7. Critica alla politica culturale e sociale della città di Lugano con riferimento particolare all’area dell’ex Macello

7.2 Spazi socio-culturali a Lugano

Intervista a Dargo Raimondi

Introduzione:

Sono cresciuto a Zugo come figlio di immigranti da madre italiana e padre ticinese. Dico immigrante perché mi sentivo da una parte il “cincali” in Svizzera Tedesca e il “züchin” in Ticino. Due culture : una con le prerogative caotico-creative latine e l’altra di concezione anglosassone ; legato per tutta la mia vita ad un simbolo: il San Gottardo; collegamento tra il nord ed il sud.

Non sono una persona del mondo politico, non faccio parte di nessun partito, di nessuna chiesa o religione. Sono una persona che ha sempre lavorato per la cultura e gli spettacoli, un’artista dei nostri tempi che non solo deve essere bravo nello sviluppo della sua arte come compositore, ma deve anche sapere organizzare, costruire e avere una gran conoscenza tecnica di suono e luce. Deve inoltre sapere essere diplomatico per progettare e spiegare progetti.

A livello artistico e tecnico me la cavo bene (per una biografia consultare www.altrisuoni/dargoraimondi oppure in discografia fonoteca artista dargoraimondi), mentre la comunicazione diplomatica non é il mio forte. Il mio carattere impulsivo ha sempre creato tensioni per ogni progetto a cui lavoravo, ma posso affermare tranquillamente che la mia lotta è sempre stata per crescere, per migliorare, per l’arte.

Per l’arte soffro e faccio soffrire altre persone. Non mi è mai interessato fare cose banali o di scarsa qualità, faccio sempre quello che mi sento e cerco di farlo bene, ad un livello umano ed artistico alto.

 

Con questo contributo al progetto Macello vorrei spiegare la situazione culturale della città di Lugano: l’analisi dal punto di vista di un’artista che vive qui, il perché lavora o non lavora in questa realtà, cosa veramente succede, le difficoltà reali che gli artisti trovano e le caratteristiche dei vari spazi luganesi. Tutto questo é comunque molto difficile e complesso, perchè non è evidente raccontare la storia di vent’anni di cultura e spazi culturali della Città di Lugano: i fatti sono molto nascosti dai responsabili, la gente dimentica molto velocemente e complice é anche il disinteresse della popolazione.

Molti spazi culturali sono andati perduti a scapito della possibilità di creare nel mondo dello spettacolo per gli artisti della zona. Un enorme spreco, una perdita non solo culturale ma anche umana, che va ulteriormente ad impoverire la regione in cui viviamo. Qualsiasi perdita di uno spazio culturale è da ritenere un disastro, impossibile da recuperare (ad esempio il “Kursaal” , il Maglio di Canobbio,…). E il peggio é che non arriveremo mai più ad avere questi spazi, a renderli vivi con delle pratiche di vita culturale quotidiana.

Ho lavorato come musicista, come tecnico, come organizzatore in vari luoghi della Svizzera e durante tutto il mio percorso ho avuto a disposizione uno spazio culturale stabile che cambiava periodicamente.

Negli anni ‘80-‘84 ha lavorato alla “Musiker Kooperative Zug” uno spazio per concerti, una piccola cantina della città di Zugo situata nel nucleo storico. Negli anni ottanta, quando prese avvio la “Rote Fabrik” ero attivo come musicista e organizzatore. Nel 1986, con il “Tanznovember” a Zurigo nella “Gessnerallee” siamo stati i primi ad organizzare nella sala principale tutta l’attrezzatura tecnica, un palco smontabile sia per il pubblico, che come scenario per gli artisti.

Era una stalla per cavalli inutilizzata, conservata nella sua totalità e trasformata con fantasia per essere adattata alle esigenze di uno spazio culturale ; e ora è lo spazio più interessante e fantastico che esiste a Zurigo.. Nel 1988 sono stato per la prima volta in Ticino con il “Tanznovember” ad Ascona al Teatro San Materno. Siamo stati noi a prolungare il palco e ad attrezzarlo con i supporti tecnici indispensabili. Dall’’89 al 2000 ho lavorato allo Studio Foce di Lugano e ogni tanto al Kursaal, al Palazzo dei Congressi e al Cittadella e soprattutto per il “Festival Internazionale del Teatro” come musicista e tecnico. Dal 1993 ho iniziato il lavoro di direttore tecnico per tantissimi gruppi teatrali in tutto il mondo, tournee in Sudamerica, in Africa, in Asia e in Europa. Purtroppo i gruppi con i quali ho lavorato non hanno quasi mai fatto uno spettacolo in Svizzera. Dal 2001 in poi ho lavorato per il “Festival Internazionale del Film” di Locarno con quattro altre persone della ditta “Zona 33” di Berna. Eravamo responsabili del suono di tutto il Festival, Piazza Grande, Fevi e di tutte le sale cinematografiche.

Nel 2001 col gruppo attività e altri militanti del Molino e con la collaborazione del Servizio Civile Internazionale abbiamo allestito la sala principale al Maglio di Canobbio. Questo si che era un posto grande, era pressoché lo spazio culturale più grande che esisteva in Ticino. Da quest’anno (2003) lavoro per la prima volta per un circo, il “Circus Theater Balloni”, come compositore, musicista e responsabile del suono e della visuale tecnica del tendone, continuando inoltre la collaborazione con il Molino anche qui alla nuova sede del “Macello”.

 

Intendo spiegare il mio stato d’animo verso quei responsabili della situazione culturale a Lugano, che manipolano la cultura, a partire dai proprietari degli spazi e dagli organizzatori, fino a chi si occupa di radio e televisione (chi decide cosa mettere in onda o meno) e così via nella catena che unisce il tutto.

Parlando del progetto Bignasca (cfr.: allegato 5) non basta solo approvarlo o meno; è indispensabile raccontare cosa succede in questa città da anni (nelle diverse sale teatrali e concertistiche) perché tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e il tutto suona molto bene quando c’è di mezzo un progetto ma spesso la realtà è ben diversa.

La verità è che non c’è trasparenza nell’utilizzo dei soldi dei contribuenti e i dati sulla cultura sono molto difficili da interpretare. So bene che non piacerà a tanta gente quello che sto per dire sugli spazi e credetemi, litigare sempre non è bello e ne sono anche stufo ! Ma quando ho litigato l’ho sempre fatto per lottare per migliorare le cose.

La catena si chiude anche pensando al sistema degli ingaggi qui in Ticino,  vivere e lavorare come artista è molto difficile, quando basterebbe poco per cambiare tutto questo. Il problema più importante è che non riceviamo lavoro: i miei progetti sono sempre stati ignorati dagli organizzatori. Significa che se voglio portare la mia arte qui con il mio gruppo e le mie idee, sono io che devo organizzare tutto, guadagnando sull’incasso degli spettacoli, ma questo è tutto a mio rischio. Pagando i musicisti e gli artisti ad un prezzo giusto, non posso mai guadagnare sull’incasso. È già di partenza una perdita perché molto spesso non c’è abbastanza gente che viene a vedere gli spettacoli. Di questa situazione sono responsabili anche la radio e la televisione che ignorano completamente l’esistenza del nostro e di altri gruppi.

Voglio fare due esempi per chiarire meglio la situazione. Ad uno spettacolo che presento a Lugano ci saranno in media 20 spettatori. In Ticino la gente ha poco interesse, e attenzione non sto parlando del Molino ma di posti dove si lavora “ad incasso” come ad esempio il Teatro Paravento, il Metrò, ecc. Con lo stesso spettacolo presentato un mese dopo in Sudamerica o in un altro posto ci possono essere dalle 300 alle 700 persone. Questo significa che ci sono entrate e che ci si può arrischiare a farlo, al contrario di quanto succede in Ticino. Eppure non ci sono neanche organizzatori che ti sostengono pagandoti l’ingaggio; questo avviene solo per gruppi che vengono dall’estero o verso i gruppi che suscitano un sicuro interesse, ma ciò non avviene con i gruppi o gli artisti locali. Chi è ingaggiato qui come artista locale ha una gran fortuna oppure è nella famiglia giusta, così vanno le cose qui!

 

Lo studio foce:

Posti 160, palco 7m x 8m, responsabile attività giovanili CdL (Città di Lugano), lo studio foce è stato per molti anni il posto dove ho lavorato di più, dal ’88 al 2000, fino a quando sono cominciati i lavori dell’ultimo restauro.

Ho cominciato a lavorare per diversi gruppi teatrali, a quei tempi quasi per tutti i gruppi teatrali del TASI (Associazione Teatrale della Svizzera Italiana). Conoscevo come nessun altro la sala ed il materiale tecnico. All’inizio c’erano anche tre operai comunali di Lugano a disposizione per la manutenzione della sala poi pian piano la città ha tolto la disponibilità di questi operai lasciando ai gruppi teatrali non solo la gestione ma anche tutti i problemi di manutenzione e di tecnica. Era dunque molto difficile, senza soldi né aiuti, mettere in funzione, anche pensando solo al lato tecnico, la sala (‘96-2000). Io talvolta ero l’unico che sapeva cosa funzionava e cosa no, per me lo Studio Foce era un posto magico e ho sempre detto che questo era un posto da rispettare perché ha dato tantissimo alla città di Lugano dal punto di vista culturale, come “radio studio” prima e con la miriade di spettacoli teatrali e concertistici poi. Un posto culto per Lugano, come il Kursaal.

Il TASI e soprattutto il Teatro PAN sono sempre stati interessati alla gestione di questa sala, anche quando era “abbandonata” dalla Città. Tutti i sacrifici e le forze spese, tutti i comitati che sono stati costituiti tra i teatri di Lugano, Giorgio Salvadé ed il Sindaco sono sempre falliti (allegata lettera del 4.7.1995 che rileva questo momento di disperazione dei gruppi del TASI; cfr.: allegato 6).

Nel ’96 facevo parte del primo comitato per il Foce ; questi comitati sono proseguiti fino quasi al 2000...per ben cinque anni dunque. L’idea era quella di gestire la sala, proponendo un proprio cartellone, una programmazione della stagione senza ricevere influenze da parte della CdL. Purtroppo tutt’oggi il TASI ha gli stessi problemi, la sala è strapiena di spettacoli, decide l’Ufficio delle attività giovanili, i gruppi teatrali fanno domanda e devono aspettare mesi per ricevere una risposta che può anche essere negativa. Tutti i gruppi teatrali di Lugano devono fare spettacoli teatrali su incasso mentre gli altri che arrivano dall’estero o da fuori Cantone sono regolarmente ingaggiati (cioè con contratto e paga assicurata). Questa è l’attuale politica degli organizzatori dello Studio Foce.

Io vedo solo vantaggi se il TASI potesse gestire il posto in proprio, perché chi ne fa parte ha una sensibilità e un’apertura che non ha la CdL e che quindi non può neanche offrire. La CdL programma una stagione teatrale che considera ad un buon livello, che comprende una decina di spettacoli, per la maggioranza di artisti provenienti dall’Italia. Perché non è presente neanche un gruppo teatrale ticinese che ha almeno uno spettacolo all’anno? Questa è la differenza, se il cartellone è fatto da una persona o da un ufficio della CdL non sono rispettate altre tendenze teatrali se non l’idea di teatro della città stessa. Il TASI è formato da 11 gruppi teatrali a Lugano e quasi 20 in tutto il Ticino. Il TASI non è mai riuscito ad avere questo riconoscimento e ciò è una perdita per la CdL, non c’è niente da aggiungere, sarebbe giusto che le compagnie teatrali avessero il loro posto.

Con i “famosi” comitati abbiamo lavorato tantissimo per fare capire alla CdL che siamo capaci e che si può gestire in un altro modo questo spazio.

Personalmente il fatto più doloroso è stato il nuovo restauro progettato dall’architetta Bolli. Nel 1999 l’architetta ha domandato ai gruppi di Lugano di presentare le loro idee per creare un teatro funzionale. Il TASI mi ha dunque incaricato come intermediario tra la CdL (Claudio Chiapparino Ufficio attività giovanili) e l’architetta Bolli, per cercare e dare tutte le informazioni per costruire un teatro funzionale. Credevo in questo lavoro e ho presentato a tutti i gruppi teatrali (Teatro delle Radici, Teatro Pan, Teatro Sunil, Theater Compagnie Markus Zohner e altri) un progetto che li vedeva d’accordo. Penso di aver dato le idee e le informazioni per fare una sala teatrale ideale. Ad esempio uno spazio teatrale aperto a qualsiasi cambiamento, il palco era progettato per essere spostato in qualsiasi parte del teatro, il pavimento tutto sullo stesso livello, alla stessa altezza per cambiare disposizione tra pubblico e palco, ciò significa una rivoluzione negli spazi teatrali.

Una griglia (dove si possono fissare le luci e tutta l’infrastruttura tecnica adatta) progettata da me, che copriva tutto il plafone dello Studio Foce dall’inizio alla fine, questo per la creazione di una sala unica nel suo genere.

Purtroppo le cose non sono andate così, dopo quasi quattro mesi di collaborazione mi sono permesso di richiedere per iscritto alla gente con cui lavoravo, ed in particolare alla CdL e all’architetta, un compenso per il lavoro fatto da me, tutti gli altri erano già stipendiati. Ho chiesto di poter fare un contratto di lavoro, ricordo che c’era un budget di 2 000 000 di franchi per il progetto. Non ho mai ricevuto una riposta, nessuno mi ha mai difeso, questo punto non è mai entrato nemmeno in discussione e così ho dovuto lasciare il progetto e lasciare decidere solo all’architetta Bolli i termini definitivi del progetto.

Non ho lasciato solo per i soldi, anche se mi sembrava più che giusto che anche io ricevessi una paga, ma il fatto che mi ha fatto più male è stato che le mie idee non sono state prese in considerazione dall’architetta, sono state messe solo tre “americane” sul palco, nessuna fuori dal palco, la sala non piatta ma posta su gradini di beton impossibili da spostare, la porta più piccola, quinte fisse. Queste sono cose che non dovrebbero accadere quando si costruisce un buon teatro. Non solo non hanno utilizzato le mie idee ma hanno usato le mie informazioni sui fornitori per comprare l’attrezzatura. Esiste un documento nel quale l’architetta Bolli domanda già nel ’95 pezzi di fornitura tecnica per l’adeguamento dello Studio Foce, questo significa che già nel ’94 la città di Lugano sapeva cosa succedeva con il Foce e tutte le commissioni che sono state create per la gestione della sala erano una presa in giro. E non voglio neanche approfondire su come hanno poi gestito i lavori.

La CdL aveva un progetto per lo Studio Foce, i gruppi teatrali scrivono per partecipare a questo progetto, visto che oltretutto li riguarda da vicino. La CdL  tramite l’Ufficio attività giovanili sa già che questo progetto sarà fatto alla loro maniera, quindi parla con i gruppi per accontentarli ma in realtà continua la sua politica culturale escludente rispetto ai gruppi teatrali locali.

 

Anche il progetto Bignasca, che intende ristrutturare l’area dell’ex Macello a spazio culturale (cfr: allegato 5), parla di teatro anche se le premesse non sembrano cambiare troppo. Citiamo:

nell’area perimetrale a Nord sono previsti spazi utilizzabili da compagnie e artisti (teatro, danza, recitazione,...) secondo una forma di rotazione...”

 

La cosa che mi sorprende è che non si parli esplicitamente del TASI o dei gruppi di teatro di Lugano.

Da anni i gruppi teatrali cercano la maniera di poter avere una sicurezza : una programmazione fissa, un loro coinvolgimento diretto nella presa delle decisioni, una loro presenza nel cartellone e programma della stagione senza attendere mesi potendo così lavorare con più tranquillità e con più riconoscimento, lavorare in un modo “normale” come tutti gli altri. Attualmente non c’è ancora questa possibilità

 

Ma per capire meglio si possono prendere in considerazione altre situazioni.

 

Il Kursaal:

Il Kursaal, che dolore, la sala migliore dal punto di vista acustico in Ticino, è stata sacrificata dalla città per costruire la sala da gioco, il Casinò.

Come è possibile che nessuno abbia reclamato per questo? Io ho la sensazione che tutto si sapeva già prima ; per fare cultura servono soldi, una casa da gioco invece frutta almeno 90 milioni all’anno. Mi spaventa quello che è successo.

Pare che un’”americana” (sostegno in ferro per le luci e altro) sia caduta e subito si è dichiarato il Kursaal troppo pericoloso e si è chiuso. Dove sono gli esperti, dove sono gli architetti che non sanno risolvere questo problema?

E se veramente fosse successo non ci sarebbe stato nessun problema nel rendere sicura quella sala. Era una scusa per cominciare a demolire il Kursaal, la scelta era già stata fatta molti anni prima.

Con il pretesto dell’incidente citato, si è chiusa la sala teatrale poi alla fine il teatro è stato sacrificato per fare spazio alla sala da gioco, via pubblico e palco è rimasta solo la cupola. Alla fine non sapevano cosa farne e così l’hanno demolita!

Questo modo di lavorare è possibile solo a Lugano

La promessa, in sostituzione del Kursaal, è dal 1996, il Palace, mentre adesso puntano, stranamente…, sul Macello.

 

Gli artisti locali hanno sempre avuto delle difficoltà nell’utilizzare il Kursaal, e lo stesso discorso vale per il Cittadella, il Palazzo dei Congressi ecc.,  i prezzi sono troppo alti. Il Kursaal era la sala più adatta per concerti, e mi ricordo tantissimi concerti indimenticabili lì e, come teatro, era uno spazio geniale per lavorare ; per questo non si sarebbe mai dovuto distruggerlo.

I costi erano di circa 3 000 fr. al giorno per il Kursaal e per il Palazzo dei Congressi anche di più, tenendo in considerazione anche i giorni delle prove. Il Cittadella costa 2 800 fr., il Metrò 900 fr., il Foce se lo ricevono è gratuito per i gruppi di Lugano ma devono fare gli spettacoli su incasso,  Aula di Trevano  circa 400 fr.

Un gruppo teatrale ha la possibilità di domandare soldi al Cantone (fondi lotteria) mentre la CdL dà una somma di denaro ai gruppi teatrali di Lugano, questi soldi servono paradossalmente a pagare  più o meno l’affitto degli spazi dati dalla CdL e non costituiscono perciò una fonte di salario per gli artisti. Purtroppo, o per fortuna, io non abito a Lugano e non ho il diritto ad una sala e nemmeno ai soldi. Senza sovvenzioni e gli spettacoli fuori dal Ticino non funziona niente. Le sale devono in ogni modo essere pagate.

 

Teatrino dell’università della Svizzera italiana:

Posti 30-50, palco rotondo e piccolo, responsabili l’Università e la CdL. Chi ha fatto questa sala non ha capito molto di teatro, la sala è molto piccola ma ha un’infrastruttura tecnica indubbiamente migliore del vecchio Studio Foce, ha una scala rotonda dietro al palco dalla quale è impossibile trasportare il materiale scenografico.

 

Aula Magna Trevano:

Posti 300, palco 6m x 8m, responsabili la scuola e la CdL. Già negli anni ’60 e ’70 era stata strausata per spettacoli teatrali, concerti ed eventi culturali. Nessuna americana (griglia), nessun fondale nero, né quinte nere, peccato che non si sia mai fatto niente per il palco perché non si può neanche parlare di una sala teatrale vera e propria. Per la visuale del pubblico è una bella sala. Non sono mai stati fatti investimenti , talvolta neppure quelli di manutenzione.

Metrò :

300 - 400 persone, palco 7m x 5m. Responsabilità dell’Ufficio attività giovanili della CdL. Un bunker, due piani sotto terra senza luce, che permette di produrre un volume acustico enorme ; più adatto a concerti che a teatro. Non ha fari di teatro ma da discoteca, sarebbe ugualmente possibile realizzare spettacoli teatrali, costo 900 fr.

Non si vede bene il palco, non si ha una buona visuale. Il più grande problema rimane il fatto di trovarsi in una zona residenziale, il rumore crea problemi alla popolazione circostante forse più che al Molino, inoltre pare che nonostante appartenga alla città non risponda completamente ai requisiti di sicurezza (evidentemente le illegalità delle autorità vengono enfatizzate molto meno sia dalla stampa “indipendente” sia dalla stessa polizia comunale).

Cittadella :

700 persone, 11m x 7m il palco. Costo 2 800 fr. L’unico posto che non è gestito dalla città ; è infatti proprietà della curia di Lugano. Sala tecnicamente buona, il problema sono i costi, non utilizzabile per concerti, o comunque solo concerti da seduti.

Palazzo dei Congressi :

1000 posti, palco più grande del cittadella ma pessima acustica. È funzionale per fare del teatro ma appare molto “fredda” senza carattere, impersonale. Costi altissimi, per quanto riguarda la tecnica c’è quello che serve.

Molino a Viganello:

Magico posto ma non si può parlare di un vero e proprio spazio teatrale, era tutto molto improvvisato. Molto bella comunque la configurazione degli spazi inserita nella struttura industriale.

Molino al Maglio:

Il Maglio, con l’ex-bocciodromo accanto, era sicuramente la sala teatrale e concertistica più grande del Ticino. Dopo i problemi avuti al Foce con la CdL mi sono detto che gli unici che lavorano veramente per la cultura e, se necessario mostrano alla CdL i denti, sono i molinari”. Con i militanti del CSOA ci siamo messi all’opera e abbiamo terminato in un paio di anni di lavoro (settembre 2002) una sala da mille posti, un palco di 15m x 8m con una griglia americana con fari regia luci computer mixer ed un impianto acustico adeguato alle dimensioni, il tutto pagato da entrate dirette (entrata sociale 5 fr,. birra 2.50,  acqua minerale 1 fr). Con questi soldi si pagava l’infrastruttura tecnica e l’ingaggio dei gruppi, con vitto e alloggio. Sicuramente rimanevano ancora problemi da risolvere in questa sala, come ad esempio i servizi igienici e il miglioramento dell’infrastruttura tecnica, della sicurezza e dell’isolazione fonica, questioni legate a quelle piccole “illegalità” di cui tanto si parlava, facilmente risolvibili se solo ci fosse stata una maggior volontà politica dall’alto. Però, mano sul cuore : quanto è costato l’intervento di oltre 80 agenti per lo sgombero del Maglio ? Con questi soldi si sarebbe potuto isolare il bocciodromo e si sarebbero costruiti i servizi igienici necessari. Le cifre non sono enormi per realizzare una sala confacente alle esigenze artistiche dei gruppi. Ma le autorità ne hanno voluto fare una questione di controllo e di ordine pubblico. Controllo di cosa ? Della cultura, del sociale o della legalità ?

Non è colpa del Molino se la nostra società è piena di persone “perse” o “ad alto rischio” !  Di gente disperata se ne vede in tutta Lugano. Dove vanno queste persone ? Almeno qui al Molino hanno la possibilità di incontrarsi e discutere con gente che forse ha gli stessi problemi. Vedono altre persone, vedono un’attività e non sono sottoposti a pressioni personali. Il Molino rimane una piccola isola nel deserto che può fare cambiare il loro stato d’animo.

L’evidenza di questo disagio sociale si esprime talvolta in forme dure. Voglio ringraziare pertanto due compagni che hanno salvato una ragazza strafatta che stava soffocando, priva di conoscenza, nel suo vomito. E’ svenuta fuori e i suoi amici non sapevano come comportarsi. E se non fosse successo qui al Molino ma in una strada qualsiasi o in un parco ? Non so se le sarebbe stato dato l’aiuto giusto e tempestivo. Loro sapevano cosa fare e nonostante i genitori si siano arrabbiati con i molinari, non comprendendo appieno la realtà della situazione, vale la pena di dire che gli hanno salvato la vita ed è questa la cosa più importante e che conta.

Sul Maglio, sul Molino, sulla legalità  e sulla gente che lo frequenta, se ne sono sparate di tutti i colori, ma in realtà tutti possono costatare che non è mai successo niente di grave, a differenza di ciò che capita in altri  luoghi frequentati dalla gente “perbene”… Penso che gli attivisti del Molino non sono né pazzi, né criminali, penso che sono persone acute e coscienti e sanno quello che fanno. E’ gente che vive qui, attiva nella nostra regione, che lavora ed è più o meno integrata nella società. Alcuni fanno lavori sociali, altri elettricisti, giardinieri, artisti, mamme, cuochi, architetti e così via. Le ragioni della loro partecipazione sono sicuramente diverse ma chiare per tutti.

 

Ex Macello:

Proprietà CdL. Esiste a tal proposito il “progetto Bignasca”. Si dovrebbe accogliere con entusiasmo un progetto di questo genere ma mi chiedo se non si rimetteranno in moto le stesse dinamiche di sempre, come allo Studio Foce per esempio. Per iscritto funziona tutto sempre molto bene. Anche lo Studio Foce era presentato sulla carta come è adesso il Macello, cioè in modo che i gruppi locali potessero usufruire degli spazi per fare prove e spettacoli, con una gestione da parte loro. Il fatto è che per ora non succede e questo dimostra che le autorità puntano ad avere un controllo anche del Macello.

 

Dal progetto:

Il concetto di arte comprende discipline diverse come il cinema, la musica, le arti visive, la danza, il teatro e altre iniziative più divulgative quali convegni e le proposte culturali (letteratura, poesia, ecc.). Alcune di queste discipline hanno senz’altro un ruolo motore e una funzione catalizzatrice maggiormente sfruttabile. Non bisogna tuttavia trascurare che una delle forze principali del progetto è la trasversalità, l’interdisciplinarietà dei settori culturali e il coinvolgimento di più soggetti tra loro eterogenei.”

Ecco la spiegazione di cosa fa il Molino da anni, niente da aggiungere ma è sorprendente che Bignasca usi queste parole, non è altro che una copia dell’idea del Molino.

 

“Un elemento di supporto alle due idee di città espresse è dato dalla possibilità di sfruttare spazi modulari per le iniziative multietniche riferite alle differenze e all’integrazione culturale (cfr. il Dicastero istituito per coinvolgere i cittadini nella comprensione dei problemi delle minoranze etniche, attivando un dialogo continuo con diverse comunità) ”

Minoranze etniche, questa è una bella frase. Io penso che se c’è qualcuno che rispetta le minoranze etniche a Lugano è purtroppo solo il Molino, non certo Bignasca.

 

“In sintesi sarebbe come creare un’interessante e innovativa scuola della cultura e del tempo libero, della multiculturalità, un’officina per tutte quelle professionalità che costruiscono un’industria intorno alle nuove esigenze del tempo libero e della coesione sociale. Non da ultimo l’obiettivo del centro si concentra su un target intergenerazionale, non dimenticando di coinvolgere la terza età.”

L’idea del Molino è praticamente già “un’industria”. Il posto deve essere fisso. Intergenerazionale è un’altra bellissima parola usata. Il pubblico del molino è sicuramente intergenerazionale: i frequentatori hanno dai 0 agli 85 anni. Il musicista più giovane che ha suonato al Molino aveva 14 anni mentre il più vecchio, in una serata di tango, ne aveva 84. Sua figlia ha suonato un mese dopo in un complesso blues.

 

Da notare che nel progetto Bignasca il cinema sarebbe gestito dalla “Fondazione Monte Cinema Verità” e tutto quello che riguarda la musica dal “Metrò”, cioè dall’ufficio attività giovanile che sarebbe spostato qui (è previsto un risparmio d’affitto della sala Metrò di 60 000 fr all’anno) risolvendo i poco discussi (forse perché causati non da un Centro Sociale,bensì dall’autorità stessa) problemi arrecati al vicinato di via Brentani.

Bignasca parla anche di un’esperienza del “Metrò” di 5 anni. E’ da notare che il Molino nello stesso periodo ha prodotto circa quattro volte più concerti che il Metrò. Anche l’affluenza di pubblico al Molino è sicuramente più alta di quella che c’è stata al Metrò e ciò senza fare spendere un soldo né alla CdL (che l’anno scorso ha votato un credito di un milione di franchi per le “attività giovanili”) né al Cantone (se non per lo sgombero). Da notare anche che probabilmente senza il Molino non esisterebbe nemmeno l’attuale Dicastero delle attività giovanili.

 

Tutto questo perché la CdL ha capito solo 5 anni fa che era necessario fare qualcosa per i giovani e cioè dopo l’occupazione dei Molini di Viganello. Noi siamo già al punto che non parliamo neanche più di giovani, ma di cultura per tutti, anche per gli anziani, di uno spazio culturale alternativo che non è controllato,che può avere ben altre influenze, diverse da quelle che vuole la CdL.

 

“Direzione artistica generale.

Perché le offerte non siano disparate e senza una visione complessiva, la direzione artistica generale, pur lasciando libertà di manovra ai vari settori, deve poter suggerire un orientamento complessivo, una piattaforma di intesa e una serie di proposte comuni. E’ già stato fatto l’esempio della settimana africana.”

Questo concetto per me è troppo vago. Io vorrei sapere chi organizza, chi è sensibile a tendenze culturali, chi sa tecnicamente costruire e gestire un teatro. Ho forti dubbi che la CdL abbia delle persone con queste capacità.

 

Per quanto riguarda i costi di dieci milioni di franchi, non credo che siano necessari tutti questi soldi per il funzionamento di un posto culturale, teatrale, concertistico, multietnico e altro. Non è neanche necessario abbattere una parte dell’edificio, anche perché non costituisce un problema concepire queste sale già esistenti per un altro utilizzo. La struttura così com’è del Macello ha già abbastanza fascino per costruirci uno spazio culturale. Fare altro sarebbe distruggere questo fascino.

 

Non bastano queste poche righe per spiegare la Radio e la Televisione della Svizzera Italiana.

Un apparato così grande, così importante e così seguito dalla maggioranza della gente ha sicuramente la possibilità e le capacità per promuovere la cultura, gli eventi e gli artisti.

Per me sarebbe la strada più semplice ed efficace per cambiare la situazione che riguarda noi artisti qui in Ticino.

Anche se pochi lo sanno esiste una miseria radiofonica criticata da anni da molti musicisti residenti in Svizzera.

 

La percentuale di musica “nostrana”, vale a dire musica di qualsiasi genere nata in Svizzera, è di circa il 5.5%, la quota più bassa al mondo. Nessun altro paese, nemmeno il cosidetto terzo mondo, ha una quota cosi bassa!

E noi nel Ticino, secondo la “SUISA”  rapporto annuale 2000 riguardante i programmi sulla SSR,  siamo addirittura a :

2.4% per la RSI rete 1 

3,6% per la RSI rete 2 

4,1% per la RSI rete 3

 

Signori Responsabili che lavorate alla programmazione della Radio datevi da fare!

Vi ricordo che il mio ultimo cd “1000&1nota” è molto bello. Una cooproduzione con la Radio Svizzera di lingua Italiana. Produzione: RSI- Rete Due!

Si parla sempre di un compito di promozione culturale regionale della Radio e Televisione.

Ma come fa un nuovo lavoro, un nuovo impegno artistico ad essere conosciuto dal pubblico? Ad essere acquistato ed apprezzato ottenendo in tal modo un successo, una gratificazione, non solo in termini monetari, del musicista?

Per noi artisti  il conto è semplice: messo in onda la gente conosce la musica (prodotto audio), conosce  l’artista (la persona). L’artista riceve poi dalla SUISA i diritti di autore e i diritti di interpretazione. Gli organizzatori di concerti opterebbero più frequentemente ad ingaggiare gruppi “locali”.

 Anche gli organizzatori di grandi festival come “Estival Jazz” e “Festate” prenderebbero in considerazione, spinti da una maggiore notorietà dei musicisti “locali”, un ingaggio adeguatamente retribuito. E se fosse così “la röda la gira !”

 

Politica culturale della CdL.

Spero che la situazione culturale e gli spazi culturali, i teatri, le sale per concerti, il cartellone, l’organizzazione il giusto aiuto per un’artista arrivino, crescano e siano presi in considerazione. Vorrei sottolineare che l’aiuto adatto ad un artista in pratica non esiste qui in Ticino. Ognuno deve aprirsi un varco, tracciare la propria rotta senza aiuti, questo purtroppo è duro ed è la pura realtà. Ogni artista qui prova a fare le sue cose, i propri interessi, però così non si va lontano, si cresce sempre nel piccolo. Per spiegare la situazione si deve sapere che la CdL avrebbe il compito di aiutare la cultura ed il sociale, nonché tutto quello che riguarda il vivere in questa città. In questa città ci sono tantissimi soldi, i nostri soldi pagati con le tasse da cittadini svizzeri e non. La CdL dovrebbe essere in grado di mettere a disposizione a qualsiasi persona che voglia fare uno spettacolo o dell’arte o qualcosa di sociale uno spazio, senza domandare soldi per gli affitti e senza anteporre troppe complicazioni burocratiche. Le complicazioni burocratiche sono così grandi che in fin dei conti noi che lavoriamo nella cultura abbiamo sempre una moltitudine di difficoltà per muoverci e ci risulta tutto più logorante. La CdL ha un compito, un obbligo : verso i suoi cittadini, verso la scuola e la cultura, e non basta mettere soldi solo nell’arte ”affermata" per esempio quella dei musei e di eventi grandi come “Estival Jazz” e così via. L’impegno deve essere anche per la gente che vive qui ogni giorno e non deve essere una questione estemporanea ma queste attività devono avere un luogo fisso, stabile. La cultura per il turismo aiuta ben poco noi che viviamo qui

L’esempio delle altre città svizzere con la cultura alternativa, che per me non è altro che l’espressione delle tendenze contemporanee, dimostra che hanno capito che è possibile convivere con questo genere di cultura. A Lucerna, che ha quasi le stesse dimensioni di Lugano, danno molto di più agli artisti e alla gente che vuole fare qualcosa; locali per prove, una nuova sala per concerti, disponibilità degli spazi scolastici; tutto ciò mette la popolazione nelle condizioni di vivere bene. Sia l’esempio di Berna che di Zurigo che di Neuchâtel che diverse altre città svizzere dovrebbero convincere la CdL che è possibile convivere con queste esperienze.

Nessuno di questi posti è controllato dalla città, si perderebbe la spontaneità e la creatività insite in questi luoghi. Inoltre la gente non ha bisogno di essere così controllata, sa regolarsi da sola. Questa situazione genera una nuova forma di povertà, il non mettere in pratica le idee di gente che viene a domandare gli spazi e l’aiuto della città fa si che artisti in evoluzione si allontanino da questi luoghi. Non si dovrebbero lasciare perdere queste possibilità perché sono energie sprecate a disposizione. La città non può avere tutto il controllo degli eventi culturali, è insensato. Loro hanno il compito di aiutare lo sviluppo sociale e artistico di qualsiasi persona. Gestire il patrimonio artistico creato dal Molino in questi anni da parte dalla CdL è impossibile, le strade sono di tendenze completamente diverse. Anche il TASI ha diverse tendenze rispetto alla politica culturale della CdL ma non ci si rende conto di quanti guai si sono già combinati rispondendo di no a persone attive ed interessate. Anche al “Festival del cinema” nel 1941 è stato detto di no ed ora si rimpiange questa decisione, visto il successo che riscuote a Locarno. Nel 1996 il no detto dalla CdL ai “Mummenschanz” (gruppo teatrale internazionalmente riconosciuto come all’avanguardia) per una sala del Macello, questa sarebbe stata una ricchezza enorme per la città. Ha detto di no al TASI per la gestione del Foce nel 2000. Ha detto di no anche al kursaal, dove non si farà più cultura. Queste sono solo alcune delle occasioni mancate, che non si ripresenteranno più, lasciandoci sempre più poveri culturalmente e socialmente.


7.2 Sinergie di potere

Tratti da Area, settimanale di critica sociale, 2 marzo 2001

Rtsi: cassa di risonanza delle istituzioni

Contributo alla discussione sulla nuova legge radiotelevisiva

 

7.2.a Rtsi e cultura…

Contributo alla discussione sulla nuova legge radiotelevisiva

Innanzitutto problemi di tipo deontologico, quando le sinergie  si incarnano nelle persone: come può un ricercatore che lavora all’Usi (Università della Svizzera Italiana) confezionare servizi radiofonici imparziali su quanto accade dentro le mura accademiche? O, capovolgendo, come può il responsabile dei palinsesti della Tsi tenere corsi sulla strategia dei palinsesti dellUsi? Ogni imparzialità va a ramengo: la Tsi diventa il paradigma delle televisioni, l’Usi quello delle università. Ogni discorso diventa puramente autoreferenziale. E poi, problemi giornalistici. Sta bene la sinergia come ausilio nell’organizzazione di manifestazioni o programmi (che serva, insomma, alla creazione di un contenitore), ma non sta affatto bene la sinergia nella sua ripercussione sui contenuti. E allora preme un controllo e una sorveglianza affinché queste sinergie non intacchino l’obiettività dell’informazione né offuschino il pluralismo delle opinioni. Come invece, purtroppo, accade. Attenendoci all’ambito culturale, il rischio è che si faccia un’informazione di regime, dando voce in modo sistematico alle istituzioni culturali del cantone (Dic, Usi, Supsi, ...), quelle stesse istituzioni con cui si è stretto, programmaticamente, un rapporto sinergico; quelle istituzioni che già godono di visibilità, che già hanno i mezzi per arrivare all’opinione pubblica, tralasciando invece manifestazioni non inferiori dal punto di vista culturale. Ecco allora che le sinergie si rivelano difficilmente gestibili, offuscando i contenuti e monopolizzando gli spazi. Ed ecco che l’informazione si rivela succube e supina, snaturata di quella funzione di “controllo” che ogni stato democratico ascrive alla stampa. Tre esempi, agli occhi (ed orecchi) di tutti:

-         l’informazione culturale si limita spesso a far da grancassa alle istituzioni culturali (basti, a questo proposito, monitorare il numero delle conferenze organizzate dall’Usi ed echeggiate dalla Rsi: un numero folle, che rende conto di un rapporto perverso e vizioso; se la Drs dovesse comportarsi nello stesso modo nei confronti delle manifestazioni organizzate dalle università della Svizzera tedesca ne risulterebbe una radioscuola bulgara);

-         l’informazione culturale assume spesso la parzialità dell’opinione istituente (intervistare Botta sul San Carlino, Borradori sull’eco-compatibilità del Piano dei Trasporti del Luganese, Ratti sull’attività della Rtsi è di fatto un atto retorico e servile, quindi inutile);

-         nei pochi casi in cui l’informazione ha osato rispettare il suo mandato (quello di essere imparziale e plurale), confezionando servizi critici nei confronti delle istituzioni culturali, non sono tardate le telefonate (puntuali quelle del compianto Giuseppe Buffi), a richiamare all’ordine, alla legge della sinergia, dare per avere.

E allora, se questo è vero, com’è vero, passino qui due proposte: innanzitutto l’istituzione di un antitrust culturale che vieti l’accumulo di cariche fuori dall’ente; in secondo luogo il risveglio dell’ombudsman, che meglio sorvegli il pluralismo e l’oggettività dell’informazione, in nome di quelle persone che da anni lavorano sul campo, organizzando rassegne e manifestazioni culturali, prive di sponsor e sinergie, spesso in passivo, invisibili ed anonime nell’assenza di un’eco mediatica.


7.2.b Rtsi e politica

La perversione del rapporto sinergico tra Rtsi ed enti esterni diventa ossessione in ambito politico. Tanto che si dovrebbe parlare di osmosi. La lottizzazione partitica degli organi superiori della Rtsi (Corsi e quadri) è fatto indiscusso ed incontrovertibile. I rapporti di forza rispettano, grossomodo, le percentuali di voto dei partiti. Una situazione ingessata che ricade in modo deleterio sui programmi politici e sulla cronaca parlamentare. Qui il giornalismo assume la strategia del “navigare a vista”: il microfono a fare da cassa di risonanza agli anacolutici discorsi dei politici. Giornalismo che non rischia nulla, che si guarda dal fare domande scomode, che si tutela da eventuali rimostranze porgendo in prima istanza un sorriso mellifluo e compiacente. E il problema, ancora una volta, sta nelle sinergie, nei pateracchi partitici che soggiacciono alle redazioni. Il solo parametro di professionalità che sussiste è quello della “par condicio”: un baluardo che spesso degenera nella nevrosi e nella patologia, impoverendo ancor di più il programma, consacrandolo all’ovvio e alla superficialità.


Sguardo ravvicinato sulla situazione culturale ticinese.
Bassa pressione
Il dibattito sempre più controllato ed asfittico sullo sfondo d’intolleranza e rozzezza...
Pagine a cura di: Danilo Baratti, Patrizia Candolfi, Michele Dell’Ambrogio, Luigi G. Herz, Claudia Patocchi, Fabio Pusterla.

 

... dall’altro canto, se il potere politico sembra avere individuato nel settore culturale un campo d’azione non trascurabile, gli amministratori cantonali e regionali, hanno capito che anche la cultura può diventare un affare, se si traduce in termine turistici: ecco allora che il fatto culturale tende a trasformarsi in evento turistico-culturale, la cui validità sarà innanzitutto finanziaria.

Si è così venuto a creare una specie di doppio binario: da un lato, la produzione culturale è, in molti campi, di grande livello; dall’altro, tuttavia, quella stessa cultura così vivace e così ricca ha un peso reale, in termini di scelte politico-culturali ticinesi, pressoché nullo, o comunque scarsissimo. Si parli di scuola, di biblioteche, di investimenti culturali, di immagine del Ticino o semplicemente di politica: il ruolo dei cosiddetti “intellettuali” e degli”operatori culturali” è assolutamente marginale e marginalizzato. Se esiste una ufficialità della cultura, e dunque un suo peso anche politico, essa pertiene invece a quella attività culturale più immediatamente visibile o vendibile, più pronta a collaborare senza troppi scrupoli con le scelte politiche ed economiche calate dall’alto. Viviamo dunque in una situazione paradossale: raramente il  tono del dibattito politico (dal parlamento ai media) è stato così approssimativo, così rozzo, così alieno dall’accettare la complessità del discorso e del ragionamento, il valore del dubbio; eppure, sotto questa superficie così brutale, il Ticino odierno è culturalmente attivissimo, e certo meno chiuso su di se di quanto sia stato in altri periodi. Come immagine emblematica si potrebbe forse prendere il lungolago di Lugano ( città che a sua volta racchiude in se tutte le contraddizioni di cui si è detto), palcoscenico su cui si alleano in furbesca sinergia i soli attori autorizzati a recitare nello spettacolo della cultura istituzionale.

Eccoli, da est a ovest: il San Carlino, remake postmoderno di Mario Botta, manifesto pubblicitario tridimensionale, grande attrazione turistica; il kursaal, già sede di tre cinema e di un teatro, ora dirottati alla periferia nord della città, per fare spazio a nuove sale da gioco (la febbre del gioco d’azzardo ha ormai contagiato le amministrazioni comunali Ticinesi, che rincorrono il sogno di un casinò come soluzione ad ogni problema economico); la teoria ininterrotta di banche, Mc Donalds, Burger King; il compassato Museo Cantonale d’Arte e il Municipio al centro, con la piazza “salotto buono” della città (qui sono vietate le manifestazioni di protesta, ma non i grandiosi eventi musicali di enorme richiamo); il Palace, antico hotel in rovina, oggetto di feroci speculazioni e di tardivi dibattiti sulla conservazione di un patrimonio architettonico già ampiamente distrutto; e infine la Malpensata, teatro delle sontuose mostre-evento che attraggono decine di migliaia di turisti. Dietro, un centro desertificato e gelido. Un altro aspetto riguarda l’atmosfera che caratterizza gli ultimi anni: non solo dall’alto, ma anche dal basso, giungono segnali di insofferenza verso la cultura intesa come principio  fondante del dibattito politico.

Il ruolo della Lega dei Ticinesi, e del Mattino della Domenica è stato certamente notevole, anche come influsso sotterraneo che ha modificato e impoverito il linguaggio politico; ma questo non spiega tutto. La sensazione è che non solo gli spazi di discussione pubblica si siano ristretti; ma che anche la disponibilità mentale collettiva sia ridotta, e che una serie di rabbiosi pregiudizi ostruiscano sempre più la via del confronto politico, culturale e civile.

Questo aspetto, che di nuovo riguarda l’intera Europa, ha a che vedere con la scemata consapevolezza, con l’affievolirsi della memoria storica, con il venir meno dei valori civili; ma anche con la situazione economica, con la precarietà crescente del mercato del lavoro, con la paura, insomma, che cerca un sollievo e uno sfogo. Fatto sta che, dietro ogni discussione politica e culturale, si avverte oggi il respiro pesante di questa nuova atmosfera, più incline all’intolleranza e al tornaconto privato che alla solidarietà e al senso collettivo.


7.3 Città di Lugano e Università

In questa sezione dedicata all’analisi ed alla critica delle politiche della città di Lugano riguardanti la cultura e la socialità non può e non deve mancare un accenno alla realizzazione di quella che risulta l’ultima nata delle università svizzere, proprio in questa regione, così restia all’apertura ed alla sperimentazione di luoghi nuovi.

Nostro interesse nell’affrontare la questione USI è il fatto che anche questa istituzione si è fatta avanti negli ultimi tempi per utilizzare una parte dell’area dell’ex Macello, parallelamente al discusso progetto Bignasca.

Fino ad ora abbiamo avuto modo di conoscere come vengono trattate le questioni legate alle proposte culturali, all’apertura ed alla propositività nei confronti di idee provenienti dalla popolazione o da gruppi culturali e sociali da parte delle autorità cittadine.

Sebbene interpretabili su livelli diversi, la creazione tempestiva e su basi economicamente redditizie di un’Università alle nostre latitudini ed il costante rifiuto anche di un minimo dialogo negli ultimi decenni verso una fetta di popolazione che richiedeva spazi da autogestire, sono sintomatici del tipo di politiche promosse da chi ci governa.

Con questo non si intende dire che sia inutile la presenza di un ateneo nella Svizzera italiana, anzi, avrebbe forse dovuto esistere già da tempo, ma si  vuole puntare il dito contro le sue modalità di realizzazione e di gestione. Basata sulla filosofia del New public management, cioè l’applicazione di criteri di gestione aziendali ad enti o servizi di natura pubblica, questa sede della conoscenza universale risulta piuttosto un club esclusivo, alla cui funzione istruttiva e formativa accede solamente una piccola élite, pagante tasse di iscrizione proibitive (rispetto al resto della Svizzera e difficilmente mitigabili tramite borse di studio, che si sono trasformate negli ultimi anni in prestiti di studio, da restituire nel corso degli anni) e soggetta al numerus clausus, cioè la limitazione quantitativa degli studenti.

Nata come “ente” semi-privato, ed unica nel suo genere, con contratti retti dal codice delle obbligazioni, meritocrazia dilagante, ingerenza da parte degli ambienti economici e finanziari, presenza e controllo da parte degli ambienti ecclesiastici, l’USI è ben lungi dall’essere quel luogo privilegiato di libertà di pensiero e di crescita insito nella natura e nei principi delle accademie. Senza tralasciare le dinamiche consone alle autorità politiche cittadine, nell’assegnazione degli spazi e nella loro riattazione ed utilizzo. In un battibaleno si è creata un’area di prestigio, di usufrutto e fiore all’occhiello per la solita cerchia di “affezionati” gestori della “cosa pubblica”.

Riteniamo che tutte le attività per definizione dedite alla crescita, allo sviluppo di uno spirito critico ed analitico ed all’espressione personale debbano essere incentivate.

Per questo motivo da anni rivendichiamo una sede definitiva per il Centro Sociale e in un certo senso non vogliamo ostacolare o denigrare la creazione di un Università nel luganese. Pensiamo però che ci siano vari spazi consoni ad ospitare l’ampliamento dell’USI, non forzatamente quello dell’ex-Macello dove ci troviamo da diversi mesi.

Chiaramente alla Lugano cittadella universitaria mancano degli spazi dormitorio, delle caffetterie studentesche e popolari, delle biblioteche e dei centri di informazione, dell’interazione sociale e culturale multietnica, viva e degli autentici punti e momenti di aggregazione.

Si considera sempre il CSA il Molino come una realtà marginale e disadattata, senza cognizione di causa, ma come lungamente spiegato precedentemente ciò non è la realtà. Uno spazio autogestito come quello che vorremmo interamente realizzare all’ex Macello ben rispecchia tutti i propositi che emergono dai vari progetti e dalle nuove intenzioni riguardanti questo sedime. I centri sociali, come le università d’altronde, sono sempre stati veicolo e motore di crescita, di espressione e di cambiamenti, spesso sviluppandosi e collaborando in sintonia, che a tutto servirebbero, meno che ad accettare passivamente e quindi ad impoverire ed uccidere lo spirito evolutivo e collettivo di una società che non ha mai conosciuto quanto oggi la necessità e la voglia di creare qualcosa di diverso, di meno ingiusto e di più umano.


Dell'Università (contributo di uno studente universitario)

"L'università senza condizioni non si trova necessariamente, ne esclusivamente, nel recinto di ciò che attualmente chiamiamo università. Essa non è necessariamente, esclusivamente, esemplificativamente rappresentato dalla figura del professore. Essa ha luogo; essa cerca il suo luogo ovunque questa incondizionalità può essere enunciata. Ovunque essa può essere pensata. Talvolta aldilà di una logica e di un lessico della condizione".

(J. Derrida, L'université sans condition, 2001)

 

Fare un'analisi del modello universitario in poche righe sarebbe presuntuoso, ma è possibile presentare alcune tematiche legate all'università che meriterebbero una riflessione più accurata. A questo scopo, può essere interessante pensare il significato che J. Derrida attribuisce al sans condition.

Oggi il modello del sapere è condizionato dal potere dello stato e dell'economia, dal potere mediatico, ideologico, religioso,... Ciò a cui assistiamo è l'egemonia di un unico modello di verità, il cui unico scopo è creare individui-ingranaggi. Assistiamo alla riduzione dell'individualità della persona alla sua specializzazione professionale. Non c'è spazio nell'università per lo sviluppo di una riflessione sull'uomo e dei suoi problemi. Non c'è più una problematizzazione del sapere e quindi il sapere diviene strumento soggetto alle leggi della sovranità.

In questo contesto l'espressione sans condition rappresenta la possibilità di costruire un nuovo umanesimo in cui l'individuo è consapevole; in cui l'uomo è l'inizio; un umanesimo il cui modello di sviluppo si trova nel dialogo e quindi nell'incontro: un sapere non verticale, trascendente e pianificato dal potere economico... ma coscientemente sviluppato dall'uomo per se stesso, un sapere costituito dal basso (società civile). Superare il paradigma attuale, ossia sapere "senza condizioni", significa aprire una pratica di verità. Per questo motivo, ogni luogo in cui l'incondizionalità è presente è università.

Occorre poter sperimentare l'incondizionalità. È necessario proporre dei luoghi in cui poter recuperare l'uomo, aprendo così una riflessione dialogica sulla nostra vita.

Questo per quanto riguarda il modello universitario. In Ticino l'esigenza di nuovi "spazi" è testimoniata dalle numerose iniziative che si stanno sviluppando. Queste non riguardano solo l'università, privata in Ticino del lato umanistico, ma anche le scuole superiori e dell'obbligo, in cui ormai la ragione economica ha preso il sopravvento su quella della formazione della persona. La necessità di spazi è evidente. La cancellazione della riflessione umanistica-filosofica, la diminuzione della qualità dello studio delle lettere, delle lingue classiche, impongono un ripensamento anche in Ticino della formazione della maturità dell'uomo, della consapevolezza del proprio sapere.