URBICIDIO
CHI E' RIMASTO
A FALLUJA
novembre 2004, di Lisa
Clark di Beati Costruttori di Pace
Mi torna in mente un termine usato durante la guerra in Bosnia. Urbicidio. Ma penso a Falluja.
Non sappiamo molto della vita all'interno di questa città. Sono ormai mesi che non ci vanno più giornalisti indipendenti, anche se di recente un'intervista di Radio Popolare ad un giornalista iracheno (che parlava dall'Iraq) ci raccontava di migliaia di famiglie che non avevano abbandonato la città.
Ho vissuto a lungo in una città sotto assedio, a Sarajevo negli anni 93-95. So quindi che coloro che possono fuggire sono i più forti, i più ricchi, i meglio organizzati. Pur non essendo uguali le situazioni, penso di non sbagliarmi se dico che a Falluja sono rimasti i soggetti "deboli", gli anziani, le famiglie con bambini piccoli, i più sfortunati, chi non ha amici o parenti altrove dove rifugiarsi. E, naturalmente, anche alcuni tra i più coraggiosi e altruisti, come medici e infermieri.
Nel frattempo i portavoce della Coalizione militare a guida USA sono quelli che raccontano la storia. Una versione dei fatti costituita da espressioni terribili: "prima li ammorbidiamo con i bombardamenti" e poi "conquisteremo il bastione degli insorti". I bombardamenti mirati sono ormai la favola a cui nessuno crede, ma le immagini di bambini schiacciati sotto le macerie delle propria casa, di donne che strisciano lungo i muri delle case nel tentativo di schivare i colpi non ce le mostrerà nessuno. Vedremo i soliti fuochi di artificio, quasi asettici, con traccianti che solcano i cieli notturni. Solo tra mesi i sopravvissuti potranno raccontarci della sofferenza umana. Intanto possiamo solo immaginare i bambini nascosti nelle cantine, con le mamme che cercano di lenire il terrore raccontando storie, magari facendo improvvisate lezioni di scuola. A Sarajevo le mamme facevano passare il tempo nei rifugi insegnando le tabelle aritmetiche, insistendo che i bambini non dovevano trovarsi troppo indietro quando, alla fine della guerra, sarebbero tornati a scuola. Le donne tennero in vita la speranza in un futuro diverso, in una vita da vivere.
Stanno per uccidere Falluja, la stessa città dove gli occupanti, appena arrivati, fecero fuori quindici persone. Cominciarono da Falluja, e dall'uccisione di quelle quindici persone, alcuni analisti a scrivere come le truppe USA avessero vinto la guerra ma rischiassero di perdere la pace. Espressione che, se non fosse stata tragica, ci avrebbe dovuto far ridere: quale pace?
Falluja ebbe circa 150 morti in un solo giorno nella prima guerra del Golfo, quando una bomba sganciata da un bombardiere britannico della RAF "sbagliò" la mira e cadde su un mercato affollato. Falluja entrerà nella storia, un nome da aggiungere alla lista lunga di urbicidi: Dresda,
Hiroshima, Nagasaki, Grozny, Vukovar, Mostar, Sarajevo .
L'ipocrisia dei danni collaterali è ormai superata. Si vuole il massacro per dare una lezione a chiunque osi resistere. Ho l'impressione che, come Dresda, l'attacco finale a Falluja non abbia alcuna importanza strategica, ma solo un'importanza psicologica. Imporre con il terrore la sottomissione. Gli assalti contro le città hanno più che altro un valore simbolico: servono a dimostrare una ferrea determinazione e ad inculcare il terrore. Lo stesso valore simbolico che ebbero due aerei di linea trasformati in micidiali strumenti di morte, lanciati contro due grattacieli a New York un giorno di settembre di tre anni fa.