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Il principio dell'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini dovrebbe essere uno dei valori fondanti della convivenza civile, ed è giustamente sancito dall'articolo 3 della costituzione italiana ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"). Se in uno Stato questo principio non è rispettato, tutti i suoi cittadini sono in pericolo, anche quelli che rispetto ad altri godono di privilegi, perché di fatto ognuno è leso nella propria libertà di essere diverso da ciò che al momento è. Dopo il crollo del muro di Berlino un pensiero che voglia ancora dirsi comunista non può non riflettere su ciò che è stato il socialismo reale, e non può non assumere il principio della cittadinanza integrale all'interno della tematica della rivoluzione sociale: se vogliamo intendere il comunismo del futuro come comunismo democratico, non possiamo che accogliere l'uguaglianza giuridica tra i principi fondanti della nostra pratica politica di comunisti.
In nome di un'uguaglianza giuridica che ancora non c'è il movimento lesbico e gay italiano negli ultimi anni ha scelto di finalizzare le proprie battaglie alla richiesta di una legge antidiscriminatoria, che protegga lesbiche e gay da offese e soprusi nelle scuole e nei luoghi di lavoro, e di una legge sulle Unioni Civili che garantisca alle coppie omosessuali alcuni dei diritti di cui godono le coppie eterosessuali unite dal matrimonio. Una scelta necessaria, ispirata a un principio universale, volta non solo alla rivendicazione di diritti per le coppie omosessuali, ma anche all'allargamento dei diritti delle coppie di fatto (non "di matrimonio") eterosessuali. Una richiesta che purtroppo per il momento non è stata ascoltata: se in Francia la maggioranza di centro sinistra ha istituito i PACS (Patti di Solidarietà Sociale, che equivalgono alle unioni civili), in Italia la sinistra maggioranza di centro non ha neppure tentato di discutere un disegno di legge sulle unioni civili, e ha abortito la legge discriminatoria che pure aveva "promesso" alle associazioni omosessuali. In compenso la giunta destro-ciellina della Regione Lombardia ha partorito una bruttissima legge sulla famiglia che considera il concepito soggetto giuridico e che, finanziando la famiglia tradizionale, di fatto penalizza i singoli e le coppie che al matrimonio non vogliono o non possono accedere. E intanto il Vaticano mette in discussione il diritto di lesbiche e gay di manifestare il loro orgoglio per le vie di Roma. Il cammino per l'effettiva affermazione dell'uguaglianza giuridica dei cittadini omosessuali in Italia è quindi tutt'altro che compiuto, e le lotte delle associazioni omosessuali a tale scopo non devono smettere di essere rafforzate e riattualizzate.
Tuttavia la stesse associazioni dovrebbero anche interrogarsi su tutti i significati di queste lotte, e sui pericoli che ogni acquisizione di "uguaglianza" comporta sul piano dell'affermazione delle "differenze". A nostro avviso lesbiche e gay possono attribuire un senso alla propria discriminazione, interpretandola anche come possibilità di trasformazione sociale e non solo come richiesta di normalizzazione: troppo spesso l'esigenza dei singoli di sentirsi "normali" impedisce di mettere in discussione l'esigenza della società di normare i comportamenti normalizzando gli individui, plasmandone le esigenze e i desideri. Neppure gli eterosessuali vivono nel migliore dei mondi possibili: e nel momento in cui gli omosessuali chiedono uguali diritti, non devono rinunciare a contestare i pericoli di questo mondo. Perché uno Stato che considera la famiglia sua agenzia privilegiata di erogazione di educazione e di assistenza (e che considera le donne agenti di tale erogazione) rischia di dimenticare i diritti dei singoli: dare soldi alle famiglie in difficoltà, prevedere quote nell'assegnazione delle case popolari per le famiglie può essere un passo verso l'affermazione del principio di sussidiarietà dello Stato e verso lo smantellamento progressivo dello stato sociale: "che sia la famiglia ad occuparsi dei malati, dei bambini, degli anziani, e chi ha fatto la scelta scellerata di restare single si arrangi (e usufruisca delle vestigia di uno stato sociale che diventa elemosina per i disperati)!"
Poter accedere all'istituzione matrimoniale (e non solo a una sua versione più "snella" come le unioni civili o i PACS) sarebbe sicuramente una conquista per lesbiche e gay, ma comporterebbe anche il rischio di una perdita di "fantasia" o di "creatività" relazionale: spesso o quasi sempre le associazioni omosessuali dichiarano di non volere sovvertire la famiglia tradizionale: speriamo che dicendo questo aspirino almeno a cambiarla. Perché il matrimonio finora ha significato non solo garanzia di diritti di coppia (purtroppo a discapito di quelli dei single) ma anche oppressione dell'uomo sulla donna e dei genitori sui figli. Mentre rivendicano il proprio diritto d'accesso al matrimonio, a nostro avviso le coppie omosessuali non devono smettere di rivendicare la propria specificità di coppie "diverse", che nel non poter e nel non voler riprodurre al proprio interno una polarizzazione dei ruoli maschile e femminile, scelgono di non riprodurre neppure le dinamiche relazionali di dominio e oppressione che a tali ruoli culturalmente si accompagnano. Mentre rivendicano il proprio diritto alla maternità e alla paternità, lesbiche e gay non possono dimenticare l'oppressione che le proprie famiglie d'origine hanno esercitato sullo sviluppo della propria personalità e della propria sessualità, e devono anzi affermare con forza di voler interpretare il proprio desiderio di fare figli in modo più libero e rispettoso dei diritti dei bambini. E in particolare i gay, ricordando le relazioni che intercorrono tra omofobia e oppressione di genere, devono interrogarsi sul senso del desiderio di avere figli "biologicamente" propri: la paternità deve per forza passare attraverso il proprio sperma e il proprio sangue? E attraverso il corpo-incubatrice di una donna? Alla coppia gay inglese che ha "partorito" una coppia di gemelli affittando l'utero di una donna americana, noi chiediamo se non sarebbe stata una scelta d'amore più forte adottare due orfani e magari offrire denaro a un'associazione per le ragazze madri piuttosto che pagare una donna consenziente ma evidentemente bisognosa per sopportare il peso di una gravidanza gemellare di figli non suoi.
"Noi vogliamo tutto", dicevano un tempo le femministe. E oggi lesbiche e gay fanno bene a volere tutto. Ma siamo sicuri che l'accesso al matrimonio, all'adozione e alla procreazione assistita sia "tutto"? "Tutto" è anche non rinunciare a inventare relazioni nuove, diverse da quelle etrosessuali, e inventare nuovi modi per declinare la propria maternità e paternità; è anche sperimentare nuovi nuclei familiari, nuovi modelli di convivenza e cercare espressioni più consapevoli e libere della propria affettività. È anche, ad esempio, affermare che la coppia non è l'unica soluzione positiva di una vita, e che si può essere anche felicemente single; che l'amore non ha espressione solo nella coppia tradizionalmente intesa, ma che possono esistere relazioni diverse ma ugualmente intense; che ad esempio l'amicizia tra donne e uomini contiene potenzialità di libertà che troppo spesso una società organizzata per coppie tende a misconoscere.
Non dobbiamo dimenticare la storia recente: sicuramente la "moda" della ricerca di stili di vita alternativi degli anni '70 ha registrato eccessi e fallimenti, ma ha anche rinnovato la vita delle persone e ha migliorato la vita delle donne. Come le distopie del socialismo reale non devono trattenerci dal desiderio utopico (nel senso che ancora non ha luogo) di un mondo migliore e dalla critica del mondo attuale, così i fallimenti di una "fantasia" che al potere non è andata mai non devono impedirci di fantasticare di nuovo, fantasticare magari non di prendere il potere, ma perlomeno di resistere al potere che c'è, a partire da noi stessi, dalle nostre relazioni, dalle nostre vite. A partire anche dalle relazioni e dalle vite di lesbiche e gay.
Lorenzo Bernini
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