:: Contro la liberazione sessuale - per un libero uso dei piaceri
Un'interpretazione del pensiero dell'ultimo Michel Foucault

Chiedo scusa se non parlerò a braccio e invece leggerò il mio intervento. Il fatto è che sono emozionato a essere qui ed ora a parlare davanti a questo pubblico che siete voi. E siccome il concetto di e-mozione contiene in sé la nozione di movimento, un po' sono molto contento di essere qui, in questo luogo che alcune donne hanno creato, e un po' vorrei invece essere altrove. E un po' vorrei essere nel pubblico, un osservatore che mi ascolta, anziché dover parlare proprio io.
Sono emozionato perché non sono abituato a fare quello che sto per fare ora: non sono un insegnante, non sono un conferenziere. Non sono abituato a occupare il ruolo di chi spiega qualcosa a qualcuno, di chi detiene un sapere e deve comunicarlo. È stato proprio Foucault a evidenziare come la produzione di sapere intrattenga sempre rapporti con il potere: ad esempio chi parla da un pulpito o da una cattedra è sempre legittimato a farlo da qualche autorità, e generalmente ha l'autorità di far tacere i suoi auditori per farsi ascoltare: le sue parole sono più pregnanti del sussurrare del pubblico perché si presuppone che contengano qualcosa che in una situazione data, quella in cui lui parla ed altri ascoltano, è considerata una verità.

Questo ruolo che mi imbarazza è quindi un ruolo di potere. E una delle ragioni del mio imbarazzo è che, come afferma Foucault, le relazioni di potere non sono relazioni semplici in cui semplicemente qualcuno vieta o comanda - ad esempio vieta di parlare e comanda di ascoltare - e qualcun'altro obbedisce - ad esempio tacendo e ascoltando le verità del relatore. Il potere determina entrambi i suoi poli, cioè attraversa tanto chi lo subisce quanto chi lo esercita. Così mentre io esercito il potere in questo mio tentativo di spiegarvi il pensiero di Foucault, al tempo stesso subisco il potere del vostro giudizio, e invoco e la vostra clemenza per la mia emozione!

Nel novembre 1976, durante una conferenza all'università di Bahia, Foucault risponde con queste parole alla domanda di una studentessa: "Mi sembra […] che le relazioni di potere non debbano essere considerate in modo schematico, come se ci fossero, da un lato, quelli che hanno il potere e, dall'altro, quelli che non l'hanno." E fa un esempio: "Per il fatto di essere studentessa, lei è già inserita in una determinata situazione di potere; anch'io, in quanto professore, sono in una situazione di potere; sono in una situazione di potere perché sono un uomo e non una donna, ma anche lei, in quanto donna, è in una situazione di potere. La situazione non è la stessa, ma ci siamo tutti in questa situazione. Di chiunque sappia qualcosa possiamo dire 'lei esercita potere'. È una critica stupida, se si limita a questo. È invece importante conoscere come funzionano le maglie del potere in un gruppo, in una classe o in una società, localizzare ciascun individuo nella rete del potere, sapere come esercita il potere, come lo conserva e come lo trasferisce."
Queste parole di Foucault mi permettono di sottolineare un altro aspetto della situazione di potere che voi avete creato invitandomi qui a parlare per ascoltarmi, e io accettando il vostro invito: il fatto che voi siete donne e lesbiche e io uomo, uomo gay - e quindi dal mio punto di vista meno compromesso con il potere maschile -, ma comunque uomo. Nell'analisi che dedica al potere, che è un'analisi assai accurata e mai banale, Foucault insiste sul fatto che del potere non si può mai fare a meno: siamo sempre in situazioni di potere, e non è ipotizzabile una società senza potere, perché di potere sono fatti gli stessi legami sociali. Il potere è "azione che si esercita su azioni": cioè esercitare potere significa determinare e influenzare le scelte degli altri, il che costituisce appunto i legami sociali. Quindi il potere non è in sé un male, e tuttavia contiene sempre dei pericoli, perché può trasformarsi in dominio. La differenza tra potere e dominio è una differenza di gradi di libertà. Se esercitare potere significa influenzare gli altri, questi "altri" su cui il potere si esercita sono liberi: sono influenzabili proprio perché sono liberi. Se non ci fosse libertà non ci sarebbe potere: io non potrei spingerti ad agire o a pensare secondo la mia volontà se tu fossi obbligato, necessitato a comportarti in un certo modo. Quando il potere si fa pericoloso, esso tende a diventare dominio: tende cioè a limitare la libertà degli altri fino a farla scomparire, fino a trasformarli da soggetti liberi ad automi. Ad esempio, secondo Foucault, una condizione vicina allo stato di dominio è quella della donna nella famiglia del XVIII e del XIX secolo. Nella famiglia tradizionale non si può dire che la moglie non possa fare nulla contro il potere del marito: lo può tradire, ad esempio, o negarsi sessualmente, o sottrargi denaro. Ma la sua condizione è vicina al dominio perché tutte queste cose sono, tutto sommato, soltanto delle astuzie, che non possono mai ribaltare la situazione.

Il pensiero di Foucault è un pensiero di difesa radicale e forsennata della libertà: è un invito alla resistenza: Foucault invita noi tutti a resistere al potere, a quel potere che non è di per sé un male e di cui non si può mai fare a meno, affinchè non diventi dominio, e affinchè anzi si aprano nuovi spazi di libertà. Perché se l'esercizio del potere si accompagna sempre all'esercizio della libertà, allora al potere possiamo sempre opporre resistenza; e le relazioni di potere in cui sempre e per forza siamo inseriti possono sempre essere modificate e rovesciate. È questo che Foucault intende quando afferma che riconoscere che siamo sempre situati in situazioni di potere non significa che siamo sempre in trappola. Cito: "Non possiamo metterci al di fuori della situazione, e in nessun posto possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere. Ma possiano sempre trasformare la situazione. Non ho mai voluto dire che siamo sempre in trappola, ma, al contrario, che siamo sempre liberi. Insomma, che esiste sempre la possibilità di trasformare le cose."
Ecco allora la domanda: il mio essere qui, e questa mia emozione che un po' mi porta a desiderare di essere altrove, che cosa sta a significare se non che proprio qui adesso è in atto il rovesciamento di una situazione di potere consolidata? Voi, amiche lesbiche, ci siete riuscite. Come risposta a millenni di potere maschile e maschilista, questa sera avete creato un luogo in cui il maschio è ospite, e voi siete padrone di casa. Avendo inventato la pratica del separatismo femminile, e avendo poi deciso di aprire per una sera un luogo di separatismo come questo anche agli uomini, rovesciate il potere maschilista stravolgendolo. Avendo scelto di accogliere qui dei maschi, e invitandoli al dialogo - scelta per nulla scontata, scelta libera a cui non eravate certo obbligate - rovesciate il maschilismo e assieme mostrate che il potere può anche non aspirare al dominio, che il potere può essere esercitato non solo come oppressione, ma anche come apertura, come accoglienza e ospitalità. Ed è come un ospite grato ed emozionato, maschio che cerca di esporre il pensiero di un altro maschio in un luogo di donne, che vorrei parlarvi questa sera.

Su Michel Foucault molto è stato detto e molto è stato scritto. Michel Foucault è stato molte cose: filosofo teoretico e filosofo morale, storico dei costumi e dei sistemi di pensiero, epistemologo delle scienze umane. Ma nell'interpretazione che ne daremo questa sera, Foucault apparirà essenzialmente come pensatore politico. E non tanto per il suo militantismo, per il suo impegno d'intellettuale sempre pronto a prendere partito nelle questioni più scottanti dell'attualità, quanto per la valenza etico-pratica del suo pensiero. Leggere un testo di Foucault è un'esperienza: è qualcosa che induce al cambiamento, che scardina modi consolidati di pensare e getta sul mondo una nuova luce. Potremmo nominare il pensiero di Foucault "meditazione", per distinguerlo dal pensiero più classico della filosofia moderna che è invece "dimostrazione". La dimostrazione è un tipo di discorso che non coinvolge il soggetto che la pronuncia o che la ascolta: il soggetto si pone al di fuori delle cose che dice e che aspirano al massimo rigore scientifico. La meditazione è invece un tipo di discorso che nel suo farsi trasforma il soggetto che lo pronuncia e che lo ascolta, che chiama in causa il soggetto in prima persona: dopo aver meditato non si è più gli stessi, ci si ritrova diversi, magari spaesati. E il pensiero di Foucault produce proprio un effetto di spaesamento: paradossalmente è un pensiero pratico che talvolta paralizza l'azione. Si legge Foucault e non si sa più che cosa fare: non si può più agire come prima. Questo vale in particolare per le meditazioni sulla sessualità, che costituiscono l'ultima produzione di Foucault: i tre volumetti della Storia della sessualità che si intitolano La volontà di sapere, L'uso dei piaceri e La cura di sé. Leggere questi tre volumetti, meditarli, significa mettersi in discussione "profondamente", e rinunciare a schemi consolidati di autorappresentazione per imparare a pensarsi in modo diverso. In particolare significa rinunciare a pensarsi dotati di un'entità misteriosa e profonda che si chiama sessualità che il potere della società reprimerebbe e che noi avremmo il compito di liberare. Significa rinunciare al progetto di una liberazione sessuale.

Il pensiero politico di Foucault è una risposta a quella che viene correntemente chiamata la crisi del pensiero metafisico occidentale. Si tratta di una crisi che coinvolge il sistema di valori, le abitudini e gli stili di vita, il sentimento di appartenenza alla comunità: una specie di scossa tellurica che rade al suolo ogni certezza e lascia privi di punti di riferimento. Nella contemporaneità tale crisi emerge da un lato come perdita del sentimento religioso, e dall'altro come fallimento di quel grande progetto razionale di emancipazione dell'umanità che è il marxismo. Le cose, nell'URSS e nei paesi dell'Est, avrebbero potuto andare diversamente? Forse: sicuramente lo stalinismo non era tutto compreso nel pensiero marxiano. E tuttavia non si può non registrare che anche il programma marxiano, nella sua volontà di realizzare una volta per tutte e per l'umanità intera il progresso dell'umanità, nel suo basarsi su una verità che il proletariato avrebbe il compito di riconoscere e attuare, non contenga in sé delle tendenze totalitarie. Il fatto è che qualsiasi programma aspiri alla certezza di una verità è programma che chiude spazi di libertà: la verità obbliga, e obbligando non lascia liberi. Siamo in crisi, dunque. Almeno così dicono i filosofi - voi vi sentite in crisi? Facciamo finta di sì. Siamo rimasti senza punti di riferimento etici: abbiamo perso la fiducia nell'esistenza di un'unica verità, di un'unica ragione che possa mettere tutti d'accordo. Non possiamo più immaginare la storia come corso unitario orientato verso il progresso, come progressiva realizzazione di un'unica umanità: l'antropologia ci mostra l'esistenza di culture e di storie diverse dalla nostra, gli studi storici ci mostrano l'esistenza di sistemi di valori e di credenze diversi dal nostro persino nella nostra cultura, nella nostra storia. E così, in campo morale come in campo conoscitivo, cade il mito dell'esistenza di una verità assoluta, unica, indubitabile ed eterna.

L'atteggiamento di Foucault rispetto a questa crisi della ragione non è affatto un sentimento nostalgico: Foucault non cerca parametri per fondare una nuova verità, una nuova razionalità che metta tutti d'accordo, e accetta di formulare un pensiero che non abbia valore assoluto ma che sia parziale. Un pensiero che è analisi delle formazioni del potere nel tempo presente e che è invito a resistere a tali forme di potere in difesa della libertà. Foucault non riduce la verità al potere, però afferma che la verità, la produzione di sapere in una data epoca storica, è sempre legata alle formazioni di potere della stessa epoca. Sapere e potere si coimplicano: hanno bisogno uno dell'altro e si producono vicendevolmente. E Foucault sceglie di partecipare ai giochi del potere e del sapere della nostra attualità ponendosi dalla parte di chi al potere e al dominio oppone la libertà.

Al potere che si esercita nel nostro presente, e che ha radici nei secoli XVI-XVII, Foucault dà nomi differenti: potere disciplinare, bio-potere, potere pastorale.
La nozione di "Potere disciplinare" sottolinea il fatto che il potere non si limita a vietare, a impedire, a reprimere, a dire "no". Ne La volontà di sapere Foucault ribadisce quanto già sosteneva in Sorvegliare e punire: l'idea di un potere semplicemente repressivo è - cito - "stranemente limitativa. Innanzitutto perché sarebbe un potere povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti, monotono nelle tattiche che usa, incapace d'invenzione e in un certo modo condannato a ripetersi sempre. In secondo luogo perché è un potere che non avrebbe altro che la potenza del 'no'; incapace di produrre alcunché, atto solo a porre limiti, sarebbe essenzialmente anti-energia; il paradosso della sua efficacia sarebbe di non potere nulla, se non far sì che ciò che sottomette non possa a sua volta far niente, se non quel che gli si permette di fare. E infine perché è un potere il cui modello sarebbe essenzialmente giuridico, centrato sul solo enunciato della legge e sul solo funzionamento del divieto. Tutti i modi di dominio, di sottomissione, di assoggettamento si ridurrebbero in fin dei conti all'effetto di obbedienza."

Il potere non si limita a reprimere o a obbligare all'obbedienza: se generalmente ce lo rappresentiamo così è perché in questo modo è più tollerabile, perché in questo modo ci appare come qualcosa di esterno, da cui è più facile liberarsi. Ma in realtà il potere è creativo e produttivo: disciplina i nostri corpi, i nostri movimenti, le nostre abitudini, costruisce modelli per le nostre relazioni sociali - anche quelle sentimentali e sessuali. Decide delle norme che sono parametri di giudizio per le nostre azioni, e ci sorveglia continuamente fin nei nostri più piccoli atti, fin nei nostri più "profondi" moti dell'animo. Il potere disciplinare non ha un unico centro, ma si esercita attraverso agenzie sparse su tutto il tessuto sociale: la famiglia, ad esempio, e la scuola, la chiesa, la polizia, l'amministrazione, persino i servizi sanitari. Il potere, insomma, non solo reprime, ma educa, ci addestra come animali ammaestrati: plasma i nostri comportamenti, e addirittura la nostra "interiorità". E alleandosi con i saperi della biologia e della medicina, il potere prende in carico direttamente la vita - è per questo che è "bio-potere" -: basti pensare alle politiche d'igiene e di controllo delle nascite degli stati ottocenteschi e novecenteschi, e basti poi pensare a quella follia totalitaria che è stata il nazionalsocialismo, con il suo appello alla purezza della razza. Il potere moderno si prende carico della popolazione e non solo del territorio; ma nell'amministrare le masse non trascura gli individui. Lo stato moderno ha fatto propria una tecnologia di potere che ha appreso dalla chiesa cristiana, che Foucault chiama "potere pastorale". Come il pastore cristiano, il potere moderno amministra la toitalità dei cittadini prendendosi cura dei singoli cittadini, accudendoli amorevolmente, educandoli accuratamente. E per fare questo, deve conoscerli: per questo li ascolta ad uno ad uno, inducendoli a parlare, confessandoli. È appunto la confessione, quella modalità di discorso a cui secondo Foucault continuamente siamo chiamati anche oggi che - come vedremo tra poco - costituisce il nucleo del potere nella sua forma pastorale.

Il potere passa attraverso la parola, e attraverso la parola determina anche il nostro rapporto con noi stessi, edifica la nostra interiorità, nel senso che ci induce ad autorappresentarci come dotati di un "dentro", di un nucleo di desideri, di pulsioni e di istinti con cui dobbiamo fare i conti. Questo è uno di quei passaggi del pensiero di Foucault in cui si fa più evidente il carattere di meditazione, perché accettare tale pensiero significa accettare di modificare il nostro rapporto con noi stessi. Al centro del potere moderno, quel potere che produce e non solo vieta, quel potere che amministra la vita e che si esercita sulla popolazione esercitandosi sui singoli individui, Foucault pone un "dispositivo", un dispositivo di potere, a cui dà il nome di "sessualità". Questo significa che la sessualità - quel "qualcosa" attorno a cui ruota la gran parte delle nostre prescrizioni morali - è un prodotto del potere, al tempo stesso un suo strumento e un suo effetto. Non è qualcosa di profondo e di interno che nasce con noi, ma è qualcosa che l'esterno - il potere - produce in noi. Non è nulla di naturale, ma è qualcosa di storico, di culturale, che un tempo non c'era. Affermando questo, Foucault mette in discussione quelle che chiama "teorie repressive del potere", quelle teorie che provengono dalla psicoanalisi e che sono entrate nel nostro senso comune; quelle teorie scondo cui nasceremmo con un corredo di pulsioni e di istinti sessuali, che poi un potere esterno reprimerebbe o sublimerebbe. Il nostro compito sarebbe allora di liberarci da tale potere per rimetterci in contatto con le profondità del nostro animo e raggiungere la pienezza della nostra umanità: il nostro compito sarebbe una liberazione sessuale che dovrebbe riconciliarci con la nostra natura di uomini e donne. Le teorie repressive del potere sono le teorie della liberazione sessuale: ne sono esempi Reich e Marcuse, ma anche, in Italia, Mario Mieli quando nei suoi Elementi di critica omosessuale pone come obiettivo del movimento omosessuale la liberazione di una sessualità polimorfa e perversa. Anche questa sessualità polimorfa e perversa per Foucault è solo una costruzione del potere, perché tutto ciò che siamo in quanto esseri umani lo è: non vi è nulla di originario, di primo, di assoluto a cui possiamo attingere una volta per tutte per essere felici. La felicità è sempre ricerca, processo, e deve fare i conti con la situazione storica e parziale che viviamo: non esiste una natura sessuale da liberare, ma esiste un dispositivo di sessualità con cui fare i conti per proseguire il nostro cammino verso la libertà e la felicità. Per Foucault l'interiorità, il "dentro" è una costruzione storica, è un fuori ripiegato. E il potere non è qualcosa di esterno a questo dentro, ma è amalgamato ad esso: nel nostro autorappresentarci dotati di una sessualità profonda, noi siamo fatti anche di potere. Del resto noi saremo sempre fatti anche di potere, perché non esiste un paradiso terrestre in cui il potere non esiste, e perché vivere in società significa sempre vivere immersi in flussi di potere. E questo non ci rende più schiavi, ma al contrario ci rende più liberi. Se avessimo soltanto una "natura" da riconoscere e da liberare, una volta che l'avessimo raggiunta dovremmo solo ascoltarla: saremmo obbligati dai suoi desideri, dalle sue richieste. E se fossimo obbligati non saremmo liberi. Fare continuamente i conti col potere, resistergli per difendere le nostre libertà e per inventare nuove libertà, questo è il nostro compito secondo Foucault, o almeno secondo la lettura che io ne do.

La Storia della sessualità non è dunque una storia dei comportamenti sessuali, ma è storia di come questi comportamenti sono diventati oggetti di sapere, e di come si è costituito quel campo di conoscenze che chiamiamo "sessualità": la sessualità è esempio di come il potere pastorale assoggetti gli individui legandoli a sé stessi, e inventando per loro un'interiorità da decifrare. Foucault contesta l'opinione secondo cui nella società cattolica-borghese dall'ottocento in poi i comportamenti sessuali sarebbero stati repressi come mai prima, e che solo Freud ci avrebbe liberati da questo velo di silenzio steso sopra la sessualità. Non è vero che l'uomo e la donna occidentali siano abituati a tacere sul sesso: al contrario sono obbligati a dire tutto sul sesso e ad attendersi da questo discorso modificazioni del proprio desiderio e della propria personalità. Oggi ad esempio non c'e nessuna trasmissione televisiva, nessuna rivista, nessun film che non parli anche di sesso. Altro che ingiunzione al silenzio! Si tratta invece di una ingiunzione al discorso, di cui Foucault traccia la storia.

Dal concilio Laterano (1215) la Chiesa rende la confessione obbligatoria per tutti i fedeli. Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa accresce il dominio della confessione: non solo i comportamenti sessuali, gli atti, ma anche i pensieri più reconditi, le fantasie più segrete, i pensieri più profondi vanno confessati. Dal XVIII secolo il potere pastorale dello Stato si appropria di questa costrizione al discorso nata nella confessione cristiana. S'interviene sul sesso per esercitare controllo sulla popolazione, in ottica ora natalista ora antinatalista. E nelle scuole e nei collegi non si fa che controllare la sessualità dei bambini, e addirittura si costruiscono i bagni e le camerate in modo che si possa sempre sorvegliare che non si masturbino. Nel XIX secolo sono molti i saperi che si occupano di sesso: psichiatria, medicina, giustizia penale, pedagogia elaborano tutta una serie di controlli sociali rivolti alle coppie, ai genitori, ai figli. Si ha una vera e propria esplosione discorsiva sul sesso: un'esplosione di discorsi molteplici organizzati attorno a nuclei differenti. Ma tutti questi discorsi hanno qualcosa in comune, sono sottesi da un unico dispositivo: per incitare al discorso sul sesso lo si fa apparire come un segreto che è indispensabile scovare, come un "dentro", una "profondità" che solo un atto di coraggio può fare emergere: "Quel che è caratteristico della società moderne non è che abbiano condannato il sesso a restare nell'ombra, ma che siano condannate a parlarne sempre, facendolo passare per il segreto."

Di nuovo Foucault ci stupisce, di nuovo il suo pensiero diviene meditazione che nello stupirci ci cambia, quando passa ad analizzare le conseguenze di questa ingiunzione generalizzata al discorso sul sesso: il dispositivo di sessualità non riduce le perversioni, ma anzi le produce: non vuole farle scomparire, ma farle confessare. Il suo effetto non è l'imposizione della norma sessuale, l'imposizione del modello della coppia eterosessuale feconda che produce mano d'opera per il sistema produttivo - come vorrebbero quelle teorie che uniscono marxismo e psicoanalisi. Le perversioni non sono ostacoli che il potere deve abbattere per costruire una società ordinata, ma sono appigli a cui il potere si aggrappa, sostegni a cui il potere si appoggia per avanzare, per penetrare capillarmente nella società, nella famiglia, tutt'intorno e "dentro" l'individuo per controllarlo. Ad esempio nel reprimere la masturbazione di bambini e adolescenti si è costituito questo piacere solitario come segreto e si è fatto leva su di esso per esercitare controlli che investono non solo i bambini, ma anche i genitori e gli educatori che devono controllare non solo i bambini ma anche se stessi, anche i prorpri desideri verso i bambini. E in questi sguardi di controlli incrociati tutti sanno che i bambini e gli adolescenti continueranno a masturbarsi, e nessuno aspira realmente a estinguere questa pratica autoerotica.

Analogamente le sessualità periferiche non vengono combattute, ma alimentate. La perversione si fa corpo: non più atto isolato, ma identità che caratterizza un individuo per tutta la vita. L'esempio in questo caso è l'omosessualità: presso gli antichi, nel Medioevo e ancora all'inizio dell'età moderna la sodomia designava una tipologia di atti vietati. Invece nel XIX secolo, a partire da un articolo di Westphal del 1870, l'omosessuale diventa un personaggio con una biografia, una storia, una forma di vita sui generis. Non più un uomo come gli altri che compie atti contro natura, ma una tipologia differente di uomo. L'omosessualità è un esempio lampante di perversione prodotta dal dispositivo di sessualità: non è solo un atto a cui decidere se abbandonarsi o meno, ma è questione di desideri, di fantasie, di personalità che richiede tutto un lavoro di comprensione e di decifrazione, nel confessionale con il prete, sul lettino dell'analista, o attraverso un silenzioso dialogo con se stessi. Lavoro che coinvolge non solo chi in questa identità si riconosce, ma anche gli eterosessuali: anch'essi costretti a riconoscere o a confessare i loro desideri omosessuali per esorcizzarli e per liberarsene.

Nel denunciare il fatto che l'identità sessuale sia prodotto storico e non "natura" - come dicevamo poc'anzi -, Foucault non vuole indurci a liberarcene, non vuole dirci: "bene, ora smettiamola di autorappresentarci come lesbiche e come gay, che è solo una finzione del potere." Perché Foucault sa bene che le costruzioni del potere, di quel potere che è sempre presente e di cui non possiamo fare a meno, sono realissime, nel senso che costituiscono la nostra realtà di uomini e di donne. Se potessimo liberarci del potere una volta per tutte, di noi non rimarrebbe nulla. Del resto, secondo Foucault, "dire di no costituisce la forma minima di resistenza". In certi momenti tale forma minima è molto importante: "bisogna dire di no e fare di questo no una forma di resistenza decisiva". Però, quando la resistenza non si riduce alla sua forma minima, allora è una pratica inventiva e creativa, che trasforma le relazioni di potere in cui s'iscrive. Questa trasformazione ha come punto di partenza la situazione che combatte, e si esercita sul materiale che il potere in tale situazione le fornisce. Ad esempio la nozione di "identità sessuale", e in particolare le nozioni di "identità lesbica" e di "identità gay". Non possiamo tornare indietro del tempo e sbarazzarci della nostra identità di lesbiche o di gay: non avrebbe alcun senso. Possiamo però acquisire consapevolezza del fatto che tale identità è costruzione storica, e che intrattiene stretti rapporti con un potere subdolo a cui siamo talmente abituati da non avvertirlo. Un potere che nell'imporci un'identità vuole imporci anche un ruolo: non è vero che non c'è posto nella nostra società per gay e lesbiche. Ci sono anzi molti posti per noi nei film e nelle pubblicità, nei salotti televisivi e nelle telenovelas. Ma quello che ci è richiesto è un ruolo ben definito. Intratteniamo gli altri con la nostra diversità - purchè non superi i limiti della decenza, e purchè restiamo al nostro posto. Di che cosa si alimenterebbe il potere maschile se non ci fossero donne da sottomettere e omosessuali da perseguitare? Di omosessualità si parla continuamente: non solo nei discorsi degli specialisti, ma anche nei bar, allo stadio, nelle scuole, negli oratori, sotto i caschi del parrucchiere, nella casa del grande fratello: l'eterosessualità ne ha bisogno, perché è attraverso il confronto con l'omosessualità che il potere si impone anche sugli eterosessuali e ne determina i comportamenti. È attraverso la rinuncia a sentimenti e comportamanti "femminili", a una certa deprivazione sentimentale e all'esorcizzazione dell'omosessualità che si costruisce un uomo etero. Foucault, nella mia interpretazione del suo pensiero, non ci invita a sbarazzarci della nostra identità omosessuale - sarebbe impossibile - ma ci chiama alla consapevolezza del gioco in cui siamo inseriti nel riconoscerci gay e lesbiche. Per noi il riconoscimento della nostra omosessualità attraverso la decifrazione dei nostri desideri, e in seguito il coming out, sono atti di liberazione: ma talvolta tale liberazione rischia di ingabbiarci in nuovi schemi e nuovi clichet. Ad esempio molti gay si assomigliano tra loro nell'abbigliamento e nei comportamenti, e sono più soggetti degli etero ai condizionamenti delle mode. Da un lato tutto questo può essere indice della creazione collettiva di un modo di vita nuova, ma dall'altro non possiamo non riconoscere che, quando c'è uniformità dei comportamenti, possiamo sempre sospettare che ci sia limitazione della libertà.

Spesso anche oggi ricorriamo al linguaggio della psicoanalisi per esprimere il nostro percorso di vita: si tratta di interpretare i nostri desideri profondi, di riconoscerli e di liberarli dal peso di rimozioni e di ostacoli che un potere esterno ci avrebbe imposto. Non è attraverso un percorso di questo genere che di solito ci scopriamo gay e lesbiche? E non è con il termine "repressi" che indichiamo chi non ha completato questo percorso, chi non è andato fino in fondo nella comprensione della profondità del proprio sé? Sembra che, anche se non tutti ricorrono allo psicoanalista, nella coscienza comune si è creato una sorta di psicoanalista interiorizzato, che non ha bisogno di studi o di lettini per determinare il nostro modo di pensare a noi stessi nella nostra aspirazione alla libertà.
Foucault ci mostra, invece, che la psicoanalisi, questo supporto teorico della nostra liberazione sessuale, è un sapere che non "esce" dal dispositivo di sessualità, ma anzi ne fa parte. Come la confessione, la psicoanalisi è invito a interpretare i nostri desideri. La confessione cristiana purifica dai desideri della carne e riconduce a Dio attraverso la penitenza; la psicoanalisi libera i desideri repressi dando loro una forma che sia compatibile con la convivenza con gli altri uomini e le altre donne. La psicoanalisi non può quindi esserci di aiuto se aspiriamo a una libertà maggiore, se aspiriamo a vivere liberamente e creativamente la nostra identità, a renderla più fluida e più libera. Se la psicoanalisi può essere letta come strumento di liberazione sessuale - così, ad esempio, la legge Mario Mieli -, nella nostra aspirazione alla libertà dobbiamo liberarci anche del rapporto a noi stessi che la psicoanalisi induce. Contro quel controllo dei nostri comportamenti che passa attraverso i nostri discorsi sul sesso da liberare, contro l'imposizione di identità "naturali" che determinano i nostri comportamneti anziché renderci liberi di scegliere e sperimentare, in poche parole - cito - "contro il dispositivo di sessualità, il punto d'appoggio non deve essere il sesso-desiderio, ma i corpi e i piaceri." Essere sessualmente liberi oggi non significa interpretare i propri desideri ed attribuirli a un'identità che preesisterebbe loro e che ne sarebbe causa, e poi ricostruire la storia di questa identità. Perché se i nostri comportamenti sono "causati", se intrattengono un rapporto di necessità con ciò che li determina, i nostri comportamenti non sono liberi. Essere sessualmente liberi oggi significa invece problematizzare il sesso in modo differente, non cercando di estrarne la verità del nostro essere, qualcosa a cui sia possibile ricondurre tutti gli aspetti della nostra personalità, ma cercando di estrarne piacere. Essere sessualmente liberi oggi significa edificare liberamente le nostre vite, senza pensare che siano già tutte scritte nella nostra sessualità, in un'identita sessuale determinata una volta per tutte, significa trarre piacere dalle nostre vite e dai nostri corpi. Ed è per queste ragioni che potremmo dire che Foucault prende partito nella questione delle libertà sessuali che si è imposta all'attualità politica dell'Occidente a partire dagli anni '60: e il suo partito è quello che invita non alla liberazione sessuale, ma a un libero uso dei piaceri.

Gli ultimi volumi della storia della sessualità, L'uso dei piaceri e La cura di sé, indagano il modo in cui gli antichi Greci e Romani problematizzavano i comportamenti sessuali; e tale indagine ha lo scopo di indicare stili di vita e di pensiero che non appartengono al dispositivo di sessualità e che possono offrire delle alternative anche per noi oggi. Non dobbiamo però commettere l'errore di attribuire a Foucault l'intenzione di resuscitare la morale antica: Foucault, anzi, non esita a definire "disgustosa" l'etica greca. In un'intervista del 1983 afferma: "l'etica greca del piacere è legata a una società virile, alla dissimmetria, all'esclusione dell'altro, a un'ossessione della penetrazione, a una specie di minaccia di essere privati dalla propria energia, e così via. Tutto ciò è molto disgustoso." In particolare per quanto riguarda l'omosessualità Foucault smonta il mito di una Grecia antica dove l'omosessualità era pratica vissuta senza problemi e addirittura esaltata. Il fatto che molto si scrivesse sulla pederastia - cioè sull'amore tra un uomo adulto e un ragazzo -, al contrario, è dimostrazione di quanto essa costituisse un problema morale. In particolare costituiva un problema che un uomo, o un ragazzo che presto sarebbe diventato uomo, si lasciasse penetrare. La penetrazione era vissuta come un simbolo dei rapporti sociali: solo le donne e gli schiavi dovevano essere penetrati, perché naturalmente sottomessi agli uomini liberi. Tutto sommato la morale greca aveva divieti simili alla nostra: prescriveva agli uomini liberi di essere fedeli alle proprie mogli, e bollava i rapporti omosessuali come contro natura: esaltava l'amicizia tra un uomo adulto e un ragazzo solo nella misura in cui erano esclusi gli atti sessuali. Se nella morale sessuale dell'occidente moderno la partizione fondamentale è quella tra identità maschile e identità femminile - e l'omosessualità appare come un'inversione dei generi -, nella morale greca classica, che già in partenza è una morale rivolta solo agli uomini liberi, la partizione fondamentale è quella tra attività e passività nella penetrazione.
E tuttavia da questa morale disgustosamente maschilista e ossessionata dalla penetrazione noi oggi, secondo Foucault, abbiamo qualcosa da imparare. Se essa non è poi molto diversa dalla nostra per quanto riguarda i divieti in materia sessuale, comporta grandi differenze in altri ambiti. La nostra morale, erede di quella cattolica, si impone attraverso leggi universali uguali per tutti e a cui tutti devono sottomettersi; e in materia sessuale si applica - come abbiamo detto - al desiderio profondo, che deve essere interpretato con l'aiuto di un'autorità esterna (il confessore, il giudice, l'analista). La morale greca, invece, è centrata sul tema della scelta personale. Non impone leggi uguali per tutti, ma si rivolge solo a chi decide di vivere una vita bella, una vita esemplare che lasci un buon ricordo di sé alla posterità. I Greci e i Romani ci insegnano che è possibile avere un rapporto estetico con l'etica: un rapporto, cioè, che non ha a che fare con la legge o con la verità, ma con la volontà di vivere una vita bella. Questo significa ad esempio che non ci sono per i Greci desideri profondi da interpretare per purificarsi dal peccato o per liberarsi dalla nevrosi, ma ci sono semplicemente atti sessuali da praticare per trarne piacere nel modo giusto e nel momento giusto, in modo che si armonizzino all'intera vita sentimentale e sociale di un uomo o di una donna. Di fronte al dispositivo di sessualità che impone una decifrazione della propria identità finalizzata a un rapporto autentico con se stessi, Foucault raccoglie l'eredità dei Greci come possibilità di resistenza. E afferma: "Ciò di cui i Greci erano preoccupati, il loro tema dominante, consisteva nella costituzione di un'estetica dell'esistenza. Ebbene, mi chiedo se il nostro problema oggi non sia in qualche modo simile al loro, dal momento che la maggior parte di noi non crede più che l'etica possa essere fondata sulla religione, e dato che non vogliamo un sistema legale che interferisca con la nostra vita privata, morale e personale. I recenti movimenti […] soffrono per il fatto di non riuscire a trovare un principio sul quale fondare l'elaborazione di una nuova etica. Essi hanno bisogno di un'etica, ma non riescono a trovare altra etica se non quella che si fonda sulla cosiddetta conoscenza scientifica di ciò che è il sé, di ciò che è il desiderio, di ciò che è l'inconscio e così via. Sono colpito da tale similarità di problemi."

L'etica greco-romana, da cui secondo Foucault possiamo cogliere dei suggerimenti, è un'etica della cura di sé: etica che prescrive di prendersi cura in modo autonomo di sé stessi: di nutrirsi in modo salutare, di praticare sport, di praticare sesso in modo che dia un sano piacere, di meditare sulle proprie azioni passate in modo da compiere le scelte giuste in futuro. E giuste sono le scelte che permettono di essere padroni di sé, cioè di essere liberi e non sottomessi alla volontà di altri. L'antichità ci suggerisce la possibilità di un'etica che non sia centrata sul problema dell'autenticità, della corrispondenza delle proprie azioni a un'identità già data che dobbiamo solo riconoscere e ascoltare, ma su quello della creatività. "Dall'idea che il sé non ci è dato - scrive Foucault - penso che si possa trarre una sola conseguenza pratica: noi dobbiamo creare noi stessi come un'opera d'arte."

E quando si è artisti di se stessi, si dà a se stessi la propria regola, e non si accettano leggi preconfezionate. Questo non significa che la cura di sé sia un lavoro solitario ed egoistico: è anzi un lavoro che coinvolge gli altri in una ricerca, in un confronto, in uno scambio continuo, ma mai cercando regole valide sempre e per tutti. Come in quella ricerca che voi fate qui assieme ad esempio, riflettendo sull'erotismo lesbico, cioè sul piacere che una donna può dare a un'altra donna, e sulle relazioni che a partire dal piacere le donne possono costruire assieme. È questo ciò che Foucault intende quando in un'intervista del 1981 alla rivista Gai pied afferma che dobbiamo sforzarci a divenire omosessuali, e non ostinarci a riconoscere che lo siamo. Cito: "Cosa di cui bisogna diffidare è la tendenza a riportare la questione dell'omosessualità al problema 'Chi sono io? Qual è il segreto del mio desiderio?'. Forse sarebbe meglio chiedersi: 'Tramite l'omosessualità, quali relazioni possono venire stabilite, inventate, moltiplicate, modulate?'. Il problema non è di scoprire dentro di sé la verità del proprio sesso, quanto piuttosto di usare ormai la propria sessualità per raggiungere delle molteplicità di relazioni. Qui sta, senza dubbio, la vera ragione per cui l'omosessualità non è una forma di desiderio ma qualcosa di desiderabile. Dobbiamo quindi sforzarci di divenire omosessuali, e non ostinarci a riconoscere che lo siamo. È questa la direzione nella quale si sviluppa il problema dell'omosessualità, che è il problema dell'amicizia. […] L'amicizia: vale a dire la somma di tutte le cose grazie alle quali ci si può far piacere l'un l'altro. […] L'ascetismo come rinuncia al piacere gode di cattiva fama. Ma l'ascesi è un'altra cosa: è il lavoro che si fa da soli su se stessi per trasformarsi o per far apparire questo sé che per fortuna non si raggiunge mai. Non è forse questo il nostro problema oggi? L'ascetismo è stato congedato. Sta a noi procedere a un'ascesi omosessuale che ci faccia lavorare su noi stessi e inventare, non dico scoprire, un modo d'essere ancora improbabile."

Un'ascesi omosessuale, cioè un'ascesi lesbica e un'ascesi gay. A questo ci invita Foucault. E nell'intervista del 1982 a The Advocate il riferimento a un'ascesi lesbica, alla sperimentazione delle lesbiche sul proprio piacere, è esplicito. Di nuovo Foucault ci invita a interpretare la nostra identità creativamente, come processo che favorisce nuovi rapporti sociali e nuovi rapporti basati sul piacere sessuale. Perché se invece il problema diventa quello di "svelare" la propria identità, e di farne la legge della propria esistenza; se ci poniamo incessantemente la domanda "questa cosa è conforme alla mia identità oppure no?", si rischia di non andare molto lontano, e di tornare "a un'etica molto vicina alla virilità eterosessuale tradizionale". Dobbiamo invece assumere l'identità come un gioco, e rinunciare a essere sempre uguali a noi stessi: "non dobbiamo escludere l'identità se è tramite questa identità che le persone trovano il loro piacere, ma non dobbiamo considerare questa identità come una regola etica universale." E quello che Foucault chiama "il ghetto sado-maso di San Francisco" è per lui un esempio di questo gioco d'identità: esempio di una comunità che si è costituita un'identità attorno al piacere. Spesso dall'isolamento, persino dall'esclusione, dal separatismo, appunto, vengono risposte e sfide che resistono al potere diffuso nella società. È qui che Foucault parla del movimento lesbico, e nomina un'autrice femminista, Lillian Faderman. Cito: "Per quanto riguarda il movimento lesbico, direi […] che il fatto che, per secoli e secoli, le donne siano state isolate nella società, frustrate, disprezzate in mille modi ha dato loro una reale possibilità di costituire una società, di creare un certo tipo di rapporto sociale tra di loro, al di fuori di un mondo dominato dagli uomini. Il libro di Lillian Faderman, Surpassing the Love of man, è, a questo proposito, molto interessante. Esso pone una domanda: quella di sapere quale tipo di esperienza emotiva, quale tipo di rapporti siano possibili in un mondo in cui le donne non avevano nessun potere sociale, legale o politico. E la Faderman afferma che le donne hanno utilizzato questo isolamento e questa assenza di potere." Foucault prosegue poi considerando il sado-masochismo lesbico come una pratica di resistenza: "Mi sembra interessante che il sado-masochismo permetta di sbarazzarsi di numerosi stereotipi della femminilità che sono stati utilizzati nel movimento lesbico - una strategia che il movimento lesbico aveva elaborato nel passato. Questa strategia si fondava sull'oppressione di cui erano vittime le lesbiche, e il movimento la utilizzava per lottare contro questa oppressione. Ma è possibile che, oggi, queste armi, questi strumenti siano superati. È evidente che il sado-masochismo lesbico tenta di sbarazzarsi di tutti i vecchi stereotipi della femminilità, degli atteggiamenti di rifiuto degli uomini, ecc."

Parole difficili da capire perché troppo sintetiche, che forse voi sapete interpretare meglio di me perché conoscete la storia del movimento lesbico che io non conosco. So, invece, che ciò che a Foucault affascina del sado-masochismo è che esso è testimonianza di una erotizzazione degenitalizzata: è ricerca di piacere attraverso parti insolite del corpo ed assieme è erotizzazione del potere che però permette sempre il rovesciamento dei ruoli, e consente di sperimentarsi in situazioni differenti: talvolta di dominio, talvolta di sottomissione. Il sado-masochismo diventa forma di resistenza al dispositivo di sessualità in quanto pratica creativa, che si muove sulla supericie dei corpi e che non cerca verità profonde a cui ricondurre i propri comportamenti sessuali, in quanto gioco che non ubbidisce a leggi universali, e in cui le regole vengono contrattate ogni volta.

Ma il sado-masochismo è solo una delle pratiche in cui un libero uso dei piaceri può prendere forma. L'invito di Foucault è di inventare sempre nuove forme di piacere, e di sperimentare nuovi modi in cui declinare le nostre identità. Non possiamo semplicemente sbarazzarci delle nostre identità: non possiamo negare volontaristicamente di vivere in un mondo che funziona attraverso le polarizzazioni uomo-donna, eterosessuale-omosessuale, e che fa dell'identità sessuale l'asse portante dell'identità personale, il perno attorno a cui ruota buona parte delle nostre problematizzazioni morali. Ma dobbiamo liberarci da quel dispositivo che legge i nostri comportamenti come già tutti scritti nella nostra identità come in una natura, e imparare dai Greci a costruire la nostra identità giorno per giorno - anche la nostra identità di lesbiche e di gay - utilizzandola come una fonte inesauribile di piacere, e come occasione per stabilire nuove forme di amicizia.

Come dire che questo luogo che voi avete costruito, luogo di donne che oggi ospita anche gli uomini, è un luogo foucaultiano. Luogo che rovescia gli schemi consolidati di potere tra i sessi: luogo che rende me - uomo - vostro ospite, e che mi fa parlare con emozione e con cautela, timoroso del vostro giudizio di donne. Luogo che si situa in un "non-si-sa-dove", che fa capolino fuori dal dispositivo di sessualità verso una meta che non è mai data, attraverso una ricerca del piacere libera e creativa, attraverso una riflessione che è meditazione. Attraverso una riflessione, cioè, che nella parola e nell'ascolto ci trasforma, e non ci fa essere più gli stessi rendendoci sempre disponibili a cambiare di nuovo. L'augurio che vi rivolgo è allora proprio di uscire cambiate, rinnovate, trasformate da questi tre giorni di convegno: non liberate ma più libere, cioè capaci di inventare qualcosa di nuovo da cui trarre piacere. E per avermi incluso in questo luogo, per avermi voluto compagno delle vostre meditazioni - scelta per nulla scontata, scelta libera a cui non eravate certo obbligate - io, maschio che cerca di esporre il pensiero di un altro maschio in un luogo di donne, ospite emozionato contento di essere qui ma che un po' vorrebbe essere altrove, vi ringrazio davvero.

Lorenzo Bernini