LE DONNE NELLA RESISTENZA
IRANIANA
DA
UN INCONTRO IN FRANCIA, ELEMENTI DI RIFLESSIONE PER LE DONNE OCCIDENTALI
aprile 2004, di Eleonora
Cirant. Fonte: Delt@ n.55 del 10 marzo 2004
"Il 52 per cento del Parlamento [della Resistenza Iraniana] è composto da donne. Il Comando Generale dell'Esercito di Liberazione Nazionale Iraniano (ELNI) è formato essenzialmente da donne e il Consiglio Direttivo dei Mojahedin, la forza trainante all'interno del movimento di resistenza, è composto interamente da donne. Le donne comandano e dirigono a diversi livelli le unità specializzate di assalto, nella struttura del movimento politico e negli affari organizzativi. Sotto la loro direzione, la divisione uomo-donna del lavoro è diventata cosa del passato". E' un brano tratto da uno dei documenti che ho raccolto nel corso della partecipazione al meeting internazionale organizzato dalla Commissione donne del CNRI (Consiglio nazionale resistenza iraniana) in occasione della festa della donna. Ospitate nella sede centrale del CNRI, in una località della Francia, eravamo quasi duecento donne da moltissimi Paesi di tutti i continenti.
Maryan Rajavi, la Presidente del CNRI, ha tenuto una lunga e appassionante conferenza nella quale, partendo dalla descrizione della terribile condizione delle donne in Iran, ci ha condotto fino al cuore delle nostre stesse contraddizioni di donne "emancipate". Ciascuna delle presenti ha potuto riconoscersi nelle sue parole. Noi occidentali abbiamo molto da imparare dal percorso delle donne della resistenza iraniana. Il loro messaggio fondamentale è che non esiste lotta per i diritti senza un percorso di liberazione che passa dal cambiamento individuale: il patriarcato lo abbiamo prima di tutto nella nostra testa, e da lì dobbiamo estirparlo se vogliamo combatterlo fuori di noi.
Nella prima parte della conferenza, Maryan ha tracciato l'analisi politica che il Movimento della Resistenza ha sviluppato sul fondamentalismo islamico, mostrando come il regime dei mullah, fondato sul "fondamentalismo fascista", usi la religione islamica snaturandone il significato ai fini strumentali del mantenimento del proprio potere. La colonna portante del fondamentalismo e ciò di cui si alimenta per sopravvivere è la "segregazione sessuale". Il messaggio dell'Islam, stravolto nell'uso strumentale che il fondamentalismo fa del Corano, cambia di segno ove se ne abbia una visione dinamica. Bisogna riconoscere la dimensione storica entro cui i precetti del Corano sono stati scritti, salvaguardandone il significato veramente rivoluzionario, sia per l'epoca antica che per l'epoca contemporanea. Il messaggio dell'Islam "genuino" è che l'unica discriminante tra le persone è la capacità di assumersi le responsabilità rispetto alla comunità umana e al mondo, la consapevolezza che la propria essenza, uguale per donne e uomini, risiede in questa stessa responsabilità sociale. Il regime dei mullah, viceversa, fossilizza alcuni precetti estrapolandoli dal contesto storico (su migliaia di versetti, solo in uno c'è scritto dell'uso del velo da parte delle donne), inventando regole che nel Corano non esistono e tutte fondate sull'oppressione sessuale. Non è scritto che le donne non possano divorziare, comandare, giudicare, vestirsi come vogliono, avere la propria parte di eredità, avere il controllo sul proprio corpo. Non è scritto che abbiano l'obbligo della maternità, ma al contrario che possono scegliere. La lapidazione è un'invenzione recente.
Perché i fondamentalisti insistono tanto sui peccati sessuali, accentuandoli? Perché è lo strumento più efficace per mettere in atto l'oppressione: è il prezzo del loro potere. Ogni parte dell'apparato repressivo passa dal controllo sul corpo femminile. Eppure sotto il regime dei mullah la prostituzione ha assunto dimensioni gigantesche. "I peccati sono come una gabbia che isola l'individuo, rendendolo pauroso ed instabile. Nell'Islam autentico l'essere umano ha la possibilità di uscire dalle vie obbligate dell'istinto, ha l'obbligo di migliorare la vita sociale e le capacità per farlo".
Dai primi anni '90 la Resistenza iraniana ha denunciato che il fondamentalismo islamico sarebbe diventato una minaccia mondiale. Sviluppatosi in Iran con il regime di Khomeini, è stato esportato in altri Paesi, perché l'unico mezzo per la sopravvivenza del regime è proprio la sua diffusione. Fin dalle origini, con il regime khomeinista, l'Iran è centro propulsore del fondamentalismo. L'attuale divisione tra fronte moderato e conservatore è pura apparenza.
Che fare? "Nessuno potrebbe avvertire tramite un modello non islamico 750 milioni di donne musulmane contro la minaccia del fondamentalismo. Quindi la risposta è nell'Islam stesso, ma l'Islam democratico, nel quale donne e uomini sono esseri umani liberi di amare e di decidere".
Questo è stato il contenuto della prima parte della conferenza. Ma quando Maryan ha raccontato il percorso fatto da donne e uomini nella Resistenza iraniana, allora hanno preso forma le nostre contraddizioni di donne occidentali. Il nocciolo di questo percorso è la presa di coscienza che tra il proclamare l'uguaglianza tra donne e uomini e il metterla in pratica c'è un abisso. Quello che abbiamo ascoltato nella seconda parte della conferenza è la storia di un movimento di un'organizzazione mista che ha posto come tema politico prioritario affrontare questo abisso, e tentare di dare nuova forma ai rapporti tra le persone. Questa è la storia, per contrasto in negativo, anche di un Paese come l'Italia, dove il potere è ancora saldamente in mano agli uomini, dove la maggioranza delle donne acconsente a questo dato come fosse naturale, dove i diritti conquistati dalle donne sono ogni giorno messi in discussione da leggi che non le rappresentano (forse perché queste stesse leggi sono fatte in un Parlamento in larga maggioranza maschile?). Maryan racconta, snocciolando le esperienze pratiche di un cambiamento culturale che a me trentenne del duemilaquattro pare impossibile. "All'inizio, nonostante gli uomini credessero nell'uguaglianza, le donne non erano nella dirigenza. Non c'erano ostacoli, ma era così. Ne abbiamo discusso, e quello che abbiamo capito ci ha fatto fare un salto. Noi donne abbiamo dovuto prenderci la responsabilità di decidere, di comandare. Io sono tra quelle che ha fatto questo percorso, è stato difficilissimo, ma ho capito che liberare me e permettere agli uomini di liberarsi dipendeva proprio dall'assumermi questa responsabilità."
È stata posta la regola che nella dirigenza ci fossero almeno il cinquanta percento di donne. Accettare le responsabilità del comando delle donne è stato difficile prima di tutto per le stesse donne, per mancanza di fiducia nelle propria capacità. Anche gli uomini avevano difficoltà ad accettare di essere comandati, accettare questo fatto è stato un momento doloroso. Ogni donna doveva continuamente chiedersi se i contrasti fossero nella realtà o dentro di sé, in un conflitto interiore continuo. Per gli uomini era tanto più difficile se al comando c'erano donne non belle. Maryan cita le parole di uno di loro: "Questi erano pensieri veloci, ma quando sono riuscito a coglierli e ad analizzarli mi sono reso conto che non vedevo le donne come persone, ma come oggetti, come merce. Avendo donne comandanti mi sono accorto dell'egemonia patriarcale dell'uomo sulla donna." Maryan chiama "politica della differenza positiva" questo percorso di assunzione delle responsabilità da parte delle donne e discussione della divisione dei ruoli tra uomini e donne. Il racconto delle fasi di questo lento cambiamento culturale vissuto da questa generazione entro la Resistenza iraniana, viene descritto attraverso i racconti del vissuto delle persone. Una donna: "Mi sono accorta con sofferenza della gelosia e dell'invidia che provavo per le capacità delle altre donne. Mi chiedevo, come è possibile che io sia gelosa verso un'altra donna femminista e combattente, perché è più giovane, più carina, più colta, più brava". Maryan: "Ci siamo accorte che l'obbligo della bellezza è un mostro che comprime le energie di ogni donna. Scoprire questo mostro dentro di sé e capire che il proprio valore dipende dall'assumersi la responsabilità verso il mondo, è il modo per liberarci di catene antiche che ci legano mani e piedi".
Proprio il racconto delle esperienze e dei problemi che nascono nel momento in cui le donne occupano posti decisionali, rende il discorso di Maryan non astratto. Ad ogni fase di cambiamento, si affacciano problemi nuovi. Una donna ha detto: "Quando ho saputo che tutta la dirigenza era in mano a donne ho pensato: come facciamo adesso con le cose serie? Come finirà la Resistenza?". Ad un certo punto, tutta la dirigenza è stata nelle mani delle donne. Maryan: "Qui si è aperta la guerra vera. Finché si trattava di organizzare andava bene, ma quando si è arrivate al livello dell'elaborazione dei contenuti le donne preferivano lasciare il compito agli uomini. Ci hanno messo tanto tempo per capire che questa difficoltà derivava dal pensiero patriarcale. Ma quando hanno capito, hanno cercato di fare entrare altre donne e di aiutarle a combattere contro la propria insicurezza. Gli uomini, quando hanno sentito che attraverso l'elaborazione dei contenuti le donne entravano nelle loro competenze, sono diventati passivi. Fare entrare le donne nel proprio territorio rimanendo attivi è stato un passaggio fondamentale e difficile. Quando gli uomini hanno imparato a non essere passivi rispetto all'egemonia delle donne, allora si sono accorti che erano più liberi di quanto lo fossero prima, avendo accesso a parti inesplorate di sé".
"Eliminare il pensiero patriarcale dentro si sé. Educare le donne all'alta dirigenza. Educare una nuova generazione ad estirpare il pensiero patriarcale da dentro di sé, a praticare l'uguaglianza. Questo è un lavoro che continua, quotidianamente. Questa è la nostra lotta continua contro il fondamentalismo. Nel ventunesimo secolo non è possibile arrivare alla pace e alla libertà se le donne non sono presenti in tutti i campi. Perché ciò sia possibile, bisogna che ci sia un periodo di discriminazione positiva per le donne, per dare loro la possibilità di assumersi le responsabilità della decisione e del potere. Le donne non devono essere rinchiuse nel ruolo familiare, ma devono poter scegliere e poter dedicare quando necessario tutto il loro tempo per l'attività sociale e politica. Ogni donna ha il dovere di liberarsi dentro di sé, perché solo da questo percorso può iniziare la lotta che porta alla libertà e all'uguaglianza, che nessuno ci regalerà gratis".
http://www.donneiran.org/
http://www.maryam-rajavi.org/