L'esercito lasci il posto alla solidarietà

 

Quasi ogni giorno nei notiziari e nei quotidiani ci viene propinato un titolo sull' "emergenza profughi". Ma quale emergenza? Emergenza di risolvere i conflitti politici, religiosi o etnici che costringono migliaia di bambini, uomini e donne ad abbandonare i propri affetti e le proprie abitudini per salvarsi la vita ?
Emergenza di modificare i rapporti politico-economici tra gli stati e le multinazionali in modo che nessuno debba più fuggire dalla terribile miseria?
Oppure emergenza di organizzarsi insieme, almeno per accogliere persone obbligate ad abbandonare il proprio "tutto", dando loro i diritti basilari: vitto, alloggio, rispetto e tranquillità?
Nulla di tutto ciò! Diversamente da quanto la nostra logica ci spingerebbe a pensare, andando a leggere l'articolo o ascoltando la notizia con questo titolo, ci accorgiamo che l'emergenza è quella di impedire il più possibile l'entrata in Svizzera di essere umani disperati, inviando ad esempio l'esercito alle frontiere, o inasprendo la legge sull'asilo
Scappano dalla guerra e dai massacri, giungono in Svizzera alla ricerca di giustizia e solidarietà ma qui, i profughi, trovano spesso la violenza ingiustificata delle guardie di confine, della polizia e delle autorità.
Autorità che la scorsa set-timana hanno addirittura deciso, alla luce dell'aggravarsi della situazione nel Kosovo, di avvalersi della "collaborazione" dell'esercito "per garantire assistenza ai richiedenti d'asilo nei nuovi centri di accoglienza". È vero che non si tratta di un impiego delle forze armate a difesa delle frontiere (come si temeva), ma non ce la sentiamo proprio di accogliere la notizia con la stessa soddisfazione manifestata dai com-mentatori della stampa elvetica. Il fatto che i soldati non siano armati (ci mancherebbe altro) non è un motivo sufficiente per giustificare la presenza di uomini in divisa militare al fianco di bambini, donne e uomini ai quali, forse, la figura del soldato può incutere una certa paura. Non dimentichiamoci infatti che queste persone giungono in Svizzera per sfuggire ai criminali di guerra (che sono pure dei soldati) che picchiano, violentano e uccidono. Immaginiamoci quanto timore possano incutere, loro malgrado, gli uomini chiamati dal Consiglio federale ad "assistere" i profughi.
Il ministro di giustizia e polizia Arnold Koller, dopo aver annunciato alla stampa l'invio dell'esercito, giustificandolo con il previsto aumento delle richieste d'asilo dovuto all'acuirsi della situazione militare nel Kosovo, ha subito ribadito che non è intenzione della Svizzera concedere un'ammissione provvisoria collettiva per le persone che fuggono dal conflitto. Dunque, se un lato si riconosce la gravità della situazione nel Paese balcanico, dall'altro si decide di continuare a trattare l'affluenza di profughi come una questione di ordine pubblico.
I nostri mezzi di (dis)informazione dal canto loro fanno di tutto per appoggiare l'ingiusta e disumana scelta politica di "sbattere la porta in faccia" a chi ha bisogno di asilo.
Per rincarare la dose, compiono dei notevoli sforzi per farci associare "asilante" ad "approfittatore", "spac-ciatore", "violentatore". La verità è che in tutte le realtà sociali esistono le brave persone ed una minoritaria cerchia di malfattori, e tra i richiedenti l'asilo non è diverso. Un delitto non ha nulla a che vedere con la nazionalità. La variante esistente al limite, è quella della disperazione, aggravata in alcuni casi anche dal fatto che in Svizzera un richiedente non può lavorare.
Da 15 anni a questa parte il diritto d'asilo viene sempre più ridimensionato. E' stato ritoccato piu' volte, snaturandone le regole fondamentali definite per lo più dal diritto internazionale (Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e Con-venzione delle Nazioni Unite contro la Tortura). Così arriviamo all'approvazione da parte del parlamento, nel giugno di quest'anno, della nuova legge, la quale prevede:

- non vengano praticamente più prese in considerazione le domande d'asilo inoltrate da rifugiati senza documenti o illegalmente presenti in Svizzera, ed è prevista in questi casi un'espulsione immediata con sole 24 ore di tempo per inoltrare ricorso;

- venga sospesa la procedura d'asilo per rifugiati provenienti da paesi in guerra offrendo solo un permesso del tutto provvisorio e precario;

- vengono soppresse tutta una serie di garanzie essenziali a livello di diritto amministrativo, concernenti la scelta della lingua ufficiale, il diritto di essere rappresentato da un mandatario, la sospensione dei termini nei periodi di vacanze giudiziarie.

Una bella notizia: il referendum contro questo più re-cente tentativo di smantellare il diritto d'asilo è riuscito. Questo è un primo passo. Il nostro governo invece di adoperarsi per impedire la degenerazione di un conflitto latente, già denunciato da tempo da numerosi profughi kosovari, ha negoziato con i criminali di guerra serbi per convincerli a riprendersi coloro che erano fuggiti dall'oppressione. Proprio come capitò con i nazisti, ai quali esattamente sessant'anni fa si chiese di iscrivere sui passaporti degli ebrei la "J" di Jude per poterli riconoscere più in fretta e respingerli. Non illudiamoci, le restrizioni non fermeranno queste persone che purtoppo non hanno piu' niente da perdere. L'unico risultato sarà la creazione di una marea di clandestini sfruttabili fino in fondo perchè privi del benchè minimo diritto.
Contro questi ed altri tentativi di smantellare il diritto d'asilo, urgono interventi da parte della società civile. Pensiamo per esempio a manifestazioni di solidarietà, come quella tenutasi a Chiasso il 28 ottobre, ove erano presenti, oltre ai militanti del Molino, compagni della Svizzera tedesca e personaggi come Padre Koch e Dimitri.