Politica                                                                                14 

Elezioni: una voce fuori dal coro.
 
Nell’imminenza delle elezioni cantonali può essere  non del tutto inutile un tentativo di riflessione su uno dei temi più controversi e nel contempo più significativi dell’anarchismo: l’asten-sionismo. In poche parole, vorrei cercare di spiegare perché in generale gli anarchici non votano. Premessa: dico in generale perché non esiste nulla di assoluto nell’anarchismo. Ci sono stati e ci sono anarchici che votano, così come ci sono stati dei ministri anarchici. In questo non c’è nulla di strano. Una persona può essere radicalmente pacifista eppure intervenire con la violenza di fronte a un fascista che massacra di botte un’altra persona. 
Ciò non vuol dire che quella persona rinuncia ai suoi principi, solo che di fronte a una data situazione si trova a dover agire in modo contraddittorio rispetto a un principio teorico in virtù di una situazione pratica che, nell’ottica soggettiva di quel dato momento, non consente alternative. Nondimeno, gli anarchici generalmente non votano e nemmeno si fanno eleggere. Alle radici di questo atteggiamento ci sono presupposti filosofici, storici, sociologici e politici.Il presupposto filosofico dell’anarchismo, o se volete la sua concezione dell’essere umano, è che, allorquando una persona è capace di intendere e di volere, ciascuno è o perlomeno va considerato responsabile di sé. Con ciò, non vien fatto nessun apprezzamento sulla natura degli esseri umani. Nessuno sostiene che gli esseri umani sono buoni per natura o cose del genere. Kropotkin, e parlo di lui perché è sempre lui che viene tirato in ballo, aveva sostanzialmente affermato che nel regno animale non esisteva solo la sopraffazione, ma anche la solidarietà. Chi sostiene che gli anarchici non vogliono il governo perché si illudono che la natura umana sia sostanzialmente buona si sbagliano di grosso. Questo lo pensano i marxisti, convinti nell’intrinseca bontà della classe operaia che, tramite la rivoluzione proletaria (la sua missione ontologica) redimerà tutto il genere umano. I borghesi no, loro sono convinti invece che gli esseri umani siano iene, lupi o avvoltoi che hanno bisogno di uno stato che pone dei freni alla loro voracità. Nessuno di loro ha mai spiegato perché non dovrebbero essere proprio i più grossi avvoltoi ad assumere il potere nello stato. Stranamente, ritengono gli esseri umani incapaci a governarsi da sé ma capacissimi a scegliersi governanti che dovrebbero in teoria fare il bene comune. Tutto ciò a dispetto dell’evidenza che ha voluto    proprio i peggiori tiranni eletti democraticamente o plebiscitariamente dal popolo. La democrazia presenta a questo proposito un paradosso insanabile: la maggioranza dei votanti (che può pur sempre essere una minoranza di elettori) può portare democraticamente al potere il peggiore dei dittatori. Chi non accetta questa scelta è considerato “anti-democratico” e in questo senso gli anarchici sono “antidemocratici”: ossia non sono disposti ad accettare nessuna imposizione solo perché dettata da una maggioranza (se le elezioni le vincesse Giudici? O Le Pen? ). Naturalmente, in pratica, questo tratto “antidemocratico” attraversa tutti i partiti “democratici”, poiché la battaglia contro un potere dittatoriale accomuna le più disparate fazioni in nome di un senso di giustizia che non trova rispondenza nella legalità (Cristo, mi sembra di parlare come il PSA una ventina d’anni fa). La differenza tra gli anarchici e gli altri schieramenti politici sta nel fatto che gli anarchici non chiedono un adeguamento della legalità alla giustizia, ma la restituzione dell’ autonomia decisionale all’individuo.
È’ ovvio che alla base di questa impostazione politica v’è la necessità di fondo di rimuovere tutti gli ostacoli che spingono l’individuo a fuggire dalla propria libertà: lo sfruttamento economico, la distribuzione ineguale delle risorse, la paura di un collasso ecologico ecc., altrimenti è chiaro che lo stato risorgerebbe immediatamente dalle sue ceneri. Ancora non s’è detto degli altri presupposti astensionisti dell’ anarchismo.
Ho già menzionato i presupposti storici, vale a dire l’esperienza concreta del sistema parlamentare nel corso della storia. A parte i fascismi che a lungo si sono retti anche sul consenso del popolo, pensiamo agli enormi crolli di credibilità del sistema dei partiti quando mettiamo a confronto progetto (o tensione etica) e risultati. E non parlo qui delle famose “promesse elettorali” mai mantenute (provate a mettere al confronto la politica rossoverde in Germania con le promesse fatte al loro elettorato!!), ma delle briglie istituzionali che vanificano comunque le migliori intenzioni dei candidati “del cambiamento”. Chi entra in parlamento o in governo ne diventa un ostaggio, e non credo sia necessario fare riferimenti espliciti a recenti vicende cantonali e nazionali.
Chi dice che nonostante ciò la democrazia è il miglior sistema esistente, ha ragione. Ma è a corto di fantasia. E soprattutto non spiega come orrori come il fascismo nel futuro non debbano ripetersi. Esistono poi dei presupposti sociologici, di cui il più noto indubbiamente è che “il potere corrompe”. Ma la ricerca sociologica e psicologica sul potere non si è certo fermata qui, e si è andata raffinando in questi ultimi decenni con gli studi sulla personalità autoritaria, i “persuasori occulti”, lo stato incosciente e la microfisica del potere, tanto per elencarne solo alcuni. Purtroppo, come spesso succede, questi approcci o risultati della ricerca vengono sonoramente applauditi durante i congressi degli specialisti e silenziosamente dimenticati durante le votazioni. Succede così che tra un congresso di partito e una campagna elettorale non ci si accorga nemmeno più che i fenomeni sociali più rilevanti degli ultimi decenni, dal maggio ’68 alla rivolta zapatista, si sono svolti al di fuori e contro il parlamentarismo e il potere. D’altra parte, numerose indagini empiriche confermano, al di là della teoria, quanto gli anarchici da sempre hanno sostenuto, ossia come, accanto a forme decisamente caricaturali della politica democratica come il galoppinaggio, in realtà anche nel sistema parlamentare gran parte delle decisioni vengono prese al di fuori dell’ambito strettamente istituzionale, in una palude di potere dove interagiscono lobby d’interesse, gruppi di pressione, consigli d’amministrazione, organismi formali e informali a livello nazionale o internazionale (il Forum di Davos, tanto per fare un esempio). Il problema delle votazioni è che con ogni voto espresso tale sistema viene ulteriormente legittimato e consolidato, per quanto possa trattarsi di voti “di protesta” o “di sinistra”, allontanando quindi sempre di più la prospettiva di una svolta autogestionaria. Ci sono poi i presupposti politici. Uno degli elementi distintivi della concezione anarchica della politica è il rifiuto della delega, vale a dire la ricerca di un sistema di gestione degli affari pubblici basato sulla responsabilità diretta dei soggetti in causa. Detto con un esempio tratto dall’ambito del potere giudiziario, non ha davvero alcun senso che un tribunale (di maschi) emetta una sentenza sulla maggiore o minore facilità allo stupro offerto da un determinato tipo di indumento. Ecco questa assurdità che ha fatto così scalpore recentemente in Italia succede ogni giorno nelle decisioni parlamentari, dove “i bisogni della popolazione” (o dei contadini, o del paesaggio, o della natura, o dell’ambiente ecc...) vengono interpretati secondo logiche del tutto estranee agli “interessi” delle parti in causa: l’agricoltura diventa così un tema finanziario, la canapa indiana un tema giuridico, la qualità dell’aria merce di scambio per l’adesione all’UE ecc., in una distorsione tale dei bisogni che spesso non siamo neppure più in grado di leggerla.
È per questi motivi che, riassumendo, gli anarchici chiedono in primo luogo l’abolizione della Svizzera, e, in via subordinata, la proclamazione di Olten capitale.
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