Squallore Sociale 6
Disoccupato e incazzato
Ore 10.15. Sono in colonna, naturalmente. Come sempre lufficio di collocamento é colmo di persone. Vi é sempre unaria tesa allinterno di questo spazio. Una sensazione difficile da spiegare con precisione, comunque fortemente palpabile.
Non cè niente da fare, tranne aspettare. Mi sale la rabbia.
Davanti a me una donna con un bimbo in braccio, qualche giovane con laria di chi ormai frequenta lufficio da diverso tempo, ostentando un atteggiamento di familiarità ed abitudine con il posto.
Alle mie spalle, invece, un uomo, sulla cinquantina, il cui viso e le mani fanno trasparire una vita spesa nei cantieri, fatta di lavori umili e grandi fatiche. Impossibile non notare la sua irrequietezza, la sua preoccupazione per il futuro. Fa parte di quella generazione per cui il lavoro é sempre stato un valore sacro. Un essere umano che non lavora, che non si spacca la schiena e non dimostra di essere il più forte di tutti nel cantiere, non é un uomo. Poco importa che si spacchi la schiena per pochi soldi, che da trentanni si alzi alle 6 di mattina e rientri alle 7 di sera; con la sola forza di mangiare un boccone e sorbirsi la Carrà, la " fatina buona " che distribuisce milioni a tutti., mentre il suo padrone potrà godersi il frutto del lavoro del muratore nella sua nuova villa o in vacanza alle Seychelles.
Sono persone a cui é stato inculcato che solo facendosi "un culo così", si avrà diritto a chi sa che cosa. Ora, dopo tanto tempo, il suo premio é stato il diritto alla disoccupazione, per alcuni mesi.
Poi, visto che una persona di quelletà é ormai considerata più una spesa che altro, lo Stato, che é buono, gli darà una mano, gli darà il diritto allassistenza sociale. Così, questo bravuomo, che innocentemente ha creduto alla favola del "lavora tanto e duro e sarai ricompensato", si troverà in una crisi esistenziale senza precedenti e, con un po di fortuna, potrà avere diritto allassegno mensile dellassicurazione invalidità causa forte depressione. Tutto questo perché si sono dimenticati di dirgli che i posti per padroni sono pochissimi e già occupati, invece di gente che lavori tanto per poco, ce ne é quanta si vuole. Sì, perché il mondo é fatto soprattutto da persone che anche lavorando centanni non riusciranno a mettere insieme quanto un solo ricco guadagna in un anno, con i soli interessi del proprio capitale...
La fila avanza. La mia rabbia cresce.
Mi sono sempre chiesto perché lo chiamassero "ufficio di collocamento". In quattro-cinque anni che lo frequento, sono riusciti a collocarmi in due programmi occupazionali. Già, i famosi POT (Programmi Occupazionali Temporanei). Di fatto, una truffa. Sei obbligato a lavorare, svolgendo un compito per cui sei qualificato, venendo pagato molto meno di quanto normalmente prevedono i contratti di categoria. Dopo sei mesi, quando ti sei adattato ed integrato, dopo che hai potuto constatare che effettivamente il lavoro non manca, dopo che ti sei impegnato con la speranza che ti tengano, ti ringraziano e ti rispediscono allufficio collocamento, spiegandoti che loro non possono pagarti quanto meriteresti e quindi sono obbligati ad assumere un nuovo, fortunato e sottopagato, disoccupato per altri sei mesi.
Quando ti scade il periodo quadro (cioè il diritto alle indennità) e si controlla se hai lavorato un anno su due per riavere diritto alle indennità, scopri che, nonostante hai pagato i contributi per la disoccupazione durante il POT, non vengono conteggiati come contributi e quindi é come se non avessi lavorato per quei sei mesi: di conseguenza niente diritto alla disoccupazione.
Oltre il danno, la beffa!
Dicono che cè un ricorso pendente al Tribunale Federale contro questa contraddizione (paghi e non hai diritto). Un ricorso che aspetta una risposta da più di un anno... Possibile che nessuno, dico nessuno, ne solleciti la risposta, che riguarda un numero notevole di persone...
Si avanza e la rabbia aumenta.
Un anno di lavoro per riavere diritto alla disoccupazione.
Ma chi trova lavoro per un anno? Ammettendo che uno riesce a trovare lavoro per un anno, molto probabilmente continuerà a lavorare anche lanno seguente, difficilmente ritornerà in disoccupazione...
Che senso ha quindi questa legge?
Il destino di molte persone sarà quindi di finire allassistenza sociale. Già, lassistenza sociale. Con lassistenza sì che é possibile lavorare un anno, sul modello del POT (solo che allassistenza ha un altro nome), pagando i contributi disoccupazione che, in questo caso, vengono conteggiati. Quindi, sorpresa delle sorprese, terminato un anno di lavoro in assistenza, puoi tornare a domandare le indennità di disoccupazione.
Ma che senso ha tutto ciò ?
Presto detto. La cassa disoccupazione é finanziata dalla confederazione, mentre lassistenza dai cantoni e comuni: la prima, preoccupata di non svuotare le casse della disoccupazione e di figurare come una brava amministratice, scarica ai comuni e cantoni i costi, mentre questultimi, dimostrando ingegno pure loro, hanno escogitato un sistema per rispedire in disoccupazione le persone con il minimo costo necessario. Il piccolo neo di questa logica é il terzo soggetto, cioè le persone che subiscono questi sporchi giochetti...
Sono davanti allo sportello. Sono talmente incazzato che vorrei spaccare la faccia dellimpiegato che ho davanti, vorrei fare a pezzi, distruggere, radere al suolo lintero ufficio per sfogare la rabbia che ho dentro di me... ma poi penso che in fondo limpiegato non ne può nulla, magari é anche una brava persona, che in fondo mi conviene dargli quel maledetto foglio ed aspettare i soldi per tirare avanti: e così faccio.
Esco dal palazzo di vetro che é lufficio di collocamento e sogno di partecipare ad una manifestazione, in cui vi sono tantissime persone che, come me, vivono questa situazione, che sentono la stessa rabbia e che finiscono per spaccare tutte le vetrate del palazzo (che, guarda caso, appartiene a G. Giudici). Vetrate, simbolo di un mondo fatto di specchi e di vetri, di cose che vedi ma che non puoi toccare perché solo per pochi, dellimpotenza che provi, per le cose che vedi e che non puoi far altro che stare a guardare o ... appunto, decidere di rompere quel dannato vetro.
Un autonomo incazzato