Il mito del Che

di Giovanni Sole

1. Ernesto Guevara de la Serna, detto "Che", è l'eroe del XX secolo (1).

La figura dell'eroe è un archetipo (2). Come tutti gli eroi, il Che combatte contro il mostro che affama e inghiotte la povera gente, compie imprese meravigliose che suscitano stupore e ammirazione, rinuncia, in nome di una giusta causa, alla tranquillità, per affrontare sacrifici e pericoli, acquista via via una saggezza, una nobiltà e una forza d'animo che lo fanno apparire come un profeta e una guida.

E' possibile ravvisare delle costanti antropologiche negli eroi, ma è certo che questi nel tempo hanno assunto spesso caratteristiche diverse. Il Che, ad esempio, non è un eroe classico perchè non ha parentele con antenati divini. Non è un eroe medievale perchè non è fedele ad un re. Non è un eroe romantico perchè la sua vita non è basata solo sullo spirito. Non è un eroe moderno perchè la sua azione non si fonda sul sapere. E' un eroe storico perchè ha compiuto imprese documentate dagli uomini. E' un eroe naturale perchè simboleggia il sole che lotta contro l'oscurità. E' un eroe morale perchè rappresenta la lotta dell'uomo contro se stesso. E' un eroe universale perchè non lotta per la patria, ma per l'umanità. E' un eroe tragico perchè la sua nobiltà d'animo e i suoi ideali puri lo conducono ad una morte prematura.

L'eroe, diverso dagli altri uomini grazie alle sue qualità non comuni, diventa tale solo se rientra nell'immaginario collettivo del suo tempo.

Non sono in grado di dire quale sia l'idea di eroe per l'uomo del XX secolo. Sembra però evidente che certe caratteristiche del "guerrigliero eroico" siano diverse da quelle degli eroi del passato.

Il Che non è mostruoso o amorale come Ercole, ma piuttosto bello e puro; non combatte contro altri esseri sovrumani, ma contro uomini normali; non uccide i nemici per appropriarsi della loro forza e delle loro qualità, ma per costruire un uomo nuovo.

Sul piano dell'etica, il Che somiglia più ad un santo che ad un eroe. Nessun altro individuo è riuscito ad incarnare in modo così completo ed esemplare la mentalità e la sensibilità dell'uomo cristiano. Egli appare come una figura ideale, modello di virtù superiori, emblema dell'amore disinteressato per l'umanità.

La vita di un eroe non riflette però la realtà in cui vive. Il Che è un uomo del suo tempo, ma se ne allontana. Per molte cose somiglia più a Prometeo che a Giobbe. Lotta contro il nemico che abita nel mondo e dentro di sè, affronta con tenacia l'avversario, si sente unico responsabile delle proprie azioni, ammette le proprie contraddizioni, si sacrifica per l'umanità affermando la grandezza dell'uomo invece di quella di Dio.

Gli eroi prodotti dall'uomo moderno stanno in stretto rapporto con la realtà circostante, ad essa estremanente funzionali e, per questo motivo, eroi di carta o di celluloide (3). Creati spesso dalla fabbrica dei miti, sono eroi effimeri, ad uso e consumo, sostituiti da altri secondo il bisogno.

Il Che è un eroe complesso. E' un santo cristiano e un eroe greco allo stesso tempo (4). E' un eroe in carne e ossa, un eroe umano, un eroe "filosofico".

La sua figura crea gravi conflitti (5) alle coscienze lacerate e inaridite dei suoi contemporanei, dai quali è nel contempo temuto e amato. Temuto perchè rimprovera loro di vivere in un modo innaturale e perchè mette in discussione l'ordine delle cose; amato perchè combatte quelle norme che snaturano l'essere e mette in luce valori essenzialmente umani.

Il rivoluzionario argentino è un eroe epico e tragico, un esempio di speranza e di sconfitta. Il Che che, insieme alla sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara e che poco dopo arriva come un liberatore all'Avana, è un eroe epico. E' tale perchè i suoi ideali non sono legati alla morte, ma alla vita, perchè dopo un lungo isolamento sulle montagne, ritorna nella società dove porta un soffio di fiducia e di felicità, perchè al suo nome e a quello di altri compagni sono legate imprese eroiche e leggendarie, perchè la rivoluzione cubana ha segnato un'epoca e si iscrive nella memoria storica come un evento grandioso. Il Che, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana e colpito a morte nella scuola di Higueras, è un eroe tragico. E' tale perchè la sua vita è contrassegnata da un crescendo di sofferenze, perchè consapevolmente va incontro al suo destino, perchè insieme a lui muoiono i grandi ideali per cui si era battuto, perchè la sua è una nobile morte.

Gli atteggiamenti degli uomini rispetto al Che sono spesso di natura diversa. A volte egli viene ignorato, a volte viene criticato, a volte preso a modello. Più passa il tempo, più la sua figura diventa un groviglio di realtà e di immaginazione, viene deformata e reinventata. Era un combattente ed è diventato un profeta, era un ateo ed è diventato un santo, era un uomo ed è diventato un eroe, era un razionale ed è diventato un utopista, era contro la mercificazione ed è diventato quasi una merce. Espressione di una volontà di lotta collettiva del suo tempo, guerrigliero insieme a molti compagni che, come lui, caddero eroicamente in battaglia, viene sottratto alla storia e considerato un eroe solitario, un cavaliere errante che sogna di cambiare il mondo e se stesso.

Il dono del Che all'umanità non viene letto nella sua vera essenza, e cioè come il desiderio di dare valore all'esistenza degli altri per dare valore alla propria, come il bisogno di superare l'immediatezza del vivere, di illuminare una natura umana che si sta spegnendo, come il tentativo di distruggere quelle regole che snaturano l'umano, di combattere le tentazioni del nulla e trovare un ethos valorizzante (6). La sua vita non viene vista come frutto di un processo storico, sociale e umano, ma religioso, mistico e soprannaturale; in essa non si ravvisa un atto d'amore, ma un atto di fede.

Il Che è una figura tragica, espressione del pensiero tragico. Un uomo che, nel conflitto con forze superiori a lui, viene sconfitto ma non completamente annientato, che rimane vittima di un destino ingiusto, ma che impone un ethos a vincitori e vinti. Svincolato dal tempo e dallo spazio, diventa una parola e una figura, un sole nascente che dissipa le tenebre, un'araba Fenice, simbolo della resurrezione, un Don Chisciotte che lotta contro le ingiustizie. Se lo si sottrae alla storia e lo si consegna al mito, si nega la complessità della sua vita, si sopprime ogni dialettica, si elimina ogni profondità. Gli uomini tendono a non essere attratti dall'oggetto della sua vita, la rivoluzione, ma da lui stesso, ad ammirarlo non come un artista della guerra di guerriglia, ma come un'opera d'arte.

Più passa il tempo, più il mito del Che sembra vincere sulla storia. Se avvenisse il contrario probabilmente la sua leggenda morirebbe. Un simbolo completamente conosciuto, penetrato nei suoi significati più profondi, finirebbe per scomparire. Un simbolo compreso e riconosciuto solo parzialmente, svuotato dei suoi contenuti storici, conserva invece la sua esistenza (7).

Con il trascorrere del tempo la figura del Che viene reinventata in un discorso di narrazione mitica, ma la storia sembra non volere stare a guardare, mostra di volere ingaggiare con questa un'aspra lotta. Il mito segue con pazienza il processo di "depoliticizzazione", ma la spinta rivoluzionaria del Che, poichè spinta del fare e dell'agire, come dice Barthes, non si presta molto ad una lettura mitica (8). La storia del "guerrigliero eroico", inoltre, non appartiene ad un passato remoto in cui gli dei si confondevano con gli uomini (9), ma è storia di oggi; le sue idee, le sue tensioni ideali e i suoi desideri sono ancora drammaticamente attuali, molti uomini oggi, in diverse parti della terra, stanno ripercorrendo il suo itinerario umano e politico. L'eroe dei contemporanei, infine, afferma Merleau Ponty, non è nè un Lucifero nè un Prometeo, ma è l'uomo (10) e il rivoluzionario argentino è, come dice Sartre, l'uomo più completo del XX secolo (11).

 

Ernesto Guevara è un mito (12). Nonostante la sua esistenza sia stata breve, egli ha una fama non comune; pochi altri sono riusciti a lasciare una impronta così forte nella memoria collettiva dei popoli di tutto il mondo. Nella famosa foto di Alberto Diaz Gutierrez, più conosciuto come Korda, lo si vede col basco con la stella a cinque punte, un giubbotto di pelle, i capelli lunghi e lo sguardo rivolto verso un orizzonte immaginario. Milioni di uomini, in ogni luogo della terra, ancora oggi alzano al cielo i cartelli e le bandiere con la sua immagine, amano ricordarlo dedicandogli racconti, poesie, canzoni e filmati.

Il Che è l'eroe del XX secolo. Se è vero che il suo mito può riflettere lo spirito del suo tempo, ma non è detto però che l'eroe debba rispondere solo ai bisogni della sua epoca; spesso anzi egli diventa tale proprio perchè riesce ad interpretare istanze diverse da quelle della sua civiltà (13).

Il rivoluzionario argentino ha molte caratteristiche degli eroi del passato (14), ma allo stesso tempo se ne differenzia. Forse è proprio questa una delle ragioni del suo successo e della fama universale, è per questo che ognuno lo vede in modo diverso: come un guerriero, un asceta, un intellettuale, un profeta, un avventuriero, un romantico, un sognatore, un utopista, un rivoluzionario o addirittura come un santo.

In genere chi è un eroe per i pezzenti, non è considerato allo stesso modo dai re, ma il Che, guerrigliero comunista, è ammirato da uomini e donne di tutto il mondo a prescindere dalla condizione sociale, dalle convinzioni politiche o dalla razza.

Le ragioni per cui il Che è un eroe universale sono molteplici, ma quella principale consiste nel suo essere un uomo della storia. L'eroe, in genere, è una figura atemporale. Gli uomini la fissano nella mente e la tramandano senza pensare se le cose che si riferiscono alla sua esistenza siano vere o false; custodiscono il suo ricordo reinventandolo. In quanto eroe, il Che è anch'egli frutto dell'immaginazione, ma nel suo caso abbiamo migliaia di fotografie, di filmati, di pubblicazioni, di testimonianze di ogni genere, che ci danno informazioni sulla famiglia, l'infanzia, gli studi, i viaggi, gli amori, le amicizie, gli stati d'animo, le idee e le scelte di vita. La realtà, a volte, sembra superare la leggenda, la storia il mito.

L'ingente mole di materiale documentario ci mostra il suo essere eroe, ma anche il suo essere uomo, il suo coraggio ma anche le sue debolezze, i suoi pregi ma anche i suoi difetti, le sue verità ma anche i suoi errori.

Le contraddizioni umane del Che, invece di inficiarne il mito, lo hanno rafforzato. Gli uomini hanno bisogno di eroi, che però siano allo stesso tempo anche uomini, persone a cui rivolgersi per far fronte a problemi irrisolvibili, ma nelle quali potersi pure rispecchiare. La storia del Che assume l'aspetto di una vicenda non comune, ma essenzialmente umana, ed è forse proprio questo ad esaltare la sua immagine, facendola diventare eccezionale.

L'universalità della figura del Che è in relazione anche alla complessità delle idee per cui si era battuto. Era un comandante guerrigliero comunista e, in tale veste, divenne famoso tra tutti coloro che nel mondo condividevano le sue idee. Era un comunista libertario, antidogmatico e umano, e ciò lo differenziava da quei comunisti ortodossi che avevano finito per costruire dei regimi autoritari. Era anche un patriota poichè lottava per l'indipendenza di quei popoli del mondo che si trovavano sotto il dominio di altri popoli. "Patria o muerte", così concludeva i suoi discorsi, invitando a costituire eserciti di liberazione nazionale nei paesi colonizzati e dipendenti. Era però prima di tutto un rivoluzionario, cioè un uomo che combatteva ogni forma di autorità, che anteponeva l'azione al pensiero, che imbracciava il fucile contro ogni forma di sfruttamento e di oppressione, che lottava per la creazione di un uomo nuovo.

Questa caratterizzazione originale della sua vita e questa multiformità del suo pensiero, lo rendevano degno di ammirazione, anche se per ragioni diverse, in ogni parte della terra. Per un contadino boliviano il Che rappresentava un combattente contro lo sfruttamento, per uno studente francese il simbolo dell'uomo errante, per un operaio cubano un liberatore della patria; per un pastore congolese un soldato che lottava contro il colonialismo, per un piccolo borghese argentino un nemico dell'imperialismo.

La fama universale del Che è in relazione al suo essere eroe in terra straniera. L'eroe, in genere, è espressione di una comunità, in lui si realizzano nella forma più nobile le virtù ideali di una intera nazione. Concretizza, con l'agire, ciò che nella gente è solo una idea; non contraddice il popolo, ma "soddisfa e risarcisce le inadempienze della stirpe cui appartiene" (15). Esprime, con le sue gesta, una grande voglia di vivere che "si potenzia e si avvera perchè diventa capacità di morire" (16). L'eroe, con le sue imprese memorabili, nutre e arricchisce la sua gente.

Il Che era dell'idea che ci fossero uomini che, per le loro qualità umane, lasciavano una impronta forte. In quanto comunista e rivoluzionario, aveva però un'idea di eroe intimamente legata al popolo. La grandezza del singolo non aveva senso se non era inserita in un movimento collettivo. Era per una eroicità legata a quella delle grandi masse, ma, rivoluzionario in terra straniera, finì per apparire come un uomo al di sopra delle parti, che si distingueva dagli altri ed esercitava un grande fascino. Egli non combatteva per la sua patria, ma per tutte le patrie, non combatteva per la sua gente, ma per tutte le genti. La sua terra era il mondo intero e i suoi compagni tutti coloro che lottavano.

Con queste caratteristiche di guerrigliero internazionalista, finì per essere un eroe, non solo espressione della sua epoca e della sua società, ma di tutti i tempi: un eroe solitario, filosofico, aristocratico, poetico, utopico. Finì per esprimere un modello di eroismo non comune, diventò un uomo la cui grandezza morale e la radicalità delle scelte, creavano una distanza tra lui e i suoi compagni.

Il Che è un eroe universale anche perchè era un uomo errante (17). L'eroe è colui che è trascinato ai margini del mondo, perennemente in esilio, destinato ad una vita errabonda: il vagare è legato alla sua natura (18). Il Che non era diventato rivoluzionario perchè avesse in mente il comunismo (19). In lui era il viaggio a creare il mito, a fargli sorgere il desiderio di una meta. Nella sua concezione, il comunismo non si perfezionava in virtù di una spinta di ordine intellettuale, ma grazie alla vita concreta; le idee per la costruzione di un uomo nuovo non nascevano da altre idee ma dall'esperienza. Il comunista traeva dalla pratica le sue teorie e la stessa pratica poteva spesso indurlo a modificarne le posizioni. Per il Che il comunismo era un movimento reale e non una meta finale. E' il mezzo il vero scopo, il fine si trova nel mezzo, il mondo nuovo è dentro l'uomo.

Guevara errava sempre e suscitava grande ammirazione da parte di chi rimaneva fermo, ma anelava al viaggio e alla libertà (20). Egli appare come il pellegrino per antonomasia, il cavaliere errante che non riposa mai, che non trova pace, sempre alla ricerca di sé e dell'altro.

Il Che era un fiero soldato ma si fece apprezzare anche per le sue capacità intellettuali. Aveva un temperamento da guerriero, ma era un studioso sensibile, diffidava degli uomini di pensiero, ma aveva una profonda fede nella scienza, era portatore di valori utopici, ma attento conoscitore della realtà. Aveva un grande desiderio di apprendere e trascorreva molto tempo a leggere, anche in tempo di guerra. Era un uomo che sapeva comandare, ma anche obbedire, era estroso, ma anche disciplinato, orgoglioso, ma anche umile, guardava molto lontano, ma anche molto vicino. Era un sognatore, ma sognava ad occhi aperti, sapeva distruggere, ma anche costruire.

A caratterizzare il Che era anche uno spirito pratico. A Cuba egli criticava duramente quegli uomini che in guerra avevano dimostrato valore e spirito di sacrificio e che poi si mostravano fiacchi nel lavoro. Convinto dell'idea che la liberazione di ogni paese povero si sarebbe realizzata solo se si fossero create le condizioni di autonomia dal punto di vista economico, ma fortemente contrario a metodi di costruzione del socialismo che utilizzavano logiche capitalistiche, dedicò molta attenzione ai problemi del lavoro e della produzione. Sostenitore del lavoro volontario e del legame indispensabile tra lavoro manuale e intellettuale, spesso lasciava il ministero per recarsi a lavorare nelle fabbriche o nelle piantagioni.

Il Che si muoveva con disinvoltura tra la gente comune, ma sapeva stare anche fra i potenti. Capeggiò delegazioni commerciali e di governo in diversi paesi, incontrando i rispettivi capi di stato. Il mondo rimaneva colpito da quel giovane rivoluzionario che, in divisa verde olivo e col sigaro in bocca, denunciava con coraggio i responsabili delle ingiustizie sulla terra. All'Assemblea dell'ONU attaccò duramente l'imperialismo americano, responsabile della miseria nei paesi dell'America Latina e rivendicò il diritto dei popoli di impugnare il fucile. Alla Conferenza dell'Organizzazione degli Stati Americani, tenuta a Punta del Este, in Uruguay, denunciò il servilismo dei governi nei confronti dei paesi capitalisti. Al II Seminario Economico di Solidarietà Afro-asiatica, tenutosi ad Algeri, denunciò lo scambio ineguale che caratterizzava i rapporti tra i paesi socialisti e quelli del terzo mondo che si erano avviati verso la liberazione.

Il suo coraggio e il suo rigore morale affascinavano le grandi masse. Molti uomini che si facevano portavoce della povera gente, sempre pronti a criticare i compagni e a richiamarli alla coerenza rivoluzionaria, quando era il momento di scendere in campo, trovavano mille scuse per non agire. Predicavano bene e razzolavano male (21). Il Che era diverso. Diceva che bisognava combattere e prendeva il fucile.

Impressionò e commosse il mondo intero, quando, giovane ministro cubano, al culmine del suo successo e della sua fama, lasciò tutto e tutti per andare a morire in una sperduta boscaglia della Bolivia. Partì dopo avere lasciato delle lettere davvero commoventi al suo amico Fidel, ai suoi vecchi genitori e alla sua famiglia. Nessuno lo aveva costretto ad andare, anzi da molti gli era stato sconsigliato. Tutto ciò era prova della sincerità della sua coscienza e dimostrava la sua fede negli ideali che professava.

Il Che era coerente col suo essere rivoluzionario anche nella vita di tutti i giorni. L'eroe non esita quando si tratta di lottare ma, una volta raggiunto lo scopo, come compenso delle sue imprese, si concede una vita comoda, discutibile dal punto di vista della moralità (22). Guevara, invece, non utilizzava il suo prestigio per ottenere privilegi per se, la sua famiglia o i suoi amici. Non voleva un tenore di vita diverso da quello del popolo. Il suo dono all'umanità era disinteressato (23).

Tale onestà colpiva le grandi masse. Non era tanto il valore della causa espressa dal Che quello che commuoveva la gente, ma la sua purezza. La sincerità delle intenzioni si rivela nei fatti; le parole, quando non si traducono in azioni, sono sempre segno di ipocrisia. Molti si battevano coraggiosamente per cambiare il mondo, ma una volta al potere, si dimenticavano degli ideali per cui avevano lottato e vivevano una vita opposta a quella che avevano predicato. Lui era diverso: non solo parlava in modo giusto, ma viveva anche in modo giusto.

Quel giovane argentino non aveva paura di nessuno. La sua immagine si delineava come quella di un eroe che combatte per tutta la sua vita contro le ingiustizie, lo sfruttamento e ogni forma di sopraffazione. La sua vita era volta al fine di riaffermare l'umano sulla terra, di restituire agli uomini la loro dignità, di creare un uomo nuovo. Egli faceva tutto ciò che tutti vogliono, ma che pochi hanno il coraggio di fare, diceva tutto ciò che tutti pensano, ma che pochi hanno il coraggio di dire. Nella società l'obbedienza è virtù e la disobbedienza è peccato. La prima rende forti e rassicura perchè mette nella condizione di non sbagliare, perchè sono altri a decidere. Gli uomini rispettano i rappresentanti del potere, tanto che in certi periodi storici hanno attribuito loro addirittura poteri divini e taumaturgici (24). Tendono, secondo Fromm, a ripetere una situazione infantile, a vedere nei governanti persone da riverire, perchè sono convinti che vogliono il loro bene o perchè sono consapevoli che la trasgressione ai loro comandi sia sempre punita. L'uomo accetta questa condizione di obbedienza e finisce per essere contento quando, con la sua docilità, riesce ad ottenere gli elogi dei potenti. In questo atteggiamento infantile risiede una delle garanzie della stabilità sociale (25).

Il Che rifiuta questa dipendenza nei confronti dell'autorità. Sin da giovane aveva sfidato la società di cui faceva parte rinunciando spontaneamente ai diritti di cittadinanza, alle sicurezze della famiglia e ai privilegi della sua classe di appartenenza. Non aveva accettato di essere sottomesso, non aveva subito la volontà esterna, aveva ripudiato il paternalismo e i divieti. Disobbedendo all'autorità e facendo affidamento sulle proprie forze, aveva cercato di conquistare la sua libertà e quella degli altri. Manifestava un rifiuto dell'ordine, un ordine che l'umanità accetta anche se va contro i suoi stessi interessi.

Coloro che soffrono hanno bisogno di un uomo giusto che li difenda dalle forze del male, che cerchi di liberarli dalla distruzione e dalla morte, che dia loro la speranza di vivere in un mondo più giusto, che li protegga nel corso della loro esistenza. Il Che permette agli uomini di andare oltre, tenta di offrire una risposta ai problemi che tormentano l'umanità. Sull'eroico guerrigliero, grandi masse proiettano i loro desideri inconsci, le loro speranze e i loro sogni.

Non credo che la storia sia, come dice Carlyle, la "biografia dei grandi uomini" (26). Penso, al contrario, come dice Reich, che i rivoluzionari, come tutti gli eroi, siano delle piccole onde su un grande oceano che è la gran massa degli uomini (27). Il Che non è "l'indispensabile salvatore dell'epoca sua, il lampo senza di cui il legno non avrebbe mai bruciato" (28), ma è indiscutibile che la sua figura doni agli uomini una energia vitale, un alimento per la loro esistenza. L'ammirazione per gli eroi è un "rifocillarsi e rinnovarsi", è "superare le dissonanze della vita" (29). La purezza e il coraggio del Che danno una sensazione di speranza e di forza ad anime inaridite. Guardando la sua immagine, gli uomini credono che sulla terra vi siano esseri spiritualmente puri che non si piegano, che si battono contro le ingiustizie, che sono solidali con i sofferenti senza alcun tornaconto personale.

"Riposa in guerra", scrive David Fernandez nel suo Epitaffio dedicato al Che (30). Neanche da morto l'eroico comandante viene lasciato in pace. La maggioranza sottomessa, che sopporta in silenzio le ingiustizie dei suoi simili, ama quell'uomo che ha ingaggiato una lotta solitaria contro avversari invincibili. La purezza dei suoi intenti e la sua condotta colpiscono gli uomini, esercitano su di essi un fascino particolare. Ad un mondo in cui prevale il calcolo egoistico, il rivoluzionario argentino da un messaggio di speranza. La sua immagine è un incoraggiamento alla lotta e alla resistenza.

Il Che è un simbolo della rivolta, un grido di guerra contro le ingiustizie. Come tale assume vesti mitiche e naturali. Viene visto come un araba Fenice, che vola da una parte all'altra del mondo per portare la speranza, come un Prometeo che, col suo coraggio indomito, si batte contro gli stessi dei per dare agli uomini la felicità, come un Robin Hood che colpisce coloro che cercano di sopraffare gli umili.

Il Che è il simbolo della speranza, ma anche della sconfitta. La sua storia è quella degli eroi tragici, i quali, con un gruppo di uomini fidati, armati dal coraggio e dall'onestà, lottano e perdono contro forze malvage e più forti. Lanciandosi nel suo drammatico destino, sfida il buon senso fino al momento estremo in cui sarà soppresso dall'avversario. Animato dalla convinzione di lottare contro un ordine ingiusto, cade per mano di chi lo difende. Egli non annienta le forze del male e non libera gli oppressi dalla distruzione e dall'annientamento. La sua morte rappresenta la sconfitta della causa per cui si era battuto.

In quanto eroe tragico, il Che agisce ma viene anche agito. Aveva scelto di partire nonostante fosse consapevole del suo destino ineluttabile. Molti credono che a spingerlo verso il viaggio senza ritorno, oltre al suo temperamento, sia stata anche una forza alla quale non riusciva a sottrarsi. Il suo agire era frutto non solo della sua volontà, ma anche di una potenza superiore che si imponeva a lui e lo governava. A volte sembrava scegliere deliberatemente la sua sorte, altre volte sembrava esserci costretto. Il divino in lui conviveva con l'umano.

E' opinione diffusa che, per quante battaglie poteva combattere e vincere, il Che, non avendo alcuna intenzione di rinunciare ai suoi ideali e lottando contro forze invincibili, era votato ad una inevitabile sconfitta. Molti hanno detto che egli era consapevole della sua disfatta, che si preparava ad una tragica fine da lui deliberatamente scelta. Hanno detto che il suo gruppo di guerriglieri in Bolivia - cosa che emerge dal suo stesso diario - era una colonna di fantasmi, isolata dal mondo, senza possibilità di successo.

Di ciò si è discusso e si discute molto, ma la leggenda non segue i dibattiti politici. La fine del Che viene letta non in chiave storica ma in chiave mitica. Egli è un eroe tragico e l'ultimo atto della biografia di un eroe tragico è quello della partenza e della morte. In questo gesto è riassunto tutto il senso della sua vita (31).

La sua sconfitta è quella di chi cerca invano di battersi contro l'egoismo dell'uomo. Gli uomini, nel fondo del loro animo, sono fortemente pessimisti. Nel mondo dimoreranno sempre l'egoismo, la menzogna e le ingiustizie sociali; i forti vinceranno sui deboli, l'inumano sull'umano. L'umano era stato carpito agli uomini dagli dei e portato in cielo e, non appena qualcuno cercava di riportarlo sulla terra, veniva punito (32). Il Che, tentando con il suo coraggio di riaffermare sulla terra un ordine umano, si rendeva colpevole di un "furto fondatore" (33), di un sacrilegio primordiale e perciò doveva essere punito.

Gli uomini sono spaventati e attratti dal Che. Hanno paura perchè egli rappresenta una minaccia per l'ordine delle cose, perchè, con la sua vita errante, mette in discussione la loro esistenza. Provano però verso di lui una segreta attrazione perchè sognano di essere come lui, perchè, come lui, amano l'umano. Si identificano con lui, ma sono consapevoli che non possono essere come lui. Hanno però una predilezione per gli eroi che combattono in nome di una idea nobile e non riescono a realizzare i loro obiettivi. L'eroe tragico, che difende tenacemente una causa giusta che però perde, dà prova della sua onestà morale proprio perchè viene sconfitto (34) Gli uomini riconoscono la grandezza d'animo di coloro che la purezza di intenti ha condannato ad un duro viaggio verso il disastro finale. Un vero eroe diventerebbe un tiranno se non si "crocefigge da se oggi" (35), è tale perchè cade in battaglia, in nome degli ideali puri per cui si era battuto.

Il Che, proprio per la sua sincerità e il suo coraggio, era destinato alla disfatta e ad una morte prematura. Il 9 ottobre 1967 viene ucciso nella scuola di Higueras dopo essere stato catturato in un conflitto a fuoco nella Quebrada del Yuro. Ferito ad una gamba, aveva continuato a combattere fino all'ultimo. Ritratto in una foto, distribuita dall'esercito boliviano ai giornali di tutto il mondo, lo si vede disteso su una barella sopra un abbeveratoio di cemento di una stalla: ha i capelli lungi e la barba rada, il petto nudo, forato dalle pallottole e gli occhi aperti che lo fanno sembrare vivo. Intorno a lui un agente americano, un ufficiale dell'esercito, alcuni soldati e giornalisti. L'immagine ha fatto il giro del mondo e ha impressionato e commosso milioni di persone.

Quell'uomo che non si era mai sentito in pace sapendo che sulla terra c'erano fratelli che soffrivano, era stato ucciso. La sua morte è una vergogna per l'umanità. La

La leggenda e la storia raccontano che nessuno dei militari che lo avevano catturato voleva sparargli e che alla fine toccò ad un "soldatino" ubriaco porre fine alla sua esistenza. Nell'espressione degli stessi ufficiali che lo attorniano nella scuola dove è stato ucciso, non si legge quell'aria di soddisfazione, tipica di quei cacciatori di taglie che hanno abbattuto la loro preda. Quel giovane argentino, bello anche da morto, che si era addossato il dramma umano, rendeva tutti consapevoli della propria miseria e risvegliava le coscienze inaridite.

La morte del Che non è la "bella morte" degli antichi eroi (36). Il suo corpo non viene adagiato su un letto funebre, ma su una barella, non viene lavato, ma rimane pieno di polvere e di sangue, non viene offerto al compianto dei suoi familiari, ma trattenuto dal nemico, non viene conservato in un'urna e sepolto solennemente, ma mutilato e sotterrato in un luogo sconosciuto. Nonostante ciò, la sua immagine resiste, la sua figura rimane integra nell'immaginario dei popoli.

"Il Che è vivo" si grida. Il Che è vivo perchè, da uomo morto diventa immortale, perchè, sconfitto da vivo, risorge da morto. Diventando immortale, si sposta però in una dimensione trascendente. Egli non è più una figura storica, ma mitica, staccata dal suo contesto sociale, fuori dal tempo e dallo spazio. Gli uomini dimenticano che insieme a lui vi erano migliaia e migliaia di combattenti e che in diversi paesi della terra era in atto un processo di liberazione che coinvolgeva grandi masse. Il Che, isolato dagli uomini e sottratto alla storia, appare un cavaliere che erra per il mondo rincorrendo i suoi sogni. Come Don Chisciotte, il malinconico gentiluomo spagnolo, tutto chiuso nel suo mondo fantastico, cammina sul suo ronzino malfermo e macilento per difendere la giustizia, raddrizzare torti e punire i colpevoli.

Il Che continua il suo viaggio, lontano dai luoghi dove dimorano gli uomini, isolato come un guerriero che compie il suo cammino di iniziazione (37). La vita del Che si presenta come un groviglio di realtà e di immaginazione. Agli occhi degli uomini egli appare come un semidio, un eroe che esprime ideali così elevati da non potere trovare spazio in un mondo di lupi rapaci. A causa della sua vita itinerante, della sua purezza e della sua umanità, viene considerato come il portatore di un mistero sacro, come un santo sulla terra al servizio dell'umanità (38). Diventando un mito il Che diventa altro da sé. La sua immagine si carica anche di valori che non possono essere legati alla sua persona. Non immune da paure, diventa indomito, da laico diventa religioso, da mortale immortale, da uomo un eroe. Da comandante guerrigliero che vuole combattere insieme alle grandi masse per liberare l'umanità dall'oppressione e dalla miseria, viene trasformato in un cavaliere solitario che invece di adeguarsi alla realtà, ingaggia contro essa una lotta disperata.

La vita e gli ideali del Che vengono continuamente riplasmati. Il mito, dicevo, non si interessa molto di dibattiti politici o delle questioni teoriche. Nella prospettiva mitica, il viaggio del Che è visto non come un atto d'amore, ma come un atto di fede, non come un viaggio reale, ma trascendente. La sua vita non viene vista come frutto di un processo storico, sociale e umano, ma religioso, mistico e soprannaturale.

Solo un sognatore può pensare ad un mondo dove prevalga l'amore, solo un santo può amare l'umanità disinteressatamente. Questa è la concezione dominante. Il Che non era però nè un sognatore nè un santo. Quando un uomo afferma con sensibilità e coerenza l'umano, viene considerato sovrumano. Egli appare come un essere semidivino con sembianze umane. Pensando alla sua figura, gli uomini si sentono liberati dalla propria infelicità e si sentono pervasi da sensazioni così forti da sembrare quasi sovrumane. Scrive Campbell: "Con l'estendersi della visione fino ad abbracciare questo super-individuo, ciascuno scopre se stesso ingrandito, arricchito, sostenuto ed esaltato. Il suo ruolo, per quanto poco importante possa essere, gli appare intrinseco alla bella immagine gloriosa dell'uomo, l'immagine potenziale eppur necessariamente inibita, dentro se stesso" (39). Rispecchiandosi nella sua immagine, gli uomini trovano una risposta a problemi irrisolvibili, ma, così facendo, si sottraggono ai loro obblighi, che sono quelli di percorrere anch'essi la via dell'umano. Quello del Che è un insuccesso dell'umano e un successo del sovrumano.

Il Che è diventato un mito. Sembrerebbe che l'uomo di oggi non abbia più bisogno di miti per affrontare le difficoltà della vita, ma forse l'accentuata secolarizzazione ha finito per aumentare in lui un senso di precarietà, per privarlo dei punti di riferimento, per disorientarlo, impoverirlo e ridurlo in una condizione di angoscia e di smarrimento forse maggiori che nel passato. Anche nell'orizzonte culturale dell'uomo moderno c'è posto per esseri semi-divini, per simboli che lo proteggano e lo rassicurino. L'uomo di oggi sente anche lui la necessità di evadere dal mondo, di superare l'immediatezza del vivere che altrimenti lo porterebbe alla crisi, alla follia e alla morte. L'uomo di oggi, come i suoi progenitori, vuole sapere il perchè della propria infelicità, comprendere il senso del proprio limite e il naufragio della propria volontà.

Gli uomini sono travolti da un processo di desacralizzazione e da un ritmo di vita che non incoraggia la riflessione su se stessi, ma si interrogano ugualmente sul sapere simbolico su cui si basa la loro identità e la loro esistenza. Sentono il bisogno di rivalutare la vita, di porre fine alle sofferenze e alle ingiustizie e di annientare il male del mondo.

Pochi sono disposti però ad affrontare il cammino pericoloso verso l'umanità. Solo esseri eccezionali possono essere generosi disinteressatamente verso i propri simili. Il Che è uno di questi. La sua azione non è mossa da una logica utilitaristica, il dono della sua vita non ha nè un valore d'uso nè un valore di scambio. Offrendo la propria vita all'umanità senza chiedere niente in cambio, apprende delle verità ignorate dai profani, viene contrassegnato da un suggello che gli altri non possiedono. Così facendo, vince sullo spazio e sul tempo, si eleva al di sopra dell'umanità, appartiene alla schiera degli eletti.

Diventando un mito, il Che viene posto al di sopra dei conflitti sociali e al di sopra della storia. La gran parte degli uomini, nonostante vivano una vita contraria ai valori per cui egli si era battuto, lo amano. La stessa società che il rivoluzionario argentino aveva combattuto, tollera la sua immagine. Il potere sa che individui come lui sono espressione di un malessere causato da una vita innaturale, da norme e regole che limitano le libertà e i bisogni umani. La società è gelosa di coloro che si tengono lontani da lei (40), non è immobile e convive perfino con chi la combatte. Il Che, per gli uomini rappresenta qualcuno che può dare risposte a problemi irrrisolvibili. La sua figura da sfogo simbolicamente ai conflitti sociali e individuali.

Ma non è solo questo. Tra gli uomini e il "guerrigliero eroico" vi sono delle profonde relazioni. Il loro rapporto somiglia molto a quello fra il ricamo e il suo rovescio. Se si capovolge l'immagine nitida della figura ricamata, se ne vede un'altra senza forma, fatta di fili che si intrecciano disordinatamente. Eppure in quella figura aggrovigliata vi sono molte cose che ricordano il ricamo, vi sono molte cose che la uniscono a quella nitida. C'è un forte legame tra l'una e l'altra immagine: ad ogni filo che, nel ricamo, si unisce agli altri, per dare contorni nitidi e pieni di significato, corrispondono fili che si intrecciano senza senso per dare delle figure senza forma e senza significato. La figura, per essere limpida e chiara, ha bisogno di quel groviglio di fili, della sua profondità, di ciò che le da la forza di essere tale. Quando quei fili in qualche modo si spezzano, anche la figura del ricamo perde la sua chiarezza. Il groviglio senza forme che sta sul rovescio del ricamo, rappresenta la sua vera forza e la sua vera essenza.

Allo stesso modo gli uomini hanno un loro rovescio, un mondo caotico e magmatico da cui ricavano sicurezze e sapienza. Dietro quella cultura chiara che caratterizza la loro vita, vi è una cultura nascosta, vi sono dei simboli e dei miti da cui ricavano certezze. Dietro la realtà vi sono molti fili che portano in un mondo diverso, di cui la società si nutre. La sfera che trascende la vita quotidiana è sentita come diversa e misteriosa, ma in realtà è parte di essa. Il mondo del Che mette in discussione quello di sempre, ma in un certo senso ne è anche il riflesso. Egli rende visibili idee, valori e sentimenti che spesso non si vedono, ma che sono centrali nella cultura e che contribuiscono alla coesione degli uomini. Egli penetra nella struttura e la ridefinisce in relazione al mito d'origine che la fonda, riafferma le forme simboliche entro cui è costituito il significato dell'esistenza individuale e collettiva (41).

Il Che viene accettato in una dimensione mitica. Vi sono studiosi che lamentano continuamente il fatto che non esista una interpretazione autentica e profonda della sua personalità e del suo pensiero. Hanno ragione, ma il mito sceglie le sue vie. Gli uomini non vedono il "guerrigliero eroico" come un prodotto della storia ma del mito, non riflettono sulle cose per cui si era battuto, ma sulla sua figura. Il suo mito diventa soprattutto estetico, da esso sorge un'opera d'arte (42).

 Torna alla pagina principale

Note

1) Questo saggio sul mito del Che, fa parte di uno studio sulla figura dell'eroe moderno che sto conducendo presso la cattedra di Etnologia dell'Università della Calabria, i cui primi risultati sono stati pubblicati nei volumi Ernesto Guevara de la Serna detto Che. Mito dell'eroe tragico, Rende, Università degli Studi della Calabria, Centro Interdipartimentale di Documentazione Demoantropologica, 1997; Ernesto Che Guevara, Questa grande umanità, (a cura di Giovanni Sole), Roma, Newton e Compton, 1997.

2) Cfr. Carl Gustav Jung, Gli archetipi e l'inconscio collettivo, in "Opere", vol. IX, t.I, Torino, Boringhieri, 1980, p.4.

3) Cfr. Ferdinando Adornato, Eroi del nostro tempo, Roma-Bari, Laterza, 1986.

4) Sul santo e l'eroe cfr. José S. Lasso de la Vega, Eroe greco e santo cristiano, Brescia, Paidea, 1968; Giovanni Sole, L'eremita e i famelici leoni. Antropologia e storia, Rende, Centro Editoriale e Librario, Università degli Studi della Calabria, 1995; Paolo Arcari, Il genio, l'eroe e il santo, Milano, Vincenzo Colonnello, MCMXXXV.

5) Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal-Naquet, Mito e tragedia nell'antica Grecia, Torino, Einaudi, 1976, p.4.

6) Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Torino, Einaudi, 1977, pp.668-684.

7) Cfr. Jolande Jacobi, Complesso, archetipo, simbolo nella psicologia di Jung, Torino, Boringhieri, 1971; Paolo Bertoletti, Mito e simbolo. Gli strumenti della psicologia analitica, Bari, Dedalo, 1986, p.76.

8) Roland Barthes, Miti d'oggi, Torino, Einaudi, 1974, pp.225-228.

9) Paul Veyne, I greci hanno creduto ai loro miti?, Bologna, Il Mulino, 1984, p.28.

10) Maurice Merleau-Ponty, Senso e non senso, Milano, Il Saggiatore, 1962, p.13

11) Cit. Antonio Moscato, Che Guevara. Storia e leggenda, Bussolengo, Demetra, 1996, p.11.

12) Per una bibliografia su Ernesto Guevara cfr. Roberto Massari, Che Guevara. Pensiero e politica dell'utopia, Roma, Edizioni Associati, 1987, pp. 309-321; Antonio Melis, Che cosa ha detto 'veramente' Che Guevara, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1970, pp.179-185; Ernesto Guevara, Nomade dell'utopia, Roma, Manifestolibri, 1993, pp.91-94.

13) Cfr. Luigi Mascilli Migliorini, Il mito dell'eroe. Italia e Francia nell'età della restaurazione, Napoli, Guida, 1984.

14) Cfr. Karoly Kerényi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia, Milano, Garzanti, 1989; Georges Dumèzil, Ventura e sventura del guerriero. Aspetti mitici della funzione del guerriero tra gli indo-europei, Torino, Rosemberg e Sellier, 1974; Tommaso Carlyle, Gli eroi, Milano, Edizioni Corbaccio, 1939; Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958; Georges Dumézil, Le sorti del guerriero. Aspetti della funzione guerriera presso gli Indoeuropei, Milano, Adelphi, 1990; Angelo Brelich, Gli eroi greci. Un problema storico-religioso, Roma, Ed.dell'Ateneo e Bizzarri, 1978; Charles Baudouin, Psicanalisi delle grandi epopee. Il trionfo dell'eroe, Roma, Ep/Saie, 1973; Otto Rank, Il mito della nascita degli eroi. Saggio di una interpretazione psicologica del mito, Zurigo-Napoli-Vienna-Nocera Inferiore, Libreria Psicoanalitica Internazionale,1921.

15) Paolo Arcari, op. cit. , p. 104

16) Ibidem, p. 107.

17) Cfr. Giovanni Sole, Il pellegrinaggio dei cospiratori. Note antropologiche sulla spedizione dei fratelli Bandiera, in "Miscellanea di Studi Storici", IX, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1996, pp. 315-329; id., Il viaggio dei rivoluzionari, in "1844-1994. I fratelli Bandiera ed il Risorgimento italiano nel 150° anniversario della spedizione", Atti del Convegno, Cosenza, Centro Studi di Filatelia, Numismatica e Storia Postale Calabrese, 1995, pp.18-28; id., I patrioti, Cosenza, Il Gabbiano, 1996; id., Guerrieri e penitenti. Continuità e rotture nel pellegrinaggio, Castrovillari, "Daedalus", 1977; id., Il pellegrinaggio. Note antropologiche, Istituto di Ricerca e di Studi di Demologia e di Dialettologia, Cassano Jonio, 1977.

18) Angelo Brelich, op. cit., p.300.

19) Sul marxismo del Che Cfr. Enzo Santarelli, Il marxismo di Guevara, in Guillermo Almeyra-Enzo Santarelli, "Che Guevara. Il pensiero ribelle", Bussolengo, L'Espresso, 1996.

20) Cfr. Erich J. Leed, La mente del viaggiatore. Dall'Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1992.

21) Giovanni Sole, Rivoluzionario e spia. Storia e mentalità di un borghese emarginato dell'800, Milano, Franco Angeli, 1981; James H. Billington, Con il fuoco della mente. Le origini della fede rivoluzionaria, Bologna, Il Mulino, 1986; Victor Brombert, L'eroe intellettuale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1966; Michael Walzer, L'intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 1991; Luciano Pellicani, I rivoluzionari di professione. Teoria e prassi dello gnosticismo moderno, Firenze, Vallecchi, 1975; Erich Hobsbawm, I rivoluzionari, Torino, Einaudi, 1975; id., I ribelli, Torino, Einaudi, 1966; id., I banditi, Torino, Einaudi, 1971; Erich Fromm, Dogmi, gregari, rivoluzionari. Saggi sulla religione, la psicologia e la cultura, Milano, Ed. di Comunità, 1973, p.164.

22) Angelo Brelich, Heros. Il culto greco degli eroi e il problema degli esseri semi-divini, Roma, Edizioni dell'Ateneo, Università degli Studi di Roma, Facoltà di Lettere, 1958, pp.164-172; id., Gli eroi greci, cit., pp.225-228.

23) Cfr. Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in "Teoria generale della magia e altri saggi", Torino, Einaudi, 1965; Jacques Godbout, Lo spirito del dono, Torino, Bollati-Boringhieri, 1992; Emile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Ed. di Comunità, 1963.

24) Cfr. Marc Bloch, I re taumaturghi, Torino, Einaudi, 1989.

25) Erich Fromm, Dogmi, gregari e rivoluzionari, Milano, Ed. di Comunità, 1973, pp.24-25.

26) Tommaso Carlyle, op. cit., p.35.

27) Wilhelm Reich, L'assassinio di Cristo. La peste emozionale dell'umanità, Milano, SugarCo, 1972, pp. 121-122.

28) Tommaso Carlyle, op. cit., p.35.

29) Paolo Arcari, op. cit., p.28.

30) Meri Lao, Al Che. Poesie e canzoni dal mondo, Roma, Erre emme, 1995, p.149.

31) Joseph Campbell, L'eroe dai mille volti, Milano, Feltrinelli, 1958, p.313.

32) Angelo Brelich, Gli eroi greci, cit., pp.261-264.

33) Marc Augé, Eroi, in "Enciclopedia", vol.V, Torino, Einaudi, 1978, p.640.

34) Ivan Morris, La nobiltà della sconfitta, Milano, Guanda, 1983.

35) Joseph Campbell, op. cit., p.310.

36) Cfr. Celestina Milani, La 'bella morte' nei poemi omerici. Note di semiologia, in "Dulce et decorum est pro patria mori. La morte in combattimento in antichità", (a cura di Marta Sordi), Milano, Vita e Pensiero, 1990, pp.3-12.

37) Cfr. Georges Charachidzé, Prometeo o il Caucaso, Milano, Feltrinelli, 1988.

38) Gerardus van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Torino, Boringhieri, 1975, p.187.

39) Joseph Campbell, op. cit., p.339.

40) Ibidem, p.184.

41) Cfr. Victor Turner, Il processo rituale. Struttura e antistruttura, Brescia, Morcelliana, 1972; id., Simboli e momenti della comunità. Saggio di antropologia culturale, Brescia, Morcelliana, 1975; id., Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino, 1986; id., La foresta dei simboli, Brescia, Morcelliana, 1976.

42) Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 756; Claude Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 1971, p.38.

 Torna alla pagina principale