COMUNICATO DI MARCO CAMENISH
dal carcere di Pfäffikon

 

28 luglio 2002

Trasferimento del sottoscritto all'ospedale universitario di Zurigo - presso l'Istituto diagnostico di Radiologia- per essere sottoposto alla risonanza magnetica all'addome,
alle ore 15,30 del 1 luglio 2002.
Alle ore 14,30 abbandono la cella ed al pianterreno mi attendono 2 poliziotti in borghese e 3 o 4 in uniforme della polizia cantonale di Zurigo.

Informo l'agente in borghese che si comporta da caposcorta che circa mezz'ora prima del controllo devo assumere l'acqua che mi porto dietro, dentro una bottiglia di plastica, poiché la vescica dovrebbe essere piena per il controllo.

Consegno all'agente la convocazione della clinica universitaria con le relative indicazioni.
Nel caso mi fossero messe le catene ai piedi chiedo che per il percorso in clinica, probabilmente lungo, si organizzi una sedia a rotelle.
L'agente mi dice di non preoccuparmi che ci penseranno loro.

Vengo ammanettato con le mani dietro alla schiena e mi pongono la catena ai piedi; dai contatti radio riesco ad intuire che il dispositivo di sicurezza sia superiore rispetto a quello visibile.
Con le catene ai piedi, l'altezza tra il suolo ed il furgone (senza predellino) non può essere superata con un passo; pertanto sono costretto ad inginocchiarmi sul pavimento del furgone e tirarmi su in qualche maniera con le mani dietro alla schiena per arrivare al sedile.

Mi informano che il tragitto durerà circa 20 minuti.

L'aerazione della cabina detenuti, priva di aperture o finestre, non funziona.
All'arrivo, probabilmente nel cortile di una caserma di polizia a Zurigo, viene aperta la portiera posteriore del furgone e la porta a sbarre interna; mi informano che attenderemo qui fino all'esatto termine del controllo.

Un agente mi porta la bottiglia alla bocca per bere, al che chiedo di essere ammanettato con le mani in avanti. Il caposcorta si rifiuta e dice "Lei sa come funziona", al che rispondo "Certo, sono in galera da più di 12-14 anni, mai con le catene ai piedi e le manette dietro la schiena". L'agente risponde "Lei conosce la sua nomea", al che dichiaro che questo tipo di ammanettamento/incatenamento é un umiliante maltrattamento tipico dei metodi fascisti americani e svizzeri, non necessari con un tale spiegamento militare e soprannumero. "Così o niente" dice l'agente. Al che svuoto la bottiglia tenuta dal secondo agente in borghese.

Non rifiuto, non potendo a cuor leggero mettere in questione la necessità del controllo medico con un rifiuto coerente. Fino alla partenza la portiera posteriore del furgone é lasciata aperta per aerazione, ovviamente con il cancello a sbarre chiuso e sotto vigilanza.

Dopo un'attesa, alle 15,30 circa il caposcorta mi informa che stiamo partendo per il controllo.
Scendendo davanti all'ospedale, suppongo presso l'entrata principale, mi devo sedere sul pavimento del veicolo e, poggiando le mani ammanettate all'indietro prima sul sedile e poi per terra e sul culo, arranco fuori dal furgone. Inginocchiarsi é pericoloso (caduta) e doloroso per le invalidità alle gambe ed alle ginocchia causate da ferite d'arma da fuoco.

Il caposcorta mi comunica che purtroppo non sono disponibili delle sedie a rotelle, ma che il percorso sarà breve. Il percorso dal pianoterra all'ascensore e dall'ascensore al piano C, fino alla radiologia si rivela però lungo, anzitutto con le catene ai piedi che non permettono di fare dei passi, ma solo dei ridicoli passettini. I cerchi alle caviglie non provocano dolore, poiché preventivamente mi sono messo tre paia di calzini.

La scorta visibile d'agenti uomini ed una donna, in borghese ed in uniforme, consiste in almeno 8 poliziotti.

In radiologia chiedo di nuovo che mi vengano tolte le manette o che almeno mi vengano messe in avanti, visto che per effettuare la risonanza bisogna coricarsi sulla schiena e che sono necessarie delle torsioni per poter fare delle esplorazioni anche dal dorso, all'altezza dei reni.

In questa maniera, inoltre, non si pregiudicano la corretta respirazione ed i trattenimenti del respiro necessari. Gli agenti chiedono al medico cosa sarebbe necessario, questi risponde che in queste condizioni farà quel che é possibile. Mi dovrei pure alzare la maglietta, faccio presente che sarebbe anche necessario abbassare i pantaloni e che sicuramente non permetterò a nessun poliziotto di armeggiare con la patta dei miei pantaloni.

Ma qui in Svizzera non é necessario abbassare i pantaloni. Sempre per la stessa necessità sopra accennata mi corico sulla schiena, cioé sulle braccia e mani legate dietro di essa e sulle manette, tentando di far sporgere più possibile queste dal lato sinistro. Prima informo il medico sulle patologie da controllare:
varicocele sinistro, angioma epatico, neoplasia surrenale destra. "Non mi riguarda il varicocele, qui c'é scritto solo del rene, posso controllare anche il fegato" dice il medico. Ripeto per la seconda volta che lo stesso controllo l'ho fatto varie volte come detenuto speciale in Italia, senza manette poiché altrimenti questo controllo non può essere eseguito correttamente.

Il caposcorta dice "Non c'é nulla da discutere". Io dico che questa é una porcheria fascista.

Il controllo dura circa 20 minuti, il medico esplora gli organi dall'alto e di lato su di una superficie corporale molto minore che nei controlli precedenti. Le manette tagliano le braccia e le mani sulla schiena nuda e mi contorco per i forti dolori, mentre il medico mi dice di stare fermo.

Prima del ritorno non sento la necessità di andare al bagno.
Ritorno senza aerazione e bagnato di sudore; penso ai 300 maiali crepati poco tempo fa nella calura per l'aerazione guasta, vicino a Pfäffikon, e che le porcherie fasciste e della giustizia svizzera non sono porcherie ma umanerie.

Arrivo a Pfäffikon, mi levano manette e catena. Chiedo al caposcrota se é lui il capo del gruppo, ed annuisce. Lo prego di dirmi il suo nome e grado di servizio.

Insicuro, mi chiede perché, non rispondo. Poi dice che saprò il suo nome, ma non adesso. Gli faccio presente che lui, il signor anonimo, avrà mie notizie.

Le guardie che mi accolgono mi chiedono se ho dei problemi. Io chiedo loro quanto alta é la temperatura esterna.

Ci sono circa 28 gradi C° sopra lo zero.

1) Il vano detenuti del furgone senza aerazione, né in andata né in ritorno, é in lamiera, lungo due sedili, largo la larghezza del furgoncino e alto poco meno di 1,5 metri. Unica apertura: un buco d'aerazione del diametro di circa 20 cm. con vari strati di retina spessa ed una copertura di lamiera a lamelle fini. Uscendo i 28 C° sembrano freddi.

2) Viaggiare con le manette all'indietro é una tortura per la posizione estremamente scomoda e perché le manette tagliano i polsi. Molto allarmante é anche il maggiore pericolo di ferimento in caso d'incidente. Non é possibile riparare istintivamente la testa ed il torace con le braccia e le mani. Non esiste imbottitura di protezione ad altezza testa, salvo un pezzo in direzione di guida che al massimo protegge nel caso di un lieve tamponamento. Se c'é un incidente serio la persona é scagliata in varie direzioni.

3) Nelle tante occasioni di controlli a risonanza magnetica i medici, se la scorta non li preveniva, chiedevano sempre con determinazione di togliere le manette messe, inoltre, esclusivamente davanti; perché altrimenti il controllo non sarebbe stato possibile effettuarlo. Il
controllo delle aree del rene e del fegato venne sempre realizzato con esplorazioni di superfici più grandi dell'addome, davanti, di lato e di dietro ed in modo accurato. L'esplorazione effettuata oggi, a Zurigo é avvenuta senza calare i pantaloni, mentre nelle precedenti questo é sempre avvenuto, ed esplorando superfici molto più piccole omettendo l'esplorazione della schiena, a livello della regione renale.

4) È da chiedersi, se il medico abbia assolto il suo dovere deontologico non imponendo le condizioni necessarie per un corretto controllo e, di conseguenza, non eseguendo il controllo correttamente secondo migliore conoscenza e coscienza.

5) Evidente é la responsabilità del caposcorta per il trattamento inumano, umiliante; procurando dolori ed il cosciente e premeditato impedimento di un trattamento sanitario corretto.

6) Non é secondario che le catene ai piedi che costringono ad un'andatura ridicola e lenta e faticosa, messe per attraversare uno spazio pubblico di notevoli dimensioni e frequentazioni sotto scorta spettacolare, sono se non una voluta comunque accettata messa in mostra umiliante di un prigioniero, equivalente alla gogna medievale.

7) Il controllo é di dubbia concretezza ed utilità anche perché, per non pesare con tutto il peso dell'addome sulle braccia ammanettate, si é costretti ad inarcare la schiena perennemente, contraendo sempre tutta la muscolatura addominale e della schiena con conseguente deformazione e pressione sugli organi. È dubbio che in queste condizioni le misurazioni delle neoplasie con la risonanza magnetica possano risultare attendibili.

Prego la diffusione anche presso le organizzazioni per i diritti umani

Cari saluti, marco

carcere di Pfäffikon, ore 17, 1 luglio 2002

Marco Camenisch, nato il 21.01.1952 a Schiers (Svizzera), con due anni di detenzione nel 1979-1981 in Svizzera, quasi 11 di carcere speciale - EIVC in Italia dal 1991 al 2002, attualmente detenuto in attesa di giudizio presso il carcere di Pfàffikon.

Marco Camenisch

Hörnlistrasse, 55

8330 Pfäffikon

Svizzera

 

Chi é Marco Camenisch

11 marzo 2001

Avevo chiesto a Marco di scrivermi una sintesi dei fatti che lo hanno portato a passare molti anni nelle galere prima svizzere e poi italiane, per due diversi motivi. Il primo é che queste storie sono note a molti ma non a tutti: soprattutto per i più giovani quello di Marco Camenish può essere il nome familiare di un compagno in galera e non molto altro; in secondo luogo, é già capitato in passato di aver letto delle versioni riguardanti fatti anche abbastanza "delicati" di compagni/e detenuti/e con imprecisioni se non addirittura delle sviste grossolane. Ho ritenuto quindi preferibile aspettare del tempo e avere una versione assai sintetica ma evitare di diffondere notizie dubbie. Quella che segue é la risposta di Marco, riportata in tutti i suoi passi significativi (sono state omesse solo alcune frasi con riferimenti personali).

Biella, 11.03.2001

[...] Riassunti sulla "mia" storia ne circolano o ne circolavano su stampa di movimento, ma man mano la do fuori e poi vallo a recuperare [...] purtroppo tenere un archivio come si deve non é da me e sarebbe anche arduo nelle ristrettezze qui, di mezzi e di spazio. [...] Un sunto veloce posso tentarlo subito, così mi tolgo il tarlo, sapessi quanti ne ho, perché non sei l'unico che attende e forse crede che non ci penso, ma ci penso eccome, nella gran frustrazione di non farcela mai a rispondere a modino e come sarebbe giusto a tutti e tutte. È un po' infernale, frustrante, scrivere e poter solo scrivere, per poche cose passa un'ora di tempo, e passo ore ed ore a scrivere, non dimentico nessuno, ogni persona che aspetta é un "tarlo" perché non dimentico nessuno/a. C'é anche la grande relatività del tempo qui dentro, da un lato é insignificante, fermo, sempre uguale, dall'altra passa come il lampo.

Dunque, sono stato preso insieme ad un compagno dopo due sabotaggi in Svizzera, un traliccio ed una sottocentrale di una delle maggiori ditte dell'atomo nel '79, e ci hanno condannati a 7 anni e mezzo lui e dieci me un anno dopo; ho fatto una lunga dichiarazione di rivendicazione e di accusa a questa società in tribunale che da sola mi sarà valsa la condanna allora, per le consuetudini ed i precedenti in materia, smisurata. Fine '81 sono evaso dal carcere di Regensdorf vicino a Zurigo con altre cinque persone, nell'occasione é stata uccisa una guardia e ferita un'altra. Non da me, processualmente chiaro tramite giudizi di altri, dopo degli evasi con me, ma tanto basta perché ora sono accusato d'omicidio per quei fatti, sarò giudicato al mio "ritorno" in Svizzera. Rimasi dieci anni latitante, nell'89 in una sparatoria fu uccisa una guardia di confine, una volta accertato che ero stato in zona in quel momento sono accusato anche di questa uccisione, per via indiziaria. Accusato si fa per dire, meglio é dire condannato sia dalla stampa sia da dichiarazioni ufficiali dei servizi svizzeri. Sarò processato anche per questo al mio "ritorno". Nel '91, in novembre, dopo una sparatoria con una pattuglia di CC, ferito io e ferito un CC, sono arrestato, ed il tribunale di Massa mi condanna credo nel '93 a 12 anni per lesioni gravi e, per via indiziaria, per uno dei tanti tralicci caduti e che ancora sarebbero caduti dopo il mio arresto.

Subito la Svizzera chiede l'estradizione concessa dal tribunale di Genova. Rivendico di nuovo il mio essere anarchico rivoluzionario, combattente di classe ed "ecologico". Lavoravo ed abitavo presso la tipografia anarchica a Carrara, i compagni si dichiarano subito solidali. Dopo mezz'anno di centro clinico a Pisa finisco a San Vittore in una sezione speciale di transito da dove nel '93 sono trasferito allo speciale di Novara, dopo uno sciopero della fame, per avere il trasferimento in una struttura vivibile, di complessivamente 60 giorni; chiedo anche la riunione con altri detenuti politici e denuncio la situazione negli speciali con la differenziazione e una invivibilità segregativa molto alta. A Novara un altro scioperetto di 20 giorni contro l'invivibilità, la sanità carceraria, l'assenza di spazi di formazione e ricreazione/socializzazione. E ora sono andato in pensione [...]

Sarò trasferito in Svizzera alla imminente fine della pena di 12 anni italiana. Cioé verso fine quest'anno fino a metà del 2002, dipende se chiedo la scarcerazione anticipata o meno. Per cinque anni li ho chiesti ed ottenuti, sono via via novanta giorni all’anno e te li danno i magistrati di sorveglianza, cioé i tribunali di sorveglianza se hai "buona condotta". Non ho più fatto richiesta dei "giorni" perché non so bene, tra le tantissime motivazioni e situazioni contraddittorie, decidermi cosa sarebbe opportuno. [...]

Ora forse chiederò la misura alternativa alla pena, cioé l'art. 21 o la semilibertà, visto che della gente fuori é riuscita a reperirmi un posto di lavoro in una coop. di gestione delle aree verdi. Molto improbabile che mi sia concesso qualcosa. Succo del discorso son lì lì per andarmene in Svizzera. Avevo chiesto tempo fa di esservi trasferito nella modalità "espiazione pena estera nel proprio paese", ma in Svizzera dissero di no, che volevo solo "approfittare" delle maggiori comodità (sic!) delle galere svizzere.

Bene, non é tanto, ma sono contento che finalmente mi sono fatto sentire, ripeto, non dimentico nessuno, ma, per i motivi sopra citati, i tempi di risposta possono essere anche di sei mesi, più vorrei approfondire, più lungo il tempo. Ho circa 60-80 indirizzi "attivi", in tutto saranno un duecento, é dura non permettersi di morire socialmente [...]

Marco

Fonte: lettera di Marco Camenish dell' 11.03.2001.

CONTESTA