DALLA DISPERAZIONE ALLA SPERANZA
UNA LETTERA DI CINDY SHEEHAN, MADRE
DEL SOLDATO CASEY UCCISO IN IRAQ
Ottobre
2005. Traduzione a cura di M.G. Di Rienzo
Ci sono state molte notti, dopo che Casey era morto e seppellito, in cui ho dovuto trattenermi dall'ingoiare l'intero flacone dei sonniferi. Il dolore e la voragine di disperazione erano troppo forti per lottare contro di loro. Come ci si può aspettare che una persona continui a vivere in un mondo che è così pieno di dolore e così avaro di speranza? Perciò pensavo: "Sarebbe così facile prendere queste pastiglie ed andare a dormire, e non svegliarsi più in questo mondo terribile." Ciò che mi ha trattenuta dal commettere quest'atto codardo ed egoista sono stati gli altri miei tre figli. Come potevo metterli in una situazione così orribile, dopo quello che stavano già passando? Sapevo che dovevo vivere, e sapevo che continuare a vivere sarebbe stato (e lo è ancora) la cosa più difficile che io avessi mai fatto. Ad ogni modo, ora so perché la gente si uccide: è la mancanza di speranza. Per me era il buco nero del sapere che avrei dovuto alzarmi al
mattino per il resto dei miei giorni con la consapevolezza che non avrei mai più rivisto Casey: dovevo esistere in un mondo privo di lui, e limitarsi ad esistere non è un modo di vivere.
Circa tre settimane dopo l'uccisione di Casey, mia figlia Carly venne da me e mi colpì con la ragione per vivere: era la sua poesia, intitolata "Una nazione cullata al sonno". Una delle strofe dice: "Avete mai udito il suono di una madre che grida per il proprio figlio? Il pianto torrenziale di una madre, un pianto senza fine. Lo chiamano eroe, e potete rallegrarvi per questo, ma avete mai udito il suono di una madre che piange per il proprio figlio?" Questa strofa mi ricordò che non ero la sola nell'universo a soffrire di quell'intollerabile dolore, ma ciò che mi aiutò a scavarmi l'uscita dalla fossa della disperazione, un agonizzante centimetro alla volta, fu l'ultima strofa della poesia: "Avete mai udito il suono di una nazione che viene cullata al sonno? I leader vogliono tenervi annebbiati, così il dolore non sarà troppo profondo. Ma se noi, il popolo, li lasciamo continuare, un'altra madre piangerà. Avete mai udito il suono di una nazione che viene cullata al sonno?"
Quando mia figlia mi recitò questi versi, seppi che avrei speso ogni briciola di tempo, di denaro e di energia per portare a casa le truppe, prima che un'altra madre dovesse piangere. Mi vergognavo di me stessa, per non aver tentato di fermare la guerra prima che Casey morisse, ma stupidamente avevo pensato: "Cosa può fare una persona da sola?". Allora mi dissi che non sapevo se avrei fatto la differenza, ma che ci avrei almeno provato. Se fallivo, almeno un giorno sarei morta sapendo che avevo dato il massimo per riuscire. Cominciai gradualmente, per tre dosi di speranza in avanti, facevo anche due passi indietro. Ebbi un meraviglioso periodo in Florida durante la campagna elettorale, lavorando contro la rielezione di George Bush. Trovai l'associazione "Gold Star Families for Peace". Fui una delle oratrici principali al raduno per la pace di Fayetteville. Casey ed io finimmo sulla prima pagina di "The Nation". Testimoniai alle
consultazioni del deputato John Conyer nel giugno del 2005. Sentivo che, una scheggia alla volta, stavo erodendo il sostegno pubblico all'occupazione dell'Iraq.
Poi, nell'agosto del 2005, dopo che mi ero già separata da mio marito dopo 28 anni di matrimonio, me stavo a casa a guardare la tv (un'occasione rara, per me) e vidi che 14 marines dell'Ohio erano morti in un solo incidente. Come se questo non fosse stato abbastanza per spezzarmi il cuore e farmi stare male, George Bush era sullo schermo a dire ai parenti dei soldati caduti che i loro cari erano morti per "una nobile causa". Questo mi fece impazzire di rabbia, ed alimentò il mio senso di fallimento. Io non credevo, ne prima che Casey morisse, ne dopo, e neppure quel 3 agosto 2005, che invadere un paese che era minaccioso per gli Usa quanto la Svizzera, e che uccidere decine di migliaia di persone per avidità, potere e denaro, fossero una nobile causa. Decisi di andare a Crawford, e di chiedergli quale fosse tale "nobile causa". Poi George ebbe la sfortunata sfrontatezza di dire qualcosa che mi infiammò per mesi. Disse che dovevamo "completare la missione per onorare il sacrificio dei caduti".
Per mesi gli chiesi pubblicamente di smettere. Non voglio che una sola altra madre abbia il cuore e l'anima lacerati senza ragione, a causa di bugie e stupidaggini. Ho voluto andare a Crawford anche per domandare a George di smettere di usare il sacrificio di mio figlio per continuare il suo disonorevole e codardo massacro.
Il resto è già storia. Più americani vennero a Camp Casey, più lettere, cartoline, e-mail, chiamate telefoniche di sostegno ricevemmo, più a Camp Casey fummo felici. Lo capimmo là, a Camp Casey ricordammo qualcosa, dopo almeno cinque anni di dittatura virtuale che abbiamo negli Usa ora: noi, la gente, abbiamo tutto il potere. Noi, il popolo, DOBBIAMO esercitare i
nostri diritti e le nostre responsabilità come americani per dissentire da un governo irresponsabile, temerario, ignorante ed arrogante. Abbiamo capito, un po' tardi ma non troppo tardi, che quando George disse: "Se non siete con noi, siete contro di noi", avremmo dovuto alzarci in piedi in un furente, giusto e patriottico unisono e dire: "Hai dannatamente ragione,
pazzo bugiardo. Siamo proprio contro di te, e contro la tua insana precipitazione nell'invadere l'Iraq." Non lo facemmo allora, ma Camp Casey ci ha insegnato che è giusto far sentire le nostre voci contro il governo.
E non solo è giusto, ma è doveroso quando il tuo governo è responsabile dell'uccisione di innocenti. E' doveroso, quando non ci sono all'opera ne' controllo ne' bilanciamento che noi, la gente, si sia il controllo ed il bilanciamento dei media e del governo. La mia speranza era stata "uccisa in azione" lo stesso giorno in cui Casey fu "ucciso in azione". La poesia di Carly mi diede una ragione per vivere. Camp Casey, con i suoi meravigliosi sentimenti d'amore, accettazione, pace, comunità, gioia, e sì, ottimismo per il nostro futuro, mi ha riportato il desiderio di vivere. Posso di nuovo sorridere e ridere, e sapere perché, per la maggior del tempo. Sono cose, queste, che diamo per scontate, ma io non lo farò mai più. Vivere nella speranza che il nostro mondo un giorno esisterà in un paradigma di pace, amore e risoluzione nonviolenta dei conflitti è gran buon modo di esistere. Amo essere viva, ora, e la mia vita sarà dedicata alla pace con
giustizia, così che i nostri figli non debbano mai più essere abusati dalla macchina della guerra. Grazie, America. Grazie, Casey.
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