Benzina sul Molino, sabbia sull'inchiesta


È parziale, incompleta e faziosa l'inchiesta condotta dalla magistratura ticinese sull'incendio doloso che il 7 giugno 97 ha parzialmente distrutto il Molino di Viganello. Non ha dunque ancora un nome la mano criminale, che con quel gesto ha tentato, peraltro invanamente, di porre fine all'esperienza del centro sociale in Ticino.
Dagli atti dell'inchiesta emergono particolari inquietanti e sorge il dubbio che l'autorità inquirente abbia volutamente evitato di giungere all'individuazione del o dei colpevoli.
Il primo evento perlomeno strano si verifica il giorno successivo, quando durante la notte giunge sulla segreteria telefonica del comune di Lugano una telefonata anonima del seguente contenuto: "se volete saperne di più sull'incendio del Molino telefonate al numero 960.XX.XX" (omettiamo per ragioni di sicurezza la trascrizione integrale del numero, che corrisponde ad una Società del Luganese). "Per un errore di manipolazione" il contenuto di quella cassetta viene completamente cancellato, il che renderà impossibile l'identificazione di colui o colei che ha effettuato la chiamata. Il fatto viene narrato negli incarti come se si trattasse di un evento normale. Nossignori è inaccettabile che un funzionario comunale di Lugano che si trova fra le mani un documento di quel tipo incominci a "manipolarlo". Qualsiasi persona di buon senso, dopo aver preso atto del contenuto di quel nastro, avrebbe dovuto interpellare immediatamente il magistrato. Ma così non é stato e l'unica prova è sparita. Una chiave di lettura la possiamo però forse trovare andando a rileggere alcune pagine de "La tela del ragno" di Sergio Flamigni, una delle più complete opere sulla vicenda del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, in cui si descrivono stranezze dello stesso tipo. Quando le BR annunciarono la diffusione del comunicato numero 4 con una telefonata al quotidiano "Il Messaggero" (il cui telefono veniva tenuto sotto controllo dalla Sip con lo scopo di individuare la prigione dello statista democristiano), "casualmente, per una serie di coincidenze" tutte e cinque le linee telefoniche andarono fuori controllo. In quell'occasione lo Stato non volle individuare la prigione di Moro. Nel nostro caso non sappiamo se qualcuno volle o non volle qualcosa, ma il fatto ci preoccupa..
La registrazione cancellata è però soltanto uno degli elementi strani dell'inchiesta sull'incendio.
La polizia, invece di indagare su alcuni personaggi oscuri che nei giorni precedenti l'incendio avevano proferito contro il Molino una serie di minacce a dir poco esplicite, si concentra sulle vittime, cioè gli occupanti, sui quali vengono gettati sospetti infamanti ma soprattutto ridicoli.
L'inchiesta presenta lacune paurose anche per quanto riguarda i pochi indizi raccolti: Un'indiscrezione proveniente da una fonte della polizia, secondo cui "qualcuno avrebbe pagato la somma di 10 mila franchi per fare incendiare il Molino" non porta ad indagini serie sul presunto, e noto, mandante. E pure sulle lettere anonime che il giorno precedente l'incendio esternavano l'intenzione di far esplodere il centro studi di Trevano in relazione al centro autogestito, nessuna indagine, nessuna perizia.
Infine, ma si potrebbe continuare, ricordiamo che alcune settimane dopo l'incendio la polizia rinveniva nei pressi del Molino una tanica da cinque litri contenente benzina e da cui sporgeva della carta da cucina. C'è dunque stato un secondo tentativo di dar fuoco a ciò che restava del Molino? No, la polizia scrive che "non ha intravisto alcun elemento che potesse collegare la tanica con un eventuale nuovo tentativo di incendiare il Molino". Tutto secondo copione dunque: la magistratura ticinese di fronte ad un gesto criminale rimane pressoché passiva. Un atteggiamento molto diverso da quello assunto nei confronti di alcuni militanti del Centro sociale che sono indagati in seguito a denunce di qualche sindaco isterico, denunce per reati che il diritto penale definisce delle bagatelle.