ROMA - Oggi si parleranno: contestatori e polizia, le due barricate a confronto sul G8. E' il momento del primo faccia a faccia a Genova. Dieci leader antiglobalizzazione incontrano questo pomeriggio il capo della polizia, Gianni De Gennaro. I ragazzi di Seattle, che hanno promesso di essere in 100mila per contestare gli otto leader mondiali riuniti in Liguria tra il 20 e il 22 luglio, sono stati convocati dall'uomo che guiderà le forze di sicurezza durante il vertice. Il Viminale deve decidere quali concessioni fare ai manifestanti. Alla vigilia dell'incontro, il premier Berlusconi ha annunciato che sarà a Genova nel prossimo weekend per verificare lo stato dei lavori. "Attenzione, il G8 non è una torre d'avorio in cui otto signori potenti decidono del destino degli altri" ha precisato ieri Berlusconi, aggiungendo: "Vogliamo proteggere le forze dell'ordine ma anche chi viene a Genova per protestare legittimamente".
Dunque, iniziano le prove di dialogo. Da una parte De Gennaro, in città per un sopralluogo sulla preparazione del G8, accompagnato dal vice Ansoino Andreassi. Dall'altro lato del tavolo, una delegazione del Genoa Social Forum, la federazione delle associazioni antiglobalizzazione (750 sigle, di cui 120 straniere). Saranno presenti dieci rappresentanti, tra cui Arci, Rete Lilliput, Cobas, Cgil e forse le Tute Bianche. Si discuterà del percorso del corteo, delle strutture di accoglienza, dei limiti della zona rossa (area off limits dove si svolge il G8) e di quella gialla (zona cuscinetto), dei trasporti e dell'accesso alla città (aeroporti e caselli autostradali saranno chiusi).
Le premesse non sono buone. L'incontro arriva dopo gli scontri al vertice europeo di Goteborg, durante i quali un ragazzo è stato ridotto in fin di vita. Si moltiplicano le informative dei servizi segreti internazionali sulle frange estremiste del movimento. Il Sisde ha rivelato il pericolo dell'utilizzo di scudi umani durante le manifestazioni antiG8: poliziotti catturati dai contestatori e utilizzati come ostaggi.
Per il popolo di Seattle sono "veline infami". Vittorio Agnoletto, presidente della Lila e portavoce del Genoa Social Forum, ribadisce il carattere pacifico del movimento e avverte: "I continui allarmi sono un modo subdolo per provocare i contestatori violenti e far degenerare la protesta". Sull'appuntamento di oggi, la delegazione ha idee molto chiare: "I diritti civili non sono oggetto di trattativa" spiega Agnoletto. Che elenca le richieste: abolizione della zona gialla ("è una trappola fatta apposta per far accadere incidenti"), accoglienza ("La zona di Quarto va bene, ma non ci chiudete nelle riserve"), disponibilità di una sede a Marassi per organizzare il convegno sui temi antiglobalizzazione, libera circolazione alle frontiere. "Non siamo pagliacci, né sfasciavetrine: parlate delle nostre ragioni e non soltanto dell'aspetto militare della contestazione" è stato l'appello che Agnoletto ha lanciato da Bologna, durante l'assemblea costitutiva di Attac Italia, associazione fondata in Francia (20mila iscritti) contro il neoliberismo e per tassare le transazioni finanziarie.
A Genova saranno schierati quasi 20mila uomini per garantire la sicurezza. Un imponente piano al quale il governo Berlusconi ha affiancato, a sorpresa, un'apertura politica ai contestatori. "Molte battaglie sono anche nostre" ha detto il ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, già direttore dell'Omc. "Non è vero ha risposto ieri Agnoletto le differenze politiche rimangono abissali".
santa margherita ligure - E' durato una notte sola il flirt tra gli imprenditori e il "popolo di Seattle". Ha provveduto Antonio D'Amato a chiudere lo spiraglio aperto venerdì dal presidente dei giovani imprenditori Edoardo Garrone. "Nessun dialogo con la piazza dietro la quale si nascondono movimenti portatori di una cultura antiindustria, antiglobalizzazione, antitutto". Così ha detto e la sorpresa non è stata minore di quella suscitata dalla proposta dell'ecotassa da parte del giovane petroliere Garrone, dopodichè gli applausi della platea presente al meeting su "La governance della globalizzazione" hanno compensato solo in parte le perplessità di chi ha giudicato fuori misura il suo stop.
Il suo è stato uno sbarramento contro la violenza ma il margine lasciato al dialogo è parso davvero esiguo, quasi inesistente, al punto che qualcuno ha osservato che con questa uscita D'Amato ha cancellato la disponibilità espressa nei giorni scorsi dal ministro Renato Ruggiero, che di contestazione antiglobalizzazione ha una discreta esperienza. "Con la piazza violenta non si dialoga, né si può immaginare che da movimenti antiglobalizzazione vengano risposte ai problemi che crea la globalizzazione stessa": il presidente di Confindustria non ha dubbi. La strada per lui è un'altra e soltanto attraverso questa si possono dare risposte alla bambina fotografata da Sebastiao Salgado, assunta a simbolo del convegno. "Noi abbiamo il dovere di dare risposte responsabili. Vi è la necessità di restituire al G8 e ai vertici internazionali l'occasione e l'opportunità di fornire soluzioni indipendendentemente da quanto accade nelle piazze".
Una via istituzionale ai problemi della globalizzazione: è questa che ha sugerito D'Amato. "Non capisco per quale motivo chi ha la possibilità di andare in Parlamento a portare le giuste istanze che nascono dalla globalizzazione preferisca invece stare dietro ai movimenti violenti". Insomma un invito al dialogo che trascura o quanto meno sottovaluta la crisi delle grandi istituzioni - Onu, Wto, Banca Mondiale e G8 - più volte ricordata dallo stesso Ruggiero e che è forse una delle cause principali della nascita della contestazione.
ROMA - Sindaco, se lei avesse in tasca un biglietto per Genova, e potesse scegliere tra il G8 e la piazza che lo contesterà, dove andrebbe? Al tavolo degli otto Grandi o col "popolo di Seattle"?
Walter Veltroni ci pensa un attimo, prima di rispondere, lui che è stato il primo diessino a mettere piede nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, ma anche il primo segretario dei Ds ad andare tra i disperati dell'Africa. Poi sceglie. "Andrei a Palazzo Ducale, al tavolo del G8. Ma ci andrei per dire le cose che ho in mente".
Cosa direbbe, per esempio, sulla globalizzazione? Si schiererebbe a favore, o contro?
"Nelson Mandela, quando lo vidi a Johannesburg, mi disse: "Essere contro la globalizzazione è come essere contro le stagioni: è inutile". La globalizzazione c'è. Il problema è che oggi ha un segno sbagliato. Depurato dall'elemento ideologico, o antindustriale che io considero sbagliato, perché la globalizzazione può portare anche opportunità di crescita e di sviluppo per i paesi più poveri, c'è un dato di fatto: ed è che il mondo sta conoscendo una stagione di ingiustizia sociale, di povertà e di disuguaglianza che dovrebbe far ribollire il sangue nelle vene a chiunque. Purtroppo non è così".
A quali ingiustizie, a quali disuguaglianze si riferisce? A quelle che ha visto nel suo viaggio in Africa?
"Oggi, secondo la Fao, ci sono 826 milioni di persone che la sera vanno a letto senza aver mangiato durante la giornata quanto avrebbero dovuto. Nel 1996 fu fissato l'obiettivo di diminuire di almeno 400 milioni il loro numero, ma questo traguardo non verrà raggiunto prima del 2030. Tre miliardi di persone, la metà della popolazione umana, sopravvivono con meno di due dollari al giorno. Ecco, proviamo a metterci al posto di questi uomini. La globalizzazione vista da Tiffany è una cosa, vista da un ospedale pediatrico del Ruanda è un'altra cosa".
Lei parla della globalizzazione economica, o di qualcosa di diverso e di più vasto?
"Quando parliamo di globalizzazione non dovremmo riferirci solo a quella dei mercati finanziari e a quella della comunicazione. Ci sono altre globalizzazioni che sono altrettanto rilevanti sulla vita delle persone, e sono quella ambientale, o quella dei diritti. C'è il problema della siccità, che è una delle cause fondamentali della povertà in Africa, ed è purtroppo un fenomeno destinato ad aumentare nei prossimi anni, non a diminuire. Ci sono le guerre. Io sono stato tra quelli che hanno sostenuto, e non ho cambiato idea, l'intervento militare in Kosovo. Ma l'ho sostenuto in nome del principio umanitario, perché la guerra non è un modo per risolvere i conflitti diplomatici. Però se questo è vero in Kosovo, deve essere vero in Cecenia. E dev'essere vero anche in Ruanda, dove ci sono stati quattro milioni di morti senza che il mondo si muovesse".
E lei pensa, dopo quello che è successo in Italia per l'intervento in Kosovo, che la sinistra italiana approverebbe la proposta di mandare i nostri soldati su tutti i fronti di guerra?
"Un momento: non sto proponendo di fare altre guerre. Sto proponendo di assumere un codice di comportamento comune. Sto dicendo che gli articoli della Carta dell'Onu sui diritti umani e sugli interventi militari devono essere ripensati per essere applicati secondo un principio di equità. Noi siamo andati in Kosovo per difendere i diritti umani dei kosovari. Ma la guerra tra gli Utu e i Tutzi in Ruanda, altro che violazione dei diritti umani: lì tagliano le teste".
Lei sta dicendo, sindaco, che il vertice degli otto Grandi dovrebbe occuparsi anche di queste cose, e non solo dei mercati finanziari?
"Intanto è sbagliato che siano otto. Perché se a quel vertice ci fosse un africano o un sudamericano, se non ci fosse questo criterio dei "paesi più ricchi", le cose cambierebbero. Io ho una mia idea, ed è che il G8 dovrebbe allargarsi e comprendere quei continenti che oggi non ci sono, attorno a quel tavolo. Non si possono riunire quei signori e decidere del destino di miliardi di persone, senza che qualcuno dica: scusate, ci siamo anche noi".
Chi dovrebbe sedere, secondo lei, accanto a Bush e agli altri sette Grandi?
"Io credo che l'allargamento del G8 a Sudamerica e Africa sia assolutamente decisivo. E comunque questi governanti non possono continuare ad avere i loro tempi, passare di vertice in vertice spostando le cose di un millimetro. Io ho visto il colore della povertà, e so che la fame, la malattia, la guerra, la morte non aspettano i tempi dei Grandi. Mi limito all'Aids: in Africa ci sono 25 milioni di malati, ogni giorno muoiono seimila persone, ci sono paesi dove le scuole chiudono perché i professori sono falcidiati dalla malattia. E in Sudafrica un quindicenne su due è ammalato di Aids. Mentre noi ci occupiamo delle nostre simpatiche vicende, il mondo conosce una tragedia paragonabile all'Olocausto. E io posso perdonare a mio nonno di non essere partito con le armi in pugno per andare a sparare davanti ad Auschwitz: perché non lo sapeva. Noi però tutto questo lo sappiamo. E nessuno fa nulla".
E' esattamente quello che andrà a dire a Genova il movimento contro la globalizzazione. Lei si riconosce, nel "popolo di Seattle"?
"Io distinguo tra chi è contro la globalizzazione, e chi è contro questa globalizzazione. C'è una grande differenza. E non ci deve essere nessun atteggiamento giustificativo nei confronti della violenza. Non è picchiando un poliziotto francese, o svedese o italiano, che si migliorerà la condizione dei bambini africani. Anzi. Che ci sia però una protesta, in presenza di una lentezza dei potenti, è naturale. Di che ci stupiamo? Se oggi ha torto chi dice, di fronte a queste tragedie, che non si può andare avanti così, allora aveva torto anche Spartaco quando si ribellava allo schiavismo. Questo è un movimento che assume su di sé, all'inizio del millennio, un tema che può avere effetti dirompenti tanto quanto ha avuto il rischio della guerra atomica negli anni Sessanta e Settanta".
Eppure di fronte al dilemma tra il diritto a decidere degli otto Grandi tre dei quali sono Jospin, Blair e Schroeder e la protesta del "popolo di Seattle", la stessa sinistra europea è apparsa divisa, incerta, esitante.
"Oggi c'è una grande difficoltà delle culture politiche tradizionali ad assumere questi temi e a farli diventare oggetto di una grande mobilitazione di massa paragonabile a quella che c'è stata contro lo schiavismo, il razzismo e la discriminazione femminile. La mia generazione si mobilitò contro il Vietnam, ma questo è molto più del Vietnam. Perché anche la sinistra deve dare la sensazione di aver perso quella rabbia contro le diseguaglianze sociali che è la sua ragione storica? Io andrò alla prossima riunione dell'Internazionale socialista, a Lisbona, e ci andrò proprio per proporre l'allargamento del G8".
Invece a Genova, cosa direbbe? Se potesse parlare al tavolo del G8, cosa chiederebbe in concreto? Mi dica tre richieste che metterebbe sul tavolo.
"La cancellazione del debito. L'embargo della vendita delle armi. L'aumento delle risorse di sostegno ai paesi in via di sviluppo dall'attuale 0,25 per cento allo 0,70 del Pil".
E come sindaco di Roma, cos'ha in mente di fare?
"Mi viene in mente quello che rappresentò Firenze negli anni del pericolo della guerra atomica. E penso che Roma, che è la città del Vaticano e anche la sede della Fao, possa diventare la città capitale della lotta alla fame e alla povertà. Io vorrei che si costituisse un C15, non un G8, dove la C sta per "città"".
E chi sarebbero, i 15?
"I sindaci delle più grandi città del mondo, persone che governano alcune centinaia di milioni di essere umani. Mi piacerebbe che si riunissero a Roma per dire la loro sul processo di globalizzazione, in un organismo che si occupasse della qualità della vita e della giustizia sociale".
Il governo italiano è molto preoccupato di quello che può accadere a Genova per il G8. Lei cosa si aspetta che accada?
"Io penso che il ministro degli Esteri, Ruggiero, abbia ragione a insistere sul dialogo. E' la strada giusta. Non sarebbe una cattiva i
ROMA - "Intendiamoci bene, a Genova la polizia non va con il manganello in mano, ma se dovesse essere necessario è pronta a tirarlo fuori". Il prefetto Ansoino Andreassi ha la solita voce tranquilla che riesce a tenere anche nei momenti più difficili. E molti ne ha avuti nella sua lunga vita di sbirro e di spia. Adesso che, da vicecapo vicario della polizia, ha avuto l'incarico di trasferirsi a Genova per "raccordare le esigenze organizzative e quelle della sicurezza del G8", è l'uomo giusto per spiegare se sia vero o no che, a luglio, si rischia la "guerra" dentro e intorno al summit dei grandi. E dalle sue parole si capisce che il ministro dell'Interno Claudio Scajola ha dato un ordine chiaro: far calare, a tutti i costi, la tensione. Per questo, di fronte all'inquieto popolo di Seattle, oggi si materializza De Gennaro, il responsabile, dopo il ministro, di tutte le polizie italiane.
Il Sisde lancia l'allarme: poliziotti in ostaggio. Non la spaventa?
"Non ci allarma affatto. Perché mettiamo sempre in conto che un agente isolato corra dei rischi. Conosciamo bene il pericolo connesso ad azioni violente, ma il principio che va sempre rispettato è che i nostri uomini non devono rimanere da soli".
Se la sente di escludere che un agente possa trovarsi accerchiato?
"Potrebbe accadere solo se rimanesse ferito, ma giusto il tempo necessario per arrivare a soccorrerlo. Ma glielo ripeto: è un rischio che abbiamo ben presente e che non ci spaventa più di tanto".
È "usuale" che il movimento pensi di "prendere ostaggi"?
"Se veramente dovesse esistere un'intenzione del genere saranno costretti a lasciarla perdere perché tanto non gli riuscirà".
Mettete in conto uno scontro duro in quel di Genova?
"Non è così. Stiamo vagliando, con tranquillità e freddezza, tutte le minacce che ci vengono segnalate, senza trascurarne alcuna. Ma non vogliamo cadere dentro spirali di tensione che non vanno a vantaggio di nessuno, né di chi vuole manifestare pacificamente, né delle forze dell'ordine, né tantomeno della città. E non siamo disposti ad enfatizzare i rischi, perché questo non giova a nessuno".
Minimizza gli allarmi degli 007?
"Qui non viene sottovalutato nulla, ma ci rifiutiamo di cadere in una spirale di angoscia. Vogliamo e dobbiamo mantenere la lucidità di soppesare l'attendibilità delle minacce distinguendole tra quelle probabili, possibili, sicure".
Qual è oggi il suo pronostico sul livello di pericolosità del G8?
"La preoccupazione di turbative serie all'ordine pubblico nasce dall'osservazione attenta di quanto è avvenuto da Seattle fino a Goteborg, passando per Praga e Nizza. Abbiamo lavorato molto con i colleghi stranieri, abbiamo fatto tesoro dei loro consigli, abbiamo osservato direttamente quando è stato possibile. E adesso stiamo rivendendo, uno a uno, tutti i filmati".
Quindi il rischio di gravi scontri esiste?
"C'è il pericolo concreto di gravi turbative dell'ordine pubblico da parte di una minoranza violenta".
Sapete da chi è composta questa "minoranza"?
"Sì, nel cosiddetto blocco nero ci sono sia italiani che stranieri".
E anche dei terroristi?
"Speriamo proprio di no, ma non possiamo sottovalutare il pericolo che la componente violenta connoti in modo negativo tutte le manifestazioni offrendo anche spazi per l'inserimento di presenze più pericolose".
La vostra sarà una risposta "militare"
"Innanzitutto siamo convinti che la maggioranza del movimento che si raccoglie nel Genoa global forum vuole manifestare pacificamente il dissenso. Poi ci sono i violenti. E questo non è solo un problema della polizia, ma di tutti. I violenti vanno isolati, ma la repressione non serve. Ci vuole una scrematura "politica" all'interno del movimento. A meno che non si voglia che una minoranza esigua connoti negativamente un intero "popolo"".
Lei e De Gennaro direte questo al Gsf?
"Metteremo a fuoco le richieste fatte, tenendo ben presente che, per ragioni di sicurezza legate alla presenza di frange violente, è indispensabile applicare delle limitazioni all'evento".
Agnoletto vuole abolire la "zona gialla".
"E noi cercheremo di raggiungere un'intesa tecnica che contemperi un pacifico svolgimento del summit e garantisca visibilità a chi vuole manifestare pacificamente e rispettando la democrazia. Non stiamo chiedendo aiuto a nessuno e faremo fino in fondo il nostro lavoro tecnico. Però una riflessione voglio farla: dovrebbe stare a cuore a tutte le persone di buon senso che non prevalga chi ha intenzioni violente".
Si sta ricreando il clima degli anni del terrorismo con il morto a tutti i costi?
"Non voglio assolutamente riflettere su simili analisi perché sono il frutto di un'esasperazione gratuita: nessuno può pensare che il G8 si possa trasformare in una guerra".
E allora perché viene dato tanto risalto alla preparazione "militare"?
"Né la polizia né i carabinieri si addestrano militarmente, ma si stanno solo preparando a fronteggiare problemi di ordine pubblico. Fanno il loro mestiere. La verità è un'altra: bisogna stemperare il clima di esasperazione intorno al G8. Non siamo in guerra, non stiamo andando al fronte, Genova è città civile e democratica, in cui coesisteranno i grandi da una parte e chi vuole manifestare dall'altra. E se i violenti, che al massimo riusciranno a sfondare qualche vetrina, vorranno turbare le manifestazioni troveranno la polizia a contrastarli. A Genova i nostri non agiteranno i manganelli, ma se sarà necessario li tireranno fuori".
I nativi americani, a bordo di tre caravelle, riconquisteranno simbolicamente la terra dei loro conquistatori in occasione del vertice dei G8 a Genova. Le tre navi sono già partite dalla Colombia.
"A Genova ci sarò, ma non dobbiamo cadere nella trappola dell'evento. Dopo questo summit, ci devono essere tante piccole Genova". E sui centri sociali: "Chi rischia molto sono proprio loro".
Il dialogo con il Comune sugli spazi non decolla. E allora le Tute bianche decidono di dare uno strattone. Dal 4 luglio, giurano, il campo di calcio del Lagaccio si trasformerà in un campeggio, con annesso spazio per concerti. La "liberazione" delle area interesserà anche il Parco del Peralto. La data del 4 luglio rappresenterà anche l'inizio del festival "Moltitudini sonore" con 99 Posse e Assalti Frontali. E, di fatto, l'inizio dell'invasione da parte dei ragazzi dei centri sociali, decisissimi ad aggirare eventuali blindature. Due settimane prima di quanto previsto dall'amministrazione di Tursi che si è detta disponibile ad ospitare il popolo di Seattle ma soltanto pochi giorni prima del vertice. Il braccio di ferro ha così uno scossone non del tutto imprevedibile. Lo dimostra anche la reazione di Mario Tullo, assessore allo Sport e quindi padrone di casa del Lagaccio che si guarda bene dall'esasperare lo scontro e, al contrario, dà lezione di ecumenismo. "Vorrei dire ai ragazzi di avere ancora un po' di pazienza. Devo ammettere che ne hanno già dimostrata molta. Un ultimo sforzo: il Comune sta lavorando e in settimana potremo dare risposte precise". E magari dare il via libera all'operazione Lagaccio, a due passi dal centro sociale Terra di Nessuno, base logistica e spirituale delle Tute bianche genovesi. Ma bisognerà risolvere alcuni problemi, ad iniziare dalla dotazioni di servizi fino allo spostamento di un torneo di calcio giovanile previsto proprio in quei giorni.
Ma qui si lavora come se tutto fosse già deciso: dal 12 al 15 luglio ci sarà la riunione del network di Azione Globale dei Popoli, nato sull'onda di Seattle, con la partecipazione di delegazioni da tutto il mondo. Ma prima, il 7, giornata di training sulla disobbedienza civile, con tanto di corso di fai da te per realizzare le "armi" da utilizzare nei giorni del G8. Il tutto all'interno di quell'"officina della fantasia" che ieri si è aperta per mostrare a tutti l'attrezzatura da combattimento. Chi si attendeva ordigni inediti è rimasto deluso. Dal centro sociale, che officina lo è stato per davvero fino a una quindicina di anni fa, compaiono solo i soliti strumenti di difesa: casco da minatore, imbottiture per braccia, gambe, petto e schiena, mascherine con filtri, occhialini, guanti e uno scudo di plexiglass "con gli angoli smussati, perché non sia pericoloso per nessuno", precisano a bilanciare quell'aspetto un po' inquietante con propositi molto più rassicuranti. "Noi - spiega Matteo Jade - siamo all'interno del Genoa Social Forum e ne appoggiamo assolutamente la linea. Lo abbiamo già detto e vogliamo ripeterlo: il nostro obiettivo è di superare la zona rossa e faremo di tutto per riuscirci e bloccare il vertice. Ma non ci sarà alcuna violenza nei confronti della città e meno che mai delle persone: Neppure di quelle in divisa".
Messaggio preciso, anche a chi aveva interpretato la plateale "dichiarazione di guerra" inscenata qualche settimana fa a Palazzo Ducale come un reale annuncio di battaglia sanguinosa. Non che qui tutti siano diventati gandhiani. Anzi: a chi chiede come pensano di oltrepassare le difese che circonderanno il vertice, rispondono che se ci sarà di fare a pezzi qualche barriera si doteranno di strumenti idonei. Per ora siamo alla metafora dello scontro. E la lista dei simboli comprende anche tre caravelle. Una delegazione di nativi è già partita dalla Colombia e veleggiano verso Genova, la città che diede i natali a Cristoforo Colombo. La Nina, la Pinta e la Santa Maria alla riconquista del Vecchio Mondo entreranno nel Mediterraneo forse nei primi giorni di luglio. Una tappa quasi certamente sarà il porto di Arenzano, sulla riviera ligure di ponente. Per l'azione, che sarà in stile Greenpeace, l'equipaggio conta sull'effetto sorpresa. "Simuleremo la riscoperta di Genova - sottolinea ancora Matteo Jade - proprio quando i padroni illegittimi del mondo saranno a Genova per deciderne abusivamente le sorti. Sarà un atto ironico e allegro perché sappiamo benissimo che non ci lasceranno nemmeno avvicinare al porto".
SI Chiama "azione diretta nonviolenta" e sarà una delle tecniche utilizzate dai manifestanti anti G8. Operazioni rapide, basate sull'organizzazione e sullo studio delle forze in campo e delle capacità dei militanti. Con obiettivi variabili a seconda delle circostanze ma comunque mirati a disturbare lo svolgimento del summit e dare maggiore visibilità ai motivi della protesta. Un azione diretta non si improvvisa. E allora questa mattina, dalle 9.30 i gruppi che aderiscono a quest'ala del movimento si incontreranno per discutere dei presupposti teorici e logistici delle operazioni. Appuntamento ancora una volta (è l'ennesima nella storia della mobilitazione anti G8) in un luogo di culto. Per la verità stavolta si rimarrà a ridosso della chiesa, nel chiostro di quella basilica delle Vigne, che ospitò anche i mille che ascoltarono padre Alex Zanotelli. E qui si simuleranno anche tutte le possibili variabili che i gruppi potranno trovarsi a fronteggiare durante la contestazione.
Nel pomeriggio, poi si passerà all'azione vera e propria, con una simulazione pubblica di Azione Diretta Nonviolenta in una piazza cittadina. Gli scenari simulati saranno relativi all'avvicinamento al punto dell'azione basandosi su cartine mute della città e al blocco di un varco di accesso alla zona rossa. Gli scenari semplificati prevedono solo i ruoli dei manifestanti nonviolenti, delle forze di polizia e dei passanti. La simulazione teatrale, per cui è stata data comunicazione alla questura, avverrà tra piazza S.Lorenzo e piazza Campetto nel primo pomeriggio.
Intanto i missionari che arriveranno a Genova nei giorni del G8 per pregare e digiunare annunciano la loro intenzione di ricordare, in quell'occasione, "il sacrificio di padre Martin Royackers", il gesuita ucciso giovedì scorso ad Annotto Bay, una città nel nordest della Giamaica.Con l'incontro di preghiera e digiuno i religiosi intendono chiedere ai Grandi una "globalizzazione della giustizia e della solidarietà".
Padre Martin era impegnato in un progetto di sviluppo che "tra l'altro cerca di favorire lo sfruttamento di terreni di proprietà governativa non coltivati per la produzione di cibo". "Il progetto di sviluppo agricolo di St. Mary - spiega padre Giovanni La Manna del movimento internazionale che raccoglie oltre 250 congregazioni di missionari e religiosi - è un'iniziativa congiunta della gente del luogo, dei gesuiti canadesi e di Cida, l'agenzia per l'aiuto allo sviluppo del governo del Canada". Padre Martin era stato minacciato di morte, insieme con il superiore regionale dei gesuiti in Giamaica. "Domenica scorsa - racconta padre La Manna - aveva tenuto un'omelia sulla violenza che squassa la Giamaica: 453 persone sono state uccise sull'isola dall'inizio dell'anno, fra cui 3 sacerdoti".Quattro giorni dopo, padre Royackers è stato trovato morto, con una pallottola nel torace, nella veranda del suo ufficio presso la chiesa cattolica di S. Teresa, ad Annotto Bay.
ROMA - Quindici persone al massimo, alle quindici di oggi. Sono i numeri del dialogo che deciderà il destino del G-8. Da una parte ci sono due superpoliziotti; dall'altra i leader del movimento antagonista. Oggi si guarderanno negli occhi, al secondo piano della Questura di Genova. Forse si convinceranno che non ci sono steccati da abbattere, nè vetrine da sfasciare, nè giovani da bastonare per far sentire forte il grido di protesta contro la globalizzazione. O forse no.
Comunque vada, è partito il dialogo. Adesso c'è una linea riservata, ufficiale, il più prestigiosa possibile, tra il governo e il popolo di Seattle. Berlusconi sarà a Genova alla fine della settimana, per un sopralluogo. E intanto Scajola, neoministro dell'Interno, ha voluto impegnare i suoi due uomini migliori nel settore sicurezza: il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, e il suo vicario, Ansoino Andreassi. Dall'altra parte del tavolo, ci saranno i dieci delegati del mondo antagonista, con Vittorio Agnoletto in testa a nome del Genoa Social Forum. Salvo cambiamenti dell'ultima ora, dovrebbero essere nove ragazzi e una sola ragazza, che parleranno a nome di tutti. Lei è Chiara Cassorino, la stessa che un mese fa lesse un messaggio del sub-comandante Marcos che sosteneva i giovani che manifesteranno a Genova; oggi sarà in questura a portare la voce delle Tute Bianche, quindi di quasi tutti i centri sociali del Nord.
Davanti a vertici massimi delle forze dell'ordine italiane, la piccola delegazione si presenterà con due richieste importanti: la garanzia dell'agibilità di Genova per le manifestazioni e l'impegno a garantire l'accoglienza al popolo di Seattle in arrivo dal resto d'Italia e dal mondo. Molti di loro saranno in città già dai primi di luglio per aggirare il minacciato blocco delle frontiere; e anche questo provvedimento è fortemente criticato dal movimento antagonista.
E il clima continua ad essere avvelenato da fatti che sono lontani mille miglia dagli ideali della contestazione. A imbarazzare il governo sono le indiscrezioni, vere o presunte che siano, su dossier dei servizi segreti che molti dirigenti, in via riservata, giurano di non avere mai letto nè firmato. L'ultimo episodio riguarda le voci su un rapporto del Sisde che avrebbe segnalato la possibilità che qualche poliziotto possa essere sequestrato dai manifestanti e usato come scudo umano negli scontri di piazza. Insomma, di una roba simile erano accusati Saddam Hussein nella guerra del Golfo, o Milosevic nel conflitto in Serbia. Ma in Italia, a Genova, sono in pochi a ritenere possibile una cosa del genere. Tuttavia la polemica è alta. Verdi e Rifondazione hanno chiesto una presa di posizione ufficiale del Sisde: una smentita o le dimissioni del direttore. Ma la smentita non è arrivata, per il semplice fatto che non è uso dei servizi segreti smentire pubblicamente qualcosa che non è ufficiale.
Intanto i carabinieri si attrezzano per gli scontri di piazza. Avranno nuovi manganelli, chiamati Tonga, simili agli sfollagente in uso negli States. Così, a Genova, non saranno costretti a mulinare per l'aria i loro moschetti con il manico di legno. Scudi nuovi in arrivo per tutti, polizia, carabinieri e finanza, di forma rotonda e più larga, per evitare il contatto fisico. E anche tute mimetiche nuove, di un materiale antitaglio e con protezioni da motociclista su tutto il corpo. Dalla Germania arriva l'allarme di un settimanale tedesco, Focus, secondo il quale alcuni attivisti del centro sociale Ya basta sarebbe in cerca di estremisti tedeschi da arruolare e portare a Genova per le manifestazioni. Intanto, mentre si attende l'arrivo dei paracadutisti della Folgore e degli incursori del Battaglione San Marco e del Col Moschin, il segretario generale della Farnesina, Vattani, annuncia che il G-8 sarà "una riunione molto sobria e rigorosamente di lavoro".
GENOVA - Di fronte alle offerte di dialogo, le tute bianche storcono la bocca, ma non dicono di no. Non ancora, almeno. Oggi, a Genova, si riunisce la loro assemblea nazionale per soppesare le avances di Renato Ruggiero, il ministro degli Esteri, e di Claudio Scajola, il suo collega dell'Interno. Qualunque posizione prendano, però, le tute bianche dovranno metterla a confronto con quella delle molte altre organizzazioni che aderiscono al Genoa social forum, nella riunione generale di domani. Il forum non ha regole vincolanti, ma è improbabile che le tute bianche abbiano voglia di ritrovarsi isolate.
Fosse per i genovesi, comunque, non se ne farebbe nulla. "La nostra impressione è che quella di Ruggiero sia una mossa puramente mediatica, che ha un unico scopo: dividere il nostro movimento, per indebolirlo. E' una tattica vecchia, già vista, quella di separare i cosiddetti violenti dai cosiddetti non violenti", borbottava ieri mattina Matteo Jade, uno dei portavoce delle tute bianche genovesi, al centro sociale Terra di Nessuno. "E poi, il dialogo politico non è prioritario, per noi. Quello che chiediamo, da mesi, è un tavolo tecnico con qualche funzionario del governo. Per concordare i luoghi dove accogliere le moltitudini che verranno a Genova per far fallire il vertice, e difendere il diritto di manifestazione".
Sulla collina del Lagaccio, giornalisti e soprattutto cameramen sono stati invitati a una sorta di défilé. In passerella, il kit del dimostrante anti-global: dal salvagente al parastinchi, tutti arnesi rigorosamente difensivi. In piazza fra un mese, però, compariranno anche altre attrezzature. Dal seghetto flessibile per forzare le paratie che chiuderanno i varchi, a lunghe catene di camere d'aria da camion, utili a fronteggiare gli schieramenti delle forze dell'ordine. "Nulla è insormontabile", proclama Jade. Poi ci ripensa un attimo: "Beh, quasi nulla".
Al portavoce delle tute bianche genovesi, qualcuno chiede del presunto rapporto del Sisde, secondo cui i poliziotti isolati potrebbero essere presi in ostaggio dai manifestanti. La prima risposta è una risata. La seconda è, diciamo così, tecnica: "Non ci converrebbe nemmeno, servirebbe solo a disperdere le risorse". La terza è politica: "Ribadiamo il nostro impegno a non esercitare violenza contro le cose o le persone. Nemmeno le persone in divisa. E chiediamo a tutte le altre organizzazioni di dichiarare in anticipo, come noi, con quali modalità intendono operare per mandare a monte il G8".
Alla chiusura di frontiere, porti, aeroporti e stazioni nei giorni del summit, i centri sociali di Genova replicano anticipando l'arrivo dei contestatori. Fin dai primi giorni di luglio, i due campi da calcio del Lagaccio si trasformeranno in una tendopoli, allietata da concerti dei gruppi preferiti dagli anti-global italiani, dai 99 Posse ad Assalti frontali. Dalla Colombia, poi, sono già salpate tre "caravelle" allestite dagli indigeni Uruwa e da alcune organizzazioni terzomondiste. Dovrebbero "conquistare" simbolicamente il Vecchio Continente. Ma le tute bianche non si fanno illusioni: "Mi sa che a Genova non le faranno sbarcare. Vorrà dire che si fermeranno ad Arenzano".
BOLOGNA - La manifestazione di protesta ci vuole, anzi è obbligatoria, sennò che gruppo "anti" sarebbe? E allora in venti o trenta attraversano la strada, "invadono" il piazzale della stazione di servizio Agip e distribuiscono volantini anti-gobalizzazione in spagnolo. Perché "l'Agip sta costruendo nel mio paese", dirà più tardi una ragazza ecuadoregna, "un lungo oleodotto che mette a rischio un fiume e l'ambiente". Venti minuti in tutto, talmente pacifici che il gestore della stazione di servizio non avverte neppure la polizia. Poi il gruppetto rientra nella sede distaccata della facoltà di Fisica. Dove per tutto il giorno un migliaio di giovani discutono di economia liberista e di società moderna, di finanza e di fondi pensione, di ambiente e di salute, di ecomafie e di paradisi fiscali. Una serie di interventi, di conferenze e di laboratori per dire no alla globalizzazione.
Aule ex-Morassuti di viale Berti Pichat, lungo la circonvallazione, prima assemblea nazionale della neonata Attac-Italia, due mila iscritti e 20 comitati locali nati in poco più di tre mesi. Non lasciatevi ingannare dal nome apparentemente bellicoso: Attac è l'acronimo di "Associazione per la Tobin Tax a favore dei cittadini" e nasce sul modello dell'omonima associazione francese che ha già partorito numerosi epigoni, mentre Tobin è il Nobel americano per l'economia che ha proposto di tassare i movimenti speculativi dei capitali e di utilizzarne i proventi per finalità sociali. "Ci definiamo come "movimento di autoeducazione popolare orientato all'azione", intesa come rinnovamento della partecipazione dei cittadini", spiega Fiorino Iantorno, 26 anni, di Taranto, tre esami alla laurea in giurisprudenza a Siena, tra i fondatori di Attac-Italia, alla quale aderiscono Lila, Mani Tese, Cobas, Arci, Lilliput e diversi sindacati. "Non siamo solo "anti" globalizzazione, ci presentiamo anche con nostre proposte alternative", continua Iantorno. "Siamo pacifici e non violenti, ma aderiamo al Genova social forum, proprio a Genova vogliamo esordire il 18 luglio con un primo appuntamento internazionale di Attac, un Forum sulla Finanza. Anche se l'assedio alla "zona rossa" non sarà solo a Genova: per noi le zone rosse da assediare sono le contraddizioni nelle realtà locali". A battezzare la prima uscita pubblica di Attac-Italia, insieme al presidente dell'associazione francese, Bernard Cassen, Moni Ovadia e Stefano Benni, Marco Paolini e Pino Cacucci, il prosindaco di Venezia Gianfranco Bettin, numerosi sindacalisti e Vittorio Agnoletto, presidente della Lila e portavoce del Genova social forum. E sui prossimi incontri con il neo-ministro dell'Interno mette le mani avanti "noi pensiamo di andare agli incontri, ma non per trattare", ha detto Agnoletto, il movimento vuole l'abolizione della zona gialla, spazi per convegni e seminari, frontiere, strade e stazioni aperte, "se ci chiamano solo per comunicarci le loro decisioni, la riunione non durerà più di 30 secondi".
E.P.
SANTA MARGHERITA LIGURE - Beata irruenza dei giovani. Coraggiosi, provocatori, sempre un passo oltre gli steccati. Antonio D'Amato ammira l'impegno dei "pulcini" della Confindustria. E' il loro ruolo "rappresentare la punta avanzata del dibattito". Ricorda con emozione quando anche lui era sulla tolda di comando degli under 40. Si sentiva più libero. Ora invece gli tocca camminare con i piedi ben saldi sul terreno, e spesso deve anche spegnere gli incendi, mediare, smussare, correggere il tiro. Come ieri, al convegno sulla globalizzazione di Santa Margherita. Il presidente della Confindustria chiudendo i lavori della due giorni ha cercato di indorare la pillola. Lo ha fatto ricoprendo di elogi la relazione di Garrone, ammirandone le analisi, la volontà di coniugare lo sviluppo economico con l'equità sociale, apprezzando infine alcune proposte lanciate il giorno prima. Alcune. Non per esempio quella di voler dialogare a tutti i costi con le tute bianche del G8. "Non si dialoga con la piazza violenta", mette in guardia la platea, non si riscrivono le regole sotto la pressione della protesta. Non quella, anche, di voler imporre una tassa mondiale sui combustibili che inquinano: "Sono questioni complesse, non sempre una tassa è la soluzione". Più opportuno, propone, creare invece uno "zoccolo duro di regole internazionali sui diritti sociali e ambientali", per evitare il dumping delle imprese nei paesi poveri.
E' importante affrontare i temi della globalizzazione e della povertà. E stupisce, fa notare il presidente, che qualcuno possa stupirsi della sincerità dell'impegno di Confindustria. Non vogliamo alzare nessuna cortina fumogena, assicura: senza maggiore crescita non ci sono risorse per fare più equità e senza quest'ultima non c'è la coesione necessaria per creare ulteriore sviluppo. Ecco perchè il messaggio recapitato dal segretario dell'Onu Kofi Annan a Santa Margherita sullo "sviluppo dal volto umano" trova la porta spalancata. "La nostra funzione - ricorda D'Amato - è creare ricchezza e benessere, quella della politica è redistribuirla per creare più coesione sociale".
Ma per dare risposte concrete a quella stessa bambina fotografata da Salgado, e scelta come emblema del convegno, bisogna trovare le "sedi adatte", restituire ai vertici internazionali l'occasione di riflettere e dare risposte. "A questa bambina dobbiamo dire con molta chiarezza che le risposte al suo bisogno non verranno mai dai movimenti di Seattle, né dalle contestazioni violente di piazza". Nè da chi convince l'opinione pubblica che la globalizzazione sia solo sfruttamento dei paesi poveri. "Dietro a questi movimenti - attacca D'Amato - si nascondono anche spinte portatrici di una cultura anti-industriale, anti-sistema, anti-tutto".
TECNOLOGIA SEGRETAROMA - A Genova stanno arrivando gli esperti e sul piede di guerra c'è persino la National Security Agency, la struttura americana super-segreta che gestisce le risorse tecnologiche di Echelon. Mentre alziamo lo sguardo al cielo sapendo di quell'abbondante centinaio di satelliti con gli occhi puntati su di noi, scopriamo che i maghi dell'intelligence USA sono pronti ad intercettare anche dal fondo del mare. E così, se qualcuno - navigando per diporto nel Tirreno - dovesse scorgere qualcosa di strano, è bene sapere che il suo nome è USS Jimmy Carter: è il sommergibile-spia che la Marina militare statunitense ha realizzato nei cantieri della General Dynamic's' Electric Boat nel porto di Groton, nel Connecticut. Costato 5 anni di lavoro di adeguamento ed almeno 1 miliardo di dollari, si tratta di un mezzo a propulsione nucleare che tra le caratteristiche tecniche annovera proprio la capacità di intercettazione dei cavi in fibra ottica sottomarini a loro volta in grado di veicolare 40.000 telefonate contemporanee. Sull'effettivo impiego di una simile soluzione non ci sono conferme ufficiali, ma nel Mediterraneo le fibre ottiche per connessioni telefoniche e di trasmissione dati non mancano davvero e soprattutto arrivano a collegare aree geografiche di non trascurabile effervescenza terroristica.
In un'intervista Frank Dennington, capo della struttura tecnica della Flag Telecom Holdings Ltd., il colosso che gestisce decine di migliaia di chilometri di cavi subacquei che uniscono l'Europa al Nord Africa e al Medio Oriente, si è mostrato scettico. Ha dichiarato, infatti, che le protezioni adottate rendono difficilissimo e troppo costoso l'ascolto abusivo delle comunicazioni, ma che - se realizzato - questo può aprire una breccia spaventosa nella riservatezza dei cittadini. Da parte sua il generale dell'aeronautica Michael Hayden - vertice della NSA - ha sorriso quando gli è stato chiesto delle intercettazioni sottomarine, ma non ha negato che siano possibili. Chiamato poi a fornire qualche notizia in merito al sommergibile Carter, ha preferito glissare l'argomento.
Le fibre ottiche più sofisticate sono normalmente protette da guaine pressurizzate la cui effrazione viene immediatamente segnalata ai sistemi di controllo, ma quando si scende sotto i 300 metri di profondità determinate costosissime precauzioni vengono riconosciute non più necessarie per le oggettive difficoltà di manomissione per eventuali sabotaggi o intercettazioni.
Le attività di manutenzione richiedono normalmente l'emersione del cablaggio da verificare o riparare. I gestori di queste infrastrutture di comunicazione includono così, tra le misure di protezione, il sorvolo periodico delle tratte percorse dai propri cavi così da rilevare l'eventuale presenza di imbarcazioni che possano indebitamente mettere mano sulle fibre ottiche ripescate dal fondo. Naturalmente un intervento sottomarino sfugge a simile monitoraggio ma un funzionario dell'intelligence a stelle e strisce ha asserito che "origliare" sul fondo del mare non è iniziativa facile da prendersi perché può comportare un onere che potrebbe aggirarsi sui 2 miliardi di dollari l'anno. Ma quella cifra da dove salta fuori? E' semplice stima o consuntivo? Se chi aveva letto "Secret Power" conosceva Echelon prima del relativo clamore, chi ha dato un'occhiata al libro di Sherry Sontag e Christopher Drew "Blind Man's Bluff" queste cose le sa bene. Quando c'erano cavi in rame in luogo delle odierne fibre ottiche, la Marina americana - per spiare i russi - si avvaleva del sommergibile USS Parche che, ancora in servizio, andrà in pensione nel 2003.
IL KIT DEL MANIFESTANTE
IL MANUALE PER EVITARE L'ARRESTO
GENOVA - Si guarderanno in faccia, per la prima volta, davvero. Dopo giorni di dialoghi a distanza, di botta e risposta via media, i due volti del G8 si incontreranno, in Questura a Genova. L'appuntamento è per le 15, quando dieci leader dei movimenti antiglobalizzazione riuniti nel Genoa Social Forum incontreranno il capo della Polizia Gianni De Gennaro e il prefetto della cittadina ligure. Unica incognita, dell'incontro di oggi, è la partecipazione o meno delle Tute Bianche, l'ala considerata più combattiva del panorama degli Antiglobal. Gli uomini di Luca Casarini sono infatti ancora riuniti in un'Assemblea nazionale proprio per decidere quale posizione prendere nei confronti delle istituzioni. Oltre all'imminente incontro con il capo della Polizia, e quindi a una discussione che si prefigura soprattutto su questioni di ordine pubblico, all'esame delle Tute Bianche c'è il più controverso incontro con il Governo. Un incontro richiesto direttamente dal ministro degli Esteri Renato Ruggiero che, nei giorni scorsi, ha invitato il movimento erede di Autonomia Operaia a un confronto diretto. "Ma perché vuole incontrare proprio noi, di 730 organizzazioni del Global Social Forum? - si chiede Matteo Jade, portavoce delle Tute Bianche di Genova -. Questa richiesta sembra una trappola. Un tentativo per dividerci e per indebolirci. Perché loro hanno paura del simbolo che noi possiamo rappresentare, più che dei danni che davvero possiamo fare. E il sequestro delle tute bianche a Goteborg lo dimostra".
Tute Bianche a parte, l'incontro, con il Capo della Polizia Gianni De Gennaro, oggi ci sarà. Come ci saranno, chiare, le richieste del popolo di Genova. "Chiediamo che sia assolutamente eliminata la zona gialla - anticipa Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum e presidente della Lila - perché è una zona troppo ampia, troppo presidiata dalla polizia, e dove non è possibile manifestare. Ci sembra una zona concepita proprio per ospitare gli scontri, e noi è proprio quello che cerchiamo di evitare". Così dentro Genova. Fuori, invece, Agnoletto chiede che vengano garantiti tutti i collegamenti possibili alla cittadina ligure anche durante il summit. "Chiediamo che ci sia garantito il diritto a manifestare - insiste il portavoce di 730 associazioni antiglobalizzazione - e impedire i collegamenti ferroviari durante il G8 è un'azione che contrasta questo diritto". D'accordo, su questo punto, anche le Tute Bianche, che aggiungono: "Chiediamo che Genova sia una città aperta - dicono - per permettere a tutti di manifestare. Il Governo e le forze dell'ordine stanno creando un clima di terrore per far sì che la città sia deserta, durante il summit. Non sanno che, continuando su questa linea, non fanno altro che richiamare a Genova sempre più persone pronte a difendere un diritto costituzionale".
Un diritto, quello a manifestare, che non intende fermarsi davanti ad alcuna barriera. "Non esiste barriera che non possa essere superata - spiega Matteo Jade - e per questo noi ci attrezzeremo per superare qualsiasi muro". E per entrare nella vietatissima zona rossa. Con un kit anti G8 creato ad hoc.
G8: ecco il tormentone di una estate, questa, che s'annuncia torrida. G8: la sigla campeggia, idealmente, su di un orizzonte incerto, alla Folon, sul quale vanno e vengono, intrecciandosi e sciogliendosi, sopraffacendosi a turno, parole come internazionalizzazione e globalizzazione. La gente, la brava gente, con tre G, legge i giornali, clicca, ascolta la radio: lì per lì crede d'aver capito e forse così è ma un attimo dopo la confusione ritorna. G8, cosa sarà mai? E la globalizzazione in cosa consiste? Ma la domanda più forte, perché traduce profonda inquietudine, è la seguente: qual è il prezzo di tutto ciò? Chi pagherà la bolletta?
Non è finita: l'elenco dei turbamenti è fatto del "popolo di Seattle", di "tute bianche", di "tute nere", di cantanti dai nomi allusivi, di ragazzi (agitatissimi) dei "centri sociali", di preti che credono nella oramai vetusta "teologia della liberazione", di omosessuali coltissimi, di picchiatori idioti. Di "pazzi di Dio" come l'ascetico padre Zanottelli già carismatico direttore di Nigrizia (a proposito: sul mensile, nobilissimo, dei Padri Comboniani s'annuncia una rubrica di Gad Lerner firmata "Giufà"), di pazzi autentici in libera uscita eccetera.
In definitiva, se posso azzardare, ci troviamo di fronte a una sorta di intifada nel territorio vastissimo ma "privé" dei paesi ricchi. Ai quali il "popolo di Seattle" contesta l'arroganza di voler regolare l'economia mondiale nel segno del liberismo più selvaggio, in funzione dei propri interessi. Che, fatalmente, non sono quelli della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Insomma, i G8, cioè gli otto grandi paesi avanzati del mondo, si riuniscono (questa volta a Genova) per proclamare quello che han già deciso a porte chiuse: e cioè una economia che, appunto, tiene soltanto conto delle esigenze, dei progetti della affluent society.
A Seattle, opulenta capitale dello Stato di Washington (USA), assunse visibilità la protesta, utopistica, velleitaria, ma sentita dei "reietti della Terra". Gli otto grandi non diedero troppo peso a quella che sembrava una delle solite goliardate in stile neoradicalchic. Il manifesto programmatico del "popolo di Seattle" non esiste, ovvero non è stato reso noto ove mai esistesse ma esiste una copiosa letteratura protestataria, venata di spartachismo, condita con la filosofia-tequila del subcomandante Marcos, inebriata dalla folksong estrema di marca americana portata al delirio sonoro da Manu Chao, "meteco e meticcio del Duemila": sono titoli e titoli che si possono trovare nell'articolo (eccellente) di Enrico Arosio sull'ultimo numero dell'Espresso.
Ma che vogliono queste "tute bianche" di Seattle, le "tute nere" di Goeteborg dove, come sappiamo, la polizia svedese ha preso sottogamba la protesta e c'è scappato il morto, cosa vogliono? Tutto, cioé nulla. Ce l'hanno con la "trimurti": FMI, Banca Mondiale, Wto, con le loro "pratiche egemoniche che ingrassano i ricchi e fan più poveri i poveri: su scala mondiale, globalizzando l' ingiustizia, internazionalizzando la miseria. Non è un nuovo Sessantotto, attenzione: nel fritto misto che vanno cucinando sulle piazze trasformate in padelle arroventate da un patetico infantilismo politico, nel fritto misto c'è tutto fuorché Marx, c'è persino Franco Berardi, il vecchio "Bifo" (do you remember radio Alice, Bologna 1977?), troviamo persino la Terza Teoria di Gheddafi e una infinità di siti internet. Insomma, molto Web e moltissima confusione, niente Bibbia ma lacerti di cultura pacifista con nostalgia delle lacrime di Blade Runner. Loro, le "tute bianche" (quelle "nere" menano, non ragionano; non cavalcano l'utopia, usano il pugno di ferro) sono (o sembrano) in buona fede. E così dovrebbe essere se un uomo accorto e scafato al tempo stesso, un napoletano colto e di mente svelta qual è Renato Ruggiero, il ministro degli Esteri del governo del Cav., ha sentito il bisogno di invitare gli organismi non governativi cosiddetti a dialogare. In fondo, ragiona Ruggiero, sia voi che noi, sia il "popolo di Seattle", sia i "potenti della terra", vogliamo le stesse cose: un mondo in progresso dove ci sia lavoro e felicità per tutti. E' dunque una cosa seria 'sto "movimento"?
Sappiamo dalla Storia che lo spontaneismo non approda in nessun caso al porto giusto e sempre la Storia ci dice che sin dai tempi di Gesù la contestazione non è mai riuscita a diventare istituzione. Epperò questa intifada contro il capitalismo selvaggio non va presa alla leggera, non fosse altro perché potrebbe trasformarsi in un brodo di coltura del quale si nutrirebbero sciagurati tra i più sciagurati oltre ai soliti apprendisti stregoni. Ruggiero, infatti, non è solo nel preoccuparsi di "spiegare e spiegarsi". Insieme con lui si occupano del "fenomeno Seattle" uomini di religione fra i più costruttivi. Il cardinale Tettamanzi, ad esempio, ritiene che codesta nuova intifada sia un importante "segno del tempo". La globalizzazione è in fatto un fenomeno ambivalente segnato com'è da esiti negativi, da esiti positivi. Tettamanzi cita per tanto il giudizio dei vescovi espresso nel dicembre 1997, al termine del "Sinodo delle Americhe", tenutosi in Roma: "Benché sia vero che la crescita della globalizzazione porta con sé conseguenze positive (...) tuttavia essendo retta dalle leggi di mercato applicate secondo i vantaggi dei potenti, ha anche conseguenze estremamente negative: l'attribuzione di valore assoluto all'economia, la disoccupazione, la diminuzione e il deterioramento di alcuni servizi pubblici, la distruzione dell'ambiente naturale, la crescita del divario tra ricchi e poveri, una competizione ingiusta che colloca le nazioni povere sempre più in basso". Occorre dunque, come del resto ha puntualizzato Giovanni Paolo II nella Giornata Mondiale del 1998, "conoscere" il fenomeno-Seattle così da incanalarlo nei giusti binari. Occorre dunque un nuovo "spazio politico" ove possa crescere, secondo giustizia, una nuova società.
Il malessere che scuote nelle più profonde radici il "popolo di Seattle" è la solita punta dell'iceberg. Balliamo pure nei saloni belli della società affluente ma senza dimenticarci dei passeggeri di terza classe, se non vogliamo che il mondo globalizzato affondi tutto, irreparabilmente: come un nuovo Titanic.
SANTA MARGHERITA (Genova) - I grandi problemi che si parano davanti allo sviluppo dell'Occidente non si risolvono "con le agitazioni di piazza". Tanto più se "sono violente". Il presidente della Confindustria Antonio D'Amato notoriamente non teme di assumere posizioni impopolari e ieri lo ha confermato al convegno dei Giovani Imprenditori, pronunciando un secco "no" al dialogo con il popolo di Seattle e criticando - senza nominarlo - chi come Fausto Bertinotti "gioca sulla piazza quando avrebbe tutte le possibilità di porre le questioni nelle sedi istituzionali". Secondo D'Amato "dietro ai movimenti di questi mesi si nascondono movimenti portatori di una cultura anti-industriale, anti-globalizzazione, anti-qualità della vita, anti-tutto". Di conseguenza c'è la necessità "di ridare al G8 l'opportunità di fornire risposte indipendentemente da quel che accade nelle piazze".
Il compito che attendeva ieri il presidente della Confindustria non era dei più semplici. Venerdì il convegno dei Giovani si era aperto con una relazione di Edoardo Garrone - ribattezzato "il petroliere di Seattle" - che aveva clamorosamente aperto ai movimenti anti-globalizzazione ed era arrivato a proporre una tassa mondiale sulle emissioni di gas. Che si tratti dello spostamento del baricentro culturale di un settore della Confindustria o che sia la manifestazione dei sacrosanti timori di un imprenditore che vuole mettere al riparo i suoi impianti da possibili boicottaggi delle tute bianche, non c'è dubbio che le parole dell'industriale genovese hanno avuto un'eco profonda. E hanno posto un problema di "linea" a una Confindustria schierata su posizioni filo-thatcheriane. Messo di fronte al bivio D'Amato è stato abile. Ha fatto ampie aperture di metodo a Garrone lodandolo per aver messo i piedi nel piatto ("Mi è venuto un brivido di emozione nel sentir proporre con coraggio e convinzione argomenti che rappresentano la nuova frontiera"), ma nel merito ha rispedito al mittente quasi tutte le proposte avanzate da Garrone a cominciare dalla super-imposta. "Più che di tasse preferisco parlare di investimenti necessari per il recupero ambientale".
Nella visione proposta a Santa Margherita dal presidente degli imprenditori italiani la cultura industriale e la globalizzazione sono pienamente in grado di affrontare i grandi problemi del terzo millennio - far partecipare al benessere i Paesi in via di sviluppo, tutela dell'ambiente, salute e sicurezza alimentare, ruolo e limiti della scienza e della tecnologia - perché rappresentano l'unico meccanismo "capace di creare ricchezza". Più pessimistica è la valutazione di Garrone sulle sorti progressive dello sviluppo. Come D'Amato il giovane petroliere genovese parla di "società aperta", ma nella sua visione la cultura industriale non è un passepartout , ha bisogno di profonde iniezioni di regole e persino di etica. "Non basta cancellare il debito verso i Paesi poveri - ha ribadito ieri Garrone - così ci si lava la faccia, non la coscienza".
Al convegno ha parlato anche il segretario generale della Farnesina Umberto Vattani, che ha tenuto a rassicurare tutti sul carattere "rigorosamente di lavoro che avrà la riunione del G8". Niente diversivi e mondanità, dunque, ma il summit sarà preceduto da incontri con le organizzazioni non governative e la società civile, nonché da un fitto scambio di relazioni con i leader dei Paesi in via di sviluppo.
Dario Di Vico
GENOVA - Falchi e colombe, anche tra gli industriali. "Mi sembra interessante, questa discordanza sul tema caldo della globalizzazione. Ci vedo uno spiraglio, una possibilità di dibattito - dice il poeta Edoardo Sanguineti, una delle voci più autorevoli della letteratura italiana - . Mi auguro davvero che i giovani imprenditori abbiano una sensibilità che le vecchie strutture non avevano. Come, del resto, dimostrano le parole di chiusura del presidente di Confindustria, D'Amato".
Veramente, D'Amato è poco più che quarantenne...
Sorride, l'intellettuale genovese, e risponde: "Non è questione di età anagrafica, ma di mentalità, di formazione".
In che senso?
"Mi riferisco alla lungimiranza di chi entra nel mondo economico e ne assume le responsabilità nel momento in cui la globalizzazione è un processo in atto. Credo che sia il caso di Edoardo Garrone. Al contrario, chi si è formato alla tradizionale scuola industriale, pre-globalizzazione e agli albori del fenomeno, tende a ritenere che le vecchie strategie economiche siano ancora paganti. Forse, D'Amato è tra questi".
Un diverso approccio culturale.
"Mi spiego. Se la grande finanza dominante è in grado di spostare in tempo reale i capitali da Hong Kong, Singapore, Oslo, evidentemente non si può ragionare in termini di crisi localizzabili... E poi, in nome del profitto non si può lasciare andare alla deriva un continente. Per esempio, quello africano devastato dall'Aids. Ecco perché io sostengo che anche l'età e la cultura dell'impresa possono determinare un diverso atteggiamento nei confronti dell'economia globale e del mercato".
Secondo lei, al di là delle sue speranze, quale sarà la linea vincente?
"Temo che prevalga il vecchio. Anche perché può contare in Italia sull'appoggio di un governo dichiaratamente neoliberista che, omogeneo alla Confindustria, insegue modelli di capitalismo arcaici. Alla Bush, per intenderci. Il presidente degli Stati Uniti, infatti, lo dimostra anteponendo, ad esempio, il profitto alle esigenze dell'ambiente".
Il G8 a Genova, tra qualche settimana. A questo proposito, il giovane Garrone si dichiara favorevole a un'apertura di credito nei confronti del popolo di Seattle. Al contrario, D'Amato è tassativo: con la piazza non si scende a patti.
"Va da sé che sono d'accordo con il primo. Del resto, anche uomini di governo come il ministro Ruggiero sono fautori del dialogo con in contestatori. Ma, mi chiedo, in quali termini può avvenire questo dialogo? Quale può essere il punto d'incontro? Il mio timore è che le due parti parlino lingue troppo diverse".
Marisa Fumagalli
ROMA - Il luogo, San Rossore, è simbolico. Ex tenuta della Presidenza della Repubblica, oggi area protetta dalle leggi ambientali. L'idea è quella del dialogo costruttivo fra le istituzioni, in questo caso locali, e le associazioni che contestano la globalizzazione. La speranza è quella di svelenire il clima prima del G8 di Genova, ma soprattutto quella di rintracciare una piattaforma minima di obiettivi condivisili fra chi contesta e chi amministra la cosa pubblica. E' in questo contesto che il presidente della Regione Toscana Claudio Martini sta organizzando un incontro, il 18 luglio, dal titolo inequivocabile, anche se ancora provvisorio: "In otto non possono decidere per tutti". Una giornata che ha il carattere della sperimentazione, che intende rilanciare il ruolo dei governi regionali e locali nei processi decisionali che investono l'intero pianeta, che mira a riunire sotto lo stesso tetto, nella tenuta di San Rossore, rappresentanze che finora hanno faticato a dialogare.
Ci saranno, assicura Martini, diverse associazioni ambientaliste, gruppi e reti del Genoa Social Forum, icone dell'antiglobalizzazione come Ivan Illich ed Edward Goldsmith, la satira di Beppe Grillo, esponenti della Chiesa cattolica, presidenti di regione non solo italiani, ma anche spagnoli, tedeschi e francesi, imprenditori che si sono distinti nel produrre beni con il marchio etico, dove etica sta per rispetto dell'ambiente, della salute, degli equilibri sociali.
"L'idea - spiega Martini - è venuta osservando che non esistevano sedi di dialogo fra associazioni antiglobalizzazione e rappresentanti governativi. La Toscana in questo caso, senza alcuna presunzione, si presenta come luogo ideale, terra impegnata non da oggi nello sviluppo sostenibile, nella promozione di commerci biologici e di qualità, nella tutela di prodotti tipici, nella produzione di norme che disincentivano l'impiego di Ogm. Inviteremo anche esponenti del Polo, non vogliamo fare un recinto. Concluderemo la giornata con una dichiarazione, che chiameremo dichiarazione di San Rossore, nella speranza di inaugurare un appuntamento che anche in futuro possa servire a promuovere il dialogo fra diverse istanze".
M. Gal
ROMA - Il segnale che viene dagli uomini della sicurezza è chiaro, e lo spiega Ansoino Andreassi, il vice-capo vicario della polizia inserito nella struttura organizzativa del G8. "Il nostro compito - dice - è quello di conciliare il diritto di manifestare il dissenso con l'esigenza di assicurare un regolare svolgimento dell'evento, isolare i violenti e garantire al meglio la vivibilità della città di Genova anche in quei giorni un po' particolari". Quattro punti precisi, dei quali il terzo - isolare i violenti - è quello che desta le maggiori preoccupazioni. Vero, prefetto Andreassi? "Sì, ma vorrei dire che isolare i violenti non può essere compito esclusivo delle forze di polizia. Noi faremo quel che c'è da fare, ma tutti dovrebbero avere ben presente che non apportano alcun beneficio alla causa del movimento anti-globalizzazione". Sembra un appello al "popolo di Seattle" per aiutare le forze dell'ordine, ma il prefetto precisa: "Non stiamo chiedendo di istituire dei servizi d'ordine che collaborino con noi, non è questo che serve. Ma il semplice buon senso dovrebbe indurre tutti a prendere le distanze dagli "sfasciavetrine" a oltranza, anche quando si mescolano a un movimento che ha altri scopi e non ha alcun bisogno di essere accomunato a fenomeni di violenza".
Oggi Andreassi accompagnerà a Genova il capo della polizia, in una missione tecnica "al più alto livello" - come sottolinea un comunicato del Viminale - voluta dal ministro dell'Interno. E lì, negli incontri con i rappresentanti dei movimenti anti-globalizzazione, cercherà di far capire che, pur dovendo tenere alta la vigilanza, nessuno vuole enfatizzare i rischi e gli allarmi; nemmeno quelli che ormai quotidianamente arrivano dai Servizi segreti italiani e stranieri. "Loro fanno bene a segnalare ogni eventualità - spiega il vice-capo della polizia - ma le enfatizzazioni possono avere solo effetti negativi, sia sul nostro personale che sui malintenzionati che potrebbero farsi venire altre idee in testa. Parlare di "scudi umani" sulla base di una segnalazione su ipotetici sequestri di poliziotti da parte dei manifestanti significa non capire che cosa sono gli scudi umani, cioè quelli utilizzati da Saddam Hussein durante la guerra nel Golfo".
A proposito dei rischi che correrebbero gli uomini delle forze dell'ordine sorpresi in solitudine dalle frange violente del movimento anti-G8, il prefetto chiarisce: "Quella di non rimanere mai da soli è una regola fondamentale che non vale solo per Genova, ma per tutte le manifestazioni. È uno dei primi insegnamenti impartiti. Del resto i reparti mobili hanno un valore deterrente proprio in quanto blocchi di molti uomini, va da sé che il personale non deve disperdersi".
L'invito a mantenere "freddezza e lucidità" nel preparare l'appuntamento genovese viene esteso a tutti, ma quel che più preme agli uomini della sicurezza è proprio il tentativo di separare con nettezza la gran parte del "popolo di Seattle" che vuole andare a Genova per protestare pacificamente contro le strategie degli otto Grandi da coloro che prepararono lo scontro a tutti i costi. Non solo per evidenti ragioni politiche e perché il diritto al dissenso dev'essere garantito anche in circostanze come questa, ma anche per motivi organizzativi di ordine pubblico. In caso di disordini, infatti, sarebbe molto meglio fronteggiare gruppi confinati e ben individuati piuttosto che mescolati alla massa dei manifestanti.
Il dialogo e la trattativa che cominciano oggi sono importanti proprio per ottenere delle garanzie da quelli che in gergo sono indicati come i "buoni" del movimento anti-globalizzazione, in modo da poter concentrare gli sforzi della prevenzione dell'eventuale repressione nei confronti dei "cattivi". Dai risultati che verranno raggiunti in questo tentativo dipenderanno anche le decisioni sui controlli da effettuare alle frontiere e gli eventuali blocchi dei treni di manifestanti in arrivo verso l'Italia.
Le maggiori preoccupazioni arrivano dagli estremisti spagnoli e greci, e sarebbe preferibile affrontare i violenti provenienti da queste nazioni separatamente, nelle diverse località di confine, piuttosto che tutti insieme a Genova. Ma, anche su questo punto, il prefetto Andreassi cerca di frenare gli allarmismi: "Se verranno ripristinati i controlli precedenti all'entrata in vigore degli accordi di Schengen è solo per monitorare gli arrivi; è chiaro che, di fronte a segnalazioni mirate dalla Spagna, dalla Grecia o da altri Paesi su gruppi predisposti alla violenza, cercheremo di fermarli prima dell'arrivo a Genova. Senza alcuna volontà aprioristica di repressione: noi non vogliamo lo scontro, ma se si dovessero verificarne i presupposti dobbiamo essere pronti a difendere l'ordine pubblico. Anche a vantaggio dei manifestanti pacifici". Ecco allora che l'attenzione torna sui "buoni", ai quali si cercherà di garantire gli spazi adeguati, non ancora individuati. La missione genovese del capo della polizia e dei suoi più stretti collaboratori servirà anche a questo: gli uomini della sicurezza hanno bisogno della collaborazione dei non-violenti del "popolo di Seattle".
Giovanni Bianconi
GENOVA - Con la modica cifra di trentamila lire si può dare l'assalto alla cittadella del G8. Le Tute bianche genovesi giocano a carte scoperte, mostrano i loro strumenti di lavoro, ne elencano i prezzi a beneficio di giornalisti e cameramen.
"Come ci vedrete adesso, sarà come ci vedrete al vertice", dicono. "La nostra è disobbedienza civile, invaderemo la zona rossa con i nostri corpi e vi faremo vedere come". Si apre una porta della fabbrica abbandonata che ospita il centro sociale "Terra di nessuno", periferia del Lagaccio, sulle alture della città. Dopo il lancio di un fumogeno (un po' di coreografia), escono quattro ragazzi che indossano l'attrezzatura da manifestazione. Uno di loro espone il catalogo con professionalità ("L'attrezzatura suggerita per tutti quelli che vogliono partecipare"). Il kit da piazza è "semplice e alla portata di tutti"; il sughero spesso per fabbricare parastinchi e gomitiere "lo trovate nei migliori negozi specializzati", così come i corpetti nautici, "sempre utili per ogni azione di disobbedienza". Poi, qualcosa per riparare la testa dai colpi delle forze dell'ordine (che qui chiamano "forze dell'impero"). L'ideale è un elmetto antinfortunistico, ma va bene anche un casco da motociclista. Serve una maschera antigas con filtri antipolvere per metalli leggeri, il prezzo non dovrebbe superare le diecimila lire. I guanti da lavoro devono salvare le mani dalle botte "e servono per rimandare al mittente i lacrimogeni", per proteggere gli occhi dai gas meglio gli occhiali da motociclista (più aderenti, riparano meglio) di quelli da nuoto. Per gli scudi, comprare qualche metro quadro di plexiglas e poi dividerlo, ma vanno bene anche le camere d'aria dei camion. Il tutto da indossare sotto la tuta bianca in carta plastificata, che fa sudare come bestie ma ormai è qualcosa di più di un segno di riconoscimento. Il costo totale - garantiscono quelli del "Terra di nessuno" - non dovrebbe superare le trentamila lire.
Ma attenzione. Non è stata una semplice parata, quella di ieri. "È stata una scelta", dice Matteo Jade del centro sociale Zapata. Le parole sono rivolte agli avversari che stanno dietro a una scrivania ("Gli unici violenti sono gli otto grandi, con Ruggiero e con gli altri non parliamo di contenuti"). Ma la dimostrazione è anche un messaggio agli avversari (in divisa) che staranno dietro una transenna. "Vi facciamo vedere quello che abbiamo - dice Jade - , e come lo useremo. Noi non nascondiamo niente". Neppure l'incertezza sul partecipare o meno all'incontro di oggi con il capo della polizia insieme al resto del Genoa Social Forum, neppure l'intenzione di fare campi di addestramento nei due campi da calcio poco lontani dal "Terra di nessuno", da considerarsi occupati a partire dal 4 di luglio. "I nostri strumenti - dice Jade - sono inoffensivi, e serviranno solo per difenderci dagli attacchi delle forze dell'impero. Nessuna violenza da parte nostra".
Gli altri, le "forze dell'impero", non possono mostrarsi. Dicono di essere pronti. La fase di addestramento delle forze dell'ordine è finita. I due poliziotti americani arrivati per spiegare come si usa il "Tolfa-jet" (il manganello vuoto, con manico a "L") sono già ripartiti.
Il nuovo sfollagente verrà utilizzato anche dai carabinieri, e questo è un debutto: niente più fucile, cioè carabina. Avranno gli scudi nuovi, "a tartaruga", piccoli e tondi (più adatti per ripararsi dalle sassaiole), usati dalla polizia giapponese e francese. Non rinunceranno a quelli quadrati, più adatti degli altri a costruire barriere mobili contro i manifestanti. Equipaggiamenti rinnovati. Solo le tute non cambieranno, per proteggersi dalle botte gli agenti indosseranno sotto alla divisa un'armatura paracolpi, con protezioni simili a quelle che usano i giocatori di football americano.
Ci saranno gli idranti, per le strade di Genova. Una ventina, presi a prestito dalla Guardia Forestale. Ogni agente avrà con sé la pistola di ordinanza, una 92 Parabellum. Nessun'altra arma. E un solo punto di contatto con i ragazzi in tuta bianca. La stessa frase, ripetuta nei giorni, che vale come una promessa reciproca: "Nessuna violenza da parte nostra".
Marco Imarisio
Pistole e fucili mitragliatori caricati con pallottole al peperoncino da ieri fanno parte dell'equipaggiamento antisommossa delle forze dell'ordine statunitensi. La polizia di San Diego ne ha comprate due dozzine in vista delle contestazioni di piazza che accompagneranno il "Bio 2001", la fiera del biotech che inizia oggi nella città californiana. I proiettili, grossi come biglie, al contatto col terreno o con un corpo solido si spaccano liberando nubi di peperoncino tanto forte da costringere ad arretrare i dimostranti che avanzano o resistono
ROMA - Parola d'ordine: trattativa. Difficile, senza dubbio, ma "necessaria". Per il G8 il governo ha imboccato questa strada con le aperture del ministro degli Esteri Renato Ruggiero e ora si trova al passaggio più complicato: oggi a Genova il capo della polizia Gianni De Gennaro si vedrà con il portavoce del Genoa Social Forum, Vittorio Agnoletto, e sarà il primo contatto diretto tra le istituzioni e il popolo di Seattle. Ma le "tute bianche" fanno sapere di non avere ancora deciso se parteciperanno all'incontro, segno che il confronto si preannuncia delicatissimo. Una conferma viene anche da ciò che pensa al riguardo Silvio Berlusconi: "Non si possono stravolgere le finalità che sono alla base del G8. La verità è che i Paesi più fortunati vogliono occuparsi anche di quelli meno fortunati. Oggi invece sembra che ci siano otto signori potenti che in una torre d'avorio si riuniscono per decidere il destino degli altri. Non è assolutamente così". A ogni modo "devono essere salvaguardate non solo le forze dell'ordine, ma anche gli anti-G8 che a Genova esprimeranno la loro protesta in maniera legittima" e "ci si dovrà guardare da chi cercherà di approfittare della situazione per dare sfogo ad atti di guerriglia". Il presidente del Consiglio aggiunge anche che effettuerà un sopralluogo a Genova, ma solo alla fine della prossima settimana, quando saranno finiti i lavori alla stazione marittima.
Il Viminale si muove cercando di non irritare la sensibilità degli "anti-giottini" tanto che, in una nota ufficiale, precisa che "la missione" di De Gennaro, "è quella di assicurare il più sereno svolgimento dei lavori del summit consentendo l'espressione di ogni forma di dissenso pacificamente espresso, ma al tempo stesso contrastando ogni forma di violenza".
Da Bologna, dove si svolge la prima assemblea nazionale di Attac, associazione che raggruppa parte della protesta anti-globalizzazione, Vittorio Agnoletto lancia un preciso avvertimento: "Noi poniamo un problema politico, non di ordine pubblico. Se ci chiamano solo per ratificare le decisioni del governo, l'incontro non durerà più di trenta secondi". Insomma, il portavoce del Genoa Social Forum tiene duro: "Non accettiamo l'esistenza di zone "gialle" e "rosse" e chiediamo di non chiudere la frontiera di Ventimiglia".
Ecco le condizioni del popolo di Seattle. Punti che fanno capire quanto sarà difficile trovare un'intesa, anche perché gli "antigiottini", con le loro diverse anime, si dividono sull'opportunità del dialogo con il governo. Unanime invece la richiesta ai ferrovieri di annullare lo sciopero in programma dal 13 al 15 luglio, "altrimenti tutto sarà più difficile per chi vorrà raggiungere il Forum". Cioè gli incontri fissati a Genova dai contestatori alla vigilia del G8. E proprio il luogo di raduno dei vari gruppi, associazioni e "tute bianche", sarà un altro punto delicato della trattativa: "Vogliamo Marassi, zona che oltre a essere centrale è anche la più attrezzata per l'accoglienza". E tanto per ribadire che il dialogo non sarà una passeggiata Agnoletto risponde con durezza al ministro degli Esteri Ruggiero: "Non basta usare le stesse parole per concludere che vogliamo le stesse cose: le differenze restano abissali su temi come l'Aids e le multinazionali".
Roberto Zuccolini
L'EVENTO Il G8 è il vertice dei capi di Stato o di governo degli otto Paesi più industrializzati del mondo
I "GRANDI"
Sono, in ordine alfabetico: Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Russia e Stati Uniti
I GIORNI
Il G8 si terrà a Genova tra il 20 e il 22 di luglio
L'AGENDA
I temi del vertice saranno la riduzione della povertà, la tutela dell'ambiente, la prevenzione dei conflitti. Ma ci sarà spazio anche per parlare di riciclaggio di denaro sporco e crimini tecnologici
LA PROTESTA
Oltre 100 mila persone si riuniranno a Genova nei giorni del vertice per manifestare il proprio dissenso rispetto al governo dell'economia mondiale e alla globalizzazione
LA SICUREZZA
Per garantire il regolare svolgimento del vertice sono stati mobilitati 12 mila uomini tra polizia, carabinieri, finanza e militari
I DIVIETI
Nei giorni del summit Genova diventerà una città blindata: saranno presidiati i caselli dell'autostrada, fermati i treni in transito, saldati i tombini e bloccato il traffico navale entro le 2 miglia dalla costa. Nella zona "rossa", la più vicina alla sede del G8, si entrerà solo con uno speciale permesso