Intervento del centro sociale Leoncavallo al Palazzo delle ex-Stelline di Milano il 12 aprile 1996 in occasione della presentazione del libro di Daniele Biacchessi "Fausto e Iaio" edito da Baldini e Castoldi. Parla il compagno Daniele Farina. Intervengono al dibattito l'autore, Umberto Gay (Radio Popolare), Fabio Poletti (La stampa), Livio Quagliata (Il Manifesto), Primo Moroni.
In questi anni si e' sviluppata in Italia una copiosa letteratura sui misteri d'Italia, dal Banco Ambrosiano alla banda della Magliana, da Gladio al sequestro Moro. Tant'e' che in realta' i misteri hanno ormai, a dar retta a tutti, ben poco di misterioso. La prima avvertenza riguardo al libro di Biacchessi e', a mio avviso, di non cadere nel tranello della ricostruzione dietrologica, come invece mi sembra si rischi seguendo le ipotesi troppo strettamente. Piu' in generale il rischio consiste nel fatto che la denuncia-inchiesta giornalistica cosi' fatta, di una forma pluridecennale della gestione del potere e delle sue relazioni, finisca in realta' per avallare l'idea del senatore Pellegrino, e della sua commissione stragi, di passata legislatura che trattandosi l'Italia di paese a sovranita' limitata, le azioni, anche criminose,dei protagonisti -e per criminose non intendo qua soltanto sotto il profilo penale ovviamente- sono da ascriversi ad una logica per cosi' dire globale che non ne assolve i comportamenti ma inibisce una piu' completa indagine e tanto piu' l'eventuale sanzione giudiziaria. Non casualmente piazza Fontana, inchiesta anch'essa del giudice Salvini, si avvia, a detta dei piu', a sfociare nella palude dell'archiviazione ecc. Se qualcuno e' venuto qua, per clamorose rivelazioni, credo che abbia fatto male. Chi c'era in via Casoretto e' dunque un fatto importante, nodale ovviamente ma paradossalmente, non credo che sia quello centrale. Ovvero che al di la' di cosa si e' mosso fisicamente intorno ai cadaveri di due compagni e al loro omicidio sono i contesti ad essere rilevanti. E per contesti intendiamo il corpo delle relazioni e dei rapporti sociali di quelli e altri anni: su questi il giudizio storico politico del Centro Sociale Leoncavallo con quello dell'autore spesso non coincide. Sono ovviamente dissonanze di fondo che affondano le loro radici su rotture epocali che contrapposero movimenti e istituzioni, sinistra di governo e nuovi soggetti sociali. Che l'inchiesta venga archiviata o meno, non ha molta importanza, non la ha oggi dopo diciotto anni. Sappiamo bene che se l'inchiesta e' rimasta aperta cio' e' avvenuto grazie alle migliaia di compagni che hanno manifestato in questi anni, alla testarda volonta' di alcuni soggetti, a cominciare da Danila Tinelli. Compagni che hanno voluto segnare i contesti ancor piu' che il singolo luttuoso episodio. Che lo hanno fatto anche in anni nei quali, manifestare con il Leoncavallo era meno semplice di oggi, direi comodo se la cosa non potesse risultare offensiva per qualcuno, poiche' significava dare un giudizio di valore su fatti e relazioni. La repressione dei movimenti, la giustizia, il PCI, la lotta armata, la legislazione premiale. Non casualmente diciamo oggi la verita' non si archivia e non semplicemente no all'archiviazione che ne rappresenta una non accettabile restrizione giudiziaria, un appiattimento non dissimile da quello che in altre circostanze, processi penali passati, ma anche presenti, abbiamo denunciato. La riduzione della complessita' del conflitto sociale a fattispecie penale. Chi esce con le ossa rotte da questa lunga vicenda e' la magistratura milanese. Quello che trovate nel libro e' sparso a piene mani negli atti giudiziari ma la magistratura non ha voluto tirare le fila di questo. Non lo ha fatto per il ruolo assunto in quel periodo della storia d'Italia, la delega ricevuta dal potere politico nella repressione dei movimenti, un compito centrale che ha cancellato ogni altra circostanza; dall'archiviazione dell'inchiesta sul malore attivo di Giuseppe Pinelli del Dott. D'Ambrosio, alle inchieste e decimazioni sommarie del Dott. Spataro sul terrorismo, primo e forse non casuale titolare dell'inchiesta su Fausto e Iaio... si potrebbe continuare lungo il versante della cosiddetta legislazione emergenziale, ad esempio la legge Reale e la sua applicazione ecc. Ma e' la collocazione, la scelta sociale, di questo potere dello stato ad essere messa in discussione, se la parola non fosse troppo forte, pur nell'evidente ironia, direi a dover essere processata. In questi tempi di acceso dibattito sull'autonomia della magistratura, a qualcuno puo' risultare stonato un discorso sull'uso politico di questa che ricorda le reprimende di Forza Italia, ma e' invece proprio in questo momento che piu' forte deve essere il richiamo alla differenza tra la ridefinizione nella sfera dei poteri ( perche' in quella polemica di questo si tratta) e l'applicazione sul corpo sociale, vieppiu' sui soggetti deboli, della norma e la responsabilita' di chi la esercita. Bisogna avere coraggio di essere contro la logica premiale, il pentitismo, sempre, non solo se si parla di antica detenzione politica. Contro anche quando si parla di Fausto e Iaio. Non possiamo essere contro il vecchio articolo 90 e invece per il 41 bis. Bisogna essere radicali, avere il coraggio di battere altre strade. Fabio Poletti ha affermato che la magistratura in questo caso non ha fatto bene il suo mestiere, io credo invece che lo abbia fatto, coscientemente e fino in fondo. L'esito dell'inchiesta era segnato, dalle relazioni, dai ruoli, dalle circostanze. Nel libro di Daniele Biacchessi si fa riferimento ai fatti di via Montenevoso, in un gioco di sfasature temporali, che adombrano la responsabilita' dell'Arma dei Carabinieri nella gestione, attenzione, non nello specifico dell'omicidio, della prima fase istruttoria. Ora di fronte alle due verita' ufficiali, entrambe evidentemente negative, quella degli spioni (illegali per giunta) e quella degli spiati, non ne verremo a capo mai. Ma e' un dubbio ragionevole e al tempo stesso fortemente simbolico. In quel clima di scontro, di illegalita' repressiva diffusa ( ma ha poi senso parlare di illegalita'?), di sospensione di fatto di diritti e liberta' costituzionalmente sanciti oltre che' universali e inalienabili (ma ha ancora un senso tutto questo?) non c'erano, purtroppo per noi, posizioni intermedie possibili. Parliamo di posizioni politicamente efficienti, ovviamente. Lo stritolamento dei soggetti faceva parte di quelle scelte e di quei ruoli. Fausto e Iaio erano un fatto archiviato, dal punto di vista giudiziario, prima ancora di morire, come del resto molti altri compagni. E' difficile da capire, anche da dire, per chi, come noi, in questi anni si e' battuto, ma questa archiviazione, che magari sara' rinviata di sei mesi, come spesso in passato, e' forse il dono piu' bello che Fausto e Iaio ci lasciano. Un esempio di straordinaria chiarezza sulla realta' dei rapporti sociali in questo paese, sulla natura dello stato, della magistratura e, ovviamente, della parte da cui stare. Non vi sara' circostanza in cui questo aspetto differenziale non verra' marcato. Un aspetto identitario forte per chi oggi subisce una pesantissima aggressione politico giudiziaria. I piu' avvertiti, gli uomini e le donne del capello in quattro, i custodi del nostro benessere ideologico, obietteranno che e' una scoperta d'acqua calda ecc, dimenticando che un conto sono le nostre intime convinzioni o le analisi di giro, altro il complesso processo formativo delle generazioni politiche.
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