AMORE DURO
COMBATTIVE ORGANIZZAZIONI DI DONNE
IN ZIMBABWE CONTESTANO IL GOVERNO E LA SUA POLITICA DI "PULIZIA"
Novembre
2005. Di Nicole Itano, traduzione di M.G. Di Rienzo
HARARE, Zimbabwe. In un parco senza luci, la sera di marzo in cui si tennero le elezioni parlamentari in Zimbabwe, centinaia donne si riunirono per cantare e pregare per la pace. In questa nazione africana, però, la preghiera pubblica è ormai giudicata una minaccia per la sicurezza. Dozzine di poliziotti armati di manganelli arrivarono subito a portare via le donne nei loro furgoni scoperti. Alla fine della serata, 300 donne (per la maggior parte madri e nonne che lottano ogni giorno per dar da mangiare alle loro famiglie) erano state messe in prigione, e nove di esse erano state picchiate così duramente da dover ricorrere alle cure ospedaliere.
Fra le prime ad essere portate via c'era Jenni Williams, una delle fondatrici di "Women of Zimbabwe Arise" (WOZA), ovvero di una delle poche organizzazioni che sono ostinatamente disposte a scendere in strada per protestare contro la distruzione del proprio paese.
"L'impeto provenne dal fatto che le donne stavano e stanno sopportando i peggiori costi dellinstabilità in Zimbabwe" racconta Jenni. "Poiché eravamo quelle che stavano soffrendo di più, pensammo che avremmo dovuto parlare di più, e chiedere risposte."
Jenni Williams è stata ormai arrestata 18 volte, in maggior parte in relazione alle proteste organizzate dal suo gruppo: "Noi lo chiamiamo "amore duro", perché amiamo abbastanza il nostro paese da accettare il sacrificio di essere arrestate e picchiate."
Le donne del WOZA dichiarano di ispirarsi al movimento per i diritti civili negli Usa, alle proteste contro lapartheid del Sudafrica, ed alla resistenza nonviolenta di Gandhi. Perciò pregano, sfilano in corteo, e regalano rose a cui sono legati messaggi di pace. Dicono di prendere coraggio da uno slogan anti apartheid: "Colpire una donna è come colpire una roccia". Quando la polizia interrompe le loro attività, obbediscono quietamente, sentendo che il loro coraggioso silenzioso svergogna costantemente le autorità per il maltrattamento di donne che potrebbero essere le loro madri, figlie e sorelle.
Jenni divenne una figura pubblica circa cinque anni orsono, quando il governo dello Zimbabwe cominciò a requisire le fattorie possedute da bianchi per ridistribuirle a neri privi di terra. LUnione Commerciale degli Agricoltori dello Zimbabwe la ingaggiò come portavoce ed esperta in pubbliche relazioni. Da allora, Jenni ha intrapreso una drammatica trasformazione: è diventata unattivista nonviolenta, il solo viso bianco in un gruppo di donne povere e nere. Jenni ci tiene a farmi notare, tuttavia, che la sua ascendenza è mista: inglese e ndebele. Mi dice che suo marito e i suoi figli hanno dovuto lasciare il paese per ragioni di sicurezza, anche se lei spera che la situazione si stabilizzi abbastanza, nel prossimo futuro, per permettere il loro ritorno: "Ho chiesto alla mia famiglia una sorta di "permesso" di tre anni dal mio essere moglie e madre. E' stato difficile, ma mi hanno sostenuta. Hanno capito che stiamo cercando di rendere lo Zimbabwe un posto di nuovo vivibile."
Dopo cinque anni di violenza politica e di oppressione, la maggior parte degli abitanti del paese ha terrore di parlare contro il governo, nonostante un'economia in deterioramento e una devastante campagna di "pulizia urbana", chiamata "Operazione Murambatsvina" (ovvero "porta via la spazzatura") che è cominciata poco dopo le elezioni e che ha privato della casa 700.000 persone, e della scuola migliaia di bambini. Robert Mugabe, il presidente, detiene il potere sin dall'indipendenza nel 1980 e lo detiene saldamente.
Jenni Williams ed altre figure di spicco della società civile sono dispiaciute che il partito di opposizione, il Movimento per il Cambiamento Democratico, non voglia impegnarsi in azioni di massa. Il partito ha ormai perso tre elezioni in condizioni che l'intera comunità internazionale ha condannato, ma ha scelto di lottare attraverso i tribunali. D'altronde, il clima politico in Zimbabwe rende ogni tipo di protesta estremamente difficile. Una serie di nuove leggi in materia di ordine pubblico, grazie alle quali le donne di WOZA vengono arrestate, restringono la possibilità di raduni pubblici e di criticare il presidenze o la polizia. La stampa indipendente è stata soffocata, ed la violenta campagna organizzata dal governo contro i propri critici ha creato un clima di paura.
Arnold Tsunga, portavoce degli Avvocati dello Zimbabwe per i Diritti Umani, e rappresentante legale delle donne arrestate, dice che tra il 2003 e il 2004 ci sono stati almeno 2.000 arresti dovuti alle nuove leggi, ma i tribunali non sono riusciti a mandare in carcere neppure una singola persona in base ad esse. Le donne arrestate la notte delle elezioni sono state rilasciate dopo essere state giudicate colpevoli di "ostruzione del traffico", anche se si trovavano in un parco in cui non cera alcuna strada.
Thabita Khumalo è un altro volto del movimento di protesta nel paese, il volto di una piccola donna scura che ha fatto esperienza in prima persona della brutalità del regime. Un sabato, lo scorso luglio, Thabita Khumalo stava tenendo l'intervento di apertura di un incontro fra sindacaliste in un albergo di Harare, quando un gruppo di uomini irruppe nel locale per picchiare le partecipanti. Uno di essi prese a pugni Thabita, rompendole parecchi denti e facendole un occhio nero. Ma lei rifiutò di andarsene, e persino di chiamare aiuto. "Volevo assicurare loro che il coraggio non ci manca. Se fossi scappata, io che avevo organizzato l'incontro, questo avrebbe distrutto tutto il lavoro fatto con le donne sindacaliste, in questi anni, per incoraggiarle e sostenerle."
Come Jenni Williams, Thabita Khumalo è stata arrestata molteplici volte per le sue attività. E' stata picchiata, i suoi figli sono stati molestati e intimiditi. Una volta è stata rapita da sostenitori del governo. Ha riconosciuto i suoi aggressori, ma le è stato detto dalla polizia che quest'ultima non può intervenire in affari politici. La sua determinazione resta invariata: "Questo è il solo paese che conosco, ci sono nata. Voglio che i miei figli abbiano una vita migliore, qui." A differenza di Jenni, Thabita non ha le risorse economiche per mandare i ragazzi fuori dallo Zimbabwe, anche se la loro sicurezza è uno dei suoi desideri principali.
"Noi donne siamo coraggiose" mi dice infine con intensa concentrazione. "Siamo coraggiose ma sottostimiamo il nostro potere. Il giorno in cui le donne capiranno il loro potere, questo paese cambierà."
Maggiori informazioni:
Women of Zimbabwe Arise - Kubatana: http://www.kubatana.net/
Nota sull'autrice: Nicole Itano, corrispondente per We News, vive a Johannesburg in Sudafrica. Collabora anche con The Christian Science Monitor, l'Associated Press e Newsday.
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