L'OCCUPAZIONE DEGLI USA E IL CRESCENTE ESTREMISMO RELIGIOSO: LA DOPPIA MINACCIA PER LE DONNE IN IRAQ
DA UNA MILITANTE DELLE DONNE SOGGETTE ALLE LEGGI ISLAMICHE (WLUML) UN ESAME CRITICO DI COME SIA L'OCCUPAZIOONE DEGLI USA CHE L'ESTREMISMO ISLAMICO MINACCINO LE VITE E I DIRITTI DELLE DONNE, E SULLA TENDENZA DI MOLTI PROGRESSISTI OCCIDENTALI A IDEALIZZARE LA RIVOLTA ISLAMICA, IGNORANDO L'IMPATTO NEGATIVO SULLE DONNE


Settembre 2005. Di Anissa Hélie. Pubblicato su Population and Development Program nel Hampshire College * No. 35 * estate 2005
Traduzione di Miriam Dal Biondo

 

L’8 Febbraio 2005, la rete internazionale femminista e anti-militarista delle Donne in Nero ha lanciato un appello urgente per la liberazione immediata di Giuliana Sgrena, una giornalista italiana e attivista DiN, che era stata rapita in Iraq da un gruppo islamico militante (e che è stata in seguito colpita a fuoco da forze statunitensi mentre stava per essere tratta in salvo) [1]. Tre giorni dopo l’appello, vari gruppi DIN nel mondo si sono mobilitati, tenendo 463 vigil silenziosi sparse per quasi tutti i continenti. Se questo rappresenta una notevole dimostrazione sia dell’efficienza che della forza della solidarietà globale delle donne, l’incidente rimane solo una istantanea dell’aumentare di azioni di violenza contro le donne in Iraq.
Con circa 140.000 truppe attualmente dispiegate e un bilancio totale delle vittime sempre crescente [2] l’occupazione USA dell’Iraq raggiunge numerosi risultati, che variano dalle accuse di crimini di Guerra all’appoggio ad un nuovo governo iracheno basato sull’affiliazione tribale, etnica e religiosa – cosa che probabilmente avrà implicazioni a lungo termine nella regione. Comunque, il contesto iracheno non è segnato solo dall’occupazione USA, ma anche dalla crescita dell’estremismo islamico armato che sta bersagliando le donne.
E’ necessario che la sinistra eviti di idealizzare forze che , a dispetto del fatto che dichiarano di opporsi principalmente all’imperialismo USA, in effetti in Iraq hanno un’agenda fondamentalista.
Aumenta la violenza contro le donne
La aumento in corso della violenza contro le donne in Iraq dovrebbe essere visto nel più ampio contesto delle violazioni dei diritti umani perpetrate dalle forze USA contro civili e detenuti, inclusi i bambini. In verità, la disumanizzazione di chiunque sia identificato come ‘arabo’ o ‘musulmano’ dopo l’11 Settembre e una cultura di razzismo istituzionalizzato nell’esercito USA [3] hanno portato a molte azioni di brutalità.
Ci sono serie prove, avvalorate da Amnesty International e da Human Right Watch, che donne irachene in prigione hanno subito abusi e torture per mano dei soldati USA. [4]
Lo sfacelo della società in Iraq provocato dalla occupazione USA ha avuto anche un impatto nocivo sulle donne. L’attuale situazione della sicurezza è così misera che i genitori sono riluttanti a mandare a scuola le figlie da sole e molte adolescenti hanno abbandonato gli studi.
Minacce di violenza sessuale e di omicidio sono state fatte a donne professioniste perché abbandonassero il loro lavoro. Le donne e le ragazze irachene (alcune giovani di nove anni) vengono sequestrate per riscatto o a scopi di traffici.[5]
La violenza diffusa ha effetti anche sulla partecipazione politica: in seguito all’omicidio di Akila al-Hashimi nel 2003 (una delle sole tre donne del Consiglio di Governo), molte attiviste sono state costrette a ritirarsi dalla sfera pubblica. Eppure un’inchiesta recente sulle donne irachene del “dopo-guerra” mostra come molte di loro continuano a tenere all’accesso alla politica e ai diritti legali.
Questo studio, fatto nel gennaio 2005 Washington da Women International in collaborazione con il Centro Iracheno per Ricerca e Studi Strategici rappresenta un altro esempio di solidarietà internazionale tra donne. [6]
Oltre alla distruzione delle infrastrutture di base, un’estesa mancanza di sicurezza, la violenza delle forze di occupazione USA, l’emergenza e l’aumento dell’estremismo religioso pongono nuove minacce alla vita delle donne irachene.
In un percorso che va ben oltre il cercare di imporre una rigida ideologia di genere, gruppi fondamentalisti armati si rivolgono specificatamente alle donne così da indurre alla paura e all’impotenza la gente comune. Questo spesso è il preludio alla nascita di uno stato islamico. Il lavoro delle Donne Soggette alle Leggi Islamiche (WLUML)mostra che in Iraq c’è un disegno che è stato ripetuto in molti altri contesti: la violenza contro le donne come forma di intimidazione politica è una delle strategie che le forze religiose di estrema destra impiegano sistematicamente [7]. Poiché cercano di assicurarsi il potere politico, i fondamentalisti di vari credi ( Indù, musulmani, cristiani etc..) spesso iniziano intimidendo, perseguitando, sequestrando o uccidendo le donne e le minoranze. Sono particolarmente a rischio le minoranze religiose, etniche e sessuali. In un secondo momento le forze fondamentaliste terrorizzano tutti gli altri cittadini che si oppongono al loro progetto teocratico e autoritario.
Per esempio, in Iraq un gruppo estremista chiamato Mujahideen Shura (consiglio di combattenti) avvisa che potrebbe uccidere qualsiasi donna che fosse trovata per strada senza velo. Il caso recente di Zeena Al Qushtaini ha mostrato che non si tratta di minacce a vuoto. Zeena, una attivista per i diritti delle donne e donna d’affari nota anche per indossare abiti occidentali, è stata rapita e giustiziata dalla Jamaat al Tawhid wa'l-Jihad, un altro gruppo islamico armato. Il suo corpo è stato trovato avvolto nella tradizionale abaya che rifiutava di indossare da viva. All’abaya era spillato il messaggio: “collaborava contro l’Islam” . Gli estremisti musulmani stanno già uccidendo parrucchiere e parrucchieri che sono accusati/e di promuovere la ‘moda occidentale”. [8]. Hanno anche come bersaglio i leader dei sindacati e i gay e le lesbiche[9]. Anche le minoranze religiose sono sotto mira, come i cristiani al nord nella città di Mosul o le donne della comunità cristiana selezionate per una campagna di stupro[10].
Dato il loro progetto politico e le tattiche violente che impiegano, come possono tali gruppi militanti guadagnare un minimo di legittimità in occidente? E’ necessario riflettere sulla natura dei linguaggi usati per riferirsi a questi attori politici sempre più in crescita.
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Idealizzare la “resistenza”
I media occidentali e le organizzazioni per i diritti umani tendono a descrivere queste azioni militanti di violenza usando termini come ‘insurrezione’. C’è anche la tendenza in alcuni ambienti di sinistra e femministi di etichettare gli estremisti islamici – che uccidono, stuprano, rapiscono donne ragazze e mirano apertamente ai civili – come “la resistenza”. Questo risulta altamente problematico in quanto la parola ‘resistenza’ ha una connotazione rivoluzionaria, eroica, che non chiama in causa l’obiettivo politico perseguito dalle fazioni fondamentalisti in Iraq. In Gran Bretagna voci autorevoli di sinistra oltre a idealizzare la “resistenza armata contro l’imperialismo” irachena arrivano addirittura a compararla alle lotte di indipendenza in Vietnam e in Algeria.[11] Vale la pena ricordare che ci sono moltissimi civili disarmati, così come gruppi di varie tendenze politiche, che respingono l’occupazioni USA senza scadere nelle violazioni dei diritti umani e nella violenza. I combattenti islamici non vanno confusi con i movimenti di liberazione nazionale.
L’etichetta ‘resistenza’ è politicamente fuorviante nel contesto iracheno, almeno nella misura in cui coinvolge i gruppi fondamentalisti islamici. È inadeguata perché l’enfasi è strettamente piazzata sul respingere l’occupazione USA. Contrariamente ai proclami antimperialisti fatti dai leader dei gruppi armati, sembra molto improbabile che se o quando le truppe USA si ritireranno, la persecuzione delle donne e/o delle minoranze religiose e sessuali finiranno – perché quello che è veramente in gioco è un’agenda teocratica. Riferita alla ‘resistenza irachena’ è anche pericolosa perché valorizza e glorifica le ali islamiche militanti di destra. Rende invisibile la natura autoritaria dei movimenti di estrema destra che usano la religione, la cultura e l’etnicità per imporre il loro progetto di società alla popolazione.
Quello che abbiamo in Iraq è la violenza. Quello che abbiamo è una lotta per il potere, con molte forze che usano mezzi di estrema violenza – e discorsi differenti. Alcuni usano la dialettica della ‘democrazia’ e di ‘importare la libertà’, mentre altri usano la retorica ‘antimperialista’.
La situazione attuale in Iraq illustra tristemente la compulsiva spensieratezza con cui alcune componenti progressiste in occidente adottano un linguaggio che confonde le complesse realtà politiche. Ancor più inquietante è la crescente tendenza di individui e gruppi dichiarati di sinistra a dare sostegno all’ala destra Musulmana sulla base del loro (presunto) anti-imperialismo. Un sempre crescente numero di attivisti abbracciano strategie a breve-raggio, insistendo per esempio che il “movimento occidentale contro la guerra non deve perdere di vista il fatto che il suo principale nemico sta in casa e che ogni resistenza a quel nemico merita il nostro incondizionato sostegno".[12] Quello che è allarmante in questa affermazione è l’immediata obbedienza al sostegno incondizionato, senza considerare l’ideologia, le pratiche e le azioni di violenza di questi gruppi.
In contesti islamici, come ovunque, ci sono voci progressiste e voci reazionarie. In qualche modo, questi punti di vista politici si confondono mentre segmenti della sinistra occidentale sembrano adottare la strategia di “il nemico del mio nemico è mio amico”, sebbene l’Iran post-rivoluzionario di Khomeini ci avrebbe dovuto insegnare che è davvero sbagliato confondere le voci anti-donna, anti-minoranze, anti-diversità con quelle di sostenitori femministi e progressisti. Questa confusione ideologica non si perde nei fondamentalisti islamici –che sono tutto ma non politicamente ingenui. Infatti, i loro leader a voce bassa traggono attivamente profitto nell’espandere i loro contatti in occidente da una malriposta colpa bianca. Le mani insanguinate minacciano e gli intellettuali educati conquistano: questa è la divisione del lavoro tra questi estremisti. Consapevoli della realtà del razzismo e nello sforzo di fare amicizia con gli oppressi, le forze progressiste occidentali, dai commediografi agli accademici o ai leader di comunità (spesso auto designati), ricercano una ‘prospettiva musulmana’ su tutto. Le voci conservatrici, sembra, sono viste come le più autentiche. In qualche modo, quelle liberali mancano del dolce profumo dell’esotismo. Ne consegue che, punti di vista pericolosamente rigidi vengono spacciati come la “vera” espressione di tutti i musulmani. Lo spazio per il dissenso è monopolizzato dai fondamentalisti, a spese dei difensori della laicità, del femminismo e della democrazia.
Tre esempi recenti evidenziano questo passaggio. In Ontario, Canada, cosiddetti “moderati” gruppi fondamentalisti premono per introdurre la shari’a (l’interpretazione della legge musulmana che in alcuni paesi ha giustificato pene come bastonate, amputazione, lapidazione a morte)così che la “Comunità Musulmana” possa risolvere senza interferenze conflitti familiari.[13] Ci sono simili pressioni in Manitoba e Quebec, così come in Europa e in Australia. A dispetto del fatto che ci sono prove che le leggi incorniciate con riferimenti religiosi sono estremamente letali per i diritti delle donne in molti contesti, l’argomento “multiculturalità” porta molti di sinistra a sostenere ciecamente obiettivi oppressive. In una mossa meno ingenua e più strategica, il governo laburista della Gran Bretagna, introducendo la sua nuova legge sull’uguaglianza nel Febbraio 2005, ha deciso di dare la precedenza alla discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale – per timore che i “musulmani potessero sentirsi offesi se fossero stati associati agli omosessuali”. [14] Ci si chiede come i gay e le lesbiche britannici/e della comunità islamica apprezzeranno il sacrificio dei diritti sessuali sull’altare della libertà religiosa.
Infine, l’ultimo social Forum europeo (ESF), nell’ottobre 2004 - secondo la tradizione dei social forum - intendeva mettere insieme un grande numero di attivisti impegnati in argomenti di dibattito come “la globalizzazione imperialista, il settarismo religioso, l’identità politica e il fondamentalismo”. Meschinamente gli organizzatori dell’ESF si sono gloriati nell’invitare un certo numero di leader estremisti musulmani. Nello stesso tempo, hanno attivamente scoraggiato iniziative più progressiste- come la proposta di una tavola rotonda con portavoce di vari gruppi e reti femministe internazionali (WLUML, DIN, Donne contro il Fondamentalismo, Cattoliche per la Libera Scelta e Agiamo Insieme). Mentre il ConsiglioIslamico Britannico ed altri simili potevano vantare l’accesso a tutte le strutture disponibili nelle differenti tavole rotonde organizzate, la richiesta di una tavola rotonda femminista di ottenere un servizio di traduzione è stata respinta. Ci si domanda se ciò è avvenuto perché l’attenzione femminista sulle “empie alleanze” tra la sinistra e le forze musulmane di estrema destra non sia stata ritenuta troppo minacciosa.
Costruire solidarietà reale.
Questi non sono incidenti isolati, e moniti su tali alleanze su larga scala sono circolati nei gruppi femministi internazionali. .[15] I proponenti del fondamentalismo cercano sostegno nelle forze progressiste facendo leva su ideali rappresentati dalla sinistra, come l’uguaglianza, l’anti-razzismo, la libertà d’espressione. A questo punto della storia quando si è testimoni dell’offensiva dell’estrema destra che guadagna terreno (sia negli USA con la destra cristiana, in India con le forze indù, o in Iraq, in Bangladesh e ovunque) il bisogno della solidarietà internazionale diventa il più urgente. Evitare di associare identità culturali e religiose e riconoscere che non tutti coloro nati in contesti islamici sono credenti, o scelgono di definire se stessi principalmente sulla base della loro fede, sarebbe già un buon inizio. In effetti, con la costruzione di coalizioni fondamentaliste su criteri culturali e religiosi, [16] noi stessi – come popolo progressista e femminista di vario livello – dovremmo escogitare comuni strategie di resistenza a gruppi che praticano la violenza e l’oppressione verso le donne e la gente in generale. E’prioritario ed è un’opportunità per un ulteriore rafforzamento della solidarietà globale.
Anissa Hélie è una storica femminista per formazione e un’attivista per scelta. Nel 2005 è stata la destinataria di una ricerca/insegnamento al Ford Foundation Fellowship at the Five Colleges, Inc. in Amherst, MA. Ha lavorato con un grande numero di gruppi per i diritti delle donne e per i diritti umani in molti paesi, focalizzando l’attenzione su sessualità, fondamentalismo e diritto alla riproduzione. E’ attiva con le Donne Soggette alle Leggi Islamiche (WLUML) sin dagli inizi nel 1984..The Population and Development Program
CLPP * Hampshire College * Amherst * MA 01002
413.559.5506 * http://popdev.hampshire.edu
Le opinioni espresso in queste pubblicazioni sono quelle di autori individuali se non diversamente specificato.

[1] Scahill, Jeremy. "No checkpoint, no self defense," AlterNet, March 28, 2005. www.alternet.org/story/21613
[2] American Friends Service Committee. "Wage Peace" Movie (2 mns). http://www.afsc.org/iraq//movie.ht
[3] Rockwell, Paul. "New Revelations about Racism in the Military - Army Reservist Witnesses War Crimes," The Black Commentator, April 7 2005: issue 133.
http://www.blackcommentator.com/133/133_think_racism_military.html
[4] Amnesty International. "Iraq: Decades of Suffering, Now Women Deserve Better," February 22, 2005. http://web.amnesty.org/library/Index/ENGMDE140012005
See also: "U.S.: Investigate Rumsfeld, Tenet for Torture," Human Rights Watch, April 24, 2005. http://www.hrw.org/english/docs/2005/04/24/usint10511.htm
[5] Firmo-Fontan, Victoria. "Abducted, Beaten And Sold Into Prostitution: A Tale From Iraq," The Independent, July 26, 2004. http://www.countercurrents.org/iraq-fontan260704.htm
[6] Women for Women International. "Windows of opportunity: The pursuit of gender equality on post-war Iraq," January 2005, released March 2005 (36p). http://www.womenforwomen.org/Downloads/Iraq_Paper_0105.pdf
[7] www.wluml.org
[8] Burns, John F.; Mahmoud, Mona; Worth, Robert F. "A haircut in Iraq can be the death of the barber," New York Times, March 18, 2005.
[9] Osborn, Mark. "Iraqi Union leader murdered. 'Resistance' targets trade unions, women, lesbians and gay men," January 12, 2005. http://www.workersliberty.org/node/view/3532
[10] Associated Press. "Iraqi Christians Keep Low Profile," November 13, 2004. http://www.foxnews.com/story/0,2933,138375,00.html
[11] "Tariq Ali talks to Socialist Worker about empire and those who fight against it," Socialist Worker Issue No. 239, March 26 2005 - April 12 2005. http://www.swp.ie/socialistworker/2005/sw239/socialistworker-239-9.htm
[12] Smith, Sharon. "The Right to Resist Occupation - The Anti-War Movement and the Iraqi Resistance," CounterPunch, Jan 21, 2005. http://www.counterpunch.org/smith01212005.html
[13] Right-wing Muslim groups are making use of the Arbitration Act 1991. See the Canadian Council of Muslim Women's website: www.ccmw.com
See also: "Canada: Support Canadian women's struggle against Shari'a courts,".WLUML, March 7, 2005. http://www.wluml.org/english/actionsfulltxt.shtml?cmd[156]=i-156-180177

[14] Cracknell, David. "Discrimination bill snubs gays to save Muslim vote," The Sunday Times, February 27, 2005. http://www.the-times.co.uk - See Appendix.
[15] "WLUML statement to the World Social Forum - Appeal Against Fundamentalisms," January 21, 2005. http://www.wluml.org/english/newsfulltxt.shtml?cmd[157]=x-157-103376
[16] Whitaker, Brian. "Fundamental union - When it comes to defining family values, conservative Christians and Muslims are united against liberal secularists," The Guardian, January 25, 2005. http://www.guardian.co.uk/elsewhere/journalist/story/0,,1398055,00.html