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china_dissident image.TIF (93972 bytes)LA Cina: un gigante fascista

La Cina è il Paese più popolato al mondo: circa un sesto della popolazione mondiale, oltre un miliardo di persone sui sei miliardi che popolano il globo, vive nella Repubblica Popolare Cinese; ma i cinesi sono divisi in oltre 200 etnie, differenti tra loro culturalmente e somaticamente. L’etnia attualmente più influente è la Han, che insieme ai Manciù è la maggioritaria all’interno della variegata popolazione cinese: un potere amministrato dalla direzione del Partito Comunista in maniera totalitaria, spesso sanguinosa e noncurante del benché minimo rispetto dei più elementari Diritti Umani. Tortura, carcere, sparizioni, pene di morte, repressione feroce del dissenso: questa è la linea su cui si muove la dirigenza del gigante asiatico.

A dimostrazione di ciò, le condanne a morte eseguite in Cina in un anno sono superiori a quelle eseguite nel totale dei numerosi paesi mondiali che prevedono questo mezzo repressivo barbaro e sanguinario. Ma in Cina i condannati a morte vengono usati quali "donatori" di organi, in particolare reni: come unire l’utile al dilettevole...

Questi "donatori" involontari sono spesso prigionieri d’opinione, siano essi tibetani, mongoli (come il Tibet, la Mongolia Interna è occupata dalla Cina) o da esponenti delle minoranze etniche, come ad esempio nel Xinjang, nel Baren, o nella contea rurale Uighur dove nell’aprile del 1990 venne attaccata una moschea ove erano radunati centinaia di Uighuri, ed anche nei confronti delle minoranze Kazake.

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Sottoposta alle pressioni internazionali, la Cina ha firmato già nel 1986 la "Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura", adottata dall’ONU nel 1984 ; ma firmare una convenzione non vuol dire farla rispettare, ed infatti sono moltissimi i casi documentati di tortura, maltrattamenti, pestaggi, ai danni di dissidenti politici e religiosi o di esponenti di minoranze etniche.

Non è l’unico trattato sulla salvaguardia dei diritti umani che la Cina ha firmato, per accontentare i paesi occidentali e tacitare l’opinione pubblica: infatti nel 1997 il gigante asiatico sottoscrive la "Convenzione sui diritti economici, sociali e culturali", comunque mai ratificata dal parlamento cinese. Il 5 ottobre 1998, sotto la pressione degli Stati Uniti e dell’alto commissario ONU per i Diritti Umani Mary Robinson, la Cina ha firmato la "Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite per i Diritti Civili e Politici", l’importante trattato che nel suo primo paragrafo sancisce, tra l’altro, il diritto inalienabile di tutti i popoli all’autodeterminazione, alla libertà di scegliere il proprio status politico e di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale.

Le due Convenzioni, assieme alla "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo", costituiscono la base sulla quale l’apposita Commissione delle Nazioni Unite emette i suoi giudizi in merito alla violazione dei diritti umani.

L’adesione di Pechino ha tuttavia suscitato reazioni piuttosto scettiche tra la dissidenza cinese, la dirigenza di Taiwan e gli stessi tibetani, dubbiosi della reale efficacia di questo passo.

"Aderendo a questo trattato" - ha dichiarato il dissidente cinese Xu Wenli - "possiamo dire che la Cina ha sottoscritto quasi tutte le convenzioni internazionali sui diritti umani, ma questo non significa che gli accordi saranno rispettati". Contemporaneamente, il Centro Tibetano per la Democrazia e i Diritti Umani ha definito la mossa cinese una "conseguenza della pressione internazionale" e una manovra politica per distogliere l’attenzione del mondo dalle continue violazioni dei diritti umani in atto in Tibet.

Certo è che le pressioni internazionali a cui si riferiscono i movimenti di dissidenza cinesi e il governo in esilio tibetano sono molto più consistenti a livello di opinione pubblica che nelle sedi governative e diplomatiche occidentali: queste preferiscono firmare contratti per appalti miliardari invadendo l’appetitoso mercato cinese in continua espansione, "liberalizzato" dalla dirigenza di Partito negli ultimi anni. Così oggi, a Pechino, è di moda bere Coca-Cola al Mc. Donald’s, pagando per un amburger l’equivalente di una settimana di stipendio di un operaio.

Spinti dagli interessi delle multinazionali, i governi occidentali non prendono alcun provvedimento nei confronti di un governo totalitario e fascista (rosso o nero...il fascismo è fascismo !) quale quello cinese, se non quello di spingere alla ratifica di trattati internazionali inutili, se non supportati da una precisa volontà di farli rispettare. Come non bastasse, la Cina è una delle 5 nazioni con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, una delle nazioni vincitrice dell’ultima guerra provviste di un armamento nucleare importante.

Un appunto fuoritema, mosso all’evidente concezione antidemokratica di un "Governo Mondiale" che vede 5 stati possedere il potere di bloccare qualsiasi decisione presa dall’Assemblea delle Nazioni.

Vorrei rimarcare che, bene o male, i movimenti di opinione trasversali, ovvero coinvolgenti tutte le realtà sociali, quale quello creato con estrema maestria da H.H. Dalai Lama, sta riuscendo nell’intento di costringere i governi occidentali a pressare la Cina affinché conceda maggiori spazi di libertà e pluralismo nei suoi confini, sia in quelli legittimi che in quelli acquisiti con la forza delle armi. Spazi che a tutt’oggi non esistono, come dimostrano i numerosi arresti e le 8 recenti condanne, tutte superiori a 10 anni di reclusione al carcere duro, comminate ai danni di dissidenti "colpevoli" di attività sindacali o di oppositori politici che, seguendo la legislazione "teorica" in vigore in Cina, hanno tentato di creare un Partito Democratico in opposizione al monopolio del Partito Comunista Cinese.