4. Percorso di un sogno collettivo

4.1 Esperienze europee e svizzere

All’inizio degli anni ‘70 cominciano a nascere in Europa i primi Centri Autogestiti: per esempio il “Melkweg” di Amsterdam, l’“UFA” di Berlino, l’“Albany Empire” di Londra, il “Leonkavallo” di Milano e nell’ ‘80 la “Rote Fabrik” di Zurigo. Essi sono sorti prevalentemente in vecchie fabbriche abbandonate con l’obiettivo di dare spazio ad una cultura alternativa indipendente da quella ufficiale e a nuove forme di lotta politica. Da una quindicina d’anni questi Centri Socio-Culturali si sono ampiamente affermati anche in Svizzera e se ne contavano nel 2000 più di sessanta, tra cui molti riconosciuti dalle autorità locali senza alterarne la natura di spazio autogestito, da”L’Usine” di Ginevra, all’”Èspace autogéré” di Losanna, alla “Reithalle” di Berna.

In gran parte sono nati come centri per manifestazioni giovanili, mentre alcuni, organizzati da promotori meno giovani (fra i 25 e i 40 anni), sono sorti per dare spazio a esigenze di sperimentazione artistica e dibattito sociale e politico. Il denominatore comune è in ogni caso sempre l’esigenza di creare spazi autogestiti.

Spesso, ma non necessariamente, essi sono retti da un’organizzazione che si costituisce in associazione.

Fondamentalmente si prefiggono di:

 

·        promuovere l’assunzione di una responsabilità autonoma, nella progettualità e nella gestione degli spazi

 

·        offrirsi come ‘piattaforma di scambio’ culturale, sociale, politico ed ecologico, stimolando la critica, il dibattito e la ricerca di alternative

 

·        dar spazio a manifestazioni artistiche non convenzionali e sperimentali

 

·        contrapporsi all’emigrazione culturale, ravvivando la città e la regione in cui sono presenti

 

·        proporsi come luogo d’incontro e di contatti sociali, rimanendo ugualmente accessibili a persone con interessi differenti e appartenenti a varie fasce d’età

 

·        mostrare flessibilità verso il mutamento dei bisogni e delle circostanze

 

Per quanto riguarda l’organizzazione ogni Centro si è dotato di una propria struttura che varia di caso in caso. È però comune a tutti lo sforzo di autofinanziamento attraverso le proprie attività e manifestazioni, anche se in alcuni casi l’ente pubblico, riconoscendone l’utilità, garantisce loro delle sovvenzioni.

In Svizzera, come in altri paesi, i Centri Sociali non sono una prerogativa delle principali città, ma sono ampiamente diffusi anche in agglomerati urbani come Friborgo ( “Fri-Son”), Olten (“Färbi”), Lucerna (“Boa”), Neuchâtel (“Case à choc”), Sion (“Ferme asile”), Nyon (“Usine à gaz”), ecc..


4.2 Lo scenario del Canton Ticino

37 anni!

Un primo progetto per la realizzazione di un "Centro per il tempo libero" a Lugano è stato proposto nel 1966 (!) da Franca Armati, ma non è mai stato preso in considerazione rimanendo quindi lettera morta.

Se ne riparla nel gennaio 1970 a Locarno, quando viene resa nota la formazione del Comitato per un "Cantiere della gioventù" che si prefigge di organizzare, nel cuore della città, un grande centro provvisorio sperimentale per la durata di 4 settimane. Promotore dell'iniziativa è Gerold Meyer, ex-insegnante e anziano militante socialista e pacifista, in collaborazione con Alfredo Salvisberg, Felice Hepp e Piero "il poeta" Künzle, ma al comitato aderiscono anche il direttore dell'Ente turistico, i direttori scolastici Marazzi e Forni, l'ispettore Dante Bertolini e molti altri personaggi pubblici.

Un anno dopo, l'idea di un Centro per il tempo libero (allora si chiamavano così) balza a Lugano. Il 27 febbraio 1971, 200 giovani si riuniscono in assemblea per rivendicare un "Centro completamente autogestito" e inviano al municipio 600 firme. Attorno a questa rivendicazione nascerà il giornale “Senzatitolo”, redatto da Marco Paganetti, Carlo Curti, Ezio Conforti, Flavio Renzetti e altri.

“Senza titolo” propone "un centro autonomo per poter lottare efficacemente contro lo sfruttamento" ma, di fronte alla constatazione che "in Ticino, attualmente, ad essere ottimisti, ci saranno due migliaia di persone veramente coscienti dello stato insostenibile nel quale ci troviamo", decide sconfortato di sospendere le pubblicazioni al secondo numero.

Del Centro autonomo si continua però a parlare: "da circa 3-4 mesi a Lugano alcune persone coscienti della grave situazione in cui si trova buona parte della gioventù in rapporto alla propria educazione sociale e politica si occupano della stesura di un progetto per un centro autonomo giovanile", informava il "giornale autonomo di alternativa Controticino" nel giugno 1971. “Controticino” non è però d'accordo con la lotta per uno spazio fisico perché ritiene che manchino le necessarie premesse per l'autonomia (ad esempio capacità di autocontrollo dei giovani).

 

Intanto, a Locarno apre i battenti il famoso Cantiere della gioventù. Si tratta in pratica di una sorta di tendopoli con al centro il Forum, una discoteca, un bar sistemato su un albero (!) e diversi atelier per i gruppi di espressione artistica, un laboratorio di fotografia, ecc. L'idea piace, i bar si sfollano e ci si dà appuntamento al "Cantiere", dove la polizia non ha accesso.

Durante le 5 settimane di esistenza del Cantiere, le attività vengono completamente autogestite. Al termine dell'esperimento, corrono insistenti voci di occupazione, ma alla fine non se ne fa nulla. Le autorità sbaraccano in fretta e furia: "dal momento che i giovani hanno incominciato ad agire con spontaneità ed autonomia, allora ci si è accorti che il Cantiere poteva anche disturbare un certo quieto vivere", scriverà il Comitato d'azione nella sua lettera aperta sul "Cantiere".

Nel frattempo tornano alla carica i luganesi, dove si è andato costituendo un "Movimento per il centro autonomo giovanile". Il 25 febbraio del 1972 250 giovani per le strade di Lugano rivendicano un centro autonomo, numero che salirà a 300 il 18 marzo allorquando, in seguito a un parapiglia con la polizia, vi saranno 7 arresti. Nelle famigerate "Baracche del Cassarate" (allora sede della polizia) uno dei ragazzi viene picchiato con sacchi di sabbia. Il Movimento è appoggiato dal ”Gruppo d'apprendisti Vinceremo!”, che pubblica in quel periodo alcuni numeri di un omonimo giornale, da “Lotta di Classe”,da “Lotta Continua” e dal “Movimento anarchico pacifista”.

Le tensioni  più grosse ci saranno però nel 1973. Una formazione di destra chiamata “Movimento per la Dignità dell'Uomo” (MDU), ricettacolo della borghesia cattolica di Lugano e creata apposta per arginare il movimento (erano gli anni degli scioperi al liceo e alla magistrale) apre una specie di centro-oratorio in una casa della curia in Piazza Indipendenza a Lugano.

Ecco alcune perle tratte dalla lettera di presentazione e dal regolamento imposto ai frequentatori: "In questo centro, i giovani avranno la possibilità di ascoltare buona musica (dalle 13 alle 22), di leggere buoni libri, di avere a disposizione giornali adatti (!), di giocare a scacchi,.... Ci proponiamo pure di organizzare visite a gallerie d'arte, passeggiate nella natura...

Responsabile del centro è un giovane animatore scelto con cura affinché i giovani vengano guidati... Si terrà uno schedario dei frequentatori...Gli atteggiamenti e le parole sconvenienti, la bestemmia, l'introduzione di alcoolici o di oggetti, illustrazioni, scritti immorali o pornografici sono motivo di espulsione dal centro". Dall’interno di questo centro-oratorio al cuni/e frequentatori/trici, sensibili alla rivendicazione di un Centro Autonomo tentano di ribaltare l’ispirazione cattolica per una gestione autonoma.

Una cosa così non poteva che finir male: il centro viene chiuso dalle autorità dopo sole due settimane. La risposta a questa manovra è rabbiosa. Sabato 7 aprile, alcune centinaia di manifestanti si scontrano più volte con la polizia che dapprima provoca il corteo e poi, in seguito a una sassaiola contro le vetrate del Corriere del Ticino, si lancia in una vera e propria caccia all'uomo (e alla donna) operando 15 fermi e 3 arresti. Il Movimento Studentesco e gli anarchici deplorano la sassaiola, il che non giova all'unità del movimento.

 

L'Assemblea del 4 aprile, che aveva promosso la manifestazione, si ripresenta in ottobre nella veste di Movimento giovanile Autonomo e occupa per poche ore lo stabile detto “Venezia”, destinato alla demolizione a causa delle mire espansionistiche di Innovazione. Probabilmente si tratta della prima occupazione di uno stabile in Ticino (se prescindiamo dalla famosa occupazione della magistrale di Locarno).

Gli anarchici e gli autonomi del 7 aprile hanno nel frattempo fatto la pace e organizzano una festa in città per il 9 dicembre (era il periodo delle domeniche senz'auto in seguito alla crisi del petrolio), che però il sindaco Pelli proibisce e fa sciogliere a suon di manganelli della polizia, la quale opera 10 arresti.

Dopo quest'anno "caldo" a Lugano, la richiesta di un Centro verrà ripresentata soltanto nel 1976-77, stavolta articolata dal Comitato Azione Tempo Libero e dai “Cani sciolti”.

A Bellinzona, invece, qualcosa inizia a muoversi nel 1975, con la richiesta socialista al Municipio di mettere a disposizione dei giovani uno stabile comunale detto “Grottino”: il municipio rifiuta, e si troverà il 21 maggio 1977 le strade di Bellinzona invase da un rumoroso corteo che rivendica uno spazio.

Febbraio 1977: prime avvisaglie della nascita di un movimento per un Centro autonomo anche a Locarno, che il 28 marzo 1978 ottiene dal comune un locale sito sulle scale che dal Municipio portano in città vecchia, chiamato "locale autogestito Baciliö". L'esperienza comunque non durerà molto, anche perché logisticamente il locale non è un gran che.

 

Sul seguente decennio (anni '80) è meglio stendere un velo pietoso. Mentre Zurigo brucia e Losanna è in rivolta, in Ticino vengono aperti impunemente i primi Murder King... Lodevole eccezione il tentativo, nel mese di dicembre del 1980 del gruppo luganese “Prendiamoci!” di ottenere un "Centro per il ritrovo e la creazione" mediante una petizione.

Inoltre il 13 dicembre 1980 viene inaugurato a Balerna il "Centro Sociale Autogestito La Meridiana" promosso dall'Associazione Cultura Popolare (ACP) con il preciso intento di promuovere esperienze di vita e di lavoro basate sull'autogestione. Il centro comprende un bar-ristorante, una sala multiuso, un info-shop, una libreria, una stamperia e successivamente anche un centro naturista (Alchemilla) e il Centro di Informazione sull'obiezione di coscienza (CIOC). Purtroppo, in seguito alla deriva autoritaria del gruppo promotore, un anno dopo il Comitato di gestione espelle tramite licenziamento i 3 anarchici attivi al centro. L'ACP continuerà a gestire la Meridiana come centro culturale di sinistra (tipo Circolo ARCI), ma lascerà completamente cadere il discorso dell'autogestione e assumerà con il personale un rapporto di datore di lavoro-dipendenti. Il Centro esiste tuttora e propone, accanto al ristorante, varie attività culturali.

Poco seguita per contro la manifestazione promossa dagli anarchici a Lugano a sostegno delle lotte in Svizzera interna. Sfidando i posti di blocco alle entrate della città, i 150 poliziotti mobilitati e i blindati posti a protezione del municipio hanno manifestato in Piazza Dante forse una quarantina di persone.

Autunno 1981, cadon le foglie, le giornate si accorciano e al termine di estenuanti trattative di un gruppo promotore, delegato da un'assemblea plenaria del maggio 1981, il Municipio di Lugano consegna le chiavi al gruppo di gestione del Centro del tempo libero concesso in uno spazio ricavato al pianterreno (padiglione Maraini) del vecchio Ospedale Civico. Il centro funzionerà per parecchi anni in forma pressoché autogestita. Aprono un centro anche Cassarate e Viganello, ma mentre il primo non durerà, il secondo rimane sotto stretto controllo da parte dell'autorità politica.

 

Lo stesso avviene a Locarno, dove il 7 settembre 1981 l'Associazione Giovanile Tempo Libero riceve dal Municipio le chiavi per l'ex scuola d'avviamento situata dietro all'Happy Rancho. Questa esperienza chiude dopo pochi mesi poiché "vi sono giovani che creano problemi e delle tensioni all'interno del gruppo (!)". In compenso, l'anno successivo (1982) un gruppo di squatter zurighesi e ticinesi occupano la villa Baronata a Minusio.

 

Mentre a Bellinzona nella primavera del 1988 alcuni liceali lanciano una petizione per la creazione di un centro giovanile comunale, occorrerà attendere il 1989 perché a Locarno si rifaccia sentire un gruppo che, forte di mille firme, rivendichi uno spazio culturale permanente autogestito. Stavolta si tratta del gruppo Obliquo, che è "un modo di camminare: lo si pratica in gruppo e con i gomiti puntati in fuori, con una grande attenzione a non inciampare nelle gambe stese degli Orizzontali, facendosi largo tra le schiere compatte dei Verticali". Lo scopo è quello di conquistarsi uno spazio: uno spazio dove possa respirare una cultura indipendente che non si vende nei supermarket. La stessa rivendicazione viene avanzata, sempre a Locarno, dal gruppo Controcorrente. Fra le sedi più idonee per il centro viene indicato il vecchio Macello comunale, dove si svolgerà anche una festa autogestita.

Obliquo, Spazio ed Elettra, le tre organizzazioni culturali e alternative che a Locarno promuovono il discorso di uno spazio culturale, in seguito al happening Obliquo in tenda in Piazza Castello a Locarno, precisano nel 1990 la richiesta del vecchio Macello come spazio da destinare ad attività socioculturali. Un appello in tal senso alle autorità cittadine viene firmato da numerose personalità tra cui David Streiff, Sandro Bianconi e Harald Szeemann. Ma il muro di gomma opposto dal Municipio alle rivendicazioni si rivela essere una strategia vincente da parte dell'autorità e il sodalizio dei tre gruppi nel 1992 si scioglie nel più totale sconforto. Bisognerà attendere il 1996 affinché a Locarno si ridesti la voglia di sperimentare, dapprima con l'esperienza del BarBon e poi con la creazione dell'associazione Syamo, che tornerà a reclamare, nuovamente senza successo, uno spazio.

Il 5 ottobre dello stesso anno a Bellinzona viene occupata Casa Cinzia. L’esperienza durerà 4 mesi tra l’entusiasmo di chi l’ha vissuta e le critiche di chi ne ha visto solo la facciata, per essere infine stroncata con un duro sgombero, il fermo e la schedatura di buona parte degli/lle autogestiti/e e la distruzione della casa da parte delle “autorità”. Il gruppo tenterà altre due occupazioni subito dopo, finite allo stesso modo.


4.3 Storia recente del movimento per l'autogestione nel Luganese Il Centro Sociale Occupato Autogestito (CSOA) Il Molino

Il 13 marzo '90 viene inoltrata da un gruppo di giovani una richiesta di uso del Parco Tassino, allo scopo di organizzarvi una festa con concerti e attività varie.

Il 12 maggio dello stesso anno ha luogo tale festa che sfocia nella creazione, in giugno, del Gruppo per l'Autogestione Socio-culturale (GAS).

Il GAS individua nello stabile ex Centrale Termica un luogo adatto alla realizzazione di un centro socio-culturale, ma incontrerà sin dall'inizio problemi di ordine amministrativo, sia nell'organizzazione di manifestazioni culturali, che nel dialogo con il Municipio di Lugano.

Dopo l'organizzazione di alcune serate allo Studio Foce, GAS propone al Municipio la gestione del terzo piano della Termica, allora rimasto inutilizzato. Il Municipio vuole però impiegare tale stabile per nuovi uffici e non lo concede, nemmeno a titolo provvisorio.

GAS decide di rivolgersi alla popolazione, riuscendo a raccogliere 4382 firme per la richiesta di uno spazio per l'autogestione, citando come esempi lo Studio Foce, l’ex Macello e l'ex Centrale Termica. La petizione viene consegnata in una manifestazione pubblica (25 aprile '92) che prende avvio in Piazza Riforma e si conclude allo Studio Foce. L'idea sembra riscontrare il consenso delle autorità municipali, che coinvolgono l'ufficio tecnico comunale nella stesura di un preventivo per la riattazione del terzo piano della Termica (per un importo pari a 170.000 Fr.). Durante l'estate del '93 l'ipotesi però cade, senza motivazioni precise da parte dell’autorità.

Il 18 dicembre '93, GAS è ancora in piazza per denunciare l'apatia di un 'dialogo' che si trascina da troppo tempo.

Nel gennaio '94 dal Municipio viene proposta la Masseria Gervasoni, al Piano della Stampa, che GAS accetta nonostante la non idoneità dello stabile, sperando d'intraprendere in breve tempo le attività tanto agognate.

Viene elaborato un progetto e il Municipio allestisce un messaggio all'attenzione del Consiglio Comunale con la richiesta di un credito di 252.000 Fr.. Nonostante le assicurazioni di una rapida procedura, la richiesta non riesce a raggiungere il consiglio prima della fine della legislatura (aprile 1996!).

Questo progetto verrà riconfermato solo dopo gli scontri del Parco Tassino (v.:seguito).

Intanto GAS continua l'opera di sensibilizzazione sul tema dell'autogestione, organizzando attività socio-culturali e dibattiti. La situazione si fa stagnante e per parecchio tempo nessuno parla più né della Masseria, né dell'iter burocratico per la sua concessione.

Alla fine del '93 era nata  a Lugano un'altra associazione: Robin Hood (RH) che si prefiggeva l'ottenimento di uno spazio da gestire autonomamente per scopi socioculturali e ricreativi; essa, nel frattempo, organizza parecchie manifestazioni aperte a chiunque.

Il 14 aprile del '96 nasce Realtà Antagonista (RA), federazione dei movimenti per un centro sociale autogestito, a cui partecipano Tatanka, il Collettivo Zapatista, Robin Hood, alcuni membri di GAS e altri interessati. La presa di posizione è chiara: RA annuncia il passaggio dalle parole alle vie di fatto.

Il discorso riguardante il Centro Sociale riemerge spontaneamente dopo la vergognosa repressione operata dalla polizia comunale con lacrimogeni, proiettili di gomma e manganellate al Parco del Tassino, dove alla prima luna piena di maggio si svolge l’annuale “festa di primavera” (ritrovo spontaneo con falò e musica).

RA denuncia l'ignobile comportamento delle forze dell'ordine e indice, in collaborazione con GAS e RH, la manifestazione del sabato successivo “contro la repressione della polizia e per un centro sociale autogestito”, che coinvolge 2000 persone. Il municipio ostacola anche questa rivendicazione e definisce il movimento una minoranza. Ritiene inoltre che potrebbe bastare l'ex Masseria Gervasoni, su cui vi è ancora la disponibilità di GAS e RH, mentre per RA è inconfutabilmente troppo piccola e lontana dalla città.

RA non è più una federazione di movimenti, ma diviene un'entità ben definita cui tutti partecipano a titolo individuale, pur facendo parte di singoli gruppi.

Il 1° luglio, essa occupa simbolicamente la sala del Consiglio Comunale di Lugano riunito in seduta, leggendo un comunicato che riconferma l'esigenza di un centro sociale, espressa da ormai troppi anni e mai presa seriamente in considerazione.

 

GAS e RH successivamente appoggiano l’azione, esprimendo in un comunicato sostegno e comprensione. Il 15 agosto RA sfila sul lungolago pedonalizzato, con una fiaccolata a cui partecipano 150 persone.

Intanto, a luglio, viene creato il Gruppo Progetto Termica, per la redazione di una proposta di autogestione dello stabile ex Centrale Termica, oggetto di un concorso d'idee indetto dalla Città di Lugano. Il 4 settembre avviene la consegna del progetto cui hanno preso parte RA, Collettivo Zapatista, Tatanka, membri di GAS e SUD (Solidarietà, Uguaglianza, Democrazia: gruppo di coordinamento tra studenti liceali), più alcuni singoli simpatizzanti. Si richiede al comune una risposta positiva o negativa entro 3 mesi al massimo.

A questo punto GAS e RH rispondono con un sì critico alla proposta municipale di trasformare l'ex Masseria Gervasoni in centro socio-culturale.

RA denuncia il fatto che tale luogo sia stato usato come deposito di amianto, contenuto in sacchi di plastica poco sicuri, sottolineandone la pericolosità. Tutto ciò non viene tenuto in conto e le autorità continuano a definirlo come “ideale” risposta alle richieste del movimento. Dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa dall'onorevole Salvadè si comprende che l'ex Centrale Termica non verrà mai concessa in gestione e quindi la speranza di un centro socio-culturale in tale sede comincia a sfumare.

Il 12 ottobre RA indice una manifestazione di protesta contro la chiusura dello Studio Foce e del capannone di Pregassona, denunciando l'attuale politica giovanile, priva di sbocchi e di obiettivi ad ampio respiro. Quel giorno si svolgono a Lugano i campionati mondiali di ciclismo e sono presenti circa 5000 agenti, provenienti dall'intera confederazione. Lugano non può sfigurare di fronte all'opinione pubblica internazionale ed il municipio è costretto ad autorizzare la manifestazione. Dopo la manifestazione avviene l'occupazione degli ex Molini Bernasconi a Viganello, che si trasformano quindi da struttura industriale dismessa a Centro Sociale Occupato Autogestito.

Una volta occupato, ai Molini si aggiungono anche i componenti di GAS e RH, che da anni sognano un luogo simile, quindi rinunciano definitivamente all'ex Masseria Gervasoni ed insieme a RA vanno a formare la comunità degli occupanti, che conta anche sull'appoggio di altri simpatizzanti.

Trovandosi in un Centro Sociale Autogestito, ognun@ ha la possibilità di sfruttare al meglio le proprie esperienze e di partecipare alle attività cui è più portat@.

Si è creata una comunità che, pur nell'eterogeneità delle esperienze vissute, parla con un’ unica voce e riesce a conseguire insieme sia obiettivi sociali, che politici e culturali. Se da un lato esistono solidarietà, prezzi politici e critica sociale, dall'altro si trova creatività, cultura e partecipazione attiva. Dopo la rinuncia all'ex Masseria da parte di GAS e RH, la comunità del molino diviene una realtà quotidiana ormai irrinunciabile ed inscindibile.

Il CSOA Il Molino, come venne poi chiamato dalla sua Assemblea è costantemente sotto minaccia di sgombero. Il Municipio di Viganello chiede la mediazione del Consiglio di Stato (CdS), richiesta accolta nella persona di Pietro Martinelli, il quale incontra più volte gli autogestiti del Molino, chiedendo all'Assemblea di costituirsi in associazione (si decide per Addio Lugano Bella Associazione - A.L.B.A; cfr.: allegato 1), creando la “commissione Cerca”, istituendo lo studio "centri socioculturali" della commissione Martinoni (cfr.: allegato 2) e proponendo varie alternative tra cui il Maglio di Canobbio, sul Piano della Stampa (inizialmente rifiutato in quanto lo spazio si trova al di fuori del tessuto urbano e questo avrebbe impedito all'autogestione di adempiere pienamente alla propria funzione sociale).

Nel frattempo nel quartiere nasce l’Ardos (Associazione per il Ripristino Di Ordine e Sicurezza), formato da persone del vicinato, che mirano a contrastare il CSOA. Questo non fa che aumentare il livello dei toni, la diffidenza e il clima di insofferenza.

Il 7 Giugno 1997 alle 2.00 del mattino l'ex stabile dei Molini Bernasconi subisce un incendio doloso. Come nella migliore tradizione fascista l’incendio viene appiccato in due punti opposti della biblioteca, formata da una massa enorme di volumi, anche introvabili, provenienti da tutto il Ticino, portati da persone dagli interessi più disparati. Il fuoco non si portò via nessuna delle 200 persone che in quel momento si trovavano ancora all’interno del CSOA, ma ne distrusse buona parte degli spazi: la grande biblioteca, il piccolo infoshop e la mini sala computer al 2° piano, la “sala visionaria” delle mostre al 3° piano e la sala delle prove teatro e danza al 4°.

Mesi di lavoro autogestito tra sudore e risate! L'inchiesta non arriva ad una reale conclusione, ma si intravede la scarsa volontà di trovare i responsabili.

 

A questo punto il CdS ripropone il Maglio come sede transitoria con un contratto d'affitto di tre mesi, dopo i quali insieme alla città di Lugano e ai comuni limitrofi si impegna a trovare una sede definitiva per l'autogestione. Così viene creata la “commissione Trova”.

I/le militanti del molino decidono di accettare la proposta fatta dal Cantone e a malincuore traslocano al Piano della Stampa. Nonostante gli impegni presi dalle autorità, l'esperienza del Molino al Maglio dura più di 5 anni, nel corso dei quali si continuano a portare avanti le attività culturali “underground”, proponendo concerti di gruppi locali e internazionali, teatri, cabaret, performance e mostre che rientrano nella rete della cultura antagonista e nella sperimentazione dell’arte. Tutti questi eventi hanno coinvolto una gran parte della popolazione ticinese e non, per questo motivo il Molino ha avuto necessità di ingrandirsi e nell’estate 2001, in accordo con l’affittuario del capannone adiacente, si iniziano i lavori di ristrutturazione che permetteranno così lo svolgimento delle attività in maniera adeguata (pavimentazione, costruzione di un grande palco, inizio dei lavori per l’isolazione sonora e termica,…).

Continuano anche gli approfondimenti politici organizzando conferenze e dibattiti che riguardano l’immigrazione, l’antipsichiatria, i prigionieri politici, la globalizazione, il neoliberismo e molto altro.

Vi sono anche azioni di solidarietà, quali adozioni a distanza di  bambini tibetani; l’acquisto di “un camion per l’autonomia”, progetto in grado di soddisfare trasporti agricoli e di passeggeri di 18 comunità  differenti, contribuendo allo sviluppo economico della regione della Selva Lacandona in Chiapas (Messico); la partecipazione alla costruzione di un laboratorio di analisi mediche, di una clinica e la formazione di “promotori di salute” sempre in Chiapas.

All’interno del Maglio vi é anche la possibilità di trovare materiale cartaceo (libri, riviste e comunicati) e video di contro informazione.

Si crea anche un gruppo che si occuperà dei “Sans papier”, ovvero della comunità ecuadoriana in Ticino. Si lavora insieme per mesi al fine di recuperare una piccola casa adiacente al Maglio e ristrutturarla in modo da poter ospitare dignitosamente circa 25 ecuadoriani (mai terminata a causa dello sgombero!; V.: seguito) . Questa convivenza verte sulla condivisione dei valori dell’autogestione e sul reciproco scambio culturale. Contro l’atteggiamento repressivo nei confronti della migrazione nasce il movimento dei Senza Voce, che coinvolge varie realtà e individui che si muovono nel territorio ticinese.

Negli anni di permanenza al Maglio si è sviluppato un rapporto di scambi e solidarietà con realtà nazionali e internazionali di lotta al neoliberismo, che ha portato il Centro a un buon livello di riconoscimento. Paradossalmente a livello locale, il fatto di trovarci in periferia (a quasi mezz’ora a piedi dalla fermata del più vicino mezzo pubblico) non ci ha permesso di lavorare nel tessuto urbano, ambito naturale di un Centro Sociale, mettendo in evidenza i dubbi espressi da sempre verso questa ubicazione. Questo fatto e i regolari tentativi denigratori dei media e delle autorità politiche, hanno lasciato purtroppo spazio a illazioni e pregiudizi diffamatori, che hanno impedito una maggiore affluenza e partecipazione.

Negli anni di permanenza al Maglio l’assemblea del Molino é sempre stata disponibile al dialogo con le autorità al fine di trovare una sede idonea per il Centro Sociale. Da parte del CdS verranno istituite altre due commissioni Mista (2000) e Tecnica (maggio 2002), nell’intento di far rientrare nei canoni di “legalità” (come richiesto da Canobbio) l’esperienza di autogestione. Gli/le autogestiti/e si mostrano disponibili alla discussione ed alla collaborazione (sicurezza e disturbo della quiete in primis) verso queste richieste, rimanendo però attenti a non snaturare l’esperienza vissuta e rivendicata.

Con il falso pretesto di un eccessivo disturbo della quiete pubblica, in un clima di incapacità di dialogo da parte delle autorità (minaccia illegale di dimissioni da parte di quasi la totalità dei municipali di Canobbio e un CdS che opta per un passaggio di ordini tramite media), il 18 ottobre 2002, dopo 6 anni e 6 giorni alle 6.00 di mattina la polizia fa irruzione nel Centro Sociale Occupato Autogestito, sgomberando, interrogando e schedando una trentina di militanti presenti e la comunità ecuadoriana (con tanto di bambini/e piccoli/e e donne in gravidanza), vergognosamente espulsa in 48 ore dal territorio svizzero.

Lo sgombero viene giustificato dal mancato rispetto dell’intimazione di sospendere tutte le attività (come spiegato vitali per un centro sociale) data a due settimane dalla ripresa delle attività dopo la pausa estiva di oltre due mesi, in cui le autorità cantonali rappresentate dalla commissione tecnica avevano interrotto il dialogo da loro auspicato in primavera, a cui l’assemblea si era resa disponibile.


4.3.a Considerazioni sulla serata dibattito “Il Molino e lo Stato: passato, presente, futuro” del 16 ottobre 2001

Il Molino nasce come desiderio e necessità di una parte della popolazione, che non trovando all’interno degli spazi cittadini una risposta adeguata alla propria voglia di iniziativa sociale, alla propria idea di cultura e svago e alle proprie aspirazioni di vita, decide di crearselo da sola, appurata, dopo anni di domande ufficiali e di rivendicazioni in questo senso la mancata volontà da parte delle autorità politiche di soddisfare le proprie richieste.

L’importante ora, per tutti/e noi che abbiamo contribuito all’esperienza del centro autogestito, è ribadire la legittimità di questa esperienza, nata su basi costruite e condivise collettivamente, seguendo una presa di coscienza comune a tutti/e coloro che la ritenevano necessaria.

Necessario aprire uno spazio, poi definito Centro, diverso da tutti quelli già esistenti, libero da regole e condizioni vigenti altrove, nuovo, in modo da poterlo vivere secondo quello che ognun@Qq     era dispost@ ad apportargli, senza imposizioni di sorta, un contenitore di pulsazioni, di iniziative, di relazioni e di dinamiche. Un centro di aggregazione, un punto d’incontro, un luogo di scambio. In questi cinque anni pensiamo di avere assunto un ruolo importantissimo in quanto luogo di transito e spazio di sperimentazione per quasi 200.000 persone. Un’ affluenza ed una partecipazione così massiccia sono la miglior prova del fatto che un posto come il Molino avrebbe dovuto esistere già molto tempo prima e che in nessun caso la sua realizzazione può essere denigrata.

Necessario nel nostro contesto urbano, si è rivelato anche il possedere una maggior sensibilità nei confronti di quello che viene denominato il campo sociale e di conseguenza quello culturale. Quindi la convinzione di costruire un Centro Sociale (o socio-culturale), dove le porte rimanessero sempre aperte a tutti/e, indistintamente, dove venisse valorizzata la relazione e la comunicazione tra le persone, dove chiunque cercasse un ambiente diverso, più tollerante e partecipativo, potesse essere attore/trice e fautore/trice della propria esistenza e quindi del proprio essere sociale. In questi cinque anni il molino ha vissuto tantissimi tipi di interazioni sociali, dalla distribuzione di pasti, ai mercatini, dalla creazione di un laboratorio-asilo alle serate di dibattito pubblico, dagli spazi contro-informativi alla realizzazione di cooperative di vario tipo, dagli spazi dormitori ai locali di prova, dagli atelier manuali alla costituzione di vari gruppi di discussione e collettivi d’azione. Insomma un laboratorio di collaborazione e costruzione di un modo di agire e di pensare diverso.

Se vogliamo parlare di cultura e di attività proposte, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Partiamo dagli oltre 500 concerti realizzati con la partecipazione di migliaia di artisti, hanno suonato al Molino gruppi locali, gruppi poco conosciuti o gruppi emergenti, gruppi provenienti dalla vicina penisola o da zone più lontane. Abbiamo assistito a spettacoli teatrali, a pomeriggi per i bambini, a mostre ed esposizioni, a serate di presentazione di libri, di riviste,di giornali e di produzioni musicali. All’interno del molino esiste tutt’ora uno shop dove è possibile acquistare materiale autoprodotto: dalle tinture medicinali ai prodotti del commercio equo e solidale, dalle proposte delle case editrici alternative al materiale cartaceo nostrano.

Tutto questo l’hanno voluto e reso possibile tutte/i quelle/i che hanno creduto in questo tipo di esperienza e sono riusciti quindi a costruire un vero e proprio spazio multiforme ed eterogeneo.

Nell’ottobre 1996 si è resa necessaria l’Occupazione di una struttura che permettesse di realizzare tutto questo. La decisione di agire in questo modo è stata in fondo una costrizione dettata dalla condizione in cui siamo stati messi dalla negligenza delle autorità politiche, dopo decenni di richieste di uno spazio da autogestire da parte di numerosi gruppi della cintura luganese, sistematicamente e volontariamente ignorate.

Considerando poi che le strutture idonee ad un’esperienza di questo tipo non sono mai mancate nella zona urbana, abbiamo sempre fornito esempi di aree dismesse o non utilizzate che avrebbero fatto al caso nostro. Ma qui sappiamo che purtroppo entrano in gioco altri parametri di valutazione, come gli interessi legati alla speculazione edilizia, gli appalti “di favore”, i progetti concordati sottobanco tra certi municipali e i loro realizzatori ed infine la deliberata volontà di non impegnarsi su sedimi che una volta assegnatici non sarebbero più risultati proficui o redditizi dal punto di vista economico.

 

Siamo stati consapevoli sin dall’inizio, dopo che la nostra variante per il  progetto termica non è stata accettata (sarà mai stata letta?), che se non avessimo agito di nostra spontanea volontà avremmo potuto anche morire prima di vedere realizzato il nostro sogno collettivo.

Un Centro Sociale Occupato dunque per poter effettivamente esistere e crescere come realtà al di fuori dell’ipocrita conformismo cittadino e come forza contrastante il pensiero unico che domina ormai in ogni ambito. Non riteniamo il nostro occupare abusivamente uno stabile una pratica illegale, da criminalizzare, poiché soltanto una persona poco lungimirante definirebbe in questo modo la messa a disposizione di uno spazio alternativo alla popolazione. In questi  anni abbiamo visto bruciare la prima struttura che avevamo occupato, gli ex-molini Bernasconi, sul cui incendio nessuno ha mai voluto indagare a fondo. Purtroppo qualcuno ha scelto questa soluzione, irresponsabile e criminale questa sì!, per cercare di fermare una fucina che produceva e amalgamava idee diverse da quelle definite politicamente accettabili.

Accettammo di trasferirci al Maglio per qualche mese, aspettando che le solite autorità  ci mettessero a disposizione un’altra struttura…Cosa che non è mai avvenuta, anzi la scelta è caduta sullo sgombero!!!

Necessità di conquistarci un pezzo di terra e di vita da Autogestire. Ci si chiede a volte se l’autogestione si situa prima o dopo la rivoluzione. Né prima né dopo, poiché è lei stessa la vera rivoluzione. Non quella che sostituisce una minoranza dirigente con un’altra, ma quella che elimina, nel suo stesso concetto, ogni forma di divisione sociale. Essa nasce da una fondamentale presa di coscienza, del fatto che nasciamo come esseri liberi e abbiamo il diritto di mantenerci tali. Noi vogliamo darci la possibilità di costruire autonomamente la nostra esistenza, di decidere da soli/e che cosa riteniamo giusto o sbagliato, di porci degli obiettivi che siano indipendenti da quelli che altri ci vorrebbero imporre, insomma crediamo in un mondo diverso e migliore e nelle nostre capacità di crearlo. Crediamo nell’autorganizzazione popolare, che parta dall’attuale ultimo scalino della gerarchia social-statale per arrivare ad una reale indipendenza di ogni individuo, che ognuno riesca a capire che può essere artefice e costruttore autonomo della propria vita. In questi cinque anni il Molino ha vissuto ed ha funzionato libertariamente, le decisioni sono sempre prese durante un’assemblea aperta, dove ognuno può esprimersi, non esiste la delega, la concertazione collettiva e la decisione unanime contraddistinguono il nostro modo di agire. Ognuno di noi è partecipe ed artefice di quello che viene fatto, pensato, ideato e realizzato all’interno del centro sociale.

Quindi questo pezzetto di landa ticinese, strappato dopo anni di vani tentativi alle grinfie delle autorità, è un’esperienza necessaria e stupenda. Il Centro Sociale Occupato Autogestito  (CSOA) IL MOLINO, nonostante tutti i tentativi fatti per criminalizzarlo, denigrarlo e distruggerlo, esiste e resiste!

Definiti la legittimità, le basi ed i contenuti di questa presenza ormai consolidata sul territorio ticinese, è nostra intenzione riflettere invece sul rapporto esistente tra il Molino e l’ambiente circostante, vista comunque l’apparente urgenza ora di risolvere determinati ”problemi”da parte di chi non è mai riuscito a fare di meglio che allontanarli dal proprio territorio, nascondendoli o scaricandoli, comunque non volendoli sicuramente affrontare in modo responsabile e adeguato.

Con questo intendiamo dire che il ruolo della società e di chi a un certo momento ne rappresenta alcune parti, dovrebbe essere quello di darsi i mezzi per capire, analizzare ed interagire in modo costruttivo con quella parte di società che invece non  condivide le stesse idee, non ha gli stessi obiettivi, non formula gli stessi progetti.

Caratteristica di un sistema democratico dovrebbe comunque essere quella di tutelare, di accettare, di capire qualsiasi forma, anche se minoritaria, presente al suo interno. La società non è un’entità astratta, immobile ed immutabile, se si sollevano delle critiche interne, se nasce il malcontento, se vengono proposte delle alternative al sistema vigente, significa che è giunto il momento di una profonda riflessione e il superamento di certe condizioni e regole del vivere.

Per questo l’esperienza del molino non può essere vista o interpretata solamente usando termini quali illegalità ed abuso, devianza di una minoranza o problema giovanile.

Qualche anno fa la commissione Martinoni redigeva un rapporto, nel quale si sottolineava l’importanza delle nostre esigenze e si riconoscevano le esperienze simili sparse su territorio nazionale. Esistono in effetti Centri sociali o luoghi alternativi in ogni città svizzera, frutto di lotte e di lavoro di molte persone confrontate con la vita anonima e controllata che si pensa di essere costretti a condurre all’interno dei tessuti urbani.

 

Ogni località ha poi interagito e trovato una soluzione di convivenza propria con questo tipo di strutture, trovando delle vie di mezzo e degli accordi sostenuti anche dalla popolazione (si pensi alla Reithalle di Berna, che grazie ad un referendum popolare ha potuto usufruire di sussidi da parte della città, per il mantenimento e la ristrutturazione dello stabile).

Nel nostro piccolo angolo di mondo, invece, le difficoltà vengono usate come strumenti di pressione politica, per additare e screditare qualsiasi tentativo di uscire dai soliti schemi, per paura che la gente usando la propria testa, arrivi ad alzarla contro chi si professa integro moralmente e nei fatti, mentre nell’ombra si permette di violare qualsiasi legge per perseguire i propri interessi. Finiamola con il teatro del molino abusivo ed illegale, perché non ha la patente per mescere le bibite o perché non risponde del tutto alle norme d’igiene vigenti nel cantone! Guardiamo alle spalle di chi ci muove queste accuse,  di chi si fa paladino e garante di non sappiamo quale equità sociale! Troveremmo un’infinità di attitudini riprovevoli e anche criminali, di chi abusa del proprio ruolo per accumulare favori, clientela e capitali.

Esistono due livelli di  illegalità, uno astuto, pesante e nascosto, l’altro lieve, privo di malizia e pubblicamente condannato, proprio da chi pratica quell’altro.Il nostro livello di illegalità incorrerebbe al massimo in qualche multa amministrativa, non esistendo i presupposti per delle pene più gravi.

Grave risulta invece la violazione di alcuni diritti di base, come quello legato alla protezione dei dati e della privacy. Qualche anno fa la nostra tranquilla Svizzera fu scossa dallo scandalo delle schedature politiche e qualche illuso crederà che quei tempi sono passati e sepolti. Non è così nella realtà, poiché noi stessi ne siamo stati oggetto in occasione della preparazione di una mobilitazione internazionale contro chi per difendere i propri interessi esige il potere totale sulle cose e sulle persone. I nostri candidi tutori dell’ordine non si sono fatti troppi scrupoli nel  controllarci completamente tramite telecamere piazzate in modo da non essere reperibili, neppure il capo del dipartimento delle istituzioni (così risponde al dibattito, bevendo tranquillamente la birra “illegale” del Barabba…) ha pensato che stava violando un diritto sancito dalla costituzione.

Per cui se risulta così semplice calpestare quello che collettivamente la gente è riuscita a conquistare nell’arco di secoli, possiamo facilmente immaginare l’affidabilità, la maturità e lo spirito che animano queste persone. Loro interesse è criminalizzarci, perché così facendo sperano di poter neutralizzare una componente della società che fa uso del proprio spirito critico, che nasce e cresce come forza antagonista e che per natura si scontra con la società “ufficiale”. Una forma di convivenza e un modo di pensare e vivere che fa loro paura, che considerano un pericolo perché probabile motore di cambiamenti in contrasto con il loro quieto vivere, probabile onda infrangitrice dei loro castelli di sabbia, probabile catapulta piazzata davanti al loro muro di arroganza e ipocrisia.

 

In tutti questi anni se ne sono viste di tutti i colori, a partire dalla prima commissione fino alla terza ed ultima, che avrebbero dovuto fungere da sedi per discutere seriamente di una soluzione definitiva per il CSOA Il Molino, dove ci si sarebbe dovuti confrontare in maniera costruttiva e con la consapevolezza di avere a che fare con un’esperienza che ha tutto il diritto di essere ed esistere. Ma ormai conosciamo fin troppo bene la disponibilità che contraddistingue le autorità, un  esempio è quello della manifestazione per i cinque anni di autogestione. Abbiamo mostrato fin da subito la nostra volontà di collaborazione durante gli incontri con gli organi di polizia, che davano preavviso favorevole allo svolgimento dei festeggiamenti collettivi per le strade di Lugano.

 Ancora una volta la decisione di toglierci il diritto alla libera espressione è scaturita dalle autorità municipali, che non condividendo il nostro pensiero politico, si sono arrogati il potere totalitario di impedirci la discesa nella pubblica piazza. Evidentemente esiste un disegno ben preciso che vuole sistematicamente metterci in situazione d’illegalità, per poter giustificare qualsiasi intervento di tipo repressivo, o per additarci come i soliti emarginati e violenti. Comunque perdono il loro tempo, poiché abbiamo dimostrato per l’ennesima volta che siamo molto più affidabili di loro. Siamo scesi in strada in modo pacifico e festoso, accolto in maniera positiva da una gran parte della popolazione, che ci ha dimostrato la propria solidarietà.

Nonostante tutto crediamo sempre nell’autogestione e ancor di più alla luce dei nuovi fatti.

Chi si lamenta, chi ci denigra, chi ci metterebbe al muro, sappia che non fa altro che rinforzarci, che unirci.

Intimarci un ulteriore sgombero mostra in che modo si sono sempre risolti i cosiddetti creduti problemi: rifiutandoli, nascondendoli, annientandoli.

Non ci riuscirete, mai.