POLITICA MIGRATORIA EUROPEA: PERICOLOSA E FALLIMENTARE
LA RISPOSTA DEL COORDINAMENTO EUROPEO PER IL DIRITTO DEGLI STRANIERI A VIVERE IN FAMIGLIA AL DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE EUROPEA SUL BILANCIO DELLE REALIZZAZIONI NELL'AMBITO DI: "EUROPA: SPAZIO DI LIBERTA', SICUREZZA E GIUSTIZIA A CINQUE ANNI DAL CONSIGLIO EUROPEO DI TAMPERE"


settembre 2004, dal COORDINAMENTO EUROPEO per il Diritto degli Stranieri a Vivere in Famiglia

 

Il 2 giugno 2004 la Commissione ha reso pubblica una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata " Spazio di Libertà, di Sicurezza e di Giustizia: bilancio del programma di Tampere e orientamenti futuri" (1), in cui si annuncia l'apertura di una consultazione pubblica che invita "i cittadini" a inviare contributi per l'elaborazione di un nuovo programma.
È a questo invito che il Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia intende rispondere con la presente nota.. Prima di tutto tre precisazioni.
Le osservazioni del Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia riguardano solo la politica dell'immigrazione e, più precisamente, la questione dell'integrazione dei cittadini provenienti da paesi terzi.
Inoltre, prima ancora di apportare un contributo sul programma futuro propriamente detto, il Coordinamento desidera comunicare le sue impressioni sul bilancio di Tampere.
Infine, si tratta non tanto di un contributo quanto di un parere su quelle che la Commissione ha già espresso come priorità per l'avvenire dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
In occasione del Consiglio europeo straordinario, svoltosi il 15 e 16 ottobre 1999 a Tampere, sono stati individuati quattro ambiti prioritari nel quadro della politica comune europea in materia di asilo e di immigrazione: il partenariato con i paesi d'origine, un comune regime d'asilo europeo, un trattamento equo nei confronti dei cittadini dei paesi terzi e infine la gestione dei flussi migratori.
Per ognuno di questi ambiti sono stati indicati alcuni orientamenti di lavoro. Per quanto riguarda dunque il trattamento equo nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, sono stati formulati quattro orientamenti:

- l'Unione europea deve assicurare un trattamento equo ai cittadini dei paesi terzi che risiedano legalmente sul territorio dei suoi Stati membri. Una politica più energica in materia di immigrazione dovrebbe avere come ambizione quella di offrire loro diritti e doveri pari a quelli dei cittadini dell'Unione europea;

- L'Unione deve intensificare la lotta contro il razzismo e la xenofobia;

- E' necessario riavvicinare tra loro le legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, basandosi su una valutazione economica e demografica comune della situazione all'interno dell'Unione e nei paesi di origine;

- Lo statuto giuridico dei cittadini dei paesi terzi deve essere ravvicinato a quello dei cittadini degli Stati membri. Una persona legalmente residente in uno Stato membro, per un dato periodo, deve vedersi riconoscere in quello Stato un insieme di diritti uniformi e simili a quelli di cui godono i cittadini dell'Unione europea.

Qual è l'attuale situazione dell'Unione rispetto agli obiettivi riguardantii le decisioni adottate con l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam?

È inevitabile constatare come il bilancio non sia all'altezza delle ambizioni.
Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione europea, il bilancio di Tampere è molto deludente da due punti di vista: da una parte, si nota un forte squilibrio tra l'attività normativa concernente l'"integrazione" dei cittadini dei paesi terzi e quella riguardante altri ambiti (visti, controlli alle frontiere esterne, politica di ritorno). Solo due delle direttive che apparivano nel primo capitolo sono state adottate: quella relativa al diritto al ricongiungimento familiare (2) e quella sullo statuto dei cittadini dei paesi terzi residenti a lunga durata (3) . D'altra parte tali testi sono ben lontani dal rispondere alle attese sull'integrazione degli stranieri non comunitari nell'Unione europea. Talvolta alcune disposizioni vanno addirittura contro gli obiettivi che dovrebbero raggiungere.
Per questo la direttiva relativa al ricongiungimento famigliare è stata oggetto di vive critiche da parte di numerose organizzazioni europee e di reti di associazioni cristiane a livello europeo (Caritas, Comece, CCME, ICMS, JRS, Quaker Council). Da parte sua il Coordinamento europeo, stimando il contenuto della direttiva come contrario a numerosi testi internazionali ed europei, quali la Convenzione internazionale dei diritti del bambino e la Convenzione internazionale di tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ha promosso una campagna affinché il Parlamento europeo si appellasse alla Corte di Giustizia di Lussemburgo per ottenere l'annullamento di tale direttiva. Questa richiesta è ancora in corso di esame da parte della Corte.
Per quanto riguarda la seconda direttiva, sebbene preveda l'accesso dei cittadini dei paesi terzi a uno statuto di lunga durata, che permette loro l'uguaglianza di trattamento nei diversi ambiti, non risponde ancora all'obiettivo inizialmente dichiarato di concedere un insieme di diritti uniformi e il più possibile simili a quelli di cui godono i cittadini dell'Unione europea. In realtà, la logica di questo testo è la stessa di quella su cui si fonda la politica migratoria europea: si parla di "utilitarismo migratorio", secondo cui si tende a riconoscere agli stranieri extracomunitari solo alcuni diritti in funzione dei bisogni demografici e del mercato del lavoro degli Stati membri.
Laddove la Commissione europea afferma: "() la costituzione europea si basa su una concezione rigorosa della tutela dei diritti fondamentali e la Commissione si è sempre preoccupata di assicurare il giusto equilibrio tra libertà, sicurezza e giustizia " (4), il Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia ritiene invece che l'Unione europea sia lontana dall'aver sempre rispettato la concezione rigorosa della protezione dei diritti fondamentali e che la Commissione non sia sempre riuscita a garantire l'equilibrio di cui si parla.
Ma il Coordinamento è ancor più preoccupato a proposito degli orientamenti di lavoro dichiarati dalla Commissione nella comunicazione del 2 giugno 2004.
- Vi è prima di tutto ancora affermato il carattere fondamentale del rispetto dei diritti fondamentali. Ma nessuna azione concreta viene proposta, a parte la possibilità di integrare la carta dei diritti fondamentali al Trattato costituzionale e l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Per quanto riguarda la carta bisogna purtroppo constatare che questa consacra e rende definitive, attraverso statuti giuridici differenziati, le discriminazioni esistenti tra i cittadini comunitari e quelli dei paesi terzi e tra gli stranieri in situazione regolare e quelli in situazione irregolare. Quanto all'adesione alla CEDH, il Coordinamento ritiene che, pur essendo importante, rimane insoddisfacente. Bisogna infatti che il rispetto dei principi si traduca in fatti concreti.

- Al capitolo 2.2. "Favorire le iniziative in materia di cittadinanza europea", constatiamo che niente è detto sulla possibilità di accordare la cittadinanza dell'Unione ai residenti dei paesi terzi. Eppure una "nazionalità di residenza" - che non sarebbe più legata alla nazionalità - permetterebbe ai cittadini extracomunitari di votare e di essere eletti alle elezioni europee e locali dei paesi membri. Non si può parlare di autentica integrazione finché milioni di persone che vivono e lavorano nell'Unione sono esclusi da questo diritto.

- Infine, i punti 2.3. e 2.4. "Sviluppare un sistema integrato di gestione delle frontiere e della politica dei visti e promuovere un'autentica politica comune di gestione dei flussi migratori" non sono altro che la continuazione della politica condotta fino ad oggi: controllo alle frontiere, politica restrittiva dei visti, trattamento equo degli immigrati nei limiti dei bisogni dei paesi membri, lotta contro l'immigrazione clandestina e politica di ritorno. Tutti ambiti nei quali non viene in nessuna misura preso in considerazione il diritto fondamentale di vivere in famiglia. Il Coordinamento vorrebbe soprattutto attirare l'attenzione della Commissione europea sul fatto che la politica comune sui visti, basata quasi esclusivamente sulla prevenzione del rischio migratorio, misconosce completamente il diritto a vivere in famiglia qualora i membri della famiglia desiderino rendere visita allo straniero stabilitosi in un paese membro (il rifiuto del visto, con il pretesto del sospetto di un "raggiro della procedura" o addirittura di un "ricongiungimento famigliare selvaggio" è diventato orami la regola).

La politica migratoria condotta negli ultimi cinque anni nel quadro comunitario (e che la Commissione e il Consiglio vogliono continuare per i prossimi cinque) è a nostro parere pericolosa e destinata al fallimento.
Da una parte in quanto all'origine, in nome del preteso "controllo dei flussi migratori", di numerosi drammi umani, quali i morti alle frontiere il cui numero aumenta ogni anno.
Dall'altra, in quanto impedisce, tutta incentrata sul controllo delle frontiere, che venga pienamente garantito il rispetto dei diritti fondamentali. Ora proprio tale rispetto fonda la costruzione europea nel suo insieme e in particolare lo spazio di giustizia, di libertà e di sicurezza. L'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea lo afferma in chiari termini.

" 1. L'Unione è fondata sui principi della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come sullo Stato di diritto, principi comuni agli Stati membri.

2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea di tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle comuni tradizioni costituzionali degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario".

Di conseguenza il Coordinamento europeo per il diritto a vivere in famiglia invita la Commissione europea, che dispone ormai del solo potere d'iniziativa, a impegnarsi in una vera riflessione soprattutto sulla società civile e le ONG, affinché una diversa politica migratoria sia attuata all'interno dell'Unione europea. Soltanto a questa condizione sarà possibile realizzare una autentico "spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia".

(1) SEC (2004) 680 et SEC (2004) 693.

(2) Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare, GUCE n° L 251 del 3 ottobre 2003.

(3) Direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 relativa allo statuto delle persone originarie da paesi terzi residenti di lunga durata, GUCE n° L 16 del 23 gennaio 2004.

(4) Comunicazione della Commissione, p.4.



Questo testo è stato redatto da Claudia Cortes Diaz, con l'aiuto di Cécile Poletti, giuriste, per il Coordinamento Europeo per il Diritto degli Stranieri a vivere in Famiglia.