Città del Sole.
Alcaro ricorda il pensiero del filosofo calabrese Campanella come uno degli ispiratori di un possibile ordine politico e ci piace riportare quelle stesse parole di A. Camus citate nel libro:
Al centro della mia opera c’è un sole invincibile…, c’è un atteggiamento orgoglioso e invincibile per il quale l’eclisse di Dio non segna l’inizio di una festa nichilistica, ma quello di una responsabilità più vasta proprio perché senza tutori e senza padroni. La luce che rischiara il campo(…)è la luce antica e naturale del sole, una luce che non ha debiti con il progresso(…).
Il sole non lascia soli e la terra non è un ripiego rispetto al cielo, ma l’autentico teatro dell’uomo.