PERCHÉ ABBIAMO OCCUPATO?

  • I processi di urbanizzazione guidati dal mercato fondiario ed immobiliare

    Nella trasformazione urbana uno dei conflitti più importanti e decisivi è quello tra i valori d’uso del suolo ed i valori di scambio, in altre parole fra chi considera la città un luogo della vita quotidiana, all’interno del quale rispondere ai propri bisogni e desideri, e chi invece la interpreta come una proprietà privata da cui trarre una rendita e un settore di investimento di capitali da cui trarre profitto.

    I processi di urbanizzazione guidati dalle logiche di valorizzazione fondiaria ed immobiliare, sono responsabili della produzione di gran parte dei problemi urbani che ci troviamo ad affrontare: la segregazione funzionale, la perenne questione abitativa, la progressiva scomparsa dello spazio pubblico, la mancanza di luoghi non mercificati per la socializzazione, l’elaborazione culturale e l’espressione artistica. Il mercato produce solo per chi può pagare, gli altri sono esclusi e con loro tutte le attività difficilmente mercificabili. Se il profitto e la rendita (rendita = ciò che un proprietario fondiario ottiene per il solo fatto di possedere un terreno) sono il fine della trasformazione urbana non verranno mai costruite case a canoni accessibili o luoghi di socializzazione esterni alla logica di mercato o spazi pubblici per l’incontro e lo scambio sociale. Un fondamento del mercato fondiario ed immobiliare sono le differenze di valore fra aree pregiate ed aree marginali, che corrispondono alla divisione gerarchica della società, perché solo avendo le qualità distribuite in modo ineguale si possono raggiungere i prezzi massimi: le classi dominanti sono disposte a pagare molto per disporre di aree in cui i soggetti e le funzioni svalorizzanti (case popolari in primo luogo!) sono tenute lontane.

  • Il problema è chi decide cosa, dove e come costruire o recuperare, ed in base a quale logica

  • Il problema è in base a quale logica viene deciso cosa, dove e come costruire o recuperare all’interno della città. Se la logica è quella del mercato sappiamo cosa ci aspetta: pochissima edilizia popolare e tutta in zone marginali e residuali, niente case in affitto a prezzi accessibili a sottoccupati e disoccupati, spazi pubblici trasformati in centri commerciali all’aperto, videocamere e militarizzazione dello spazio per proteggere i privilegiati, quelli che ci vorrebbero sottrarre tutte le risorse e le possibilità di azione in nome del diritto di proprietà.

    L’amministrazione e lo Stato potrebbero requisire le case e gli edifici sfitti, tassare in modo specifico le grandi proprietà fondiarie ed immobiliari, costruire edilizia popolare che risponda ai bisogni ed ai desideri di chi vi andrà ad abitare, incentivare l’offerta di case in locazione a prezzi controllati ed "equi", invece assumono il mercato come parametro per tutte le operazioni, vendono le poche case di edilizia popolare esistenti, senza costruirne di nuove. Quasi tutta l’edilizia residenziale pubblica, cioè finanziata dallo Stato, realizzata o in progetto a Torino, e non solo, è convenzionata o agevolata, cioè si tratta di alloggi realizzati da imprese o cooperative e destinate alla vendita a prezzi di poco inferiori a quelli di mercato. Lo Stato incentiva la proprietà della casa attraverso finanziamenti e facilitazioni, ma così facendo tende a favorire la fascia medio-alta della domanda abitativa, e lascia scoperto un vasto settore sociale che non ha accesso ai mutui e agli affitti stratosferici del dopo "equo canone".

    Tutto questo in un contesto dove a partire dal dopoguerra il governo ha incentivato in tutti i modi la proprietà della casa che ha assunto il ruolo di bene rifugio, spesso conquistato attraverso molti sacrifici o, per le classi a redditi più bassi, attraverso il riscatto delle case popolari a prezzi "politici", che è avvenuto comunque in modo selettivo e talvolta clientelare. Lo scopo esplicito di queste politiche era quello di legare gli interessi delle famiglie a quelli della proprietà fondiaria, che entrambe si sarebbero avvantaggiate della valorizzazione, nascondendo il fatto che questo sarebbe avvenuto in misura difficilmente comparabile e socialmente differenziata (differenze di valore consistenti fra diverse aree delle città e fra aree urbane). In anni recenti comperare una casa è stata ed è per molti una scelta obbligata in un contesto in cui mancano case in affitto a prezzi ragionevoli e in cui spesso il mutuo è equiparabile ai canoni di locazione offerti da un mercato ormai liberalizzato. In questo modo una grossa quota dei redditi della popolazione vanno ad alimentare il mercato fondiario ed immobiliare, che distribuisce le attività e la popolazione sul territorio in base alla capacità di spesa, facendo corrispondere la differenziazione delle qualità, urbane, territoriali, ambientali, culturali, con la stratificazione delle gerarchie sociali. Gli sgravi fiscali per l’acquisto della prima casa o i contributi per gli affitti, spesso del tutto insufficienti, finiscono con l’essere più un finanziamento del mercato fondiario ed immobiliare che un effettivo sostegno agli abitanti, i cui redditi sono comunque pesantemente decurtati dal costo della casa: non si propongono di modificare i meccanismi e le regole del mercato (segregazione funzionale e sociale, selezione in base al reddito, distribuzione ineguale delle qualità urbane, mercificazione dello spazio) ma li autoalimentano.

    Adottare un’altra logica

    Nessuno nell’amministrazione ha il coraggio di toccare gli interessi forti, quelli delle grandi imprese come la FIAT, da tempo impegnate in attività finanziarie ed immobiliari, o quelli dei proprietari fondiari, anzi li favoriscono apertamente.

    L’unico modo per iniziare a risolvere i problemi causati a Torino dall’assunzione della logica del mercato immobiliare e fondiario è agire adottando un’altra logica, contrapposta, quella fondata sulla risposta ai bisogni sociali e sulla costruzione di luoghi in cui sia possibile la libera espressione e realizzazione di sogni e desideri da parte di tutti quei soggetti e gruppi sociali a cui il mercato non risponde perché non hanno reddito sufficiente, ma non solo, che chiedono qualcosa che non può trovare risposta attraverso le merci.

    L’unico modo per risolvere la questione abitativa e tutte le carenze causate dalla logica del profitto e della rendita è aggredire e togliere potere di azione alle regole della proprietà privata e del mercato capitalistico che li generano. Le aree urbane sono oggi il luogo in cui si rendono visibili le contraddizioni ed i conflitti sociali ed è proprio in questi contesti che ci vediamo costretti a riconquistare gli spazi per vivere.

    …e occupare

    L’occupazione di immobili dismessi, lasciati vuoti in attesa di futuri nuovi interventi o semplicemente perché tanto il valore del suolo (la rendita) si incrementa senza che sia necessario far nulla, è una pratica sociale che agisce concretamente contro il mercato capitalistico che è la causa ed il motore generatore principale di un modo di produzione della città che ci esclude, segrega, impedisce, limita.

    E se molto c’è da dire sull’uso delle proprietà private, è ancora più scandaloso che anche quelle pubbliche restino inutilizzate o vengano privatizzate o valorizzate dal punto di vista economico mentre potrebbero risolvere almeno una parte dei bisogni sociali.

    Abbiamo occupato l’immobile dell’Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB) "Istituto Nido Giardino Principessa Letizia" in corso Racconigi 143, vuoto dal 1982, perché vogliamo iniziare a prendere ciò di cui abbiamo diritto ma che ci viene negato dalle leggi del mercato, dalla privatizzazione dei beni pubblici, dal clientelismo a favore di supposti benefattori. Vogliamo realizzare abitazioni, un’area per l’emergenza abitativa, un ostello per studenti, spazi sociali aperti al quartiere ed alla città. E’ il Laboratorio metropolitano Plaza Hostel in cui c’è anche la sede del "Movimento per il diritto alla casa".

    Il problema della casa e degli spazi sociali è risolvibile se si iniziano ad utilizzare gli spazi vuoti appartenenti allo Stato, alle amministrazioni, ai vari enti ed istituzioni e se si bloccano le privatizzazioni, tanto lucrose e appetibili per i gruppi immobiliari. Le case occupate in immobili prima vuoti, sia quelli residenziali, sia quelli prima destinati ad altri usi, possono così essere autorecuperate attraverso la progettazione diretta dei futuri fruitori degli spazi sia privati che collettivi.

    Con l’idea che si possa andare oltre e contro una città che esclude, controlla, segrega, e non è in grado di garantire l’essenziale, iniziando a realizzare piccole schegge di un mondo possibile, da costruire pezzo per pezzo.

    Il 19 gennaio 2001, ore 21 assemblea sulla questione della casa

    Movimento per il diritto alla casa

    Laboratorio metropolitano Plaza Hostel

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