ISRAELE/PALESTINA
Olmert? Non ha detto nulla di nuovo
di Zvi Schuldiner
Un'intervista del Primo Ministro provvisorio Olmert al Jerusalem Post
sembra aver suscitato reazioni molto più accese fuori da Israele
che nel paese. Quanti si sono lasciati entusiasmare dalla demagogia del
premier Ariel Sharon e dalla sua ritirata unilaterale da Gaza
dovrebbero ripensare alcune questioni fondamentali sulla pace in Medio
Oriente. Converrebbe che tutti pensassero bene agli eventi di questi
giorni, giacché la politica israeliana, il dogmatismo di Hamas,
la politica cieca di Bush e dei suoi accoliti minacciano di lanciare
altra benzina sul fuoco della violenza israelo-palestinese. Vorrei
«difendere» Olmert. Il Primo Ministro provvisorio di
Israele non ha detto nulla di nuovo. Olmert non ha fatto che confermare
quanto abbiamo scritto in numerose occasioni sul manifesto: il ritiro
unilaterale da Gaza faceva parte di un piano strategico. Per Sharon,
Olmert e i loro alleati la vittoria di Hamas è un vero regalo,
poiché sembra confermare la felice tesi secondo cui «non
ci sono partner possibili».
La ritirata unilaterale da Gaza e la continuazione di questa linea non
puntavano a una pace vera, ma a creare le condizioni perché
Israele possa esercitare una politica unilaterale con il nulla osta
delle potenze occidentali. Ciò significa neutralizzare i piani
europei o americani che costringerebbero Israele alle frontiere del
1967, e non rispettare la condizione essenziale di qualunque accordo di
pace: ovvero, che non può basarsi su un'imposizione unilaterale
dell'occupante. Se questo accadrà, si creeranno i presupposti
per la prossima esplosione. La storia è piena di esempi.
Il governo israeliano e i suoi obbedienti esperti militari possono
continuare a cianciare sul pericolo di sterminio rappresentato da
Hamas, mentre Israele riposa su un esercito potente, un arsenale
atomico, e un'economia mille volte più forte. Il terrore di
Hamas, condannabile sul piano morale e politico, è lungi
dall'essere il mostro che può provocare la scomparsa di Israele,
come vanno dicendo al mondo i portavoce del governo israeliano.
La propaganda israeliana pone un serio problema al cittadino pensante,
al pacifista coerente. Perché mai tanti credono a storie del
tutto infondate? Il pensiero politico occidentale, la stampa, i mezzi
di comunicazione sono stati invasi, soprattutto dopo l'11 settembre
2001, dagli stereotipi più strampalati della destra americana.
La paura ha trionfato e le concezioni basilari del liberalismo sono
state schiacciate dalla linea dura che invita alla forza contro
«i mostri mondiali che minacciano la sacra civiltà
occidentale e cristiana». Credevamo che i diritti dello stato
liberale moderno facessero ormai parte dello sviluppo storico e non ci
siamo accorti che bastava molto poco a limitarli o cancellarli.
Non c'è povertà, l'imperialismo è un'invenzione
dei dogmatici, lo sfruttamento quotidiano di due miliardi di esseri
umani non conta, gli enormi capitali investiti per foraggiare i signori
della guerra garantiscono la nostra sicurezza. I crimini, la tortura,
le decine di migliaia di vittime dell'aggressione americana sono il
prezzo della libertà e della sicurezza.
Bush mette il mondo a ferro e fuoco e noi, qui, in Medio Oriente,
più modesti, con tutto il peso del passato, contribuiremo al
nostro piccolo incendio in questo perenne inferno mediorientale. Sagaci
politici parleranno di sicurezza e i popoli - sì, i popoli -
israeliano e palestinese continueranno a pagare il prezzo terribile del
fondamentalismo, delle loro guerre.
O dei fondamentalismi. Hamas dovrà decidere se il problema
è come spedire altri giovani nelle braccia delle settanta
vergini che li attendono in Paradiso dopo il suicidio esplosivo, grazie
al quale avranno ucciso una o due o dieci decine di israeliani. Oppure,
se la linea pragmatica esige ciò che Arafat e Abu Mazen e altri
hanno considerato percorribile, un compromesso storico fra israeliani e
palestinesi.
E gli israeliani che andranno alle urne alla fine del mese dovranno
pensare bene al proprio fondamentalismo, che resta l'ostacolo
principale a una politica di pace. Il presunto pragmatismo di Sharon o
dei suoi successori è solo una ricetta per nascondere
l'occupazione. Uno stato palestinese mutilato, finzione di bantustan
controllati dall'occupante, non è la pace.
Le ricette unilaterali mascherano l'occupazione. Gli israeliani non
credono più a queste panzane. La maggioranza capisce che bisogna
lasciare i territori, che Gerusalemme ha bisogno di un'immaginazione
più fervida. Coloro che si facevano delle illusioni con Sharon e
i suoi si sono forse domandati che cosa stesse succedendo nella
«eterna e unificata capitale di Israele»? Coloro che hanno
visto nel Muro dell'Odio una barriera di sicurezza, si sono forse
domandati quanta sofferenza, miseria, sfruttamento, dolore e odio crea
questo muro? Che cosa ci può essere di sicuro nel relegare nella
disperazione il bambino che va a scuola, il contadino che perde le sue
terre, colei che deve partorire sotto il fuoco dei soldati, chi perde
la possibilità di guadagnarsi il pane?
Olmert non ha detto nulla di nuovo, ma va preso sul serio.
L'unilateralità israeliana ci porta una volta di più alla
guerra. E i settori più pragmatici e politici di Hamas
dovrebbero spiegare se sono disposti a cercare un'altra strada o se
continueranno a essere alleati simbiotici del bellicismo israeliano.
(traduzione Marcella Trambaioli)