LUGANO ANTIDEMOCRATICA
Il municipio di Lugano si conferma un soggetto disonesto, arrogante e
antidemocratico. In occasione dell'incontro con il Consiglio di Stato e con alcuni sindaci
del Luganese, da cui sarebbe dovuta scaturire una soluzione definitiva all'ubicazione del
centro sociale, il sindaco-dittatore Giorgio Giudici si è tolto la maschera che aveva
portato per alcuni mesi. Durante l'estate sembrava infatti che il più acerrimo nemico del
Csoa fosse disposto a mettere a disposizione l'ex deposito Act quale sede definitiva per
il Csoa. Non si trattava di una semplice "voce di corridoio", ma del risultato
di una lunga trattativa portata avanti con il Consiglio di Stato, in particolare con
Pietro Martinelli. Fu proprio quest'ultimo a comunicarci, in occasione di un
incontro nel mese di giugno, le "buone intenzioni" del sindaco-dittatore di
Lugano. In realtà di buono non c'era proprio nulla. L'apertura di Giudici si è rivelata
una semplice mossa strategica, che ben si inserisce nel contesto della politica fortemente
autoritaria portata avanti dal municipio di Lugano nei confronti di tutte le realtà
antagoniste, che legittimamente rivendicano il diritto di cittadinanza.
Probabilmente anche lo stesso Consiglio di Stato, unico interlocutore politico che sin qui
ha assunto un atteggiamento tutto sommato rispettoso e ragionevole nei confronti
dell'esperienza di autogestione, ha peccato di ingenuità. Come si è potuto credere ad un
uomo con una così scarsa cultura democratica? Come si è potuto credere ad un politico
che opera ad esclusivo servizio della piazza finanziaria luganese e dei suoi frequentatori
e che calpesta i diritti di qualsiasi minoranza? Come si è potuto credere a colui che
rivendica un diritto di proprietà sulla città di Lugano, dalla quale vorrebbe escludere
i tossicomani (Giudici
ha definito l'impiego dei securitas per farli allontanare da Piazza Indipendenza «un buon
esempio di collaborazione fra pubblico e privato»), gli omosessuali, e persino gli
anziani e gli andicappati (L'Act si rifiuta di acquistare bus senza barriere
architettoniche per evitare «inutili perdite di tempo»)?
L'abbandno del tavolo delle trattative da parte del sindaco-dittatore era dunque
un'ipotesi tutt'altro che imprevedibile.
Al Consiglio di Stato va tuttavia riconosciuto il merito di aver capito che il Csoa è una
realtà gestita da persone serie e mature e che non può essere sradicata, nè attraverso
pratiche di delegittimazione nè (tantomeno) attraverso azioni di polizia. E questo
nonostante l'intransigenza, del tutto ingiustificata, del municipio di Canobbio, che da
mesi chiede lo sgombero forzato dell'attuale sede del Maglio. Una sede non gradita nemmeno
ai militanti del Csoa, ma che va difesa in attesa dell'individuazione di un'ubicazione
all'interno del tessuto urbano.
In occasione dell'incontro fra una delegazione del Csoa e il Consiglio di Stato del 24
settembre, abbiamo chiesto allo stesso Cds una denuncia pubblica contro il municipio di
Lugano. La richiesta è però stata respinta in quanto Lugano «rappresenta un terzo dei
redditi di tutta l'economia cantonale» ci è stato risposto.
A questo punto auspichiamo che il Ticino sedicente democratico si dia una mossa ed
intraprenda i passi necessari per costringere la città più importante del cantone ad
assumersi le proprie responsabilità fino in fondo. Pensiamo in modo particolare a quei
politici, alcuni dei quali rappresentati nell'esecutivo luganese, che nei mesi scorsi
hanno in qualche modo riconosciuto il valore sociale dell'autogestione e la necessità che
questa trovi un giusto spazio in città.