*************************************************************************** testimonianze da genova ------------------------- "Io, black nazi, a Genova protetto dalla polizia" Storie dal G8: un inglese venuto per spaccare tutto, una ragazza in cerca di riparo durante gli scontri. E una morte nella zona rossa Anarchici insurrezionalisti? Può darsi. Ma dentro il black bloc che ha devastato Genova e ha legittimato agli occhi di una parte dell'opinione pubblica il comportamento cileno della polizia e dei carabinieri c'era spazio per tutti. E dove lo spazio sembrava proprio che non ci potesse essere, a crearlo ci ha pensato qualcuno. La testimonianza di Luca Arnaù, Mara Queirolo e Mauro Bocci può aiutare a capire qualcosa sui fatti accaduti a Genova. Si tratta di tre giornalisti professionisti dell'agenzia Italpress News, e Mauro Bocci è stato, fino a pochi mesi fa, il capo del settore esteri del Secolo XIX. Impegnati a fare un servizio per un giornale britannico sugli inglesi presenti nel movimento antiG8, Arnaù, Queirolo e Bocci si imbattono il giorno della marcia dei migranti in un ragazzo di Birmingham. Un tipo muscoloso di un metro e ottanta, capelli biondo-rossi tinti e occhi azzurrissimi. E' seduto davanti allo stadio Carlini, non risponde alle domande, i giornalisti lasciano perdere. E' durante gli scontri del 20 che lo rincontrano: ha gli anfibi, i pantaloni di una mimetica, una felpa nera con le maniche strappate e un bulldog dalla faccia feroce stampato sul davanti. Ma soprattutto brandisce un palo divelto da un cartello stradale ed è completamente ubriaco e disposto a parlare. Dice di chiamarsi Liam Stevens e di avere 26 anni ma, per gli amici del suo gruppo, i Black dogs, è semplicemente "Doggy", cagnolino. Il volto è nascosto da un fazzoletto bianco sul quale è dipinta, in modo artigianale, la Union Jack. Il braccio destro è coperto di tatuaggi: rune celtiche. Strani tatuaggi per un anarchico. E infatti, nel suo semi incomprensibile inglese di Birmingham spiega di no: "Nazi, nazi", dice ai tre che sulle prime non capiscono. Allora ripete: "Nazi, nazi", battendosi il petto. E che cosa ci fa un nazista di Birmingham alla manifestazione del Gsf? "Non me ne frega un cazzo dei G8", risponde, "sono qui per spaccare tutto e mi sto divertendo un sacco". L'intervista continua, mentre poco più in là bruciano le automobili e vengono distrutte le vetrine. Si scopre che Liam "Doggy" Stevens è a Genova da una settimana. Che si trova qui perché i suoi "italian brothers", i fratelli italiani, hanno detto a lui e al suo gruppo che ci sarà da divertirsi e che non devono avere paura della polizia: non li toccherà e li lascerà fare. Poi arriva una ragazza vestita di nero, su i vent'anni, carina e con i capelli rasta dipinti di verde. Inglese pure lei: gli grida di non parlare con i giornalisti, arrivano gli altri, spintonano, si allontanano rapidamente. Magari a raggiungere i "fratelli italiani": quelli che un altro giornalista ha sentito parlare fittamente in inglese prima che un passamontagna nero si avvicinasse e dicesse: "Ahò, e parla tricolore!". "Domenica mattina ci sveglia il rumore degli elicotteri, gli stessi che hanno cantato la ninna nanna al centro storico durante la notte dei cristalli genovesi. In cerca di un'edicola aperta che non si trova, arrivo in piazza della Meridiana e mi accorgo dell'estensione della zona rossa a tutta via Garibaldi. A Palazzo Tursi arrivano gli 8. Berlusconi scende davanti al portone ed entra accompagnato da un coro: 'Vergogna, assassino'. Ma chi sono questi? Le grida provengono dall'interno del palazzo: alle finestre, i componenti del gruppo consiliare del Prc, con gli assessori Seggi e Bonifai e il segretario provinciale Bruschi, hanno dato il benvenuto al presidente e ai suoi amici. Me ne vado, devo passare dai miei amici che ieri, durante la manifestazione, hanno ricevuto in dono un souvenir. Quando la manifestazione è stata separata in due tronconi e la metà di essa non aveva ancora raggiunto il teatro degli scontri, loro erano all'altezza degli stabilimenti balneari di S. Nazzaro. Mentre il pezzo di corteo in cui ero io veniva caricato da dietro all'inizio di via Casaregis, c'è stato il fuggi fuggi generale, anche all'indietro. Per evitare di essere schiacciati, si sono rifugiati nel cortile di un sottopasso che dal lato a monte di corso Italia porta alla spiaggia, molto lontano da piazza Rossetti, e lì un elicottero li ha bombardati dall'alto con i lacrimogeni. Sono piovuti dal cielo, si dice di solito per gli eventi fortunati, e quindi non si possono rifiutare. Il mio vicino di casa mi ha fatto sentire la cronaca di radio Gap durante l'assalto dei celerini al media center del Gsf. Sarò cinica, ma mi sono impressionata molto di più sentendo poco dopo su Rete 4 una signorina tutta rosa che presentava quell'assalto come 'brillante operazione' di polizia. Sono allergica agli insulti basati sui giudizi morali relativi ai comportamenti sessuali delle persone, ma in questa circostanza le ho urlato quello che mai mi viene in mente quando incontro le dignitose signore che lavorano nei nostri vicoli. Torno ai miei amici bombardati dall'alto. Parliamo dei genovesi che non hanno partecipato alle manifestazioni ma che hanno aperto le porte delle loro case per aiutarci. Gli amici nel sottopasso hanno trovato un pescatore che gli ha spalancato i cancelli di accesso al mare e li ha fatti nascondere sotto le barche. Dopo la prima carica all'inizio di via Casaregis, i miei amici e io siamo riusciti a ricompattarci e a proseguire verso corso Torino. Subito dopo l'immissione da via Cecchi, la polizia ha ricominciato a caricare e a lanciare lacrimogeni provocando il panico e la frantumazione del corteo. Scappata in via Rispoli, in mezzo al fumo e agli urli, davanti a me si apre miracolosamente un cancello e mi ritrovo in una bella casa, con un bicchiere d'acqua fresca e la padrona di casa che mette a disposizione il telefono per cercare i miei amici. Mi appresto a trascorrere il pomeriggio con lei, suo figlio e suo marito che nel frattempo è rientrato, anche lui gasato. Da lì assisto ad altre due cariche su manifestanti vestiti di tutti i colori eccetto che il nero. Tempo un'ora, avendo l'impressione che la situazione si fosse stabilizzata e vedendo un gruppo di una decina di manifestanti decido di uscire e riprendere con loro la strada. Appena uscita, ripiombano due cellulari e con i nuovi compagni ci rifugiamo nel portone di fronte, manco a dirlo aperto. Alcuni di loro sono disperati e raccontano di tre ore prima quando sono stati tirati fuori da un altro portone in cui si erano rifugiati a seguito delle prime cariche e abbondantemente manganellati nelle scale. Sono rassegnati a prenderne altre perché ci hanno visto entrare. Miracolo, si apre la porta di ingresso di un appartamento e dentro troviamo altri otto rifugiati. Solita sosta con refrigerio di acqua fresca, e ripresa del cammino quando dalla finestra vediamo arrivare uno spezzone di corteo con le bandiere dell'Arci. Si scende e si va con loro. Arriviamo all'incrocio tra corso Torino e corso Buenos Aires, duecento metri prima dei tunnel della ferrovia di Brignole. I nuovi compagni si mettono a terra e aspettano. Verso piazza Tommaseo la strada è libera e, dopo essermi tolta tutti i segni distintivi da antiglobal, mi avvio con passo da turista verso la sede di Legambiente regionale, che ospita il coordinamento degli avvocati del Gsf, dove trovo alcune persone che stanno denunciando la sparizione di uno di loro, caricato su un cellulare dopo il manganellamento nel portone di cui ho parlato prima. Ragazzi arrivati a Genova da Verona per manifestare pacificamente". (Elisabetta Zucchi) ******************************************************************************