Squallore sociale                                                     Pagina 10


Popolo di matti

Siamo un popolo di matti: ecco quanto emerge da una ricerca condotta dal Dipartimento Opere Sociali sulla psichiatrizzazione nel 1997.

Circa 50.000 persone in Ticino hanno avuto a che fare con uno psichiatra e quindi con medicamenti (benzodiazepine, neurolettici, antidepressivi,...). Circa una persona su sei. (!)

Il dato è quantomeno allarmante e porta alla ribalta un fenomeno, viste le dimensioni soprattutto numeriche, collettivamente sconosciuto.

Le patologie psichiatriche colpiscono generalmente chiunque, senza (per fortuna) differenziazioni di classi, ceto sociale, sesso... Le maggiori sofferenze mentali sono di tipo psicotico, depressivo, nevrotico, suicidale e psico-somatico.

La famiglia, lo stress e il precariato sociale sono molto probabilmente le cause maggiori delle sofferenze mentali.

Alcol e sostanze psicoattive sono anch'esse fonte di disturbi e, negli ultimi anni, sono state trattate come malattie mentali dalla psichiatria ufficiale, quella di Stato. Solo adesso si tende a differenziarle, anche con strutture specia-lizzate e più mirate. Le strutture psichia-triche non sono per niente preparate a gestire questo tipo di casistica, tendono quindi ad un approccio e ad una cura solo ed unicamente repressiva.

Questo discorso vale anche nella psichiatria privata, ove inoltre non ci sono delle garanzie chiare sulla continuità delle cure per chi soffre di malattie mentali. Nelle strutture psichiatriche pubbliche vi è un minimo di lavoro multidisciplinare, fornito da una collaborazione tra le varie aree professionali: psicologi, infermieri, educatori, operatori ergosocioterapici, medici, famiglia. Nelle strutture private questa collaborazione manca totalmente: la cura e la terapia sono in mano al medico che, fino a prova contraria, non ha una visione precisa e globale dell'andamento quotidiano del paziente.

L'approccio, e quindi la cura, non possono che essere di tipo farmacologico, quindi di controllo e/o di mantenimento.

All'ospedale neuropsichiatrico vi sono stati anni di lotta per cercare di contrastare le attitudini medico-infermieristiche di trattare i degenti non come persone, ma come matti (quindi senza incoraggiarli attivamente al proprio miglioramento e renderli partecipi della propria situazione, non sfruttando le risorse ancora disponibili ma rendendoli dipendenti dalla struttura, dagli infermieri e dai medicamenti).

Lo stesso Stato se ne serviva come strumento di controllo sociale. Questa concezione portava automaticamente a degli abusi sulla dignità ma soprattutto sulla libertà individuale, di chi per un motivo o per l'altro veniva ospedalizzato. Ancor peggio creava quello che

chiameremo "malato cronico", dipenden-te, sicuramente, dalla propria malattia, ma soprattutto dalla struttura che lo ospitava: incapace quindi di potersi gestire auto-nomamente nella vita quotidiana, desti-nato a passare la vita in manicomio.

Anni di lotta che rischiano di cadere nel nulla con l'avvento della privatizzazione della psichiatria.

Quello che comunque sorprende, è la facilità con cui una persona può veni-re ricoverata in un ospedale psichiatrico, ancora maggiore rispetto all'incarcera-zione. Evidentemente questo aspetto suscita almeno un interrogativo, ossia: l'alto tasso di ospedalizzazione non é piuttosto una scelta politico-finanziaria?

La crisi che il nostro Cantone sta attra-versando, che riflette l'intera società mondiale, ha sicuramente influito sulle preoccupazioni e le ansie quotidiane della gente in maniera massiccia. L'insicurezza del lavoro, l'incertezza di uno stipendio e di una casa, influiscono in modo evidente sull'equilibrio della persona, mandando-la in crisi. Fenomeni di precariato eco-nomico-sociale, dovrebbero corris-pondere ad un aumento della tensione sociale e quindi portare ad un conflitto sociale. Nel nostro caso non è così: corrispondono invece ad un aumento delle psichiatrizzazioni !

Sembra esserci difatti, da parte dello Stato, un'attitudine a rendere e mantenere le persone matte o invalide piuttosto che disoccupate. Meglio matto che disoc-cupato, costa meno.

Gli ospedali psichiatrici sono sempre stati una struttura di controllo sociale (come le carceri). Nei vecchi manicomi venivano ospedalizzati per lo più in modo coatto, tutti e tutte coloro che potevano poten-zialmente recare disturbo alla comunità. Gli abusi sono stati enormi fin da quando sono state create queste strutture.

Ancora oggi questa concezione sembra permanere, nonostante gli abusi siano nettamente diminuiti, dando spazio ad un maggior controllo.

Vi sono nuove concezioni della malattia, ma soprattutto una nuova visione della persona più ampia, più aperta e più completa: l'uomo come essere biologico-psiclogico-sociale-culturale-spirituale, comprendente quindi un corpo, una mente, delle credenze, una propria vita sociale e propri valori culturali. Evidentemente, questa concezione non trova tutti uniti.

In particolare la nostra polizia ritiene che la gestione di queste persone debba essere ancora di tipo repressivo.

La polizia ha ancora troppa voce in capitolo: una buona parte dei ricoveri coatti (soprattutto notturni) vengono effettuati dalla polizia cantonale, in maniera anche brutale. Evidentemente non è loro preciso compito quello di ricoverare persone, ma in troppe occasioni si tende a confondere i ruoli professionali. Nelle situazioni cosiddette pericolose non sono gli infermieri che intervengono ma la polizia, anche nel reparto ospedaliero.

Decisioni che spettano sempre al medico e che di fatto declassano il ruolo degli operatori che lavorano in reparto, unici a conoscere in modo ottimale la situazione della persona, i suoi limiti, le sue possibilità d'azione.

La delegazione tutoria mantiene un ruolo decisivo nei ricoveri coatti dei propri concittadini. Infatti può decidere di far ricoverare le persone sulla base di parametri medico-infermieristico incerti. Ecco così trasformate le nostre delega-zioni tutorie in tribunali sociali che non hanno alcuna competenza, ma sicuramen-te molto potere. Anche i suicidi rappresentano un problema sociale impor-tante: negli ultimi dieci anni 539 persone in Ticino hanno "scelto" questa drastica soluzione (nel 1995 erano 45). Sebbene il suicidio rappresenti una delle prime dieci cause di morte in Europa con un tasso medio di mortalità in Svizzera di 20,3 abitanti ogni 100.000 (tasso più alto in Europa l'Ungheria con 39.9/100.000, il più basso a Malta con un tasso di 2.3/100.000), in Ticino questo non viene censito, non viene considerato.

La maggior parte di queste persone non era in cura presso un medico nel periodo precedente il suicidio; purtroppo però il suicidio viene considerato una patolo- gia psichiatrica. Siamo quindi un popolo di matti, di casi sociali ai quali non resta altra spe- ranza che il suicidio, la follia, l'inva- lidità: sbagliato.

Siamo quindi un popolo di matti, di casi sociali ai quali non resta altra spe- ranza che il suicidio, la follia, l'inva- lidità: sbagliato.

Tremate voi fautori di tutto ciò; un giorno ci ribelleremo.

Pagherete caro, pagherete tutto!