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Nell'estate 1998 alla festa di Liberazione di Milano il Gruppo di Liberazione Omosessuale (G.L.O.) di Rifondazione Comunista organizzò un dibattito con Nichi Vendola e Titti de Simone. Tra le varie cose che dicemmo allora emerse l'esigenza per noi omosessuali, per costruirci come comunità dotata di una propria identità politica, di conservare la memoria del nostro passato, e di imparare a produrre la nostra storia.
Ecco, è un po' come se il libro di Gianni Rossi Barilli "Il movimento gay in Italia" (Feltrinelli, lire 13000) nell'attesa che qualcuno scriva anche una storia del movimento lesbico- da un lato desse una prima risposta a questa nostra esigenza, e dall'altro un po' ci provocasse e ci interrogasse: che cosa infatti vogliamo farcene adesso di questa storia? Quali prospettive si aprono per il futuro? O meglio: quali prospettive vogliamo aprire per il futuro?
Per porci queste domande, e per cercare di darci delle risposte, questo libro è uno strumento utile e prezioso per tutti, ma in particolare per chi non ha vissuto il trentennio di lotte che qui sono raccontate e vuole capire da dove noi omosessuali siamo partiti, dove siamo arrivati, come la nostra storia si sia svolta intrecciandosi con il resto della storia Italiana -il '68, la morte di Pasolini, le battaglie per aborto e divorzio, il '77, gli anni '80 con l'AIDS, gli anni '90 con al potere prima Berlusconi e poi il centro-sinistra- e per capire a che punto di questa storia si inserisce chi oggi entri a far parte di questo movimento, o chi oggi -dopo che per decenni i partiti italiani, ad eccezione del partito radicale di Pannella, hanno posto sotto censura la questione omosessuale- scopre la necessità per qualsiasi progetto politico volto alla liberazione degli uomini e delle donne di assumere anche le istanze della liberazione gay e lesbica.
Gianni Rossi Barilli sembra pensare che "il punto" cui la storia del movimento gay è arrivata oggi sia in realtà un punto difficile e critico: le conclusioni del libro sono piuttosto amare. Gli ultimi paragrafi si intitolano infatti "Venti di crisi" e "Divisi si perde": passati gli anni della contestazione con la loro effervescenza politica e culturale, il mondo gaylesbico sembra non essere riuscito a costruire un progetto unitario e forte. La politica di lobby dell'Arcigay non ha dato grossi risultati: nessun parlamentare è stato eletto come espressione del movimento gaylesbico (anche se Rifondazione Comunista può vantare l'unico deputato dichiaratamente gay: Nichi Vendola), la "sinistra" al potere sembra preferire l'alleanza con i cattolici alla difesa dei diritti degli omosessuali e non essere assolutamente intenzionata a discutere una legge sulle unioni civili; e anche la tanto attesa legge antidiscriminatoria sembra per il momento restare un miraggio. E intanto le lesbiche escono da quella che un tempo era Acigay-Arcilesbica dando vita ad Arcilesbica, e nel movimento alcuni gruppi contestano la linea di Arcigay e organizzano manifestazioni autonome nella giornata dell'orgoglio gay (il 28 giugno): 30 anni di movimento non sono riusciti a sanare, ed in alcuni casi hanno esasperato, frammentazioni e divisioni che del resto erano presenti fin dalla nascita del movimento stesso. E se la società civile appare oggi più aperta di un tempo alle persone omosessuali, l'interpretazione che di tali progressi dà Gianni Rossi Barilli è piuttosto amara: "probabilmente, se oggi può capitarci di vedere due ragazzi che si scambiano tenerezze in metropolitana, lo dobbiamo più a Calvin Klein e Armani che all'Arcigay".
La severità di giudizio di questo libro non deve, a nostro avviso, tradursi in un atteggiamento di pessimista nostalgia verso un vicino passato in cui le associazioni omosessuali sembravano almeno "litigare un po' meno" e riuscivano almeno a fare manifestazioni unitarie. Dobbiamo invece pensare -guardando anche al passato e alle manifestazioni unitarie- che questa frammentazione può diventare forza, se riesce una operazione di ricomposizione delle specificità di ogni gruppetto, ad esempio in previsione di quello che sarà il nostro controgiubileo, cioè la manifestazione mondiale dell'orgoglio gaylesbico a Roma per il 28 giugno del 2000. Le divisioni del movimento possono essere interpretate anche in una prospettiva più ottimista: è come se i militanti del movimento gay lesbico e transessuale si fossero dispersi, diffondendosi e proliferando in vario modo nella società, e tentando di contaminarla con modalità diverse: con associazioni di lobby che tentano di candidare esponenti del movimento alle elezioni, con associazioni che si riconoscono in una linea "normalizzatrice", e che puntano esclusivamente a una battaglia per le unioni civili, con altre che invece vedono nell'omosessualità un'occasione di deflagrazione di un ordine sociale -questa è la posizione del G.L.O.-, con gruppi interni ai partiti, e con gruppi tematici rivolti al sociale, con gruppi legati al separatismo di genere ed altri che lo rifiutano Non ci siamo divisi solo per litigare, ma anche per elaborare e sperimentare strategie differenti. In una intervista a "The Advocate" del 1984, Michel Foucault sostiene che una delle cose più evidenti dopo l'ultima guerra, è il fallimento di tutti i programmi sociali e politici: ci siamo accorti che le cose non si realizzano mai come le descrivono i programmi politici, e che i programmi politici hanno sempre, o quasi sempre, condotto all'abuso di un blocco sull'altro. Foucault aggiunge che una delle realizzazioni degli anni sessanta e settanta è proprio che certi modelli istituzionali sono stati sperimentati e modificati senza programma. Ma senza programma non significa senza capacità di pensare: non avere un programma può essere anzi molto utile, molto originale e molto creativo, se si ha comunque una riflessione molto profonda su quello che accade. Ecco: forse tutte le nostre divisioni, il nostro elaborare e sperimentare strategie differenti senza avere un programma unitario, forse tutto questo può renderci deboli, ma può renderci anche forti se sappiamo cogliere la sfida di questa proliferazione e dispersione omo/trans-sessuale, cioè se sappiamo lavorare assieme sugli obiettivi comuni, e poi da soli sugli obiettivi non condivisi, e soprattutto se sappiamo rivolgerci -insieme- agli altri, cioè agli eterosessuali, e se sappiamo costruire alleanze con altri soggetti politici: se sappiamo convincerci e convincere che l'omofobia non riguarda solo chi dell'omosessualità fa l'asse portante della propria identità, ma è un dispositivo che riguarda tutti, che priva tutti di libertà, anche quelli che ci discriminano. Perché la liberazione omosessuale e sessuale in genere riguarda tutti; lesbiche, gay, transessuali, ma anche donne e uomini eterosessuali, e le nostre lotte scaturiscono da meccanismi di potere e resistenza che riguardano tutti, e si ispirano a valori che si rivolgono a tutti.
Quindi alla domanda che la severità di Gianni Rossi Barilli ci pone -che fare?- potremmo rispondere: benvenga la nostra frammentazione in micro-comunità anche in parziale disaccordo tra loro, purchè assieme al momento opportuno si riesca a collaborare, e ad uscire da queste micro-comunità, che sono utilissime ma che ci stanno anche un po`strette, e a rivolgersi insieme anche agli altri, cioè agli eterosessuali ma anche agli altri gay, alle altre lesbiche e agli altri transessuali, quelli e quelle che non fanno politica, ma che frequentano bar o discoteche per persone omosessuali, o che semplicemente se ne stanno chiusi nelle loro case. Per questo credo che a Milano oggi possiamo essere soddisfatti, perché abbiamo costituito il coordinamento Arcobaleno lesbico gay trans che mette assieme tutte le realtà che fanno politica omosessuale e transessuale a Milano -arcitrans, arcigay, arcilesbica, collettivi donne milanesi, i cattolici del Guado, gaylib, il coordinamento ds, il G.L.O. di rifondazione, i verdi, il collettivo universitario joy-; e possiamo essere soddisfatti perchè con l'azione compiuta dall'Arcobaleno ad esempio per la manifestazione del 25 Aprile 1999 ci siamo avviati verso la direzione che abbiamo indicato sopra: abbiamo prima fatto un volantinaggio massiccio nei "locali" per tentare di raggiungere gli "altri" gay lesbiche e transessuali, e poi siamo riusciti a prendere la parola in una manifestazione che non riguarda solo noi, ma che riguarda tutti, anche le donne e gli uomini eterosessuali.
Ciò che sostiene Foucault in quella stessa intervista, è che il potere non é solo una forza negativa, ma anche una forza produttiva: il potere è ovunque, e dove c'é potere c'è resistenza, e la resistenza non si situa mai in una posizione esterna rispetto al potere. Ciò non significa che siamo sempre intrappolati, ma che ci troviamo sempre in una posizione strategica gli uni nei confronti degli altri. Ad esempio come omosessuali siamo in lotta con le istituzioni e con la morale dominante, e chiaramente in questa lotta non c'è una posizione simmetrica: ma resta il fatto che partecipiamo a questa lotta. Non siamo in trappola, ma siamo sempre in questa situazione, il che significa che abbiamo sempre il potere di cambiarla. Non possiamo metterci al di fuori di questa situazione, cioè non dobbiamo limitarci a dire "no", perché dire "no" è la forma minima di resistenza, perché in nessun posto -non nei locali per persone omosesuali, non all'interno delle nostre associazioni- possiamo essere liberi da ogni rapporto di potere. Questo non significa che siamo sempre in trappola, ma al contrario che siamo sempre liberi, e che se accettiamo le sfide del potere esiste sempre la possibilità di trasformare le cose.
Ma queste sfide vanno accettate: dobbiamo metterci in gioco, sperimentare tattiche diverse, accettare patteggiamenti e compromessi: ciò non significa affatto perdere radicalità, perché anzi spesso si rischia di perdere radicalità quando ci si limita a dire "no", se questo "no" non sposta di un millimetro la nostra posizione nei rapporti di potere e risulta essere funzionale allo status quo. Ecco allora che forse la frammentazione del movimento, il nostro disperderci nella società, nei partiti politici, addirittura nelle chiese può aiutare un processo di contaminazione del mondo con i nostri valori, di piccoli e impercettibili spostamenti nei rapporti di potere attraverso modalità diverse. Ed ecco allora che forse una esperienza come quella dell'Arcobaleno, e un modus operandi come quello sperimentato dall'Arcobaleno potrebbero davvero risultare preziosi.
Lorenzo Bernini
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