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Intervento all'Universita' Statale di Milano del 9/03/88

Da piu' parti si sostiene che sia in atto un superamento della cosiddetta EMERGENZA.

Cio' che i sostenitori di questo presunto superamento dimenticano di chiarire, e' in che modo, al di la' delle parole, si concretizzi, o almeno inizi a prender forma, questa trasformazione, dal momento che tutti gli strumenti dell'EMERGENZA (Lgge Reale, Stato di Polizia, Corpi Speciali, cultura del sospetto, proliferare dei reati associativi, carcerazione preventiva, carceri speciali, uso del pentitismo, ecc.) rimangono pienamente in vigore e non si mostra alcuna intenzione di eliminarli. Questo accade perche' la cosiddetta EMERGENZA e' ben altro che una parentesi, un incidente di percorso, dopo i quali si possa tornare ad una presunta "normalita'" del vivere democratico.

Essa e' invece da leggere nel contesto delle dinamiche sociali e politiche degli anni '70. In essa, forti opposizioni e rigidita', prime tra tutte i movimenti di lotta, contrastavano i processi di ristrutturazione complessiva della societa' che si andavano dispiegando.

EMERGENZA, quindi, come momento di legittimazione politica di uno Stato sempre piu' autoritario, contrassegnato da un profondo mutamento delle regole del gioco.

EMERGENZA e' vera e propria giustificazione, simulazione linguistica mascherante cio' che essa e' stata, e', e sara': METODO DI GOVERNO.

Del resto, l'esoerienza di altri Stati occidentali mostra un quadro assai simile a ouello italiano, pur nella mancanza di fenomeni - assunti in Italia mistificatamente in un paradigma di causa/effetto - come quello dell' "emergenza terroristica".

Cio' viene , del resto sostenuto anche da due magistrati milanesi - Maisto e Greco - che in un loro intervento dell'84 scrivevano:
" ...la riduzione in termini di "ipotesi penali" delle dinamiche sociali che fuoriescono dal quadro della mediazione e contrattazione istituzionale e', sicuramente, il tratto caratteristico della legislazione penale e delle pratiche dell'emergenza. Cio' si e' realizzato, essenzialmente, attraverso una espansione del potere giudiziario ed una riaffermazione della centralita' del processo penale e del carcere, sempre piu' identificati come i luoghi in cui ricondurre, simbolicamente, il conflitto sociale e, materialmente, i suoi soggetti.
Se la giuridicizzazione penale del conflitto prefigura uno Stato tendenzialmente autoritario, la linea espressa in Italia dalla legislazione speciale e' analoga a tutte quelle adottate dagli Stati tardo-capitalistici che risolvono la loro crisi di legittimita' e rappresentanza, nonche' i problemi sociali, conseguenti alle trasformazioni economiche, con scelte autoritarie, finalizzate a governare il conflitto stesso.
Il metodo dell'emergenza (o delle emergenze) e la cultura che, parallelamente, sviluppa, appare, allora, dato strutturale di governo della societa' e pervade, come linguaggio e come pratica, le istituzioni tutte e in particolar modo quelle giudiziarie.
Accreditare l'emergenza come reale causa di produzione legislativa anziche' come momento di legittimazione politica, di produzione culturale e di consenso istituzionale ed, infine, di delega alla magistratura, significa quindi riconoscere come normale questo metodo di governo e di mantenimento del potere e, nello tesso tempo, accreditare un nesso causale tra emergenza e leggi speciali, confondendo l'occasione sociale, politica ed economica, con il motivo che spinge all'adozione di determinati provvedimenti."


L'ATTIVAZIONE DELL'ALLARME SOCIALE, L'APPELLO ALLA DIFESA SOCIALE SONO STATI IL MECCANISMO DI INNESCO DELL'EMERGENZA.

Tra il 1974 ed il 1975, di concerto, dal Palazzo (innanzi tutto: Ministero degli Interni e magistratura) e dalle agenzie informative, si levano duri appelli al ristabilimento dell'ordine contro la "criminalita' dilagante" e il "disordine" sociale e politico.

"La criminalita' e' giunta a limiti intollerabili", "Mentre la criminalita' imperversa la Giustizia e' sull'orlo del collasso": questo era il tono dei titoli di stampa dell'epoca.

Sentiamo ora le parole di Bonfiglio, nel 1975, Procuratore generale della Corte d'Assise di Bologna: "I fioretti del Santo d'Assisi devono essere sostituiti dall'arma legittima che spari tempestivamente, e dalla spada della Legge che, con taglio netto, estirpi il male prima che invada il tessuto sociale."
Potremmo dire: poche idee, ma chiare!

La SOCIETA' e' qui vista come un CORPO OMOGENEO e SANO, che va DIFESO da NEMICI INTERNI/ESTERNI: criminalita' e antagonismo politico, intesi non come espressione delle contraddizioni, del conflitto e del disagio sociali, ma come MALI DA ESTIRPARE.

In realta', questi sono gli anni della crisi economica ed energetica, della crisi urbana, della disoccupazione, degli aumenti dei prezzi, degli scandali di regime, situazione il cui sbocco sara' la societa' dei sacrifici, all'ombra dell'unita' nazionale.

E' a fronte di questa crisi profonda degli assetti di potere precedenti, e delle lotte politiche e dell'antagonismo diffuso che in quegli anni attraversano tutto il tessuto sociale, che si possono intendere le ragioni e la portata dell'emergenza.

EMERGENZA, quindi, come RIARMO INTERNO, REAZIONE GLOBALE dello Stato e delle classi al potere, per ELIMINARE IL VIRUS DELLA CONTRADDIZIONE, su di una prospettiva di lungo periodo.

Cio' che la parola emergenza sempre richiama e' l'ECCEZIONALITA'.

La SIMULAZIONE, estesa a tutti i livelli della vita sociale, di una situazione di pericolo estremo, e' servita a legittimare il passaggio ad uno Stato di DEMOCRAZIA AUTORITARIA.

Si determina un percorso istituzionale nel quale i poteri degli apparati repressivi si accrescono a danno dei diritti e delle garanzie di liberta' dei cittadini.

L'operazione si realizza, sul piano legislativo, innanzitutto attraverso la Legge Reale del '75, le Disposizioni in materia di ordine pubblico dell'agosto 1977, i Decreti-legge del marzo 1978 e dicembre 1979, e la Legge del febbraio 1980.


IN QUESTI ANNI LA REPRESSIONE/ESCLUSIONE DELLE SOGGETTIVITA' POLITICHE E DEI SOGGETTI DEBOLI, HA COSTITUITO IL DOPPIO, MA INTRECCIATO AGIRE DELLO STATO DELL'EMERGENZA.

Come non vedere il nesso che esiste tra l'annullamento forzoso dei movimenti di lotta degli anni scorsi ed il degrado del vivere in intere aree della citta', il diffonderesi delle tossicomanie, i suicidi operai, le sofferenze degli esclusi, il formarsi di una societa' "bassa" che e' esclusa dalle sedi e dalle forme della rappresentanza politica?

Come non vedere che controllo e repressione armata da parte della Polizia si estendono oggi agli elementi "irregolari" della societa', alla "delinquenza di strada", a tutte quelle figure, soprattutto giovanili che non partecipano della "MILANO FELIX", la Milano, cioe', ricca, produttiva, "sana"?

La pratica dell'esclusione comincia nei quartieri dell'hinterland, dove la Polizia predispone retate, controlli nelle strade e persino sui tram, per setacciare e regolare i flussi di movimento dei giovani nella citta', ed impedirne l'accesso al centro.

Ed ancora, e' proprio di queste ultime settimane il pattugliamento del Metro' e delle stazioni delle Ferrovie Nord, di cui a farne le spese sono soprattutto i venditori ambulanti di colore, ed infine, il controllo delle scuole a supposti fini antidroga. Cosi' come non puo' nemmeno essere un caso che uno dei pochi settori per il quale il Comune prevede nuove assunzioni, e' quello della Vigilanza urbana, all'interno di una trasformazione del ruolo del vigile che ne fa sempre piu' un poliziotto armato di quartiere.

Se l'emergenza si e' dispiegata a fronte dei conflitti politici degli anni '70, essa permane come attenzione repressiva e pesante ipoteca sull'impegno politico e sulle lotte presenti e possibili.

Ci riferiamo all'evidente abbassamento della soglia di tollerabilita' del conflitto sociale, testimoniata dalla limitazione, che si sta realizzando proprio in queste settimane, del diritto di sciopero, dallo strapotere padronale (faccia dura della "centralita' dell'impresa"), dal riformarsi di una cultura unanimista, dalla pervasivita' di un sistema cultuale che, rifiutando anche solo di pensare alla possibilita' del conflitto direttamente agito e della differenza, vede ovunque orde di nuovi barbari, bande di teppisti, di "randa", ecc.

Ci riferiamo qui, ad esempio, alla linea dura di continui sgomberi, negli ultimi mesi, contro gli occupanti di case sfitte (Villetta di via Litta Modigliani, via Quadrio, via Zenale, via Lancetti, ecc.), all'atteggiamento tenuto nei confronti dell'occupazione dell'Universita' Statale di Milano della scorsa primavera, conclusasi con 11 comunicazioni giudiziarie, o nei confronti degli studenti bolognesi rei di manifestare, in questi giorni, dissenso alla celebrazione delle "glorie" dell'ateneo, e alle condanne inflitte a diversi giovani per il solo fatto di essere stati presenti sul luogo degli incidenti avvenuti all'esterno del Palatrussardi, durante il concerto di Neil Young, la sorsa estate.

Ci riferiamo all'accusa di associazione sovversiva che ha colpito, da ultimo, diversi compagni di Bologna ed alcuni compagni impegnati nel "Comitato di Controinchiesta sull'omicidio di Pedro Greco", ucciso due anni fa da agenti della Digos e dei servizi segreti, con 7 colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata nell'androne di casa sua, a Trieste, ed infine all'uso delle armi da fuoco contro la manifestazione antinucleare a Montalto di Castro del 9 dicembre 1986.


L'emarginazione dei soggetti che testimoniano, attraverso la propria esistenza, disagi e difficolta' nel vivere secondo le "nuove" e dure leggi del mercato, e la repressione diretta nei confronti dei soggetti politici, cioe' di coloro che traducono tali contraddizioni in prassi collettiva di lotta, sono stati gli esiti voluti piu' o meno esplicitamente, o tacitamente consentiti, da parte degli organi di potere e delle istituzioni.

Il messaggio del NON-PRENDERSI-CURA della qualita' della vita per tutti, dal piano politico e amministrativo, SI TRADUCE, sul piano esecutivo, nel DARE ALLA VITA stessa POCO VALORE.

La GIUSTIZIA SOMMARIA e l'instaurazione di un ORDINE SCANDITO DAI COLPI DELLE ARMI DA FUOCO, danno come esito estremo, radicale e irreversibile, cie' che noi chiamiamo PENA DI MORTE DI FATTO.

I dati parlano chiaro: la Legge Reale ha causato, dal 1975 ad oggi, 186 morti ed oltre 220 feriti.
Di queste vittime, il 39% sono state colpite per non essersi fermate all'alt o a un posto di blocco; il 27% dopo aver compiuto un piccolo reato di strada (ad es. scippo o furto d'auto); il 22% dei colpiti erano estranei alla situazione; il 4% ed 3%, rispettivamente, per oltraggio o resistenza a pubblico ufficiale, oppure in fuga, avendo documenti irregolari.

E ricordiamo, infine, i tanti compagni uccisi da una politica dell'ordine pubblico che dell'uso delle armi da fuoco ha sempre fatto una costante dal '45 ad oggi.


E' in questo contesto che un impegno decisamente abrogativo delle leggi che ormai solo per convenzione linguistica continuiamo a chiamare d'"emergenza" e' un bisogno centrale.

Battersi fattivamente per l'abrogazione delle leggi d'emergenza, prima tra tutte la Legge Reale, significa, oggi, confrontarsi con questa complessita'.

Proprio perche' l'EMERGENZA E' REGOLA DI GOVERNO COMPLESSIVA, l'opposizione ad essa non puo' essere cosa che riguardi solo soggetti organizzati politicamente, ma deve saper costruire un percorso di liberazione comune anche tra posizioni politiche, culture e ideologie diverse e distanti tra di loro, e coinvolgere, in primo luogo, gli strati deboli ed emarginati, e percio' piu' colpiti, della societa'.

Centro d'Iniziativa Luca Rossi