CALABRIA... IN FIORE!
L’uso di sostanze psicoattive, in grado cioè di modificare l’ordinario stato di coscienza (tè, oppio, camomilla, caffè, marijuana) è stato da sempre una costante nelle abitudini umane e ha subito variazioni a seconda delle interpretazioni che il contesto storico e sociale ne davano.
E’ da ormai 12000 anni ,infatti, che l’umanità conosce ,per i suoi molteplici impieghi, la Cannabis Indica, comunemente chiamata Canapa o Marijuana. Questa pianta, considerata magica da poeti, scrittori e intellettuali, ha avuto per diversi secoli un impiego sia medico che industriale. La medicina utilizzava la Cannabis per curare malaria, stitichezza, dolori reumatici, sindrome premestruale, stati febbrili, insonnia e malattie veneree e le sue fibre, inoltre, servivano per realizzare tessuti, cordame e carta.
Il suo proibizionismo risale agli anni ‘30, quando il governo Americano si ritrovò a dover gestire il drammatico caos generato dal fallimento del proibizionismo sugli alcolici e la conseguente macchina repressiva che, non avendo più nemici da fronteggiare, pensò bene di inventarsene uno nuovo: fu così che nel 1937 venne emanato il MARIJUANA TAX ACT (legge proibizionista che ne vieta anche l’uso medico) e che contribuì a creare, "grazie" ai mezzi di informazione, quello che cominciò ad essere definito "Il Mostro Marijuana".
In Italia gli echi allarmistici del grande "mostro" arrivano alla fine degli anni ‘50, con notizie quali: "spinge ad atti omicidi", "fa diventare ciechi", "rende impotenti". Contemporaneamente a queste false informazioni, sempre dagli USA, arriva il fenomeno di rivolta giovanile (hippies, beat generation) che, facendosi promotore di un movimento contro le istituzioni repressive e autoritarie, inizia un capillare lavoro di controinformazione e controcultura, in cui veniva proclamato anche il libero uso della marijuana.
Tutto questo influenzò molto anche i movimenti giovanili che in Italia, negli anni ‘70, si fecero promotori di ideali e pratiche di rivolta politica, sociale e culturale.
Attualmente, dopo la legge Cossiga del 1975 sugli stupefacenti è in vigore dal 1990 la legge Craxi-Vassalli-Jervolino, che vieta la coltivazione di ogni varietà di Cannabis e che ne proibisce, fino al referendum popolare del 1993, anche l’uso strettamente personale. Gli effetti di questa legge sono paradossali: da una parte si assiste ad un’alta percentuale di giovani che spesso finiscono in carcere (arrivando anche a suicidarsi), dall’altra il mercato del narcotraffico accresce i propri profitti. Gli "spacciatori", infatti, oltre a detenere il controllo delle droghe leggere, possiedono anche il controllo di quelle pesanti: diventa quindi più facile per il consumatore venire a contatto con queste ultime.
Da quando è nato, il proibizionismo è stato sinonimo di repressione, panico, paura e affidato (erroneamente e con conseguenze disastrose) al controllo sempre più forte delle forze dell’ordine, le quali, servendosi di un grosso apparato burocratico e repressivo non possono assolutamente farsi "interpreti" di quelle che sono libere scelte individuali e collettive, che, in quanto tali, vanno affrontate in un contesto sociale e politico. Sembra essere questa la strada scelta da coloro i quali intravvedono in un progetto di "Depenalizzazione" e "Riduzione del danno" un percorso (in parte già sperimentato) applicabile e sicuramente più efficace.
Nel parlare di DEPENALIZZAZIONE non si può non ritenere come principali protagonisti quei soggetti che da sempre vivono in maniera diretta il rapporto con i quartieri e le città. A questo proposito, infatti, non è casuale che fino a poco tempo fa le uniche iniziative che spingevano verso una forma di antiproibizionismo e liberalizzazione delle droghe leggere , siano state promosse dai centri sociali. All’interno di questi spazi "liberati", il consumo di Hashish e Marijuana è frequente, intanto perché la sostanza è conosciuta in tutti i suoi aspetti e ritenuta tossicologicamente innocua, e poi perché tale consumo avviene in un contesto in cui la ricerca di socialità, la riflessione, la comunicazione, lo scambio di idee (che tutti i consumatori sanno essere tra gli effetti più caratteristici di questa sostanza), sono prassi quotidiana. Tali elementi costituiscono la base di un’organizzazione che si propone fortemente autonoma politicamente, socialmente e culturalmente rispetto alle forme di rapporto mercificato di una società alienante: forse è proprio questo uno dei motivi per cui ci sono state, in passato, gravi azioni repressive nei confronti dei Centri Sociali (vedi Leoncavallo).
E’ indispensabile affrontare il problema del proibizionismo in termini politici, poiché esso è l’espressione di un sistema che tende a criminalizzare le droghe e i suoi consumatori, e a favorire un mercato clandestino di sostanze stupefacenti a vantaggio del narcotraffico. E’ ormai noto a tutti che questo tipo di politica che vuole mantenere nell’illegalità le droghe leggere ha avvantaggiato e continua a favorire proprio coloro i quali hanno interessi molto forti nello smercio di eroina, cocaina e altra "roba".
Siamo stufi di subire le decisioni di chi, celandosi dietro falsi moralismi, agisce invece in malafede sostenendo le proprie tesi sulla "Droga" e rifiutandosi di affrontare il problema delle "Droghe".
E’ necessario riappropriarsi del diritto all’autodeterminazione!
Il proibizionismo è palesemente fallito, e di questo ne hanno preso atto sia le diverse amministrazioni locali che si sono espresse (e continuano ad esprimersi) a favore di una legalizzazione delle droghe (depenalizzazione dell'uso), sia quei politici che parlano della possibilità di sperimentare (come già da tempo avviene in altri paesi ) forme di distribuzione controllata di eroina, in un'ottica di riduzione del danno.
Noi come realtà "Autorganizzata" che si fa promotrice di una politica pratica e concreta, pensiamo che tappa necessaria di un percorso più ampio sia la legalizzazione delle droghe leggere.
Coscienti che nel sistema attuale solo una legge dello Stato può attuare la depenalizzazione, può intanto un Comune dichiaratosi formalmente antiproibizionista, praticare AUTONOMAMENTE sul proprio territorio, la limitazione dei danni arrecati dalle sostanze e ancor di più dalla loro proibizione?
Ebbene il Comune di Rende (e speriamo tra poco anche Cosenza), possiede già alcuni strumenti del tutto legali che già altre città stanno utilizzando ed è proprio su queste possibilità che vertono le nostre proposte:
1) Installazione di distributori e scambiatori gratuiti di siringhe.
2) Creazioni di "unità di strada mobili", al fine di prevenire AIDS e overdose, ridurre l'emarginazione e fornire informazioni su servizi sociali e sanitari.
3) Rilanciare la coltivazione della Cannabis Sativa nel rispetto delle normative CEE, che prevedono anche degli incentivi per ogni ettaro di terra destinato alla canapicultura per uso industriale (tessili, cordame, carta, ecc...).
Siamo pienamente consapevoli che questi interventi non rappresentano la soluzione ideale al problema delle tossicodipendenze, né vogliamo elevarci a "paladini della verità"; ma siamo altrettanto convinti che oggi più che mai è necessario sperimentare nuovi percorsi, oltrepassare quei luoghi comuni generati da mentalità conservatrici e ignoranza, e reinventare i significati delle parole chiamando le cose con il loro nome: ANTIPROIBIZIONISMO, PER POTER ESSERE LIBERI DI SCEGLIERE CONTRO OGNI DIPENDENZA.
S.S.O.A.FILO ROSSO
P.S. Il Coordinamento Provinciale Antiproibizionista si riunisce ogni mercoledi alle 19.00 al Filo Rosso, all'Università di Arcavacata.
Singoli cittadini, studenti, asociazioni, gruppi... siete invitati a partecipare.