Cina : repressione,
dissenso, attentati. |
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Protesta
A monte delle problematiche interne cinesi un dato risalta
in maniera impressionante: sono circa 150 milioni i disoccupati cinesi
a cui, secondo le stime del Ministero del Lavoro cinese, andranno ad aggiungersi
altri 16 milioni quest’anno. La recente instabilità dello Yen, la
moneta locale, dovuta alla crisi dei mercati asiatici, provoca panico nella
dirigenza che rilascia dichiarazioni contrastanti, in cui da un lato dichiara
la possibile svalutazione dello Yen, dall’altro ritratta con sorprendente
rapidità, gettando sempre più scompiglio e incertezza negli
investitori interni
ed esteri.
Con simili basi economiche, ben comprensibili sono le
dimostrazioni di protesta, puntualmente represse nel sangue da parte delle
forze di polizia cinesi. Tra queste, la manifestazione del 4 gennaio a
Wuhan, grande centro industriale della provincia centrale dell’Hubei, in
cui la polizia ha caricato brutalmente un corteo di pensionati, pestandone
a sangue dieci e fermandone un centinaio. Il 18 gennaio nella provincia
dell’Hunan, nella cittadina di Changde, oltre 500 operai licenziati da
una fabbrica hanno paralizzato per ore il centro cittadino per protestare
contro il mancato pagamento di tre mesi di stipendio, provvedimento preso
per punire i lavoratori per precedenti proteste, e contro la corruzione
dei funzionari. Non ci sono stati incidenti particolari, diversamente da
quanto era avvenuto l’8 gennaio a pochi chilometri di distanza nel villaggio
di Tao Lin, ove circa 1000 poliziotti hanno attaccato un corteo di 4.000
contadini che protestavano contro le tasse troppo
elevate e la corruzione dei governanti, uccidendo un manifestante e ferendone
un centinaio.
Attentati
Sempre nell’Hunan, storicamente focolaio di ribellione
contadina, domenica 17 gennaio a Changsha, capoluogo della provincia, una
bomba è stata fatta saltare su un autobus affollato: un giovane
è stato notato mentre infilava una sigaretta accesa dentro un sacchetto,
prima di scendere dall’autobus. Poco dopo è scoppiato l’incendio,
che ha raggiunto il serbatoio di carburante. Il comunicato ufficiale parla
di 37 feriti, di cui 4 gravissimi, ma il giornale di Hong Kong “Ming Pao”
riporta che ben 11 sono le vittime dell’attentato.
A Canton un uomo e una donna sono saltati in aria in
un centro commerciale della città, in un attentato in cui sono rimaste
ferite altre sei persone. La recrudescenza degli attentati dall’inizio
dell’anno è impressionante : il 13 gennaio una bomba è esplosa
ad una fermata di un autobus a Zuhai, città nella provincia meridionale
del Guangdong, ferendo 4 persone. L’attentato più sanguinoso è
avvenuto il 6 gennaio scorso a Liaoning, provincia industriale del nord-est,
dove una bomba particolarmente potente collocata su un autobus ha provocato
19 morti e più di 40 feriti.
L’ibrido comunista-neoliberista
Le zone teatro delle proteste e delle esplosioni sono
tutte aree in bilico, dove l’avanzare della transizione dalla centralizzazione
statale dell’economia ad una economia di mercato di concetto neoliberista
assume aspetti brutali e destabilizzanti, soprattutto attraverso la disoccupazione
e la conseguente perdita di ogni protezione sociale e garanzia economica,
assicurate dal vecchio sistema comunista ma non previste da quello nuovo
denominato “sistema socialista di mercato” (macche è ? Forse un
ibrido geneticamente manipolato ? Il peggio di entrambi ?).
Lo scorso ottobre i responsabili dell’ordine pubblico
hanno dovuto ammettere che, nel corso del 1997, ci sono stati in Cina almeno
10.000 “incidenti sediziosi“, termine nel quale sono compresi gli assalti
agli edifici pubblici, non infrequenti, ma anche delle petizioni; nel ’97
non si erano verificati molti attentati. La frustrazione ed il senso di
inutilità dell’azione legale o della protesta civile, sempre represse
a colpi di incarcerazioni, torture, fucilazioni, anni di “campi di rieducazione
tramite il lavoro“ (a cui la legislazione cinese permette una condanna
massima di 3 anni senza processo!), stanno sfociando in forme di lotta
violenta.