![]() |
TRIBUNALE
AMMINISTRATIVO REGIONALE *** RICORSO promosso da:
contro
e nei confronti di
per l'annullamento previa sospensione
*** La Krupp Hoesch Stahl e' una societa' tedesca, proprietaria di un complesso immobiliare in via Salomone n. 71, costituito da una palazzina di tre piani a destinazione uffici e da un magazzino. Fino al 31 dicembre 1993 nel complesso citato era collocata la sede operativa della Hoesch Stahl italiana, poi trasferita a Sesto San Giovanni, a seguito della fusione della casa madre tedesca con la Krupp. A partire dai primi di gennaio 1994, l'immobile di via Salomone, in perfetto stato di manutenzione e dotato di finiture di prestigio, e' stato messo in vendita e dell'operazione e' stata incaricata la Edilnord, che gia' nel giugno 1993 aveva stimato l'intero complesso in circa 2.800 milioni. Con assoluta sorpresa, in data 19 gennaio 1994, i rappresentanti legali della societa' ricorrente si sono sentiti convocare dal Prefetto di Milano, per vedersi notificare a mano l'ordinanza oggetto della presente impugnazione, con la quale e' stata disposta la requisizione d'urgenza dell'intero complesso immobiliare di via Salomone n. 71, per assegnarlo in uso ad un'imprecisata "Associazione Mamme del Leoncavallo" e offrire cosi' ospitalita' agli occupanti abusivi dell'area compresa fra le vie Leoncavallo e Mancinelli. Il provvedimento in esame costituisce l'ultimo atto dell'annosa vicenda relativa all'occupazione abusiva del cd. "Centro Sociale Leoncavallo", che ha gia' avuto ripetuti risvolti giudiziari sia amministrativi sia penali. Come e' ormai noto (sia per l'ampia eco di stampa che la situazione del "Leoncavallo" ha avuto, sia perche' l'Ecc.mo T.A.R. ha gia' avuto modo di occuparsi della vicenda), tra il 1974 e il 1975 un gruppo di giovani ha occupato abusivamente l'area compresa fra via Leoncavallo e via Mancinelli sulla quale sorgevano alcuni edifici dismessi, originariamente utilizzati dalla societa' farmaceutica "Schoum" e dalla ditta "Rosa". L'intento dichiarato dagli occupanti risultava essere quello di destinare l'area all'insediamento di un centro giovanile "alternativo" alle sedi istituzionali. Nel tempo il cd. "Centro Sociale", formalmente inaugurato il 18 ottobre 1975, e' diventato un luogo di aggregazione occasionale di giovani, il cui comportamento ha provocato in diverse occasioni l'interesse della cronaca. Pur essendo incontestata la situazione di illeglita' conseguente all'occupazione dell'area e nonostante ripetuti episodi ripresi dalla stampa, i primi anni di occupazione sono stati caratterizzati da un atteggiamento di sostanziale inerzia dei poteri istituzionali. Nel 1980, nel cosro della procedura di approvazione generale al P.R.G., il Consiglio Comunale di Milano, accogliendo una osservazione del Consiglio di Zona, modifico' la destinazione urbanistica dell'area da zona B1 (con destinazione funzionale R/I e R) a zona S.C. - zone per spazi pubblici o riservati alle attivita' collettive a livello comunale. La prescrizione della variante di P.R.G. venne annullata dal T.A.R. Lombardia con sentenza n. 815/81, confermata anche in appello: ritenendosi illegittima la scelta di avallare, con atto amministrativo, una situazione di occupazione abusiva e come tale fonte di illecito anche penale. Successivamente all'acquisto dell'area da parte della s.r.l. Imprendimi e della s.p.a. Scotti Immobiliare venne avviato un procedimento penale contro ignoti per occupazione abusiva, concluso con un'ordinanza di sgombero del Pretore penale di Milano Dott. Stolfi a data 18 settembre 1988. A tale ordinanza venne data esecuzione con l'ausilio della forza pubblica solo nel 1989, quando il 16 agosto i Carabinieri e la Polizia di Stato fornirono, per accordo tra prefettura e Questura, l'assistenza per lo sgombero. In tale occasione tuttavia, dopo un primo parziale accesso ed un inizio di demolizione delle strutture, lo sgombero non fu portato a termine a causa della resistenza opposta alla forza pubblica da parte degli occupanti. Per tali fatti segui' un processo concluso con la condanna degli occupanti, avvenuta con decisione del Tribunale Penale di Milano - Sez. VII - in data 28 giugno 1990. Nella stessa giornata del 16 agosto 1989 gli occupanti abusivi riprendevano possesso del cd. Centro Sociale, riassestando alla meglio le parti demolite in occasione dello sgombero e confermando la piu' rigida opposizione ad ogni ipotesi di rilascio. Dopo la rioccupazione, si e' avuta notizia di una pluralita' di esposti e denunce da parte degli abitanti degli edifici attigui all'area di via Leoncavallo/Mancinelli, tormentati dal rumore insopportabile che accompagnava i frequenti concerti notturni e dalle conseguenze igieniche del pessimo stato manutentivo dell'area occupata, poi documentato anche dagli uffici comunali in successivi sopralluoghi. Tutte queste rimostranze non hanno pero' mai condotto ad un intervento diretto dell'Autorita' amministrativa: essendosi limitato il Comune di Milano, in alcuni casi, ad ingiungere alla proprieta' di provvedere al riordino dell'area, anche attraverso la demolizione di opere edilizie abusive realizzate dagli occupanti; pur nella consapevolezza che la societa' proprietaria non avrebbe mai potuto dare esecuzione alle ordinanze sindacali per l'assoluta indisponibilita' del terreno. Le vicende del Centro Sociale Leoncavallo sono poi tornate alla ribalta della cronaca il 2 luglio 1993, quando, a seguito di una serie di accertamenti operati dalla Magistratura, la Polizia interveniva per far cessare le trasmissioni di "Radio Onda Diretta", un'emittente non autorizzata, che da anni trasmetteva dal Centro su una frequenza abusiva. L'intervento della forza pubblica ha avuto effetti di modesta durata, in quanto gia' il 22 luglio 1993 la radio riprendeva la propria attivita'. Nel quadro di fatto sopra descritto si e' inserita la decisione dell'Amministrazione Comunale milanese di consentire l'attuazione della sentenza del T.A.R. Lombardia - Sezione II n. 725 /91, resa sul ricorso promosso dalla societa' proprietaria dell'area avverso il provvedimento comunale di annullamento del silenzio-assenso alla demolizione delle strutture esistenti nell'area di via Leoncavallo n. 22. Con la decisione citata, la magistratura amministrativa ha riconosciuto il diritto della societa' proprietaria di dar corso alla demolizione delle strutture esistenti (per la quale risultava maturato regolare silenzio-assenso), quale premessa di una successiva edificazione; ma solo nel luglio 1993, ad oltre due anni dalla decisione del T.A.R., il Comune di Milano ne prendeva formalmente atto, ponendo a carico del Prefetto l'onere di fornire la forza pubblica necessaria a dare corso allo sgombero ancora inattuale. Va aggiunto che in tale occasione la societa' proprietaria si era dichiarata disponibile ad offrire agli occupanti abusivi, in cambio dell'immediato rilascio dell'area di via Leoncavallo, un appezzamento di terreno nel Parco delle Cave, impegnandosi altresi' alla costruzione di un capannone per lo svolgimento delle attivita' del Centro Sociale. Accanto all'offerta della proprieta', risulta che lo stesso Comune di Milano aveva segnalato la disponibilita' di un'area all'angolo fra via Lancetti e via Bernina, alla Bovisa. A tali proposte gli occupanti opposero un netto rifiuto, motivato dalla circostanza che le aree offerte risultavano collocate in una zona troppo lontana dal quartiere Casoretto. Il 17 settembre 1993 il Comune di Milano rilasciava alla societa' proprietaria dell'area la concessione edilizia per la realizzazione di un nuovo complesso immobiliare, in attuazione delle prescrizioni del P.R.G. Dopo il fallimento della proposta di una sede alternativa formulata dalla proprieta', il Sindaco di Milano, con ordinanza n. 277995.400/26927/93 a data 28 settembre 1993, in relazione ad una richiesta 4 agosto 1993 della Procura della Repubblica presso la Pretura, disponeva un accesso nell'area abusivamente occupata "allo scopo di accertare l'esistenza o meno di gravi pericoli che minacciano l'incolumita' e la salute pubblica", e chiedendo al Prefetto di Milano l'assistenza della forza pubblica. In esito a tale richiesta il Prefetto di Milano, con ordinanza 11 ottobre 1993 prot. n. 19.2/09000282, richiamava la necessita' di provvedere non solo all'accesso nei locali del Centro Sociale, ma allo sgombero definitivo dello stesso, disponeva la requisizione di alcuni edifici di proprieta' Comunale siti in via Padova 69, gia' sede del Trotter, allegando la seguente motivazione: "ritenuto che l'operazione di sgombero coattivo degli immobili sopradescritti senza un preventivo reperimento di una struttura sostitutiva per incontri giovanili - il cui uso con atto autonomo l'Amministrazione comunale milanese potra' opportunamente disciplinare - comporterebbe grave pregiudizio per l'ordine e la sicurezza pubblica nella citta' di Milano, in relazione sia alle prevedibili reazioni di coloro che da molti anni occupano gli immobili da sgomberare e che, talora, vi dimorano, sia alle ripercussioni negative che l'esecuzione coattiva dei provvedimenti comunali potrebbe determinare per l'ordinata convivenza non solo a Milano e provincia ma anche in altre citta'". Nel provvedimento di requisizione si prevedeva che l'immobile dovesse essere assegnato ad una Associazione denominata "Mamme del Leoncavallo" i cui estremi di identificazione non venivano precisati, e che l'utilizzazione di esso "per finalita' sociali" avesse durata di 180 giorni. In data 12 ottobre 1993 il Sindaco di Milano comunicava l'inagibilita' degli edifici di via Padova. In data 13 ottobre, il Prefetto, richiamando la perdurante sussistenza dei motivi di ordine pubblico espressi nell'ordinanza del 11 ottobre, ordinava al Comune di Milano di individuare "locali idonei", da porre immediatamente a disposizione dell'Autorita' di Pubblica Sicurezza. Avverso tale atto, risulta che il Comune di Milano abbia proposto impugnazione avanti al T.A.R. Lombardia e che comunque abbia anche rinnovato l'offerta dell'area di via Lancetti, risultata non gradita agli occupanti abusivi del Centro Leoncavallo. Scartata tale ipotesi, nell'arco del mese di ottobre 1993 sono state registrate diverse offerte di siti alternativi, fra i quali l'area occupata dell'ex stabilimento Magneti Marelli in via Adriano e un'edificio scolastico dismesso in via Ucelli di Nemi. Durante il mese di novembre le trattative con gli occupanti non hano condotto ad alcun risultato conclusivo; anche per l'opposizione degli abitanti di ogni quartiere nel quale si ipotizzava di collocare la nuova sede del Centro Leoncavallo. Infine in data 4 dicembre 1993 il Sindaco di Milano, sulla scorta dei risultati del sopralluogo disposto il 28 settembre 1993, dichiarava definitivamente l'inagibilita' dei locali occupati all'interno dell'area di via Leoncavallo/Mancinelli, disponendo lo sgombero coattivo degli stessi per ragioni sanitarie. Sollecitato nuovamente a fornire la foza pubblica, il Prefetto emanava l'ordinanza 11 dicembre 1993 n. 19.2/09000282 - Gab. ordinando la requisizione "per il massimo di 180 giorni" di un ulteriore immobile di proprieta' comunale, sito in Van Gogh n. 10 al Parco Lambro e costituito da alcuni fabbricati rurali di interesse monumentale, meglio conosciuti come "Cascina San Gregorio". In tale ordinanza, singolarmente, i motivi di interesse pubblico che avevano ispirato la precedente azione amministrativa e l'adozione dei menzionati provvedimenti di requisizione non vengono piu' richiamati, ma si fa riferimento unicamente all'ordinanza sindacale 4 dicembre 1993, quasi che la necessita' di procedere allo sgombero dell'area del Leoncavallo e di trovare un'area di prima accoglienza si fosse manifestata solo con l'adozione dell'ultimo provvedimento da parte dell'Amministrazione Comunale. A quanto risulta dalla stampa, l'area di via Van Gogh venne regolarmente trasferita - attraverso l'Associazione Mamme del Leoncavallo - agli occupanti abusivi del Centro Sociale, i quali, sempre sulla base di un'autorizzazione del Prefetto, immediatamente provvidero ad erigere una tensostruttura di 600 mq circa, da destinare allo svolgimento della attivita' del Centro. Sempre secondo notizie dei quotidiani milanesi (24 dicembre 1993) il manufatto costruito senza formale concessione comunale e nell'ambito di un'area a parco (come tale soggetta a vincolo di inedificabilita' assoluta) sarebbe stato sequestrato da parte della magistratura milanese e rapidamente demolito dagli stessi occupanti, con il supporto della forza pubblica. A seguito di tale demolizione anche l'area di via Van Gogh e' risultata non piu' gradita ai destinatari del provvedimento di requisizione, che il 28 dicembre 1993 sono rientrati nella sede di Via Leoncavallo, autorizzati da una proroga prefettizia dell'esecutivita' dell'ordinanza sindacale di sgombero fino al 20 gennaio 1994. E' stato cosi' che in data 19 gennaio 1994 la Prefettura di Milano - dopo aver evidentemente ottenuto la preventiva approvazione degli occupanti abusivi sulla scelta del sito - ha convocato i legali rappresentanti in Italia della Krupp Hoesch Stalh, notificando loro l'ordinanza ora impugnata con la quale, senza neppure accennare alle vicende pregresse e prospettando l'esigenza di una nuova sede per gli occupanti abusivi dell'area di via Leoncavallo come necessita' assolutamente contingente ed imprevedibile, il Prefetto di Milano ha ordinato la requisizione del complesso immobiliare di via Salomone. Nel provvedimento e' previsto che l'immobile venga consegnato all'Associazione Mamme del Leoncavallo "una volta accertato l'avvenuto completo sgombero del compendio insistende nell'area di via Leoncavallo n. 22 e via Mancinelli n. 21" e che "l'espletamento delle attivita' a svolgersi non dovra' perseguire finalita' contrarie alla legge ed all'ordine pubblico, si protrarra per un tempo massimo di gg. 180 dalla data di avvenuta consegna dell'immobile, salvo un minor termine qualora si provveda alla individuazione in via permanente di altro sito alternativo od intervenga, nel frattempo, mutamento nel titolo alla detenzione dell'immobile". Il provvedimento impugnato appare palesemente illegittimo gia' ad una prima superficiale lettura, oltre che gravemente lesivo degli interessi della societa' ricorrente, ed andra' quindi annullato in base alle seguenti considerazioni in DIRITTO 1. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 7 L. 2248/1865 All. E) E DELL'ART. 2 T.U.L.P.S. - ECCESSO DI POTERE PER CARENZA ASSOLUTA DEI PRESUPPOSTI 1.1. L'istituto della requisizione in uso della proprieta' privata e' stato introdotto nell'ordinamento italiano dalla L. 2248/1865 All. E), art. 7, richiamato dal Prefetto nell'ordinanza impugnata, che cosi' recita: "Allorche' per grave necessita' pubblica l'autorita' amministrativa debba senza indugio disporre della proprieta' privata, od, in pendenza di un giudizio, per la stessa ragione procedere all'esecuzione dell'atto delle cui conseguenze giuridiche si disputa, essa provvedera' con decreto motivato, sempre pero' senza pregiudizio dei diritti delle parti". I concetti di urgenza e di grave necessita' pubblica tornano, poi, nell'art. 2 T.U.L.P.S., anch'eso richiamato dal Prefetto nell'atto impugnato, che dispone come segue: "Il Prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessita' pubblica, ha facolta' di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica". Sui contenuti dell'art.7 L. 2248/1865 All.E, la giurisprudenza ha espresso ripetutamente il seguente principio, applicabile analogicamente anche all'art. 2 T.U.L.P.S.: "Il potere di requisizione attribuito all'amministrazione e' un potere eccezionale, disancorato da precostituiti schemi normativi e/o procedimenti (rientra nel novero delle cosiddette ordinanze libere), finalizzato alla salvaguardia di interessi generali non altrimenti tutelabili e giustificato da ragioni di urgenza, in presenza di situazioni eccezionali e imprevedibili" (Consiglio di Stato, IV, 3 marzo 1987 n. 131; si vedano, fra le numerose altre: T.A.R. Toscana 28 aprile 1987 n. 355; T.A.R. Campania sez. III, 7 maggio 1986 n.35; T.A.R. Lazio, sez. II, 20 aprile 1989 n. 658; Consiglio di Stato, IV, 25 marzo 1983 n. 158). I presupposti essenziali per il legittimo esercizio del potere di requisizione e di intervento prefettizio sono, dunque, costituiti in primo luogo dalla eccezionalita' della situazione che l'Amministrazione e' chiamata a fronteggiare. In particolare deve trattarsi di una situazione insorta improvvisamente, in relazione alla quale l'Amministrazione non e' in grado di provvedere con i mezzi ordinari, cosi' che la requisizione ha proprio la funzione di fornire alla P.A. una soluzione alternativa immediata, atta a fronteggiare l'emergenza per il tempo tecnico indispensabile ad organizzare un rimedio definitivo. Nel caso di specie, dall'esame dei fatti che hanno caratterizzato la vicenda del Leoncavallo appare evidente come la situazione che ha condotto alla requisizione dello stabile di via Salomone sicuramente non e' stata ne' improvvisa, ne' imprevedibile e tantomeno urgente. Come si e' avuto modo di illustrare, al di la' del richiamo all'ordinanza sindacale di sgombero coattivo del Centro Sociale di via Leoncavallo per inagibilita' delle strutture, la necessita' di liberare l'area di via Leoncavallo e' conseguenza del carattere abiusivo dell'occupazione, e quindi risale al momento in cui l'occupazione e' iniziata, e comunque sicuramente alla ordinanza pretorile di sgombero del 1988. Da tale momento, come dimostra anche la vicenda del primo tentativo di sgombero del 1989 e quella successiva del sequestro delle apparecchiature di Radio Onda Libera, e' sempre stata evidente anche per il Prefetto di Milano, "la conclamata indisponibilita' degli occupanti" a qualsiasi ipotesi di rilascio volontario dell'area, specialmente in mancanza di una sede alternativa di loro gradimento. Nonostante questa consapevolezza, nessun provvedimento e' stato assunto dal Prefetto nell'arco degli oltre quattro anni che separano l'attuale requisizione dal fallito sgombero del 1989, per trovare con gli strumenti ordinari una soluzione al problema. Non si comprende dunque come il Prefetto possa ora legittimamente sostenere che l'intervento sia stato determinato dall'emergenza di una grave necessita' pubblica, assolutamente imprevedibile ed eccezionale; mentre sembra chiaro che l'attuale requisizione trova la sua spiegazione unicamente nell'inerzia ventennale dell'autorita', ben evidenziata dallo stesso T.A.R. nelle decisioni n.. 815/81 e 725/91. Sul punto, e' appena il caso di ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente sancito l'illegittimita' dei provvedimenti di requisizione adottati "non per grave necessita' pubbliica, ma per ovviare all'inerzia della P.A." (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 dicembre 1989 n. 930). Il Consiglio di Stato ha anche precisato che "E' illegittima, per difetto dei presupposti dell'urgenza, la requisizione adottata dal Sindaco per soddisfare l'esigenza di dare un ricovero ai tossico-dipendenti, nell'ipotesi in cui l'esistenza degli stessi nel comune interessato non sia un fenomeno verificatosi all'improvviso e recentemente, bensi' conosciuto da tempo" (Cons. di Stato sez. IV, 3 maggio 1986 n. 318). 1.2. La circostanza che la requisizione dell'immobile di via Salomone sia stata disposta non gia' a seguito di una emergenza imprevedibile ed eccezionale, ma come l'esito di una situazione protrattasi per lunghissimo tempo a causa dell'inerzia delle istituzioni, conferma l'inesistenza anche delle condizioni di urgenza dell'intervento prefettizio, richiamate dall'art. 2 T.U.L.P.S. Quand'anche infatti si dovesse ritenere che l'articolo citato subordini l'intervento "extra ordinem" del Prefetto alternativamente ad una "grave necessita' pubblica", analoga a quella contemplata dall'art. 7 L. 2248/1865, o ad una particolare urgenza, non puo' certo considerarsi "urgente" lo sgombero di un'area abusivamente occupata a quasi vent'anni dall'occupazione, e comunque ad oltre sei anni dall'adozione di un apposito ordine della magistratura penale in tale senso. Ne' puo' affermarsi, come sembra fare lo stesso Prefetto nel provvedimento impugnato, che la situazione di urgenza derivi dall'ordinanza sindacale di sgombero delle strutture di via Leoncavvlo, perche' inagibili. Si osserva in proposito che la scelta di procedere allo sgombero coattivo del "Leoncavallo" non e' sorta dopo il 4 dicembre 1993, e l'odinanza di requisizione qui impugnata non e' un atto a se' stante, ma e' parte di una procedura avviata nel luglio 1993, che aveva comportato l'adozione di altri provvedimenti di requisizione, ben prima che il Sindaco di Milano intervenisse sull'agibilita' degli spazi. Inoltre e' appena il caso di osservare che l'inagibilita' dei locali dell'ex "Centro Sociale", come emerge dall'ordinanza sindacale 4 dicembre 1993, e' stata determinata in primo luogo dal fatto che gli stessi risultavano essere stati parzialmente demoliti: demolizione avvenuta proprio il 16 agosto 1989 con l'assistenza della forza pubblica e quindi episodio ben noto allo stesso Prefetto e risalente a oltre quattro anni prima. La generale situazione di degrado igienico era del resto ben nota al Prefetto da tempo per i ripetuti esposti degli abitanti della zona; e comunque era certamente nota quantomeno dal mese di settembre 1993, quando il Comune di Milano ha chiesti il supporto della forza pubblica per un sopralluogo nell'area di via Leoncavallo. Appare pertanto evidente che nel caso di specie manca ogni requisito normativo per l'applicazione della normativa vigente in materia di requisizione e di intervento prefettizio ex art. 2 T.U.L.P.S. 1.3. Il provvedimento impugnato appare illegittimo per violazione di legge anche sotto altro prolfilo. Come si e' piu' sopra accennato, l'art. 2 T.U.L.P.S. riconosce al Prefetto il potere di intervenire in via eccezionale attraverso le cd. "ordinanze libere", cioe' attraverso atti atipici, finalizzati a fornire una risposta a necessita' contingenti della comunita', che non e' possibile soddisfare con altri mezzi specifici. In particolare, la Corte Costituzionale con sentenza n. 26 del 23 giugno 1961 ha precisato che il ricorso all'art. 2 T.U.L.P.S. non e' legittimo, laddove il provvedimento assunto concerna materia gia' regolata dalla legge. Nel caso di specie, come si e' detto, la materia della requisizione in uso trova una disciplina specifica nell'art. 7 L. 2248/1865, cosi' che l'esercizio del potere di requisizione e' subordinato alla verifica della sussistenza delle condizioni previste da tale disposizione, mentre ogni riferimento all'art. 2 T.U.L.P.S. appare del tutto illegittimo ed ultroneo. 2. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E DI ISTRUTTORIA - SVIAMENTO DI POTERE - ILLOGICITA' - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 7 L. 23559/1865 e T.U.L.P.S. SOTTO ULTERIORE PROFILO. 2.1. Dalla lettura dell'ordinanza impugnata, risulta che il Prefetto ha ritenuto di ricorrere alla requisizione dell'immobile di proprieta' della societa' ricorrente, mosso dalla necessita' di evitare "un grave pregiudizio per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica in relazione alle prevedibili reazioni di coloro che da lungo tempo occupano gli immobili da sgomberare, o che comunque talora vi dimorano, sia alle ripercussioni negative che l'esecuzione coattiva del provvedimento determinerebbe per l'ordinata convivenza non solo in Milano e Provincia ma anche in altre citta', come dimostrato da esperienze analoghe verificatesi altrove, ed anche nello stesso capoluogo milanese, con turbative gravi per l'ordine pubblico locale". In sostanza, il Prefetto ha giustificato la propria scelta richiamando una generica situazione di possibile pericolo per l'ordine pubblico, conseguente alla "conclamata indisponibilita' degli occupanti" al rilascio dell'area di via Leoncavallo e a conseguenti minacce di disordini, citando imprecisate "esperienze analoghe" precedenti, delle quali l'atto non contiene alcuna piu' precisa indicazione. Sul punto la giurisprudenza ha piu' volte chiarito che o provvedimenti di requisizione, come ogni altro atto limitativo del libero esercizio del diritto di proprieta' costituziononalmente garantito, necessitano di precisa e puntuale motivazione in ordine alle ragioni dell'intervento, non essendo certo sufficiente il mero richiamo a generiche ragioni di ordine pubblico. In particolare si e' precisato: "il malumore delle popolazioni e le eventuali ripercussioni sull'ordine pubblico non costituiscono motivazione sufficiente per giustificare un provvedimento di requisizione ..., occorrendo che l'auutorita' fondi la prognosi sul pericolo di danni alla sicurezza pubblica su elementi certi e dettagliati, che consentano il controllo di legittimita'" (Tribunale sup.re acque, 19 gennaio 1981 n. 4; cfr. anche, fra le altre, T.A.R. Lazio Sez. II 20 aprile n. 658). Come gia' accennato, manca completamente nel provvedimento impugnato ogni accenno alla situazione pregressa, e se ne comprende la ragione: giacche' in tal caso il Prefetto avrebbe dovuto dare atto della inerzia pluriennale nell'esercizio dei propri poteri, confermando in tal modo la illegittimita' di un provvedimento tardivo, assunto dopo diversi altri tentativi non portati a termmine. 2.2. In particolare, non viene in alcun modo chiarito nel provvedimento quale sia la finalita' di interesse pubblico perseguita attraverso la requisizione e l'affidamento in uso dell'immobile di via Saolmone agli occupanti abusivi del Leoncavallo. Come precisa l'art. 7 L. 2248/1865, infatti, il ricorso all'eccezionale mezzo della requisizione in uso e' legittimato dalla necessita' di tutelare in via d'urgenza un interesse generale. Non costituisce certo corretta indicazione di un interesse generale il richiamo alle "ripercussioni negative" che l'esecuzione dello sgombero "determinerebbe per l'ordinata convivenza non solo in Milano e provincia ma anche in altre citta'". A ben vedere tale motivazione e' curiosa, in quanto - se l'ordinanza di sgombero e' legittima (come lo stesso Prefetto sembra non contestare e come in realta' sembra incontestabile) allora la sua esecuzione e' atto dovuto, che non puo' certo essere disatteso perche' i destinatari dichiarano la œconclamata indisponibilita'" al rilascio. In sostanza sarebbe solo la minaccia di nuove azioni illegittime conseguenti allo sgombero (di cui il Prefetto sembra ben consapevole, se ipotizza "un grave pregiudizio per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica in relazione alle prevedibili reazioni" degli ocupanti) a motivare il sacrificio di un diritto altrui. Ma allora l'illegittimita' del provvedimento appare evidente, non potendosi disporre una requisizione per avallare un atteggiamento di conclamta illegalita'. Sul punto, occorre ricordare che questo stesso Leoncavallo, ha dichiarato che "sorprende il fatto che l'Amministrazione abbia voluto avallare una situazione di fatto palesemente illegale" (sentenza n. 815/81 pag. 11), ed inoltre che "deve essere ripudiato, perche' contrastante con i principi generali, una interpretazione della norma che si traduca in una forma di tutela o di indiretto riconoscimento di occupazioni abusive, ossia di comportamenti costituienti illeciti penali" (sentenza Sez. II n. 725/91, pag. 8). Queste considerazioni costituiscono una chiarissima ricognizione di principi generali del nostro ordinamento, anche di rango costituzionale (in particolare il principio di legalita sancito dall'art. 97 Costituzione), nonche' del diritto comunitario (sul principio secondo cui nessuno deve poter trarre vantaggi giuridici dalle proprie violazioni del diritto, cfr. D. Sorace in Riv. Italiana di Diritto Pubblico comunitario, 1992, pag. 360 con rif.). Gli stessi argomenti confermano in modo ancor piu' evidente la illegittimita' del provvedimento impugnato: dovendosi escludere che l'atto con cui si requisisce una proprieta' privata per metterla a disposizione di un gruppo di persone al fine dichiarato di evitare minacce di reazioni violente o disordini possa dirsi assunto per "necessita' pubblica" ai sensi dell'art. 7 L. 2248/1865. (Sul rispetto dei principi generali dell'ordinamento anche nell'esercizio del potere di cui all'art. 2 T.U.L.P.S. si veda ancora Corte Costituzionale, sentenza n. 26 del 23 giugno 1961). A questa generalissima regola puo' porsi, a nostro avviso, un'unica eccezione: corrispondente al caso in cui la violenza per ottenere indebiti vantaggi sia gia' in atto, con modalita' talmente gravi da rendere necessaria, onde non compromettere piu' elevati valori costituzionali (ad esempio la vita umana), una immediata e momentanea compressione di diritti altrui. Ma nel caso in esame questa ipotesi non era e non e' assolutamente presente. Anzi, a ben vedere, e' soltanto dal provvedimento prefettizio che si apprende che lo sgombero avrebbe provocato disordini da parte degli occupanti, ma non risulta da alcuna altra fonte che gli occupanti stessi o loro portavoce abbiano minacciato disordini o violenze, ne' e' dato di comprendere dal provvedimento da quali informazioni il Prefetto abbia ricavato questa grave affermazione. In sintesi, al momento della requisizione (e nemmeno in precedenza, per quanto consta) era in atto una irresistibile coercizione nei confronti delle forze dell'ordine tale da giustificare la requisizione alla luce dei principi esposti. Il provvedimento impugato anche per questa ragione e' sicuramente illegittimo per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. 2248/1865 e 2 T.U.L.P.S. 2.3. Come e' ricordato dal provvedimento impugnato, lo scopo della requisizione e' quello di fornire gratuitamente ad una associazione privata uno spazio di ritrovo. E' appena il caso di ricordare che la giurisprudenza, affrontando l'argomento ben piu' grave del diritto alla casa di abitazione, ha piu' volte precisato che "concreta una ipotesi di eccesso di potere per sviamento la requisizione di alloggi che sia intesa alla salvaguardia di interessi di natura privata, quali quelli relativi al soddisfacimento di bisogni di famiglie colpite da sfratti giudiziali" (T.A.R. Veneto 12 marzo 1981 n. 163; T.A.R. Abruzzi, Sez. Pescara, 25 novembre 1981 n. 296). Se, dunque, neppure a fronte di un problema di rilevanza primaria quale la necessita' di garantire la casa di abitazione la giurisprudenza ha ritenuto sussistenti le condizioni per la requisizione, a maggior ragione tali condizioni non possono legittimamente ritenersi verificate laddove la finalita' immediata del provvedimento sia quella di mettere a disposizione di soggetti privati uno spazio per attivita' "ricreative". 2.4. Nel provvedimento manca inoltre l'indicazione di qualsiasi criterio seguito nella indicazione del bene da requisire, se si esclude la sottesa consapevolezza che l'immobile e' stato scelto in quanto - dopo i precedenti provvedimenti che individuavano sedi non gradite agli occupanti - si e' avuto finalmente il loro preventivo benestare. Ovviamente non e' necessaria un'ampia illustrazione per dimostrare l'illeceita' di tale motivazione, in quanto la requisizione non e' certamente un provvedimento da concordare previamente con i beneficiari. A prescindere da cio', ed anche a voler concedere che l'identificazione dei beni da requisire abbia carattere discrezionale, non viene comunque per cio' solo meno l'obbligo dell'Amministrazione di chiarire i criteri di scelta, al fine di verificare la logicita' della scelta stessa, che - come meglio si vedra' in seguito - nel caso di specie appare inesistente. 2.5. Altro motivo di illogicita', eccesso di potere e carenza assoluta di motivazione e' costituito dalla scelta prefettizia di indicare quali assegnatari del bene requisito non gia' gli effettivi utilizzatori, bensi' una imprecisata Associazione privata, della quale non risultano - dal testo del provvedimento - neppure attestate la regolarita' della costituzione, la finalita' istituzionale, il rapporto giuridico con gli occupanti, i dati elementari di identificazione. 3. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL P.R.G. DI MILANO - ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITORIETA' ED ILLOGICITA' MANIFESTA. 3.1. I precedenti motivi gia' dimostrano in modo inequivocabile l'illegittimita' del provvedimento. Tuttavia per completezza si aggiungono gli argomenti seguenti, ad ulteriore conferma della fondatezza del ricorso. A pag. 3 dell'ordinanza di requisizione, il Prefetto di Milano dispone che l'immobile di via Salomone sia messo a disposizione dell'autorita' di Pubblica Sicurezza per essere utilizzata "la palazzina di cui al mappale n. 25" per le finalita' correlate alla sua destinazione specifica ed il capannone di cui al mappale n. 26 per il rimessaggio delle apparecchiature, attrezzature, arredi e masserizie provenienti dall'area compresa tra le via Leoncavallo n. 22 e Mancinelli n. 21. La palazzina "di cui al mappale n. 25" e' un immobile di tre piani ad uso esclusivo di uffici, come comprova non solo la documentazione amministrativa relativa alla costruzione dell'edificio, ma anche la tipologia dello stesso, illustrata nella documentazione prodotta in atti. L'utilizzazione del fabbricato "per le finalita' correlate alla sua destinazione" implicherebbe la conferma dell'uso terziario - direzionale. Attesa che l'Associazione affidataria non risulta svolgere attivita' imprenditoriali o professionali, appare certamente illogica e contraddittoria l'affermazione contenuta nell'ordinanza prefettizia impugnata, in quanto il Prefetto era ben consapevole che la palazzina uffici non sarebbe stata utilizzata in modo conforme alla propria destinazione funzionale, ma per scopi assolutamente diversi. A seguito della consegna dell'immobile all'Associazione Mamme del Leoncavallo, infatti gli occupanti hanno immediatamente provveduto ad una modifica di destinazione d'uso dello stesso, che e' divenuto sede di un centro sociale "autogestito", nel quale vengono svolte attivita' ricreative, come comprovato dalle iniziative di cui la stampa ha dato notizia. Anche sotto questo profilo appare, dunque, confermata l'illegittimita' del provvedimento impugnato. 3.2. Il provvedimento impugnato appare illogico e contraddittorio anche sotto altro profilo. Nel testo dell'ordinanza e' previsto che la requisizione in uso abbia una durata massima di 180 giorni: attraverso l'indicazione de termine, il Prefetto ha formalmente soddisfatto il requisito di temporaneita' del provvedimento che la normativa vigente sottolinea. In realta', tale termine appare del tutto illogico, se si considera che esso viene ripetuto immutato fin dal primo provvedimento di requisizione funzionale all'offerta di ospitalita' agli occupanti abusivi dell'area di via Leoncavallo. Se, dunque, 180 giorni erano stati ritenuti sufficienti nel mese di ottobre 1993 per reperire una soluzione definitiva, ci si chiede come - a distanza di oltre tre mesi - il termine sia rimasto inalterato. In questo modo, l'Amministrazione ha dimostrato di avere di fatto ulteriormente posticipato le procedure per una risoluzione definitiva della vicenda, confermando anche in tal modo l'assenza di qualsiasi emergenza richiesta dalla eccezionalita' del provvedimento, e ponendo gli oneri di questa ulteriore dilazione a carico della proprieta' requisita. Nel provvedimento impugnato non e' infine neppure prevista la fissazione dell'indennita' di requisizione, essendosi limitato il Prefetto a porre a carico dell'UT.E. il compito di liquidarla. Al di la' della quantificazione di dettaglio degli importi dovuti, il provvedimento di requisizione avrebbe richiesto, quantomeno, l'affidamento almeno di massima in ordine alla disponibilita' finanziaria e alla garanzia di copertura. La necessita' della previsione di adeguata copertura finanziaria appare tanto piu' evidente nel caso di specie, in cui non solo e' stata disposta la requisizione di un bene immobile, ma lo stesso e' stato concesso in uso gratuito ai beneficiari, e ad essi non risulta essere stata chiesta alcuna garanzia ne' per la tempestiva restituzione ne' per gli eventuali danni. In proposito va ricordato che la responsabilita' della Amministrazione e' estesa sia a tutti i danni che si verificheranno durante l'occupazione, sia nell'ipotesi che l'immobile non venga a cura dello stesso Prefetto restituito alla data di scadenza. E' pacifico infatti che l'Amministrazione che ha proceduto alla requisizione e' responsabile per la restituzione del bene nel pristino stato, al di la' della indennita' di requisizione. Cio' anche ove il provvedimento dovesse considerarsi leggittimo, cio' che nnel nostro caso non e' francamente immaginabile. 4. VIOLAZIONE DI LEGGE - ARTT. 72 R.D. N. 1741/1940 E ART. 73 E SEGUENTI R.D. 11 DICEMBRE 1927, N. 25988. ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO. In riferimento alle ultime considerazioni svolte si precisa che, per necessaria cautela, il provvedimento impugnato viene censurato con il presente motivo nella parte in cui afferma che "il sodalizio destinatario della consegna degli immobili sopra descritti dovra' curare la gestione degli stessi onde poterli restituire alla proprieta'". Tale statuizione viene cautelativamente impugnata in quanto gravemente lesiva per la ricorrente, ove si dovesse interpretarla come un illegittimo tentativo del Prefetto di scaricare sulla Associazione Mamme del Leoncavallo l'obbligo di riconsegna del bene requisito, che invece grava prioritariamente sull'Amministrazione operante la requisizione e quindi sul Prefetto medesimo, in conformita' ai principi generali in materia di requisizione quali si desumono dalle norme indicate in epigrafe che, pur non essendo direttamente relative alla fattispecie, tuttavia ben possono essere analogicamente richiamate. E' del resto evidente che, in relazione ai ben noti precedenti, la impropria "delega" agli occupanti dell'obbligo di restituire il bene appare palesemente viziata da sviamento e illogicita', giacche' il Prefetto non puo' certo sottrarsi alle conseguenze di un proprio atto di autorita', nei confronti di chi vi ha dovuto forzosamente ottemperare. Tutto cio' vale ovviamente nel caso in cui la statuizione sopra citata sia da interpretarsi nel senso temuto dalla ricorrente. ISTANZA DI SOSPENSIONE Il provvedimento impugnato, oltre che gravemente viziato per le considerazioni esposte, appare anche fonte di danno grave ed irreparabile per la societa' ricorrente, con conseguente necessita' di un immediato intervento dell'ecc.mo Collegio, volto a disporne la sospensione cautelare. In proposito sarebbe errato rilevare che il provvedimento di requisizione e' gia' stato portato a compimento e che pertanto non sussistono piu' le condizioni di intervento del giudice amministrativo. In realta', il danno che la societa' ricorrente lamenta non e' correlato soltanto alla perdita temporanea del possesso del bene, ma riguarda gli effetti dell'esecuzione dell'atto impugnato che verosimilmente si potranno verificare nel periodo di occupazione. Come risulta dalla documentazione che sara' prodotta in atti, infatti, dopo la requisizione e la consegna del bene agli occupanti dell'ex Centro Sociale del Leoncavallo, l'immobile di via Salomone e' stato oggetto di una serie di intervennti di "adeguamento" da parte dei beneficiari della requisizione, che ne hanno completamente stravolto le preesistenti condizioni di utilizzo. In proposito, la stampa ha documentato l'attivita' svolta dagli occupanti per riprodurre nell'immobile di via Salomone gli stessi "arredi" (fra cui graffiti e murales) che caratterizzavano la sede di via Leoncavallo. L'utilizzazione dell'immobile per finalita' diverse da quelle proprie dell'edificio non puo' poi non aver comportato modifiche dell'assetto distributivo interno. Cio' che la societa' lamenta, dunque, e' un grave pericolo di deperimento del bene requisito. al quale non e' possibile porre rimedio, se non attraverso l'immediata sospensione dell'atto impugnato e conseguente restituzione dell'immobile. Si ricorda ancora che l'immobile di via Salomone era stato utilizzato dalla Societa' ricorrente sino al 31 dicembre 1993 come propria sede operativa; e si trovava di conseguenza in condizioni di piena funzionalita' e manutenzione. A conferma della realta' e gravita' del pericolo di degrado, si ricorda che la Compagnia di Assicurazioni Duomo, che da anni assicura il patrimonio immobiliare della societa' ricorrente, ha immediatamente disdetto la copertura assicurativa per l'edificio di via Salomone, ritenendo eccessivo l'aumento del margine di rischio conseguente all'affidamento dell'immobile agli ex-occupanti del Leoncavallo. Si aggiunga che nel provvedimento prefettizio manca un qualsiasi cenno idoneo a garantire che l'intervento della medesima autorita' sara' tempestivo nel restituire l'immobile alla scadenza fissata; e nessuna affidabilita' in proposito puo' derivare dall'atteggiamento tenuto dalla medesima autorita' in precedenza. Appare, pertanto, evidente il danno grave ed irreparabile che consegue alla societa' ricorrente dall'esecuzione del provvedimento impugnato, che andra' sospeso. *** Per tutto quanto esposto, si chiede che l'Ecc.mo T.A.R. voglia in via preliminare sospendere e nel merito annullare il provvedimento impugnato, perche' illegittimo. Con vittoria di spese ed onorari di causa. Con osservanza, |
|