TESTIMONIANZA DI ROBERTO CIMINO ('75-'78)


   Io   ero    un   militante    di   Avanguardia   Operaia   AO),
   un'organizzazione politica  che all'epoca - 1975 - aveva deciso
   di dare  via libera ad una serie di occupazioni che superassero
   la questione del problema abitativo.
   Il movimento  d'occupazione delle case era un po' in declino in
   quel momento,  non aveva piu' il deterrente esplosivo che aveva
   negli anni  precedenti -  '72, '73,  '74 -;  le masse giovanili
   avevano perso  molto interesse  per questa  battaglia politico-
   sociale. C'era  il  desiderio  di  trovare  un  nuovo  elemento
   aggregante per  gli  abitanti  dei  quartieri.  Qualcuno  aveva
   iniziato a  proporre  occupazioni  per  dar  sfogo  a  esigenze
   creative  che   emergevano  tra   i  compagni;  nacquero  cosi'
   esperienze quali  il "Centro  Socþale Santa Marta", e altri del
   genere, in  cui sorsero  scuole dirette dal Circolo "La Comune"
   che stava formandosi.
   Io facevo  parte d'un comitato di quartiere "Casorettu". Subito
   dopo il  sorgere del  comitato "Lambrate", da "Casoretto" usci'
   anche un  gruppo di  "ex-cattolici" -  li chiamo  cosi'  perche
   provenivano dall'oratorio  della parrocchia  vicino all'interno
   del quartiere -.
   Il comitato  "Lambrate" aveva  assunto il compito di cercare lo
   spazio, ed  informare successivamente  gli altri  compagni  sui
   luoghi individuati.  Tra le  molte opportunita  vagliate, c'era
   sfuggito quel  capannone -  il futuro Leoncavallo - che avrebbe
   avuto tanta  importanza negli  anni successivi.  La scoperta di
   quel capannone  avvenne per  puro caso  in quanto non si poteva
   vedcre dalla parte di via Leoncavallo cosa realmente contenesse
   quell'area.
   Andando in  via Mancinelli  -  sul  retro  dell'edificio  -  ci
   accorgemmo che  c'era una  piccola rientranza; ma non ci si era
   resi  conto  dell'area  che  che  si  celava  dietro  il  primo
   edificio. Non  ci accorgemmo  che quella prima fabbrichetta era
   solo una  piccola parte di un area complessa molto piu' grande;
   solo dopo averla occupata si scopri' l'ampiezza del luogo.
   Noi eravamo  convinti di  occupare un edificio segregato in una
   via secondaria, la realta' si mostro' ben differente.
   Finalmente dopo  una riunione,  fu  deciso  d'occupare  proprio
   quello stabile.  Organizzammo una  manifestazione chiamando  un
   po' di  amici che  avevamo, ma mentre il corteo attraversava il
   quartiere, vedemmo  che il  numero dei  partecipanti aumentava.
   Solo in  cinque conoscevamo  il  luogo  che  avremmo  occupato;
   ricordo ancora  - con  un certo  divertimento -  le  facce  dei
   compagni che assistettero ad un comizio in via Mancinelli, dove
   non c'era  assolutamente nulla.  Solo alla fine di quel comizio
   indicammo ai compagni presenti il luogo da occupare.
   Un particolarc  fu altrettanto  singolarce: per  rendere ancora
   piu plateale l'occupazione, la sera prima avevamo chiuso noi la
   porta dello  stabile con  un lucchetto,  l'accesso era  infatti
   libero. Sfondammo  quindi  la  porta  a  picconate.  La  grossa
   scoperta, una  volta entrati,  tu quando salimmo sul tetto e ci
   si rese  conto chc  c'era un  cortile con una serie numerosa di
   edifici; spaccando  un fragile  muro di  divisione le  sue aree
   furono riunificate.
   Da quel  pomeriggio prese  il  via  un  lavoro  massacrante  di
   riassestamento. Le  condizioni dello  stabile erano pietose; la
   casa farmaceutica (che era l'allora proprietaria dello stabile)
   aveva abbandonato  macchinari, scatoloni,  fiale, tappi, ecc...
   Ci vollero  molte settimane per riordinare, ma forse fu un bene
   perche' quando la gente si attivizza sui lavori scatta un forte
   meccanismo di coesione nel gruppo.
   Avevamo  tutti   la  sensazione   che  la  polizia  ci  potesse
   sgomberare; vi  era anche  il  timore  di  eventuali  possibili
   attacchi fascisti,  era il 1975 periodo in cui squadracce erano
   molto attive.  Poi col  passare del  tempo ci si rese conto che
   l'eventualita' d'essere  sgomberati si  allontanava perche'  il
   Centro  diventava   sempre  piu'  grosso;  in  quel  periodo  i
   movimenti potevano  portare in piazza 20-30.000 persone, quindi
   sgomberare non era semplice.
   Per il  primo anno comunque l'incertezza sulle sorti del Centro
   era  forte;   basti  pensare  che  quando  andammo  in  vacanza
   chiudemmo letteralmente la porta, fu una sorpresa vedere quando
   tornammo, che il centro non era stato evacuato. Ad occupare per
   i primi tempi il Centro, non c'era nessuna forza politica salvo
   AO e  gli "ex-cattolici"  che  si  dichiaravano  libertari.  Le
   organizzazioni vennero quattro mesi dopo.
   La presenza  degli anarchici  fu  molto  importante  in  quanto
   diedero vita, riciclando delle vecchie offset, ad una stamperia
   collegata con il movimento anarchico; grazie a quella stamperia
   potemmo stampare  molti manifesti  per informare  il  quartiere
   delle inziative.  La notte successiva all'uccisione di Fausto e
   Iaio  (l8/3/78)  proprio  in  quella  stamperia  furono  tirati
   150.000 manifesti che arrivarono,
   attravero le vie piu' disparat, in tutta Italia e Europa.
   A fianco  dell'attivita' della  stamperia,  un'altra  attivita'
   importante che  ricordo fu  quella che  svolgemmo nel capannone
   adibito a  teatro. Si  tennero in quello stabile una miriade di
   assemblee, concerti, rappresentazioni teatrali.
   Nell'ambito del  Leoncavallo sorse  anche la  prima "casa delle
   donne";  per  testimoniare  l'esperienza  di  separatismo,  sia
   culturale che  fisico, espressa  dalle compagne del comitato di
   quartiere, lo  spazio adibito a questa funzione fu scparato con
   un muro  dal resto  del Centro,  ci  si  poteva  accedere  solo
   entrando da via Mancinelli.
   Presso la  "casa delle  donne"  furono  organizzati  gruppi  di
   autocoscienza che  si diedero  strumenti poiitici  specifici in
   polemica con  la prassi  tradizionale. L'esperienza della "casa
   delle donne" duro' quasi un anno, se non ricordo male.
   Nanni Svampa e Lino Patruno vennero soventemente al Centro dove
   si tentava  di far decollare una scuola di musica; anche la PFM
   e gli Area parteciparono piu' volte alle attivita'. Noi, con le
   poche conoscenze  che avevamo,  eravamo in  rcalta' riusciti  a
   coinvolgere molti artisti.
   Alcuni amici che inziarono allora a fare teatro alternativo, ci
   chiesero uno  spazio; cosi'  ospitammo  l'esperienza  -  seppur
   breve -  della Compagnia  di Teatro  Popolare,  e  la  nascente
   Compagnia  dell'Elfo.   Suono'  anche   Battiato  -   al  tempo
   sconosciuto -  ma quella  serata  fu  un  vero  fiasco  perche'
   questo, dopo  aver trasformato  il palco  in una  base simile a
   quella  della   NASA,   passo'   la   serata   a   far   musica
   incomprensibile, ed  io mi presi del pirla per averlo portato a
   suonare.
   Altre attivita'  coinvolsero piu' specificatamente la gente del
   quartiere, ad  esempio la "Scuola Popolare" che permise a molti
   lavoratori di  conseguire la  Licenza  media.  Bastava  che  un
   gruppo presentasse  un progetto  al comitato  di gestione  e si
   apriva cosi'  un'altra attivita';  non  escludo  che  oltre  al
   tentativo di  dar vita  ad una  stazione radio  (Radio Specchio
   Rosso), a  una scuola  di falegnameria,  non vi fosse anche una
   scuola di taglio e cucito.
   Queste attivita'  ci consentirono di avvicinare al Centro anche
   persone non  piu' giovani,  anzi direi che per un certo periodo
   molti residenti del quartiere vi transitarono.
   La  ricerca   di  un   rapporto  con   il  quartiere  ci  aveva
   contraddistinto   dagli    altri   Centri   Sociali   di   tipo
   "indianoide", che  sorgevano  all'epoca.  Questo  per  noi  era
   intervento politico;  cosi' come  lo era  il fatto  di  cercare
   costantemente un  rapporto con  il Consiglio  di  Zona,  ed  il
   confronto con le organizzazioni sindacali di zona.
   La mia  partecipazione alle  attivita' del  Centro e' terminata
   nel '78,  dopo i funerali di Fausto e Iaio; successivamente non
   ci tornai piu'.
   La vicenda  dell'assassinio dei  due compagni  mi aveva  scosso
   molto. In  quegli anni  io stentavo a comprendere cosa fosse in
   realta' il  "fenomeno droga".  lniziava allora a dilagare tra i
   militanti che  erano ai  margini del  movimento, ma  non  aveva
   ancora assunto  le caratteristiche  che successivamente avrebbe
   assunto. Al  Leoncavallo da  tcmpo  un  gruppo  di  compagni  -
   provenienti dall'esperienza  del "Casoretto" - aveva iniziato a
   costruire   delle   "ronde   anti   spaccio"   nel   quartiere;
   successivamente  successivamente   decisero  di   iniziare   ad
   indagare sullo  spaccio a  Milano. Ma questo gruppo, purtroppo,
   non aveva  contatti con  il comitato  di gestione;  era formato
   prevalentemente da  compagni molto giovani. Fu un errore il non
   accorgersi che  un gruppo di compagni giovani aveva iniziato un
   lavoro cosi' pericoloso.
   Ricordo bene  la sera  in cui  vennero assassinati  i  compagni
   Fausto e Iaio; in quella sera doveva inziare il festival blues,
   organizzato  dal   Centro.  Io   arrivai  verso   le  nove   al
   Leoncavallo, mentre arrivavo vidi alcuni compagni correre verso
   via Mancinelli; allora scesi dal pulmino su cui mi trovavo e mi
   unii ai  compagni che mi informarono dcll'accaduto. Me ne andai
   dal Centro subito dopo i funerali, come dicevo prima, ma la mia
   scelta non  fu dovuta solamente al dramma della vicenda dei due
   compagni.
   Nel '78  iniziavano ad  aprirsi divergenze politiche all'intemo
   della gestione  del Centro  - io  vedevo l'occupazione come uno
   spazio   di   aggregazione   alternativa,   un   tentativo   di
   ricomposizione di  classe sul  territorio; altri la intendevano
   come luogo  per condurre  battaglie politiche di carattere piu'
   duro.
   Il comitato  di gestione  non riusciva  piu' a  controllare  le
   attivita' del  Centro; sorgevano  gruppi di  analisi formati da
   scunosciuti: ci  si stava disarticolando. Non sono piu' entrato
   da quel  momento al  Leoncavallo. Ci  ho rimesso  piede la sera
   successiva allo  sgombero per  vedere cosa  era stato  fatto di
   quella esperienza durata per ben quattordici anni.
   Mi ero  abituato all'idea  di questo  centro con  cui non avevo
   piu' rapporti  da anni, ma che quando ci passavo davanti vedevo
   ancora in piedi e funzionante.
   Per reazione,  dopo lo  sgombero, ho  pensato "se  si decide di
   occupare un  nuovo spazio, io ci sono"; oppure "speriamo che la
   Scotti costruisca  la sua  bella palazzina, cosi' potremo avere
   un Centro con telefoni e aria condizionata".
   I tre  anni in cui ho vissuto l'esperienza del Leoncavallo sono
   cosi' intensi  e fondamentali  per la  mia vita  che non  posso
   nemmeno fare  un bilancio;  varrebbe la  pena di ricordarli per
   intero.

(tratto dal libro bianco sul Leoncavallo a cura della federazione milanese di Democrazia Proletaria, ottobre '89)