FUOCHI NELLA NOTTE

 

La notte tra il 5 e il 6 ottobre ha visto scatenarsi una dura protesta all’interno del centro di detenzione di corso Brunelleschi. Sono stati incendiati materassi e masserizie varie contenute nei containers che servono da celle per gli ‘ospiti’ del ‘centro di accoglienza’, come lo chiamano TV e giornali.

Il mitico quotidiano locale "La Stampa" ha minimizzato l’episodio (trenta righe), parlando di una "finta" rivolta, inscenata per coprire la fuga di alcuni detenuti nordafricani; non abbastanza finta però da non richiedere l’intervento di numerosi poliziotti nel famigerato ‘assetto antisommossa’.

È evidente l’intenzione di nascondere la reale situazione dei detenuti in questo lager del 2000.

Infatti questo episodio è solo l’ultimo di una serie di proteste dei detenuti (scioperi della fame, tentativi di suicidio) motivate da vari fattori:

Gli ‘ospiti’ sono rinchiusi all’interno di tre gabbioni degni della migliore tradizione nazista, divisi tra slavi, nordafricani e donne. Il tempo massimo di permanenza nel centro, fissato per legge in 30 giorni, nella maggior parte dei casi si prolunga invece indefinitamente. Naturalmente gli immigrati non hanno nessun diritto: non possono vedere avvocati (a cosa servirebbero, dato che non hanno commesso reati?) telefonare o ricevere visite da nessuno.

È praticamente impossibile accedere all’interno della struttura, gestita dalla Croce Rossa Italiana militare. Le poche notizie filtrate parlano di condizioni igienico sanitarie oltre i limiti della decenza umana.

Il clima di odio razziale, che ha portato molte persone a ritenere questi lager come una giusta forma di autodifesa della società da invasioni barbariche, è fomentato dai grandi mezzi di comunicazione di massa: il risultato è di agevolare lo sfruttamento di decine di migliaia di immigrati che lavorano 60 ore a settimana senza contributi, assicurazioni, mutua o qualsivoglia garanzia sindacale (a tutto vantaggio di infami datori di lavoro).

Inoltre questo clima giustifica un incredibile e costosissimo apparato repressivo (più di 300.000 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri, ecc. ecc.), di gran lunga il più numeroso d’Europa.

Viene proposta e ripetuta fino alla nausea l’equazione immigrato=criminale: ci droga i figli, ci ruba il lavoro e ci molesta le femmine. I risultati sono azioni squadriste tipiche della guerra tra poveri, come il recente lancio di bombe molotov contro il centro di via Negarville, minimizzato dal sindaco come ‘una ragazzata’.

Noi non crediamo che i problemi della società di oggi possano venire risolti da una sempre maggiore violenza repressiva, ma solo da un’equa ripartizione delle risorse e del lavoro.

Battersi oggi per la chiusura di tutti i centri di detenzione esistenti in Italia significa lottare per una società basata sull’integrazione reale di tutti invece che sull’esclusione dei soggetti più deboli, a prescindere dal colore della loro pelle.

 

 

CENTRO SOCIALE GABRIO

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