Internazionali                                                                    13 
Cina : repressione,  
dissenso, attentati. 
Nell’articolo comparso sullo scorso numero del giornale abbiamo tentato di dare una visione globale della politica cinese riguardo lo stato dei diritti umani, delle libertà democratiche inesistenti, della feroce repressione di qualsiasi forma di dissidenza o rivendicazione alle libertà culturali delle numerose etnie che compongono il variegato arcipelago cinese. In queste poche righe vedremo invece l’attuale situazione, a dir poco esplosiva, che la ledership cinese deve affrontare.

Protesta

A monte delle problematiche interne cinesi un dato risalta in maniera impressionante: sono circa 150 milioni i disoccupati cinesi a cui, secondo le stime del Ministero del Lavoro cinese, andranno ad aggiungersi altri 16 milioni quest’anno. La recente instabilità dello Yen, la moneta locale, dovuta alla crisi dei mercati asiatici, provoca panico nella dirigenza che rilascia dichiarazioni contrastanti, in cui da un lato dichiara la possibile svalutazione dello Yen, dall’altro ritratta con sorprendente rapidità, gettando sempre più scompiglio e incertezza negli investitori interni                ed esteri.
Con simili basi economiche, ben comprensibili sono le dimostrazioni di protesta, puntualmente represse nel sangue da parte delle forze di polizia cinesi. Tra queste, la manifestazione del 4 gennaio a Wuhan, grande centro industriale della provincia centrale dell’Hubei, in cui la polizia ha caricato brutalmente un corteo di pensionati, pestandone a sangue dieci e fermandone un centinaio. Il 18 gennaio nella provincia dell’Hunan, nella cittadina di Changde, oltre 500 operai licenziati da una fabbrica hanno paralizzato per ore il centro cittadino per protestare contro il mancato pagamento di tre mesi di stipendio, provvedimento preso per punire i lavoratori per precedenti proteste, e contro la corruzione dei funzionari. Non ci sono stati incidenti particolari, diversamente da quanto era avvenuto l’8 gennaio a pochi chilometri di distanza nel villaggio di Tao Lin, ove circa 1000 poliziotti hanno attaccato un corteo di 4.000 contadini che protestavano contro le tasse troppo        elevate e la corruzione dei governanti, uccidendo un manifestante e ferendone     un centinaio.

Attentati

Sempre nell’Hunan, storicamente focolaio di ribellione contadina, domenica 17 gennaio a Changsha, capoluogo della provincia, una bomba è stata fatta saltare su un autobus affollato: un giovane è stato notato mentre infilava una sigaretta accesa dentro un sacchetto, prima di scendere dall’autobus. Poco dopo è scoppiato l’incendio, che ha raggiunto il serbatoio di carburante. Il comunicato ufficiale parla di 37 feriti, di cui 4 gravissimi, ma il giornale di Hong Kong “Ming Pao” riporta che ben 11 sono le vittime dell’attentato.
A Canton un uomo e una donna sono saltati in aria in un centro commerciale della città, in un attentato in cui sono rimaste ferite altre sei persone. La recrudescenza degli attentati dall’inizio dell’anno è impressionante : il 13 gennaio una bomba è esplosa ad una fermata di un autobus a Zuhai, città nella provincia meridionale del Guangdong, ferendo 4 persone. L’attentato più sanguinoso è avvenuto il 6 gennaio scorso a Liaoning, provincia industriale del nord-est, dove una bomba particolarmente potente collocata su un autobus ha provocato 19 morti e più di 40 feriti.

L’ibrido comunista-neoliberista

Le zone teatro delle proteste e delle esplosioni sono tutte aree in bilico, dove l’avanzare della transizione dalla centralizzazione statale dell’economia ad una economia di mercato di concetto neoliberista assume aspetti brutali e destabilizzanti, soprattutto attraverso la disoccupazione e la conseguente perdita di ogni protezione sociale e garanzia economica, assicurate dal vecchio sistema comunista ma non previste da quello nuovo denominato “sistema socialista di mercato” (macche è ? Forse un ibrido geneticamente manipolato ? Il peggio di entrambi ?).
Lo scorso ottobre i responsabili dell’ordine pubblico hanno dovuto ammettere che, nel corso del 1997, ci sono stati in Cina almeno 10.000 “incidenti sediziosi“, termine nel quale sono compresi gli assalti agli edifici pubblici, non infrequenti, ma anche delle petizioni; nel ’97 non si erano verificati molti attentati. La frustrazione ed il senso di inutilità dell’azione legale o della protesta civile, sempre represse a colpi di incarcerazioni, torture, fucilazioni, anni di “campi di rieducazione tramite il lavoro“ (a cui la legislazione cinese permette una condanna massima di 3 anni senza processo!), stanno sfociando in forme di lotta violenta.

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