BUON COMPLEANNO MOLINO

LA FAVOLA DELL'ILLEGALITA

MISTER MUTO RACCONTA

RISPOSTA A ''MISTER MUTO''

VIVERE AL MOLINO

 

 

Due anni di autogestione




Sono passati due anni dal giorno che Realtà Antagonista occupo' uno spazio fino ad allora dismesso e inutilizzato. Luogo che tutti ormai avevano dimenticato, che da un giorno all'altro è divenuto vivo e ricco di attività sociali e culturali. Dal momento dell'occupazione tutti hanno rivendicato qualcosa su quella struttura e sul modo con cui è stata liberata (quindi con un'azione illegale).
Partiti e uomini politici, pseudo-associazioni di quartiere, polizia , ecc., hanno condannato questo gesto che in nome della loro democrazia rappresentava sfida aperta allo stato di diritto e di legalità.
Forse ci si dimentica che la rivendicazione di spazi alternativi antagonisti risale ad oltre vent'anni, che sono state seguite tutte le possibili vie legali e burocratiche sempre con la medesima risposta: picche.
Di fronte ad un'esigenza che ogni anno diveniva sempre piu' forte e coinvolgente, il comune di Lugano esprimeva ferma opposizione ed intransigenza: sul proprio territorio non potevano esistere luoghi da autogestire: quindi tutto doveva rimanere sotto il controllo e il giudizio del padre padrone Giorgio Giudici.
In realtà si aveva paura che si potesse sviluppare un movimento di critica sociale che non avrebbe giovato ai giochi sporchi del municipio di Lugano (gia' 4 anni fa si definiva il GAS troppo politicizzato, per cui niente Centro Sociale).
Il CSOA nacque lo stesso il 12 ottobre 1996 e con esso anche un movimento di critica sociale: peggio di cosi' per G.G non poteva andare.
L'esistenza di un Centro Sociale si è cosi' radicalizzata nel territorio, rendendo sempre piu' consapevole la gente dell'esigenza di un laboratorio politico sociale dove poter sperimentare, chiedere aiuto, informazioni, costruire forme di lotta allo strapotere economico e politico. Tra i detrattori del CSOA si intensificano i tentativi di far cessare l'esperienza con qualsiasi strumento necessario, anche quello criminale fascista. Al Centro viene dato fuoco, si rapporta il Molino con il mondo della mini o macro criminalità; denuncie , arresti, condanne, violenza. Hanno cercato di fermarci con ogni mezzo, ci hanno addirittura negato il diritto di manifestare (riconosciuto come diritto democratico).
Due anni dopo, siamo ancora al Maglio ad attendere un luogo piu' adeguato nella sua struttura, nel tessuto urbano, laddove si esprimono le maggiori contraddizioni sociali: un luogo ove vi sia la possibilità di far rivivere i nostri quartieri dormitorio tanto cari al sindaco Giorgio Giudici.

 

La favola dell'illegalità

 

«In un'esperienza di autogestione una certa dose d'illegalità è naturale». Così si è espresso il Consigliere di stato Plrt Giuseppe
Buffi durante l'incontro del 24 settembre fra il Cds e una delegazionedel Molino. Anche una delle massime autorità politiche del cantone ha dunque ammesso l'irrilevanza degli aspetti d'illegalità insiti in
un'esperienza di autogestione.
L'argomento dell'illegalità, che negli ultimi due anni è stato utilizzato da più parti e a più riprese per tentare di delegittimare l'esperienza del Csoa, merita comunque qualche riflessione.
Ricordiamo innazitutto che un'azione illegale viene giustificata anche in uno Stato di diritto, qualora essa si possa considerare legittima alla luce di un interesse generale preponderante. Non ci sembra il caso di ribadire l'importante ruolo sociale e culturale svolto da un Csoa in un Paese, che non offre una rete di protezione sociale adeguata, ma che, al contario, genera povertà ed emarginazione.
In secondo luogo va rilevato che le autorità, soprattutto quelle della città di Lugano, fanno ricorso a questa argomentazione per
delegittimare l'esperienza di autogestione e contemporaneamente agiscono abitualmente nella totale illegalità.
Il sindaco Giudici, violando principi costituzionali elementari, ha per esempio sempre negato alle manifestazioni del Csoa di accedere alla Piazza della Riforma. Una piazza che Giudici ha difeso dalla presenza dei "Molinari" facendo ripetutamente ricorso alla violenza del suo corpo di polizia (la foto in pagina, relativa alla manifestazione del 30 giugno 1997 lo mostra in modo evidente).
Lo stesso Giudici, dopo l'abbattimento dei pioppi che si trovavano nell'area di fronte al palazzo dei congressi, ha pensato di costruirvi un parcheggio senza seguire le procedure che la legge impone, «per evitare inutili lungaggini burocratiche» ha detto.
Sempre Giudici, in occasione della manifestazione del Csoa del 14 marzo '98, non tenendo conto del principio della proporzionalità, ha chiesto e ottenuto l'intervento della polizia cantonale da affiancare alla sua,
che per l'occasione era coordinata addirittura da un ex agente in pensione: il violento ... Gygax.
L'elenco delle illegalità potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui. Ricordiamo infine a tutti coloro che intendono continuare a richiamarsi a questa favola per sradicare un'esperienza che coinvolge migliaia di persone, sono sulla strada sbagliata. Così come non sono funzionati tutti i tentativi di spingere il movimento sulla via della violenza, non funzionerà mai nemmeno quello di emarginarlo con la scusa dell'illegalità.

 

 

Mister Muto racconta




Era da poco passata mezzanotte e Mister Muto se ne stava là, su uel divanaccio sbranato con la testa all'insu', un joint nella mano destra e lo sguardo inespressivo, anzi immobilizzato.
Non lo conoscevo molto bene, ma già da due anni lo intravedevo nella penombra,seduto in poltrona.
Mister Muto era un ragazzo di 17 anni uando lo vidi entrare la prima volta al Centro Socialee. Freuentava a tempo perso il liceo. Non aveva voglia di lavorare, o meglio, ebbe paura di affrontare un mondo a lui cosi' sconosciuto che mai nessuno gli aveva mostrato.
Ma fortunatamente i suoi genitori se la passavano piuttosto bene. Furono proprio loro ad incoraggiarlo a continuare gli studi. Lui era uel tipo di ragazzotto che difficilmente rimane concentrato piu' di mezz'ora, a fissare una mummia che blatera di uesto e di uello con gli occhi sfuocati come fissi sull'obbiettivo di una telecanera, o come chi, da vent'anni, ripete le stesse parole e le lascia sfilare su di un nastro trasportatore.
Così passava le giornate a scuola a fumare spinelli con gli amici, a ridere della gente che passava e, uando era solo, ad ascoltare il walk-man. Leggeva anche, il libro rosso di Mao rubato a suo padre e biografie di cantanti defunti.
Uando seppe dell'occupazione di alcuni ragazzi e della nascita di un Centro Sociale Autogestito, Mister Muto si limitìo a fare una smorfia di scetticismo.
Passarono alcuni mesi prima che Mister Muto si decidesse a visitarlo. Ci finì un venerdi sera e li ci trovo^ alcuni amici persi di vista e tante facce giìa incontrate. Gli piacue . uasi tutti i week-end era la, a ritrovare amici e ad ascoltare musica. I concerti, le mostre, l'infoshop, perfino le manifestazioni presero uno spazio del suo tempo libero. Un piccolo spazio certo, ma tutto sommato le serate, sia alla stazione dove si andava a fumare sia al Centro Sociale, erano piuttosto monotone. A Mister Muto sarebbe piaciuto fare ualcosa di concreto, la sua vita appariva ogni giorno piìu vuota.
Passìo un anno e solo allora seppe (oppure l'aveva già sentita tra una canna e l'altra) che c'era la possibilità di partecipare all'assemblea generale che si teneva ogni settimana. Mister Muto aveva paura ad andarci. E poi degli occupanti conosceva soltanto le facce. Mister Muto, che in uell'anno aveva letto parecchio, si sentiva come loro, e con loro urlava: "Pagherete caro, pagherete tutto!!!". Ma nessuno aveva mai parlato con lui. Solo una volta, al 1. Maggio, un occupante gli aveva chiesto di portare al Centro i negativi delle foto scattate durante il corteo. E poi lui aveva la scuola che rischiava di di schiacciarlo, non aveva la macchina, non poteva essere li regolarmente al Centro sociale.
Mister Muto pensava atutto uesto con gli occhi fissi nel vuoto. Si alzò di scatto dal divano sgangherato, spense il joint sul pavimento ed entrìo nell'info shop. Sfogliando nervosamente tuto cio che gli capitava in mano si fermo alla vista di una frase di Marcuse: "Chi ti dona la libertà in fondo mente, poiché se ha i mezzi per dartela ha già piu potere di te".
Oggi non so assolutamente che fine abbia fatto Mister Muto, se da uella sera sia scomparso, se si sia fatto una nuova vita oppure se si aggiri ancora fra i divani sgangherati del Centro.
Ma Mister Muto racconta. Racconta la buffa storia già vista e sentita, un banale epilogop di una persona sola, che ha amato il Centro Sociale e l'ha desiderato, ma non ha potuto goderne come ne godo io ed altri compagni. Non credo che Mister Muto odi uello che per lui ha significato un'isola fatata, spavaldamente galleggiante su un oceano grigio, spietato. Mister Muto, un ragazzo che ha potuto parlare, uno come tanti altri certo, come tanti se ne vedono al Centro Sociale.
La storiella di tutti i Mister Muto che hanno avuto, che hanno e che avranno l'istinto gioioso di buttarsi nelle limpide acue dell'autogestione, acue che a volte possono risultare poco profonde per un tuffo tanto ardito.
Ma la frase di Marcuse è uindi valida solo se letta nel modo giusto .
Anch'io, scrivendo su un giornale, acuisto piu potere rispetto ad un compagno che se ne sta al Barabba a bere una birra. E poi non è detto che chi ha piu potere (termine poco adatto alla situazione) non possa di fatto donare o provocare gioia e libertà. Se non fosse cosi non ci sarebbe dovuta essere l'occupazione, uindi niente Molino per intenderci.
Ma i trenta, uaranta o uanti siano gli occupanti del Maglio possono inavvertitamente creare un muro di uesto tipo , una impercettibile gerarchia.
Secondo la citazione possiamo dire perlomeno che è piuttosto contadditorio che in un Centro Sociale Autogestito vi siano occupanti che ci vivono. Ben diverso è lo scopo dei dormitori o di altre iniziative diciamo umanitarie.
Ma Mister Muto racconta. Se gli occupanti, da compagni nel Centro e da occupanti in intimità e tutti i compagni (io incluso) salutano, o meglio, salutiamo, ci faaciamo avanti e cerchiamo di estinguere (semplicemente con cio che ci brucia in petto) tutti i Mister Muto che ci entrano allora e solo allora confuteremo Marcuse.
Perché chi entra nel Molino non deve restare un semplice simpatizzante, (quelli se ne stanno a casa) o peggio, uno sconosciuto.
Fidiamoci allora, è Mister Muto che ce lo racconta!

 

 

 

RISPOSTA A MISTER MUTO




In questo inserto realizzato per ricordare i 2 anni di autogestione al CSOA il Molino,abbiamo ritenuto interessante, come gruppo redazione, prendere spunto da questo racconto per spiegare il funzionamento del Centro Sociale.
Spesso al Molino ci si trova a discutere delle difficoltà riscontrate nel coinvolgere concretamente le persone nell'autogestione.Una buona dose di autocritica ci impone di ammettere che esiste realmente l'elemento "chiusura" nel rapporto del movimento che sta sperimentando l'autogestione (chi da due anni, chi da due mesi) verso il "mondo esterno".La causa di ciò è individuabile principalmente nella rabbia provata verso chi non ha ancora capito che l'autogestione non la si può consumare o, peggio ancora , sfruttare ma bisogna viverla, altrimenti si denatura, facendo diventare, nel caso specifico, un centro sociale autogestito un qualsiasi luogo di consumo gestito da un gruppo di persone.
Un'altra ragione importante di questa chiusura é quella legata al bisogno di proteggersi da "infiltrati" tra i propri militanti, pericolo che da sempre corrono le esperienze che mirano alla messa in discussione dell'organizzazione sociale, politica, economica e culturale del sistema vigente.
Malgrado cio' continuano ad entrare nel movimento del Molino nuovi/e compagni/e che, dopo un certo periodo, si dimostrano seri/e ed affidabili.
La struttura organizzativa del Centro è tale da permettere ad ogni persona interessata di partecipare all'esperienza e portare le proprie proposte.
L'Assemblea del Lunedì (21.00-21.30) aperta tutti è l'organo centrale di questo collettivo. In quell'occasione ci si riunisce per discutere e decidere ogni questione riguardante il Centro Sociale (nuove attività proposte, atteggiamento da assumere riguardo alle trattative,...). Vi nascono anche i gruppi di lavoro, che riuniscono un certo numero di persone per portare avanti un determinato progetto, che dopo essere stato accettato in Assemblea prende vita autonoma.
Solo l'aspetto finanziario rimane centralizzato in modo che vi sia un rapporto di solidarietà tra i vari gruppi in quest'ambito. Le spese vengono sostenute con un criterio di priorità tra le necessità globali delle attività del centro, in modo da garantire l'autofinanziamento dell'esperienza nel suo insieme. Attualmente esistono una quindicina di gruppi di lavoro senza contare quelli che si creano solo per un breve periodo (ad esempio in occasione di una manifestazione o di una ricorrenza particolare). Questi necessitano di essere continuamente "rimpinguati" di nuove forze ed idee.
Una vecchia canzone diceva "Libertà è partecipazione".

 

 

 

VIVERE AL MOLINO




Cerchero',in queste poche righe di trasmettere al lettore le motivazioni che mi hanno portato a vivere integralmente l'esperienza di autogestione che ha avuto inizio 2 anni orsono.
Per alcuni anni ho cercato nel mondo del lavoro la gratificazione a cui tutti aspiriamo,quella dell'"essere soddisfatti di cio' che si fa". Spesso questa mia aspirazione si e' trovata dinnanzi a delusioni dettate dalla banalità quotidiana e dalla mancanza di evoluzione in quanto essere umano. Con questo non voglio dire che sia impossibile individuare un attivià gratificante, ma credo siano pochi coloro che hanno la fortuna di fare qualcosa che porti un arricchimento umano, culturale, sociale e politico. Nel frattempo alcune letture ed un viaggio fra le popolazioni indigene zapatiste del Chiapas (Messico) mi stimolano interrogativi, anche inquietanti, sulla civilta' della "democrazia" in cui viviamo. In particolare mi impressiono' la lettura di "Faccia da turco" scritto dal giornalista tedesco Gunther Walraff . Quest'ultimo dopo aver trasformato la sua identità in quella di un emigrato turco intraprende un viaggio di due anni nel mercato del lavoro tedesco, descrivendo minuziosamente tutte le umiliazioni e lo sfruttamento inumano che i paesi occidentali riservano ai lavoratori in particolare a quelli stranieri. Allora capii' da dove scaturiva la grande prosperità della nostra società e mi domandai quanti "faccia da turco" ci fossero nel mondo: evidentemente molti. Naque in me l'insofferenza da occidentale per l'Occidente. Il viaggio in Chiapas non pote' che confermare questa mia insofferenza poiche' in quel paese vidi su cosa si basa il benessere dei paesi cosiddetti sviluppati: miseria e morte per i paesi non occidentali. Era giunto il momento nel quale necessitava dare uno sbocco concreto in un progetto a queste mie "inquietudini".
Cominciai cosi' ad impegnarmi assieme ad altre persone per creare anche in Ticino uno spazio di libertà, un luogo nel quale fosse stato possibile impegnarsi quotidianamente per far si che anche altri si pongano determinate domande. Fini' cosi il tempo dell' apatia e della rassegnazione e mi trasferii ai Molini di Viganello. Questa esperienza mi ha arricchito parecchio anche se le energie che assorbe sono molte. Al Molino ho scoperto le devianze che la coscienza collettiva subisce ad opera dei media e la pochezza umana dei politici .Ho scoperto quanto il sistema in cui viviamo neghi la liberta'di dire "non ci sto' piu' voglio cambiare".
Ho scoperto che vivere per accumulare ricchezze materiali e' un errore pazzesco perche' impedisce di percepire il vero senso della vita. Ora sono piu' inquieto perche' ho capito che il mondo si appresta a vivere un epoca di regime totalitario economico globale capeggiato da chi ci vuol farci credere che l'unico modello di vita possibile sia quello scandito dal "nascere-produrre-consumare-crepare- senza-penasare".
Ma ogni mattina posso svegliarmi e dire: faccio qualcosa di costruttivo per dimostrare che si puo' vivere diversamente. So che non e' molto ma la mia, con altre, e' pur sempre una voce di dissenso nel mare dell'indifferenza della societa'che prima o poi dovrà fare i conti con la mancanza di democrazia che stiamo vivendo.

Un abitante del Molino