America di Frank Kafka
Il realismo dei Tempi Moderni nella visione del giovane K

 

Tre sono i romanzi scritti da Franz Kafka; tra essi di certo il meno noto, ed invece secondo me di valore non minore a Il Processo ed a Il Castello, è il più giovanile _ però probabilmente mai terminato _ America. Già qui _ come negli altri romanzi, ma anche nella Metamorfosi e, in fondo, in tutti gli altri suoi racconti _ il protagonista è l'enigmatico K., uomo senza sicurezze e punti di riferimento, stretto tra le rigide maglie della società o guardato scivolare, ormai senza scampo, nei gorghi di un destino cattivo e imperscrutabile. Ma non si può dire che il Kafka di America sia lo scrittore dell'assurdo _ definizione abusata e semplicisti-ca _ anzi: quella descritta è la realtà del Nuovo Mondo, laddove (l'epoca è il primo decennio del `900, contemporanea per Kafka) i Tempi Moderni nascevano, lontano da noi europei. Poi quella società, quella cultura, arrivarono da noi: il nostro modo di vivere, di produrre e consumare, è figlio dell'America descritta dal grande scrittore praghese in modo iperrealistico, debordante nell'immaginifico, fin dall'incipit: "Quando Karl Rossmann, un sedicenne che i suoi poveri genitori avevan dovuto mandare in America perché una serva lo aveva sedotto ed aveva avuto un bambino da lui, entrò nel porto di New York, dalla nave che aveva rallentato scorse la statua della Libertà, già da tempo avvistata, come immersa in una luce improvvisamente ravvivata. Il braccio che portava la spada pareva si fosse rialzato in quel momento, e attorno alla sua figura alitavano le libere aure". "Com'è alta! disse fra sé; e poiché non pensava affatto ad andarsene, un poco alla volta fu spinto fino al parapetto dalla folla dei facchini che sempre più numerosi gli passavano davanti."
E' la visione sorpresa ed epica di un giovane europeo della piccola borghesia, spedito dall'altra parte dell'oceano assieme al carico umano di emigranti, ognuno latore di una storia differente, ma tutte traiettorie passanti per lo stesso punto: il porto della grande città _ New York _ con il moderno colosso _ la statua della libertà _ e soprattutto lo scoglio _ Ellis Island _ in cui ogni esistenza s'incagliava nel controllo e, se il caso tale doveva essere, forse rimbalzata al punto di partenza. "Al di là delle tre grandi finestre della stanza scorse le onde del mare e vedendone l'allegro movimento sentì il cuore che gli batteva più forte come se egli non avesse visto ininterrottamente il mare durante cinque lunghi giorni. Grandi navi incrociavano da ogni parte e cedevano all'urto delle onde solo per quel poco che lo permetteva la loro pesantezza. Se si socchiudevano un momento gli occhi sembrava che le navi oscillassero solo per il proprio peso. Sugli alberi avevano bandiere sottili ma lunghe che la corsa manteneva diritte e lo stesso sbattevano un poco in qua e in là. Si udivano salve di saluto, probabilmente da qualche nave da guerra. Una di queste passava non molto lontano ed i suoi cannoni che mandavano riflessi d'acciaio erano come carezzati dalla corsa sicura, liscia, per quanto non perfettamente orizzontale. Le navi più piccole e le barche, per lo meno dalla porta, erano visibili solo da lontano, come correvano in massa negli spazi rimasti aperti fra le grandi navi. Ma dietro a tutto questo stava New York e fissava Karl con le centomila finestre dei suoi grattacieli. Sì, in quella stanza si vedeva bene dove ci si trovava."
L'inizio promette bene, no? Ma poi il giovane K. è oggetto di disavventure di ogni tipo, e soprattutto di delusioni e tradimenti da parte delle persone di cui più si fida anche perché loro, l'America, loro la conoscono bene, mentre lui cosa può fare da solo, lui, per le ampie strade di una città così brulicante, in una terra tanto grande da far paura? Ma dopo tante traversie, ecco finalmente all'ultimo capitolo una luce di speranza per K.: "All'angolo di una strada Karl vide un manifesto con questa scritta: "Oggi dalle sei di mattina a mezzanotte, all'ippodromo di Clayton, viene assunto personale per il Teatro di Oklahoma! Il grande Teatro di Oklahoma vi chiama! Vi chiama solamente oggi, per una volta sola! Chi perde questa occasione la perde per sempre! Chi pensa al proprio avvenire, è dei nostriTutti sono i benvenuti! Chi vuolmanifesto, ma pareva che questo non trovasse molte approvazioni. C'erano tanti manifesti, e ai manifesti non crede più nessuno. E questo manifesto era ancora più inverosimile degli altri. Soprattutto c'era in esso un grave sbaglio, non si accennava affatto alla paga. Se questa fosse stata appena rispettabile, il manifesto ne avrebbe certamente parlato; non avrebbe trascurato la cosa più invitante. Non c'era nessuno che volesse diventare artista, ma tutti volevano essere pagati per il loro lavoro. Per Karl tuttavia c'era nel manifesto qualcosa che lo attirava fortemente. "Tutti sono i benvenuti", era scritto. Tutti, dunque anche Karl. Tutto quello che egli aveva fatto fino allora era dimenticato, nessuno glielo avrebbe più rinfacciato. Ma non crediate che vada a finire così semplicemente, in un happy end pre-hollywoodiano! Non sarò certo io a raccontarvelo, il finale: fate un salto in biblioteca o andate in libreria a spender bene i vostri soldini… Poi mi direte.