3. Qualità della vita, bisogno di aggregazione, di autodeterminazione e utilità specifica dei Centri Sociali Autogestiti

3.1 Introduzione

Noi che nasciamo nell’opulento occidente veniamo automaticamente organizzati in società sedicenti liberali e democratiche, in cui il sistema della delega è una regola che tende a deresponsabilizzare l’individuo e di conseguenza ingrossa la base dell’apparato piramidale del potere. Ció implica un inevitabile  appiattimento delle coscienze individuali e della solidarietà tra le persone e tra i popoli, mentre l’ignoranza politica e l’indifferenza verso il prossimo, generate anche da questo sentimento d’impotenza, dilagano sempre più indisturbate.

Niente di nuovo sotto il cielo occidentale, dove le cosiddette democrazie al servizio del capitalismo giovano principalmente a quella minoranza già straricca che detiene il potere: i/le soliti/e noti/e, che ci dividono, ci sfruttano, ci impongono condizioni di vita intollerabili e ci controllano al fine di riuscire a reprimere quella piccola parte di società ribelle che vuole migliorare la qualità della vita per tutti/e e ovunque.

In questo contesto l'esigenza di disporre, creare, autogestire degli spazi ad uso sociale, collettivo, culturale, politico, aggregativo nasce dal diritto fondamentale di poter essere finalmente protagonisti/e della nostra vita, partecipando direttamente alla costruzione del nostro futuro, riscoprendo i valori di lotta di base e convivenza collettiva autonoma, quali la responsabilizzazione individuale, la cooperazione solidale e l’amicizia intesa come  fonte di comunicazione e scambio, linfa vitale indispensabile per vivere più dignitosamente.

 

Quindi il Centro Sociale Autogestito non deve essere considerato unicamente un luogo di svago e di divertimento, elementi comunque importantissimi quando il lavoro salariato o la formazione imposta occupano la maggior parte della nostra vita, costringendola nei fini produttivi e competitivi.

Questo genere di spazi vanno bensì concepiti come una sorta di laboratori in continua evoluzione, dove si possa sviluppare una partecipazione collettiva, unitaria (ma sempre dinamica e aperta) negli scopi e negli obiettivi e che faccia dell' "essere protagonisti attivi della nostra vita" un cavallo di battaglia indistruttibile.

Uno spazio accessibile a tutti/e, dove ciascun@ può mettere a disposizione degli/lle altri/e le sue esperienze e le sue conoscenze, ampliando così il proprio potenziale operativo sia nella realtà del Centro Autogestito che nella società esterna. Ciò avviene tramite la messa in comune delle conoscenze in tutti i campi, da quello più pratico, a quello più politico, a quello più interculturale,…affinché ognun@ abbia le medesime possibilità. In questo caso la condivisione del proprio sapere diviene produttiva, non in termini di profitto per pochi eletti, ma di necessità, progettualità e possibilità, o ancora in rapporto alla voglia ed al piacere di fare, di fare collettivamente. Questo al contrario di ciò che avviene nel sistema neoliberista, la cui sfrenata produzione di cultura-spazzatura si è rivelata di ben poca utilità reale e malgrado l’abbondanza dei beni di consumo, la ripartizione resta gravemente iniqua.

Nella nostra concezione non è certo il denaro il punto di riferimento della qualità della vita, nel Centro e più in generale in questo mondo dove viviamo. Il percorso porterà dunque all’adozione di forme di scambio più egualitarie e decisamente più efficaci, un libero circuito dove si scambiano esperienze, oggetti e idee.

Sono d’altronde numerose le esperienze collettive del passato e del presente in tutto il mondo, che hanno già messo in atto questo sistema, traendone beneficio (da ultime le esperienze autogestionarie in un’Argenitina al collasso economico ma per saperne di più invitiamo gli/le interessati/e ad una visita all’Infoshop del Molino).

Quello a cui lavoriamo è una realtà nella quale ognun@ (in particolare i salariati, gli studenti, i portatori di handicap, gli anziani, i disoccupati, i clandestini, i bambini,…) possa riappropriarsi dello smalto intrinseco, troppo spesso offuscato, facendo riemergere i valori di libertà, solidarietà e rispetto, progettando e creando il proprio modo di essere e di fare, diventando costruttore/rice consapevole della propria quotidianità.

Questo anche per non farci travolgere dall’implacabilità del tempo e dalla  zavorra di pregiudizi che impongono i burattinai che tengono le redini del sistema.

La continua ricerca di nuovi valori e di elementi che determinino una qualità di vita ottimale nel Centro Sociale è fondamentale nel rendere effettiva l'autodeterminazione del movimento per l'autogestione stesso, del suo pensiero, dei suoi progetti e del modo di attuarli. Se ciò non fosse, il Centro resterebbe unicamente luogo di consumo, dove la propositività e la creatività individuale rimarrebbero inutilizzate e si atrofizzerebbero.

Va però notato che l'occupazione di uno stabile in disuso e la sua trasformazione in Centro Sociale Occupato Autogestito (CSOA) nascono dalla lotta e dall'antagonismo politico e socio-culturale, che da sempre rivendica maggior giustizia sociale per tutti/e.

Tale antagonismo assumerà dunque un senso di propositività: l'analisi, la discussione e la creazione pratica di un'alternativa di vita, che diventa giorno per giorno una necessità più urgente!


3.2 I principi dell'autogestione

Che cos'è l'autogestione?

E' molto difficile dare una risposta chiara e concisa a questa domanda, perché il concetto è in continua evoluzione. L'idea stessa non è né dogmatica, né introdotta dall'esterno; è infatti espressione di una coscienza collettiva ed è nata dall'intenso dibattito e dialogo tra i/le sostenitori /trici di questo progetto, vissuto quotidianamente.

Si parla di principi dell'autogestione proprio perché non esistono regole fisse e inderogabili dettate da una struttura elitaria. La differenza fondamentale da altri sistemi di gestione è la flessibilità nell'applicazione dei principi a situazioni pratiche specifiche che si presentano di volta in volta, mentre, solitamente le regole vengono applicate nello stesso modo per tutti/e, senza poter perciò tener conto dei casi particolari.

 

Emerge spontaneamente la prima convinzione sviluppatasi in questi anni. Siccome l’autogestione si fonda sulla comunicazione, l'interazione e la condivisione, non è concepibile pensare ad una struttura di potere presente in tale ambito.

Le strutture organizzative e decisionali sono aperte a tutte/i le/gli interessate/i che condividono i medesimi obiettivi e la voglia di vivere un'esperienza comunitaria nel rispetto reciproco. Non fanno parte degli scopi di un Centro Sociale Autogestito la parcellizzazione degli spazi e l'individualismo inteso come egoismo (i bisogni individuali cercano di essere in armonia con quelli collettivi), che si riscontrano nella società esterna. Parallelamente all'esigenza di spazio, nascono le esigenze di socialità, collettività e solidarietà che caratterizzano i movimenti sociali di base. Dopo questi primi anni di sviluppo e d'impulso positivo, al Molino si è rafforzata l’idea indispensabile che l'autogestione sia sinonimo di autonomia decisionale. Dobbiamo avere la certezza che ciò avvenga rispettando la libertà di pensiero, di autodeterminazione e anche di struttura organizzativa. Ogni tentativo di limitare, di manovrare, di controllare dall'esterno quest'esperienza spontanea avrebbe come risultato un rallentamento delle attività e della propositività che abbiamo saputo dimostrare, togliendoci così la possibilità di costruire un’alternativa di vita.

 

La nostra forza è riposta nell'elaborazione collettiva e nel lavoro atto a realizzarla partendo naturalmente da una visione attentamente critica della società in cui si cerca di imporre alla gente una visione unica del possibile e perciò del futuro, premiando per esempio l'acriticità globale a dispetto della creatività.

 

La nostra connotazione libertaria ci permette di poter contare su un fattore determinante che con misure di controllo si esaurirebbe: l'entusiasmo costruttivo dei/lle partecipanti. Senza questo fattore queste modalità di gestione non sarebbero applicabili. Intendiamo perciò coinvolgere il resto della società civile comunicando in libertà ed autonomia, sviluppando quello spirito critico che permette di valutare obiettivamente i fenomeni sociali, adoperandoci, se necessario, per farvi fronte.

Non intendiamo rientrare nelle ciniche e precise regole di mercato che fanno dell'uomo una merce. Nelle varie attività si cercano di rispettare i criteri ecologici (prodotti Bio, riciclaggio dei materiali, ecc.) e i principi socioeconomici basati sull'acquisto di prodotti provenienti da gestioni familiari o da piccole imprese locali, sviluppando l'autoproduzione interna e l’autofinanziamento.

Coinvolgere attivamente le persone in un progetto sociale è fondamentale per la sua stessa riuscita e si offre così la possibilità di evolvere dal ruolo di consumatore/trice a quello di propositore/trice di attività.

L'eterogeneità delle persone che condividono quest'esperienza ne rende impossibile la categorizzazione mediante parametri convenzionali, quali l'età, il ceto sociale o addirittura l'appartenenza politica, anche se si può parlare di orientamento politico. Quest'ultimo è espressione di idee fondamentalmente libertarie proprio perché basate sul non riconoscimento di forme di portere, sul rispetto e sulla solidarietà tramite l’azione diretta nel territorio.

Altrettanto difficile è distinguere le persone impegnate quotidianamente da quelle che partecipano, con piccole azioni di solidarietà e di coinvolgimento lavorativo sporadico, al funzionamento di una collettività di cui anch'essi fanno e si sentono parte. La partecipazione è il primo passo per creare un rapporto interpersonale privilegiato fra tutti/e coloro che scelgono di lottare contro un sistema alienante che tende all’egoismo e all’apatia.


3.3 Criteri organizzativi e strutturali

I principi di funzionamento del Centro Sociale si sono elaborati in modo spontaneo, basandosi più sulla fiducia e sull'amicizia che non sulla stesura di un documento asettico.

Una delle esigenze maggiori all'interno di tale realtà è il confronto, il dibattito creativo: un momento di reale conoscenza, di autocoscienza, di ricerca di nuovi strumenti di autodeterminazione e di liberazione. Una visione alternativa a quella che si è solite/i consumare, in cui, attraverso remore morali e d'interesse economico, vengono annebbiate aspirazioni e bisogni più vicini all'essere umano.

Questo aspetto fondamentale trova la sua più grande espressione all'interno dell'Assemblea popolare (che si incontra almeno una volta alla settimana), attorno alla quale ruota la vita del Centro: qui nascono ad esempio i gruppi di lavoro (v. cap 3.3), che vengono proposti dai singoli o da gruppi spontanei, a cui si aggregano altre persone per affinità di interesse.

A queste discussioni partecipano tutte quelle persone che trovano interesse nelle aspettative e nella crescita di un Centro Sociale Autogestito. Qui non si applicano delle regole, bensì ci si confronta, a volte per ore, arrivando a definire i principi che, proprio per questo motivo, vengono condivisi ed interiorizzati. Questi dibattiti non tendono ad accentuare le distanze, perché si tratta di ragionamenti volti a trovare un filo conduttore comune.

Le discussioni si sviluppano tenendo conto dei bisogni di ognun@, ponendoli all'interno della collettività. Ogni individuo apporta così le sue conoscenze, che vanno ad arricchire il confronto, delineandone la soluzione.

Le decisioni prese non nascono da una maggioranza di voto e non sono principi assoluti, ma variano a seconda delle necessità della comunità e possono essere rimesse in discussione se cambiano le priorità.

Quindi il confronto di opinioni e bisogni diventa prerogativa fondamentale in uno spazio dove le persone collaborano sullo stesso piano per un obiettivo comune e dove le responsabilità non determinano il potere decisionale.

Non si è mai votato al Molino, per i motivi già descritti e perché non si vogliono creare né vincitori, né vinti. Si richiede invece di essere rigorosi nel rispettare il proprio e altrui diritto di parola per alzata di mano. Ad argomenti di intenso dibattito si è fatto ricorso al cosiddetto “giro di parola”. Questo metodo dà la possibilità ad ognun@ di descrivere il suo stato d'animo, di confutare o di ribadire opinioni e di partecipare direttamente, esprimendosi brevemente.

Questa visione della democrazia, basata essenzialmente sul dialogo, ha dato splendidi risultati ed è ora improbabile per l’Assemblea ritrovarsi con una maggioranza e una minoranza, in quanto l’intento della discussione è quello di appianare le divergenze, trovando un punto d’incontro.

E' dunque attraverso tale visione del confronto e dell'interazione fra individui che ci si trova immersi in atteggiamenti diversi da quelli economici, politici e di dibattito convenzionali, in cui non sono i bisogni di tutti/e a valere, ma gli interessi di pochi/e.


3.4 Uno spazio aggregativo di creazione collettiva

Parlando di centro sociale è innanzitutto doveroso soffermarsi proprio sulla natura sociale di questa esperienza.

Come emergerà nelle prossime pagine, il molino è un luogo reale dove, seguendo il filo conduttore dell’autogestione, si sperimentano forme di organizzazione del lavoro, pratiche politiche e concetti di cultura nuovi. Da tutto ciò non può che nascere una sensibilità sociale profonda, che si manifesta nella capacità di instaurare rapporti sociali nuovi.

Tutti i lavori di gestione, di organizzazione di attività politiche o socioculturali, di ristrutturazione,… si svolgono collettivamente, diventando così occasione per scambi inter-personali. Per tutti/e vi è la possibilità di assumere un ruolo attivo nell’esperienza, di esserne partecipi, di contribuire al suo sviluppo, eliminando tutte quelle barriere, legate all’estrazione sociale, ai diplomi scolastici, alla provenienza culturale, ai problemi personali in ambito di dipendenze o di lucidità psichica, che si incontrano nella società capitalistica.

Naturalmente oltre a questo tipo di aggregazione vi è quella più ampia, creata dagli avvenimenti politici e socio-culturali. Un grandissimo numero di persone passa dal centro sociale nel corso di una settimana, inserendosi e gustandosi, chi più chi meno, il clima dell’autogestione.

Se si realizzasse un'inchiesta sul campo sulla composizione dei/lle frequentatori/trici abituali e saltuari del Centro Sociale Autogestito, essa rivelerebbe con grande probabilità quanto essa sia eterogenea a tutti i livelli (età, estrazione sociale, ambito lavorativo,..).

 

Per descrivere e capire a fondo quest'esperienza, bisogna quindi capire l’importanza dell’aspetto sociale-aggregativo, in quanto proprio grazie alla discussione sia in ambito più formale (assemblea gruppi di lavoro,..) che informale emergono i bisogni e le utopie delle persone.

Il Molino è il luogo in cui si specchiano per poi essere affrontate alcune delle più importanti trasformazioni socio-economiche in corso, a cominciare dalla crisi della società del lavoro.

Partendo quindi dai bisogni e dalle utopie si comincia a formare l’identità collettiva, nascono idee da sperimentare in questo grande laboratorio e rivendicazioni da portare per le strade.

Ciò che accomuna maggiormente chi frequenta il Centro è che tutti/e, nella mutevolezza o precarietà delle proprie condizioni lavorative o esistenziali, ci sentiamo in un luogo “nostro”, “non mio ma anche mio”, un luogo dove cominciare a costruire e vivere quest’”altro mondo, un luogo da cui partire per dare forma all’utopia.

Il Centro è per noi la spazializzazione di quella risorsa tanto cruciale che è il pensiero, la capacità di riflettere, le qualità cognitive e creativo-innovative. Diventa dunque una prerogativa dell'autodeterminazione, che si estende alla “sfida” alla logica economica che tutto vuole colonizzare, a partire dalle nostre menti.

Per questa sfida abbiamo bisogno di stare assieme, di comunicare preservando le nostre differenze, di produrre quel bene sempre più raro che si chiama socialità. Per stare dentro le trasformazioni in corso abbiamo bisogno di un Centro non “della” Città, ma “nella” Città, dove riteniamo indispensabile l’interazione, il coinvolgimento e lo scambio reciproco in primis con il quartiere e in generale con tutto il territorio.

 

È proprio in ragione di questa sensibilità sociale profonda che il centro sociale si trova spesso a rispondere a esigenze sociali contingenti, che non hanno spazio nella sensibilità di parte della popolazione ticinese e che presso l’autorità non trovano ascolto.

Pensando ad esempio alla totale mancanza di strutture di prima accoglienza in Ticino, il Molino ha ospitato persone in momentanea difficoltà, accompagnate presso di noi a volte dalla polizia, altre da associazioni come May-day.

Potremmo anche citare la problematica della comunità ecuadoriana, di cui il Molino si è fatto carico per anni e che solo ora, grazie al lavoro politico del movimento dei senza voce emerge timidamente alla luce del sole.

Pur essendo questo tipo di aiuto piuttosto assistenziale, il molino trovandosi suo malgrado confrontato con esse, ha sempre provato ha dare delle risposte concrete a situazioni contingenti. L’obbiettivo del centro sociale non consiste nel riempire delle mancanze, nel porre dei cerotti, ma il cercare una risposta valida a problematiche sociali importanti, portandole sul piano della rivendicazione politica.

 

In questi anni si é anche capito che la vera radicalità di questa esperienza non sta nel cristallizzare identità politiche eterne, nel crederci dei surrogati o dei concentrati del conflitto (tipo "avanguardie del popolo"). La radicalità dell’azione intrapresa sta nel rafforzare, sollecitare, predisporre strumenti che siano funzionali ad altre e più socialmente diffuse forme del conflitto. Il Molino è un ambiente, un humus, in cui attecchiscono e proliferano pratiche sociali, politiche e culturali, in modo tanto diffuso quanto informale.


3.5 Criteri economici di autogestione

Il principio base dell'economia del Centro è l'autofinanziamento infatti non percepiamo finanziamenti dall’esterno e men che meno dalle “autorità” cittadine o cantonali, evitando così manipolazioni di carattere gestionale e ideologico. Vi sono diverse attività, ognuna gestita con la propria cassa. Ci sono attività che permettono di finanziarne altre, attività che possono sostenersi da sole e attività che necessitano almeno dell’iniziale solidarietà di altre. Ma l’obiettivo è quello che ogni proposta si autofinanzi, di modo che il surplus venga utilizzato per la struttura (manutenzione, acqua, elettricità,…) o le iniziative senza o con entrate limitate, ma non per questo meno importanti (animazioni per bimbi/e, progetti di solidarietà internazionale, periodico autoprodotto,…)

Il Molino per questioni di necessità ha comunque dei rapporti economici con quella parte del mercato capitalista che da sempre cerca di combattere (es. acquista energia elettrica dalle aziende); d’altro canto dove è possibile lavora a stretto contatto con tutta una serie di situazioni esterne alternative favorendo lo sviluppo di tutte quelle realtà cooperativistiche, solidali, rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.

Ciò che sostanzialmente ci distingue dalla società esterna è che le entrate vengono reinvestite nella struttura, nelle attività e nelle azioni di solidarietà, quindi l’economia interna non è funzionale alla ricerca prioritaria di profitto.

Piuttosto che di prezzi parliamo di contributi per le spese di tutto ciò che l’Assemblea decide di finanziare.

La supervisione finanziaria generale è curata dal gruppo contabilità.

La ridistribuzione delle risorse provenienti dalle attività in utile viene coordinata insieme all’Assemblea secondo i principi di priorità e solidarietà.

Naturalmente la partecipazione volontaria alla costruzione del Centro da parte di numerose persone ha permesso di eliminare i costi di manodopera.

Il Molino predilige la “militanza” al denaro. È in grado di sopportare la carenza di soldi ma non quella della partecipazione. Chi non ha soldi, entra ugualmente e viene invitat@ a partecipare all’autogestione in prima persona e contribuire  economicamente semmai quando gli/le sarà possibile. 

La libertà è partecipazione, non pecunia!!


3.5.a Occasioni e stimoli per la creazione di attività di autoreddito

Una delle tante motivazioni delle persone che arrivarono a occupare gli ex-Molini Bernasconi di Viganello fu indubbiamente il pensiero di scrollarsi di dosso lo statuto di lavoratrici/tori dipendenti. Si discusse parecchio in questa prospettiva e il denominatore che ci accomunò fu comunque che non ci interessasse creare o rilevare un’azienda o ditta, per sentirci soddisfatti/e e liberi/e di gestire la nostra vita lavorativa. Ritrovarci nella logica del mercato tradizionale legata esclusivamente al profitto e al selvaggio mondo della concorrenza, dove da sempre i primi a pagare sono comunque

i/le dipendenti, ci avrebbe riportato al punto d’inizio, a operare con chi ha aperto un’attività dall’altra parte della barricata. Sarebbe stato un paradosso imperdonabile!

 

L’insieme di chi si esprime, sogna, lavora e crea al Centro è uno spaccato di società reale.

Con l’attuale involuzione del mondo del lavoro e le implicazioni negative sul fronte dei diritti e dei rapporti umani, pensare ad un’alternativa valida e concreta diventa un percorso naturale e più che mai necessario.

La scelta di voler autogestire degli stabili in disuso comporta il confronto con moltissimi lavori manuali per la funzionalità degli spazi: dagli impianti elettrici, ai lavori di falegnameria, agli impianti sanitari, fino a tutti quei lavori legati alle attività culturali e politiche.

Con l’apporto delle esperienze di ognuno nasce così uno scambio di informazioni tra le persone che costruiscono il Molino e contribuiscono al suo funzionamento, dando la possibilità a chiunque sia interessat@ di cimentarsi in attività differenti da quelle abiutali.

Fino ad oggi la funzionalità del Molino è stata gestita in maniera militante, in alcuni casi con un’organizzazione a turni (Barabba, mensa, …) e in altri con un coinvolgimento lavorativo spontaneo.

Negli anni di vita del Molino si sono sperimentate sporadicamente forme embrionali di autoproduzioni e autoreddito (cooperativa panini, volantinaggio, …). Oggi ci troviamo ad affrontare la schizofrenia di dover lavorare in un ambito che combattiamo per poter sopravvivere a livello individuale, a discapito del tempo e dell’energia da dedicare alle cose che realmente vogliamo. L’assemblea sta discutendo con un sempre maggiore realismo della necessità di creare delle cooperative di lavoro interne, od esterne al Molino, che ci permettano di vivere dignitosamente e in maniera coerente ai nostri principi. Esse verrebbero organizzate in base a criteri quali l’organizzazione orizzontale (il più possibile a rotazione o cercando di rispettare le proprie predisposizioni senza la creazione di gerarchie), un autoreddito a seconda delle necessità vitali di ognun@ non legato alla meritocrazia, un coinvolgimento che ci permetta di migliorare la realtà del CSA per quel che riguarda coerenza, presenza, sicurezza, igiene, …