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Uranio impoverito: un veleno del militarismo |
COMITATO SCIENZIATE E SCIENZIATI CONTRO LA GUERRA.
Rischio DU nei Balcani.
Tesi: sosteniamo come sia lecito attendersi l’insorgenza di tumori da DU nei militari italiani.
Vi sono stati negli anni ’90 circa 90000 casi denunciati di “Sindrome del Golfo” da parte dei militari USA.
Di questi 60000 sono stati presi in considerazione dal governo USA e a 28000 veterani attualmente il governo eroga una sorta di “indennità di invalidità”. Analoghi casi si sono manifestati in soldati britannici.
Attribuire la sindrome del Golfo al solo DU non è realistico. Essa è il risultato di diverse concause:
- inquinamento chimico e/o biologico dovuto ai bombardamenti di impianti industriali nemici
- uso di armi all’uranio impoverito
- stress disordini alimentari
Inoltre: vaccini e antidoti sperimentali contro armi chimiche e biologiche, inoculati ai soldati; probabile uso di armi chimiche; farmaci anti malarici distribuiti alle truppe; fumo derivato dall’incendio di pozzi di petrolio; uso massiccio di pesticidi nei campi desertici; batteri e fauna microbiologica tipica del deserto e di alimenti della zona.
Abbiamo volutamente separato le prime tre concause dalle altre, in quanto le prime sono le stesse responsabili di una affine “Sindrome dei Balcani”, che si sta manifestando tra le nostre truppe e che, a nostro parere, non mancherà di mietere altre vittime anche in futuro.
Sul problema dell’inquinamento chimico causato dai bombardamenti NATO torneremo in seguito, anche se va sottolineato fin da subito che gli effetti sinergici e combinati dei diversi contaminanti porteranno ad individuare in alcune aree la predominanza di alcuni fattori rispetto ad altri, permettendo di ricostruire, forse soltanto ad effetti conclamati, il quadro epidemiologico differenziale delle diverse forme di contaminazione.
Parlando del rischio da DU nei Balcani, riportiamo la sima effettuata a partire dai calcoli di uno degli scriventi ( Carlo Pona ), nel suo articolo “Rischi legati all’impiego bellico dell’uranio impoverito”, nel libro “Contro le nuove guerre” ( Odradek, Roma , ott. 2000 ), atti del convegno “Cultura, scienza e informazione contro le nuove guerre”, organizzato al Politecnico di Torino nel giugno del 2000 dal Comitato scienziate e scienziati contro la guerra. Si faccia riferimento anche all’altro articolo, contenuto nello stesso libro, di C. Giananrdi e D. Dominici “ esposizione della popolazione da uso dell’uranio impoverito”.
Verrà riassunta una valutazione dosimetrica utilizzando un codice di calcolo sviluppato per lo scopo dai laboratori Nazionali di Argonne, negli Stati Uniti.
Per il calcolo degli scenari di esposizione e contaminazione al DU si sono fatte le seguenti ipotesi: in ogni attacco sono stati impiegati 10 kg di proiettili al DU, e che tutti i 10 kg siano stati trasformati in aerosol e polveri, distribuiti uniformemente su una superficie di 1000 metri quadrati. Una tal massa di proiettili corrispondono a una raffica di 33 colpi anticarro cal. 30 mm, numero perfettamente accettabile, ad esempio, per garantire la distruzione di un carro, considerato che non tutti i colpi andranno a segno.
Con queste premesse sono state calcolate le dosi ad individui adulti, sia in prossimità di un bersaglio al momento dell'attacco, sia in seguito per la deposizione al suolo, per la risospensione della polvere contenente DU e attraverso la catena alimentare. Sono assunzioni assai prudenziali: anche secondo i dati ufficiali forniti dalla NATO, uno scenario di questo tipo si sarebbe potuto verificare circa 1000/1500 volte nel corso dell'aggressione. Secondo le fonti jugoslave, circa il doppio.
I vari casi studiati sono ( si legga l'articolo per maggiori informazioni ):
1. inalazione istantanea di aerosol di uranio durante l'attacco;
2. inalazione per risospensione , a causa di una presenza prolungata sul sito;
3. ingestione di vegetali subito dopo l'attacco;
4. esposizione esterna da terreno contaminato;
5. contaminazione da dieta per ingestione di cibi contenenti DU.
Il problema più importante da valutare non riteniamo sia quello della dose ai singoli, ma quella alla popolazione nel suo complesso. La dose collettiva efficace è il prodotto della dose assorbita da un singolo individuo per il numero di individui esposti e si indica in men-Sv o Sv-persona. I dati calcolati per ogni individuo vanno moltiplicati per il numero di persone esposte per avere una stima della dose collettiva. Tenendo conto delle stime della International commision for Radiological Protection ( ICRP ), possiamo stimare l'incidenza di nuovi tumori maligni al tasso di 1 ogni man-Sv ( si tratta di un'assunzione probabilmente ottimistica e che sottostima il rischio )
Gli scenari più gravi risultano essere quelli da inalazione, sia istantanea che da risospensione, che quelli da ingestione.
Riassumendo potremmo fare uno schema riassuntivo dei vari contributi ( in tabella ).
Tabella: impatto radiologico complessivo |
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Ipotesi: 10 kg di DU rilasciati nell'attacco;
area interessata: 1000 metri quadrati, densità al suolo. 1,5 |
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microSv/a |
microSv (una tantum ) |
esposizione esterna |
superficie |
1450 |
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inalazione |
istantanea 1 minuto |
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22600 |
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permanenza limitata |
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0,14/14 |
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permanenza protratta |
42/4200 |
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ingestione |
1 grammo di suolo |
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3,35 |
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acque potabili (3l/g ) |
900 |
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cibo: breve termine |
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43 |
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cibo: lungo termine |
70 |
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totale parziale |
2500/6700 |
22600+45/60 |
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totale ( 1 anno ) |
2600/6800+22600 una tantum |
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Aumentando prudenzialmente la cifra annua includendovi i contributi "una tantum", il cui effetto non è affatto trascurabile sull'insieme della popolazione, si può considerare un valore annuo di dose a persona intorno ai valori massimi della stima effettuata, ovvero sui 5-6 milliSv/anno.
Ciò significa un caso di tumore in più rispetto a un gruppo di controllo ( non irraggiato ) ogni circa 8000-10000 persone all'anno.
Su una popolazione di 2 milioni di persone , si tratta di 200-250 casi in più all'anno.
Per quanto riguarda l'esposizione dei militari il caso si complica, il discorso si complica a causa delle loro diverse abitudini "sociali e di vita" rispetto a una popolazione civile. Le occasioni e le modalità della loro esposizione sono maggiori. Pensiamo agli elicotteristi e alla inalazione di polveri, per fare un esempio. oppure ai costruttori di installazioni da campo o di alloggiamenti militari, oppure agli addetti allo sgombero e alla "pulizia" dei campi di battaglia. a rischio maggiore dovrebbero essere comunque gli specialisti del nucleo "Bonifica ordigni esplosivi". Inoltre, la permanenza si un militare, anche se non impegnato in attività di guerra diretta, ma solo di "peace keeping", è più peculiarmente legata a campi di battaglia dove l'uso di queste armi è più probabilmente avvenuto.
Non risulta esagerato, ma anzi prudenziale, in attesa di stime più precise, affermare che l'esposizione di militari possa risultare, nel complesso ed in maniera indicativa, pari a due-tre volte quella stimata precedentemente.
Si ritiene allora che si possano verificare casi di tumore con tassi di insorgenza pari a circa uno in più ogni 2000-5000 persone all'anno.
Stimando che il numero di soldati italiani impiegati negli scenari jugoslavi ammonti a circa 40000 unità, possiamo attenderci nell'ordine da 10 a 20 casi all'anno di tumore in più rispetto al normale.
Teniamo inoltre a precisare come, su una popolazione di 40000 individui sani e giovani (età media sui 25 anni ), l'incidenza annua di leucemie è piccola ( un numero inferiore all'unità ), quindi tutti i casi che si verificano in questi giorni sono "anormali", anche se non portano , e fino a prova contraria, nessuna "firma" che attribuisca la patologia a questo o quell'agente cancerogeno.
La nostra stima è stata effettuata con il meglio delle informazioni in nostro possesso. I dati sono in accordo con le evidenze patologiche che si sono recentemente manifestate. Potranno essere migliorati e precisati una volta a disposizione dati sperimentali affidabili sui livelli di contaminazione in situ.
A questo proposito, già durante la guerra in Kossovo uno studio di una Ong italiana, il Landau Network di Como, aveva segnalato, utilizzando un metodo rigorosamente scientifico, quello che sarebbe potuto accadere di lì a qualche anno. Lo studio metteva in forte evidenza il rischio radiologico dell'uso militare del DU. Questo studio fu commissionato dal ministero degli esteri in piena guerra. Quando fu pronto, a luglio del '99, fu inviato alla Commissione Esteri del Senato.
Nel novembre del 1999, venne in Italia il professor Pedrag Polic da Belgrado, che portò campioni di terriccio, che furono analizzati nei laboratori dell'Enea di Bologna, sotto la supervisione del dott.Paolo Bartolomei. Uno di questi fu trovato altamente radioattivo, circa cento volte più del dovuto. successivamente vi furono alcune interrogazioni parlamentari dei senatori Tana de Zulueta e Giangiacomo Migone. A marzo c'è stata un'altra interrogazione che mirava a stabilire che queste armi sono disumane. Nel marzo del 2000, poi, vi è stata una conferenza al Senato della Repubblica di presentazione di questa ricerca. E' allora impossibile sostenere che il governo italiano non fosse a conoscenza di questi fatti.
La Repubblica Federale di Jugoslavia, tramite il suo ministro per lo sviluppo, la scienza e l'ambiente, ha pubblicato infine lo scorso anno un rapporto circostanziato sulle conseguenze ambientali dei bombardamenti della NATO. Nel rapporto un capitolo è dedicato all'uranio impoverito. La stima del carico di DU depositato è di 50000 proiettili, pari a circa 15
tonnellate, più alto di quella della NATO. Prudenzialmente, in questo documento, abbiamo comunque fatto riferimento alle cifre fornite dalla NATO ( 31000 proiettili ).
La contaminazione del suolo è stata confermata da misure di spettrometria gamma eseguite presso L'Istituto di Scienze Nucleari di Vinca, vicino a Belgrado, e i dati forniti riferiscono di campioni di suolo con concentrazione di DU fino a kbq/kg. Le aree più colpite sarebbero già state localizzate tutte e recintate per impedirne l'accesso in attesa della decontaminazione, che consisterebbe nella rimozione dello strato superficiale del terreno e lo smaltimento in discarica controllata. Non vengono menzionati i missili tomahawk, che invece secondo altre fonti e informazioni dirette sarebbero stati utilizzati anche nelle vicinanze di Belgrado ( aeroporto militare di Rakoica ) e Novi Sad.
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