Dall’ Università alla Multiversità.

Diciotto tesi, tre proposte ed una parola d'ordine sulla riforma dell'Università; ovvero come apprendere a dimorare tra le rovine.

1) La questione degli studi universitari è ritornata di grande attualità non solo in Italia ma anche in Europa, Stati Uniti e Giappone.

Val la pena, in premessa, notare che, a differenza di quanto era avvenuto negli anni sessanta, questa volta non sono né gli intrighi delle "lobbies" accademiche né i movimenti sovversivi degli studenti a porre l'Università come problema. Si tratta piuttosto di una iniziativa amministrativa dei governi volta ad aumentare l'efficienza della educazione superiore, pesantemente sollecitata dal complesso militare-industriale e dalle grandi burocrazie sindacali; condotta quasi in sordina, gradino dopo gradino, attraverso leggi ordinarie quando non addirittura tramite veri e propri trucchi parlamentari -- si veda il caso italiano dove la riforma viene realizzata, da quasi un decennio, inserendone i diversi capitoli, anno dopo anno, nella legge finanziaria.

2) Tutto questo non accade a caso. Il ritmo con il quale le invenzioni vengono introdotte nel processo produttivo e nei servizi è divenuto così serrato da rendere obsolete, nel volgere di pochi anni, le conoscenze, le competenze e le tecniche lavorative acquisite durante il lungo periodo di educazione e formazione professionale.

Come recita un motto coniato nei Laboratori della "Bell" a Seattle, non bisogna più apprendere nozioni e discipline determinate ma piuttosto " imparare ad imparare" in generale.

Riguardando lo stato delle cose dal punto di vista del pensiero critico, possiamo dire che delle due grandi vie adoperate dal capitale per innovare il processo lavorativo i.e. la via empirica basata sul furto dell'informazione operaia e quella tecnologica fondata sull'applicazione della scienza alla produzione, la prima si è ormai ridotta ad un tratturo e solo la seconda sopravvive e si slarga, almeno in prima approssimazione.

3) La provenienza extra-empirica dell'innovazione, il suo prendere origine non già dall'esperienza lavorativa bensì dall'esperimento scientifico, produce nel senso comune quello stupore che s'accompagna al trovarsi in presenza di qualcosa d'imprevedibile e d'immenso.

Nell'esperimento scientifico, infatti, la natura viene costretta ad un comportamento iterativo che non assumerebbe spontaneamente. La ricerca inventa nuove modalità per mettere al lavoro la natura; e queste modalità vengono poi trasferite ed adattate al processo produttivo -- e tutto ciò, a ben vedere, senza sorpresa dal momento che, nell'epoca moderna, il laboratorio è sempre stato il prototipo della fabbrica.

L'altra faccia del comune stupore verso le nuove tecnologie è la crisi verticale non solo dei protocolli di ragionamento e manipolazione degli oggetti tecnici ma anche, e forse ancor più, degli stessi oggetti e dei saperi specializzati ad essi inerenti.

4) Gli studi e le discipline universitarie risultano fortemente investiti dai sommovimenti provocati dalla applicazione della ricerca alla produzione. E questo con ragione, giacché sono appunto le attività che si svolgono dentro l'università a cadenzare, in larga misura, il ritmo e l'ampiezza dell'innovazione. Qui non si tratta tanto delle invenzioni e delle scoperte che risultano dalla ricerca universitaria quanto della circostanza che l'università sia il luogo sociale dove i saperi vengono elaborati e criticati in forme pubblicamente accessibili. In altri termini, la "Universitas", fin dalle origini medievali, fonda la sua autorità istituzionale sulla capacità di ricondurre ad unità la molteplicità dei saperi; e questa forma unitaria è di qualità tale da risultare adeguata al senso comune, vale a dire in grado d'essere assimilata tramite la lingua naturale e la comune facoltà di ragionamento.

5) Le difficoltà nelle quali versa l'educazione universitaria è riconducibile, prima di tutto, all'affievolirsi, fin quasi a dileguarsi, della totalità del sapere; ed alla frantumazione, sotto la spinta dell'industria moderna, in una congerie senza fine di discipline e cognizioni talmente specialistiche da rasentare pericolosamente l'idiozia : è avvenuto così che la differenza senza concetto abbia finito col porsi a fondamento professionale del sapere.

Del resto, non è certo la prima volta che l'organizzazione degli studi superiori s'inceppa. L'università, infatti, non è per niente una qualità moderna; ben più antica della fabbrica, tutto lascia credere che sia destinata a sopravviverle; essa è una delle poche istituzioni medievali a carattere corporativo che sia giunta fino a noi direttamente da una altra epoca, cioè da una altra formazione sociale -- l'altro esempio notevole è costituito, non a caso, dalla Chiesa cattolica.

6) Lungo la sua storia quasi millenaria l'università è entrata in crisi ogni volta che sia risultata intaccata la fondazione unitaria e pubblica del sapere.

E' accaduto nel Rinascimento, quando, per opera delle Accademie, è stata criticato e smontato il paradigma teologico-deduttivo che assicurava l'unità alle discipline medievali; sicché all'università aristotelico-tomista è subentrata quella pitagorico-platonica e la filosofia della natura ha fornito il criterio di convergenza degli studi universitari.

Ed è di nuovo accaduto nel secolo dei lumi, quando gli scienziati della Rivoluzione hanno ricondotto le verità della filosofia della natura a poche proposizioni matematiche, ponendo così i linguaggi formali in cima alla gerarchia dei saperi; l'opera di quei rivoluzionari ha poi trovato il suo compimento in Germania, nello schema d'università elaborato da Humboldt, schema dove i saperi scientifici sono nettamente distinti da quelli umanistici e la fisica-matematica gioca il ruolo di regina tra tutte le discipline universitarie. Il modello di Humboldt si è rapidamente diffuso in tutto il continente europeo; ed è significativo che esso sia stato fatto proprio perfino dal movimento operaio e rigidamente rispettato giusto nei paesi che, a seguito della Rivoluzione d'ottobre, hanno conosciuto un regime statuale di tipo socialistico-- significativo della segreta complicità tra socialismo e liberalismo e della subalternità culturale del primo nei riguardi del secondo.

7) L'università di Humboldt ai nostri giorni ha ormai compiuto intero il suo tempo. Il criterio secondo il quale un sapere è tanto più scientifico cioè vero quanto più esso è formale cioè matematizzato si è rivelato affatto impraticabile. Questo è accaduto non già per la resistenza, a vero dire rassegnata, offerta dalle discipline umanistiche ma grazie allo sviluppo autonomo del pensiero matematico. Infatti, una delle scoperte scientifiche più fertile del ventesimo secolo, intellettualmente fertile quanto negletta nell'opinione comune, è di natura logico-matematica; ed è stata conseguita già prima della seconda guerra mondiale per merito soprattutto dello sforzo di pensiero di Godel. La scoperta, racchiusa in due " teoremi limitativi", afferma che tutti i linguaggi formali, ivi comprese le matematiche, non possono godere contemporaneamente delle proprietà di completezza e di coerenza. In altri termini, se un linguaggio formale contiene tutte le proposizioni vere formulabili allora esso è necessariamente contraddittorio; viceversa se il linguaggio è coerente allora non contiene tutte le verità in esso formulabili e risulta incompleto.

8) La scoperta di Godel sembra qualche pò astratta; e del tutto irrilevante ad ogni fine pratico. Eppure, poche o punte teorie scientifiche del ventesimo secolo hanno esercitato sulla vita quotidiana una influenza paragonabile a quella conseguita dai teoremi di Godel. Questi ultimi, infatti, hanno costituito l'orizzonte logico-matematico all'interno del quale è stata elaborata la teoria della "macchina generale" ovvero lo strumento operativo che ha permesso la costruzione dei moderni computers, degli automi e delle grandi reti telematiche -- Internet compresa. La teoria della " macchina generale " è stata messa a punto da Turing, pochi anni dopo la scoperta di Godel; essa, in buona sostanza, è niente altro che la traduzione dei due teoremi di Godel in termini informatici.

Per paradossale che possa apparire, la diffusione a livello globale dei linguaggi formali, questa vera e propria matematizzazione del mondo che è in corso di compiersi attraverso le reti di computers e la robotica, ha luogo grazie a dei teoremi limitativi; infatti sono proprio i limiti invalicabili posti, ai linguaggi formali e massime alle matematiche, che consentono la costruzione degli automi e delle grandi reti telematiche, automi e reti che penetrano nella giornata lavorativa avvolgendola e stravolgendola-- peraltro, a ben vedere, il paradosso si scioglie sol che si rifletta sulla circostanza per la quale ogni sapere, come ogni forma di vita, una volta che divenga consapevole dei suoi limiti, consegue perciò stesso il massimo della potenza.

9) L'antico pregiudizio di riguardare la natura quasi fosse un libro scritto in cifra; pregiudizio enunciato per la prima volta sulle rive del mare greco da Pitagora; ripreso mille anni dopo dal Rinascimento come nucleo generatore di quel sogno metafisico occidentale secondo il quale la matematica è la lingua universale perché logica e naturale insieme; questo pregiudizio, conclude così la sua parabola materializzandosi nella macchina generale di Turing o se si vuole nella rete globale dei computers.

Il concretizzarsi della matematica in macchina da una parte consegue il risultato, assai rilevante per la vita quotidiana, di sgravare il corpo umano dalla fatica del lavoro ripetitivo, sia esso muscolare o cerebrale, fatica che può essere scaricata sui linguaggi formali messi a lavoro; dall'altra priva di ogni legittimità la pretesa metafisica di misurare il contenuto di verità di un sapere dal suo grado di formalizzazione, pretesa, come si è visto, accolta dagli scienziati della Rivoluzione francese ed introiettata nel modello humboldtiano d'università.

10) Va da se che non sono stati di certo i teoremi limitativi di Godel ad innescare il collasso della gerarchia che univa i diversi saperi e la crisi delle discipline universitarie; semmai è accaduto l'inverso, il lavoro scientifico di Godel non ha fatto altro che registrare e spiegare un collasso ed una crisi che erano già all'opera da tempo.

Godel non ha inventato qualcosa che non esisteva prima; egli ha scoperto qualcosa, i.e. una proprietà intrinseca dei linguaggi formali, che era presente da sempre, fin dall'inizio, fin da Pitagora e anche prima-- solo che, celata alla coscienza, agiva, per così dire, nel buio e nel silenzio.

Infatti, il tentativo di formalizzare i saperi disciplinari era già naufragato all'inizio del ventesimo secolo, quando, una volta accertata l'impossibilità di assiomatizzare già la stessa fisica, i programmi di formalizzazione delle discipline universitarie erano stati abbandonati.

L'idea che la verità abbia la lingua matematica come dimora, questa ideologia intrisa di platonismo, era, per la verità, caduta in discredito fin dagli anni trenta. E se la gerarchia delle discipline universitarie incentrata sulle "scienze matematiche e naturali" è riuscita per altri cinquant'anni a sopravvivere a quel discredito, ciò è avvenuto per l'enorme finanziamento che il complesso militare-industriale ha destinato alla ricerca in fisica, chimica e biologia-- finanziamento erogato non in base ad un criterio epistemologico ma ad esigenze di distruzione bellica e produttività industriale. Così, una volta caduti i regimi a socialismo di stato, scoppiata la pace e allentata la corsa agli armamenti, anche i giganteschi programmi di ricerca nella fisica delle alte energie come nell'applicazioni militari della chimica e della biologia, sono stati fortemente ridimensionati. Questo ridimensionamento, se da un lato provoca la messa in libertà cioè il licenziamento di migliaia di ricercatori e tecnici specializzati dall'altro rende pubblica la perdita di senso della "big science" cioè di quelle discipline che nel ventesimo secolo hanno costituto il cuore del sapere scientifico -- valga come prova, il drammatico calo delle immatricolazioni nelle facoltà scientifiche, calo in corso ormai da un decennio in quasi tutte le università occidentali.

11) La "Universitas" di Humboldt sopravvive solo come rovina. Storicamente, gli Stati Uniti sono il primo paese occidentale ad abbandonare la concezione gerarchica ed unitaria delle discipline accademiche inserendo via via nel sistema universitario le scuole tecniche-professionali di ingegneria, legge, medicina, amministrazione; e giù giù, usque ad nauseam, le scuole di "business".

In effetti, il modello humboldtiano non era mai veramente penetrato nel Nord America, dove le università più prestigiose avevano continuato a coltivare le proprie radici teologiche-tomiste; sicché in un salto son cadute dalla "comunità medievale di professori e studenti" alla scuola professionale in grado di competere nel mercato dell'educazione.

In Europa, dove l'autonomia della conoscenza è stato a lungo avvertita come un sentimento comune quasi una pubblica virtù, il processo di trasformazione ha incontrato resistenze rilevanti; e solo di recente, una trentina d'anni appena, può dirsi compiuta la riduzione dell'università ad agglomerato di scuole professionali; o, il che è poi lo stesso, l'elevazione dei politecnici al rango d'università.

12) Smarrito il riferimento alla unità della conoscenza, fosse di Dio o della natura o delle matematiche, riferimento che autorizzava quella sorta di straordinaria libertà dai vincoli esterni di cui per secoli ha felicemente goduto l'attività universitaria, cessata cioè l'autoreferenzialità, gli atenei non sono solo regrediti ad unità contabili amministrative per la formazione professionale, ma hanno anche perso l'autonomia e perfino il gusto di praticarla.

A questo proposito, il paesaggio osservabile negli Stati Uniti sembra avvertirci che nulla ci risparmierà il futuro. Il sistema universitario nord-americano, una volta divenuto il luogo della formazione professionale di massa, ha rinunciato all'autonomia modellando il suo funzionamento sul sistema aziendale. L'aziendalizzazione dell'università americana non significa che l'ateneo muti statuto divenendo impresa privata in senso tecnico giuridico; ciò è fortunatamente impedito dalla natura stessa del processo educativo e dai costi proibitivi; prova ne sia che i pochi casi nei quali il fondamentalismo neo-liberista si è spinto a tanto, si sono rapidamente chiusi per bancarotta finanziaria.

Piuttosto, le università americane hanno assunto via via la forma aziendale nel senso che la gestione dell'attività e le relazioni di lavoro ricalcano tempi e metodi tipici dell'impresa capitalistica.

13) Negli atenei statunitensi, o meglio nella grande maggioranza di essi, il curriculum universitario è rigidamente articolato in un complicata sequenza di unità temporali chiamate " crediti e debiti " formativi. Qui già i nomi denunciano la loro origine; ma il pericolo si cela soprattutto in quel pregiudizio ottuso che ,contro ogni evidenza, ritiene di poter omologare la durata ed il ritmo del lavoro di apprendimento al tempo calcolabile del lavoro di fabbrica. L'attività universitaria ne risulta standardizzata, le prestazioni dei docenti minuziosamente prefissate, la lezione diviene una conferenza animata dalle tecniche multimediali, la valutazione dello studente ha luogo tramite una curva statistica di tipo elementare e infine il giudizio dello studente sulla capacità didattica del docente si svolge come apprezzamento di un servizio specifico da parte del fruitore-consumatore.

Bisogna riconoscere che, in questo modo, l'università americana è riuscita a far fronte alla domanda di formazione superiore di massa, abbassandone significativamente i costi. Il prezzo pagato è lo stravolgimento della sua natura: la forma contrattuale ha imbrigliato ed immiserito le relazioni e lo scambio all'interno delle istituzioni universitarie; il governo degli atenei è passato in mano ai managers cioè ai burocrati; i professori che fanno carriera sono quelli più simili agli uomini d'affari che intercettano finanziamenti proponendosi come mediatori; l'attività della docenza ricade soprattutto sul personale accademico precario e mal pagato; la lezione seminariale, esperita come comunicazione dialogica del sapere, ha perso il suo senso; si è dileguato il rapporto socratico tra docente e discente, e con esso ogni possibilità di trasmettere per imitazione la capacità euristica, ovvero il segreto stesso del lavoro intellettuale.

14) Per la verità, spesso, negli USA, dalla formazione universitaria sono stati eliminati gli aspetti specializzati più idioti introducendo al loro posto percorsi di studio che attraversano, sia pure in forma qualitativa e schematica, saperi diversi. Ma lo scopo a cui mira questa acquisizione di molteplici discipline non è certo di render conto della completezza della conoscenza ma di disciplinare lo studente in modo da renderne più facilmente convertibile la futura prestazione lavorativa. Nelle università americane, "imparare ad imparare" non significa una educazione polivalente, ma lo sviluppo nello studente della attitudine passiva ad apprendere in generale, attitudine che è la precondizione per una corriva flessibilità nel mercato del lavoro.

Mette conto notare, a questo proposito, che molti politecnici americani hanno introdotto questi percorsi di studio multidisciplinari a partire dalla metà degli anni ottanta, cioè dopo che la prospettiva di costruzione di macchine intelligenti, capaci d'apprendere e modificarsi, si è rivelata illusoria. Questo fallimento, che è una indiretta conseguenza dei teoremi di Godel, appare nella coscienza stranita dei managers americani come constatazione contabile sul costo spropositato che comporta la conversione della prestazione lavorativa del robot rispetto a quella dell'essere umano.

La descrizione della condizione degli studi universitari negli USA è qui, per forza di cose, necessariamente sommaria; né è in alcun modo possibile dimostrare ciò è stato affermato. Vogliamo però mostrare una evidenza, almeno una, che conforti quell'aria di degradazione suggerita dalla nostra descrizione: oltre il settanta per cento dei Ph.D., i.e. dottorati di ricerca, rilasciati dalle università americane sono, nel settore delle scienze fisiche e naturali, conseguiti da studenti stranieri, asiatici ed europei per la maggior parte. Poiché, come è noto, il Ph.D. è il grado più alto del curriculum accademico la circostanza accennata registra il rifiuto degli studenti americani a completare l'apprendimento conoscitivo; rifiuto che, non essendo riconducibile a cause finanziarie o genetiche, sta a denunciare l'incapacità della azienda università a promuovere le vocazioni conoscitive degli studenti.

15) Anche in Europa l'aziendalizzazione dell'università avanza a grandi passi. In Italia, poi, assume le forme parossistiche proprie ad un paese culturamente colonizzato. Mentre la riorganizzazione dei nostri atenei procede subdola a colpi di decreti inseriti nella legge finanziaria, la discussione pubblica anche quella tra studenti e professori è di fatto assente. I media trattano la questione della riforma universitaria dentro il quadro, generico e qualche pò ideologico, della privatizzazione delle istituzioni statali. Improbabili esperti sentenziano sulle cause della bassa produttività universitaria e propongono uno stretto legame tra conoscenza ed economia, educazione superiore e mercato del lavoro-- in modo da riordinare le vocazioni culturali sulla base di previsioni della domanda di professioni qualificate; rimedio questo che è ben peggiore del male, giacché bisognerebbe consegnare l'organizzazione degli studi universitari al potere predittivo delle discipline economiche, potere che non ha dato, in due secoli, grandi prove di se, attestandosi ben al di sotto della capacità predittiva della divinazione sciamanica.

I governi succedutisi nell'ultima decade, privi di un elaborazione autonoma nella politica dell'alta formazione, si sono limitati ad inserire dall'esterno della tradizione universitaria italiana, percorsi e metodi didattici presi a prestito tali e quali dall'esperienza di altri paesi, giustificando l'approssimazione frettolosa delle innovazioni legislative con la necessità di "entrare rapidamente in Europa" , di " adeguarsi alla media europea " ancor prima che essa si formi-- il solo nucleo razionale di questa condotta risiede nei vincoli dei conti pubblici del nostro paese e nel bisogno urgente di usufruire dei finanziamenti europei.

16) I primi segni della trasformazione in corso nelle università italiane sono a dir poco inquietanti. La legge finanziaria ha già mutato le norme per il reclutamento dei professori, reclutamento che avviene attraverso concorsi non più nazionali ma locali; accade così, ancora una volta per mere ragioni contabili, che sia privilegiato nella carriera il docente che rimanga sempre nello stesso ateneo e sia sfavorito il ricercatore che, provenendo dall'esterno, arricchisca con la sua esperienza la comunità universitaria.

Fatto ancora più grave, tra l'abulia stonata degli studenti ed il cinismo sordido dei professori che badano ai loro interessi minimali, si è diffusa nelle nostre università una specie di supina accettazione del destino che trasforma irresistibilmente l'università in azienda; sicché è potuto accadere che, in qualche ateneo, il rettore sia stato eletto dal corpo accademico su un programma puro e nudo come questo: facciamo della nostra università una azienda competitiva; senza che questa elezione provocasse nessuna manifestazione collettiva di dissenso, e neppure una pantagruelica risata. E dire che nel "68.... ma che lo dico a fare....

17) Malgrado l'acedia sembri oggi possederli, malgrado tutto, sono gli studenti il solo soggetto potenzialmente in grado di arrestare il processo di aziendalizzazione dell'università; e invertire la tendenza. Solo lo studente infatti, per la provvisorietà del ruolo che interpreta, ha un ragionevole interesse a mettere al centro della questione universitaria il tema della formazione dell'individuo sociale, cioè della educazione sentimentale di una personalità completa perché multipla e multipla per tentar d'essere all'altezza del genere. Solo lo studente, per via della relativa estraneità alla sfera della produzione industriale e al mercato del lavoro, ha l'innocenza etica sufficiente per resistere alle illusioni cognitive della scienze economiche, e riprendere la grande tradizione autoreferenziale dell'università italiana, tradizione fondata sull'autonomia della conoscenza.

Solo per lo studente la pratica interminabile e senza scopo del comprendere può trapassare da fatica insensata in esperienza di piacere, assai simile al piacere sensuale, il piacere che generano le azioni che sono fine e mezzo nello stesso tempo. Solo lo studente conserva intatto il lascito del senso comune secondo il quale la verità, qualsiasi cosa essa sia, deve potersi dire nella lingua naturale ed entrare per intero nella disponibilità intellettuale del singolo individuo. Solo lo studente, per il quale le idee non sono ancora divenute ceppi della mente, può proporsi di non trascorrere l'esistenza nello stupore attonito davanti al succedersi delle innovazioni tecnico scientifiche, ma di individualizzare, attraverso i concetti, l'origine dal cui seno quelle innovazioni sono state partorite. Solo la condizione di vita dello studente, non avviluppata da relazioni contrattuali, libera e miserabile insieme, è sensibile al fascino di una formazione intellettuale realizzata non già nell'azienda ma nella comunità universitaria. Infine, mentre per i burocrati del ministero l'autonomia degli atenei ha una natura prevalentemente contabile e per i professori equivale ad una licenza di autopromozione, solo per lo studente essa acquista un senso forte giacché fonda la possibilità di concorrere alle scelte che riguardano la sua formazione.

18) Certo, il pensiero critico deve prendere atto che ci siamo lasciati alle spalle l'arroganza di ogni assoluto. Dopo Godel, la speranza in una idea, un principio, una ideologia, una lingua dalla quale possa discendere, snocciolandosi in una catena logico-deduttiva, l'unità e la articolazione unitaria dei saperi, una simile speranza non è più autorizzata. Questo non vuol dire che bisogna rinunciare alla completezza del sapere; la rinuncia comporterebbe il sacrificio dell'autonomia della conoscenza e quindi la sua irreparabile mutilazione, con conseguenze perniciose anche sul terreno della produzione e del consumo. Non si tratta di rinunciare ma di porre diversamente i termini della questione : la completezza del sapere non è il punto di partenza ma il risultato sempre approssimato che si consegue percorrendo individualmente i molteplici terreni sapienziali. Tante sono le forme dell'unità e della completezza dei saperi umani quanto sono gli individui che questa unità e completezza perseguono. L'unica rinuncia da proferire ad alta voce è quella relativa ai linguaggi formali, cioè alla possibilità di trovare ed esprimere la verità tramite le macchine informatiche. La verità abita le lingue naturali; e ha la lingua materna come dimora.

19) Avanziamo qui alcune proposte che valgono non tanto come possibili soluzioni quanto per una migliore intelligenza di come la questione universitaria si ponga dal punto di vista dello studente.

Intanto va rifiutato lo schema ministeriale secondo il quale in tutte le università italiane il curriculum accademico deve essere ripartito tra un primo triennio per la laurea di primo grado, un biennio per quella specialistica ed un altro triennio per il dottorato. Solamente una velenosa miscela di ideologia aziendale e di stoltezza burocratica può riproporsi di uniformare i tempi della formazione intellettuale indipendentemente dai campi tematici e dalle caratteristiche dei luoghi dove gli atenei operano. Se la parola autonomia ha un senso, sono proprio i percorsi didattici ed i gradi dell'istruzione universitaria che devono ricadere negli ambiti delle responsabilità dirette ed esclusive dei singoli atenei.

In secondo luogo, il primo livello di laurea va strutturato in funzione di una formazione polivalente dello studente, polivalenza che è un bene sociale in se e per se; e non abbisogna di autorizzazioni o giustificazioni da quella triste ed inaffidabile scienza che è l'economia.

20) Questo primo grado o diploma universitario deve comportare almeno un triennio comune a tutti gli studenti, a prescindere dalla eventuale specializzazione successiva. Il triennio consiste in un percorso d'apprendimento che attraversi obbligatoriamente tutti i saperi essenziali, fatta salva la libertà dello studente di scegliere all'interno di ogni grande area tematica la disciplina che più gli è congeniale.

Una organizzazione degli studi di questo tipo punta a conseguire tre obiettivi notevoli:

a) sviluppare nello studente la facoltà d'apprendere come virtù civile, assicurandogli, allo stesso tempo, una formazione culturale generale, indispensabile per capire ed orientarsi in un mondo che appare sempre più come un artefatto umano in continua mutazione;

b) garantire allo studente l'informazione indispensabile per poter scegliere responsabilmente l'eventuale specializzazione professionale successiva;

c) bruciare l'organizzazione didattica per Facoltà in modo che dalle ceneri di questa vacca sterile e mostruosa possa risorgere una architettura degli studi mobile, continuamente ridisegnata sulle scelte discrezionali degli studenti. Quest'ultimo obiettivo, qualora fosse conseguito, provocherebbe una vera rivoluzione degli studi universitari, buttando alle ortiche quei decrepiti percorsi disciplinari come matematica, fisica, lettere, filosofia, sociologia, economia e così via; per sostituire ad essi distinzioni e relazioni adeguate al sapere nel suo farsi, i.e. linguaggi naturali e linguaggi formali; grammatica e retorica; ermeneutica, pregiudizio ed istituzioni politiche; linguaggi, interpretazione e teatro; il flusso del tempo nella relatività e nella letteratura del novecento; informazione, entropia ed autorganizzazione; identità e differenza nella fisica quantistica e nella psicologia animale; l'acqua nella catena alimentare e nella poesia di Petrarca; natura umana e natura non-umana; ambiente, mondo ed etologia; lo smaltimento dei rifiuti, la Terra, il Sole ed il Cosmo; fenomeni cooperativi e scienze sociali; termodinamica, ecologia ed economia; mente e corpo; aspetti euristici-costruttivi ed aspetti assiomatico-deduttivi nelle matematiche; cinetica, acustica, danza e musica; archeologia, antropologia e società senza stato; calcolo numerico e disturbi ossessivi; luce, geometria ed arti figurative; parola, dialettica e terapia; miti, racconti e scienze storiche; poemi epici, astronomia ed astrologia; e tutte le combinazioni possibili di questi saperi e di altri ancora, secondo la fantasia dello studente.

21) Decisivo per il funzionamento di una università rivoluzionata sarebbe poi la crescita del potere degli studenti. Questo non dovrebbe immiserirsi riducendosi al giudizio sulla prestazione didattica del docente; ma esercitarsi come una vera e propria valutazione nel modo più spontaneo possibile, cioè misurando, attraverso la frequenza relativa dei corsi, la capacità del professore di attirare gli studenti, stimolarne la curiosità e favorire l'emergere delle vocazioni.

Gli studenti inoltre dovrebbero avere una parola decisiva anche per quanto riguarda l'apertura di nuovi corsi o la chiusura dei vecchi, così come nella organizzazione dei servizi amministrativi rivolti alla didattica, alla residenzialità ed al diritto allo studio.

Come si vede, si tratta di un potere studentesco che nulla ha a che fare con la rappresentanza nei consigli d'amministrazione o negli organi di gestione-- l'esperienza rappresentativa si è rivelata, infatti, una vera e propria scuola di addomesticamento ed integrazione tramite la corruzione; irrilevante per la condizione di vita dello studente, vivaio per allevare futuri burocrati di partito; e, nell'immediato, utile per legalizzare le più basse ed illegittime istanze del corpo accademico e dell’amministrazione universitaria.

Il potere studentesco al quale qui pensiamo riannoda i fili con l'indimenticabile "68; e si mostra come capacità d'azione collettiva di una componente della comunità universitaria e non come delega degli elettori agli eletti; esso veste i panni ruvidi dell'assemblea e non la divisa perbene della rappresentanza.

22) Vano, però, sarebbe attendersi, nello stato presente delle cose, che gli studenti delle università italiane si mobilitino per arrestare la degradazione aziendale dei nostri atenei e riaffermare l'antico modello comunitario.

Anche se non fossero così accidiosi ed intrisi di mezza-cultura come pure sono, resterebbe il fatto incontrovertibile che costituiscono una folla troppo disparata e generica per assumere il ruolo di soggetto.

Solo una piccola, anzi infima, frazione di questo insieme senza forma può costituire la minoranza agente, la mano lesta dalla quale parta la scintilla che può incendiare la prateria. Questa minoranza è costituita dagli studenti universitari che hanno già vissuto la dimensione comunitaria vuoi nei centri sociali vuoi, più in generale, nella pratica del volontariato. Sono essi i portatori del discorso seminale sulle comunità elettive e dell'esperienza di vivere una vita degna d'essere vissuta. Essi che una volta almeno, fosse anche per un solo attimo, hanno scelto tra tutti i mestieri quello di vivere, semplicemente vivere, sono protetti da sentimenti sufficientemente forti ed armati di concetti abbastanza taglienti da poter aggredire con successo l'opinione comune che pone il lavoro come un valore sacro e considera l'università il luogo dove ci si prepara a questo sacrificio.

In Italia, al presente stato di cose, è questa la minoranza agente che s'intravede all'orizzonte; la sola che si sia riuscita nei fatti a sottrarsi a questa grande ipocrisia nazionale che è l'etica del lavoro nell'epoca delle macchine informatiche; la sola, comunque, in grado di rovesciare lo slogan "contro la disoccupazione, formare i giovani per il lavoro" nella parola d'ordine "sì alla estinzione del lavoro salariato, autoeduchiamoci all'ozio".

Forse, le rovine dell'università sono la dimora, la prima dimora, dove accrescere l'interiorità ed ospitare la coscienza enorme dell'individuo sociale.

Questo documento è frutto di discussioni tenutesi all’Università della Calabria, all’interno dello Spazio Sociale Occupato Autogestito Filo Rosso.