L'IRRAGIONEVOLE DIANE
L'AMBIENTALISTA CO-FONDATRICE DI CODE PINK IN PRIGIONE PER UN'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA, DIVENTA VOCE DELLE DETENUTE SENZA DIRITTI


Febbraio 2006. Di M.G. di Rienzo

 

Diane Wilson, l'ambientalista autrice di "An Unreasonable Woman" (Una donna irragionevole) è da due mesi in prigione, condannata a 150 giorni di reclusione totali. La sentenza riguarda un'azione diretta nonviolenta che Diane operò nel 2002, a Seadrift (Texas) dove vive: allora scalò una torre della Dow Chemical, di cui la Union Carbide è una sussidiaria, e vi piantò uno striscione su cui stava scritto "Giustizia per Bhopal", riferendosi al noto disastro del 1984 in cui migliaia di indiani morirono a causa di una fuga tossica dagli impianti delle suddette compagnie chimiche.
Da lungo tempo Diane affianca le vittime del disastro di Bhopal, che ancora chiedono giustizia per la morte dei loro cari, ed ha anche tentato di incontrare l'allora responsabile della Union Carbide in India, Warren Anderson, chiedendogli di tornare sul luogo e di affrontare le accuse che gli sono state mosse dalla giustizia indiana. Condannata l'azione del 2002 dallo stato del Texas, Diane poteva evitare l'arresto restando in uno qualsiasi degli altri stati americani, ma il 5 dicembre 2005 ha preferito acquistare il biglietto per una riunione indetta dal partito Repubblicano a Houston (Texas) allo scopo di raccogliere fondi. In mezzo alla sala, mentre il vice presidente statunitense Dick Cheney faceva il suo discorso, ha srotolato un altro striscione: "L'avidità delle corporazioni economiche uccide: da Bhopal a Baghdad". All'esterno, attivisti pacifisti affollavano l'ingresso con cartelli contro la guerra in Iraq. Diane Wilson è stata immediatamente arrestata e trasferita alla prigione di Victoria County per scontare la sentenza comminatale nel 2002.
Madre di cinque figli, ex capitana di una nave da pesca e co-fondatrice di "Code Pink: donne per la pace", Diane è un'attivista ambientalista dal 1989 e ha compiuto azioni memorabili. Il suo lavoro per la salvaguardia della baia del Golfo del Texas e per la salute di chi ci vive le hanno guadagnato molti riconoscimenti negli Usa e all'estero. Dalla prigione, il 20 gennaio u.s., ha mandato una lunga lettera allo Sceriffo della contea in cui si trova, di cui traduco le parti essenziali:
Caro Sceriffo O‚Connor, sono una detenuta di sesso femminile della prigione di Victoria County, che deve scontare una sentenza di 150 giorni e pagare una multa di 2.000 dollari per aver protestato contro il rifiuto della Dow Chemical Company di presentarsi nei tribunali dell'India a rispondere delle accuse mosse alla sua sussidiaria (che controlla totalmente), la Union Carbide, in relazione al disastro di Bhopal. Sono qui relativamente da poco, essendo entrata in prigione il 10 dicembre 2005, tuttavia ho già un buon numero di lagnanze. Molte vengono dalle mie compagne di prigionia e lei si chiederà perché non le presentano esse stesse. E' molto semplice: non esiste alcuna strada praticabile per presentare esposti e se c'è le mie compagne non ne sono state informate. Esiste un modulo prestampato che dovrebbe servire a stabilire una comunicazione, ma i tempi di risposta variano da una settimana a mai. Nessuno fornisce informazioni, non c‚è un documento, un volantino, che spieghi le procedure da seguire o i diritti delle detenute, e neppure qualcosa di abbastanza semplice come "dove si trova il commissario". Ho chiesto dei testi di diritto, poiché le mie compagne raramente vedono un avvocato, ma mi hanno detto che non ce ne sono di disponibili. Se le detenute chiedono assistenza legale viene loro risposto: "Vedrai l'avvocato al processo" ovvero, usualmente, 10 minuti prima del dibattimento in tribunale.
Le donne in questa prigione sono in maggioranza afroamericane o ispaniche e molto povere. Le loro condanne riguardano per lo più fatti minori, piccoli traffici, e niente di violento, eppure sono forzate a restare in cella senza assistenza legale per lunghi periodi di tempo. Non credo di stare sollevano nessuna istanza che lei non conosca già. Ho parlato con un funzionario del sistema carcerario tempo fa (non farò il suo nome) e lui mi disse che era ben conscio della lunghezza dei tempi per ottenere un avvocato e un processo. Ne discusse con un giudice, mi disse, e la risposta del giudice fu più o meno: "Eh già, è un problema."
Perciò credo che lei possa capire quanto sono sconcertata dal fatto che non vi sia neppure l'accesso ai testi di diritto penale. Il personale carcerario mi ha detto che l'accesso ai testi è possibile solo quando l'assistenza legale non è disponibile, ma io non ho ancora accesso ne‚ ai primi ne' alla seconda. Poiché ho insistito per accedere alla biblioteca legale, sul modulo prestampato di cui sopra, dopo una settimana ho avuto la risposta: Non abbiamo una sala di "scritura". Certo, questo spiega tutto. Niente sala di "scritura", niente biblioteca legale. Allora ho chiesto quali fossero gli standard della prigione: ci saranno pure degli standard che la prigione deve mantenere, ed io e le mie compagne abbiamo il diritto di sapere quali sono. Circa dieci giorni più tardi, la risposta diceva: Qual è il suo problema?
Il mio problema è che le detenute non hanno voce, non hanno accesso all'assistenza legale o ai testi di diritto, non hanno una sala di "scritura" e non conoscono gli standard della prigione. Questo è il mio problema. Perciò le scrivo, visto che lei è il gradino successivo nella catena di comando, e le invio non solo la richiesta di conoscere gli standard ma anche le altre lagnanze e preoccupazioni che ho raccolto da che sono qui.
Salute: Non so se lei ha seguito il lavoro investigativo giornalistico di Mike Ward e Bill Bishop dell' "Austin American Statesman" sul sistema sanitario nelle prigioni texane. I due reporter hanno documentato maltrattamenti sistematici sui detenuti malati, l'accesso alla struttura sanitaria come forma di ricatto e di punizione, e la somministrazione irrazionale e pericolosa di medicinali. Se non ha letto questo rapporto lo faccia, perché cose simili stanno accadendo nella sua prigione. I tre casi che le presento sembrano costituire una sorta di procedura usuale per questo carcere, un problema a lungo termine (e sì, le donne in questione sono giovani e povere, ispaniche o afroamericane).
1. Mary DeLeon
La signorina DeLeon ha passato 18 mesi nel carcere di questa contea per questioni legate a sostanze stupefacenti. Per tutti i diciotto mesi, la sig.a DeLeon ha sofferto di calcoli alla vescica. Il responso del servizio sanitario è stato "latte di magnesio e stai sdraiata". Le condizioni della giovane peggiorarono al punto che era perennemente scossa da tremiti e brividi, e sveniva. La risposta fu di nuovo "magnesio e materasso". Verso la fine dei 18 mesi, la sig.a DeLeon ebbe una sincope dal dolore ed una compagna di cella chiamò le guardie. Trasferita d'urgenza all'ospedale, Mary seppe là che la sua vescica si era rotta. Non ha intentato causa alla prigione, per paura di essere punita.
2. Lacy Leyva
La signorina Leyva ha scontato un mese di prigione. Lamentava forti dolori ai reni, ma le fu solo dato un antidolorifico ogni otto ore (ibuprofen). I dolori divennero lancinanti, così oltre all'antidolorifico le si consigliò di stare sdraiata. Appena rilasciata, la sig.a Leyva si recò all'ospedale dove le fu diagnosticata un'insufficienza renale. Al termine del ricovero ricevette una chiamata dalla prigione sul suo cellulare che diceva: "Vai all'ospedale. Sospettiamo che tu abbia un‚insufficienza renale".
3. Shandra Williams
La signora Williams fu incarcerata anche se stava portando avanti una gravidanza a rischio (era circa di sette mesi), cosa nota al tribunale ed all'amministrazione carceraria. In prigione le sue condizioni peggiorarono. Cominciò ad avere emorragie, ma l'infermiera era riluttante a crederle e le chiedeva di mostrarle gli assorbenti. Perciò la sig.a Williams dovette anche subire l'umiliazione di dover provare che stava male e sanguinava.
Come rimedio la si mise in isolamento, visto che la solitudine era una cosa che odiava. Aspettava il suo primo figlio ed era spaventata dal non avere assistenza medica. Perché smettesse di lamentarsi le fu dato un calmante (Benadryl). Quando la riportarono in cella le si ruppero le acque. Le fu detto che aveva le allucinazioni, che non era vero. L'infermiera le disse di non preoccuparsi, perché avrebbe partorito il mese dopo. Dopo di che la rimisero in isolamento, cosa che la rese folle di paura perché non aveva contatto con nessun altro essere umano. Era allarmata perché il bimbo stava nascendo in anticipo sulla data prevista e perché l'infermeria le aveva rifiutato persino il monitoraggio volto a stabilire le condizioni di salute del nascituro. Poiché mostrò dell'agitazione all'idea di tornare in isolamento, il sergente le disse che ci sarebbe andata con le buone o con le cattive: le "cattive" prevedevano l'uso della pistola da stordimento. Una delle donne di guardia ne era così preoccupata che trasportò lei stessa le cose di Shandra nella cella d'isolamento, e la convinse ad entrarci blandendola. Subito dopo, la sig.a Williams entrò in travaglio, ed era quindi un parto prematuro. Per avere aiuto, la sig.a Williams dovette strisciare sul pavimento dalla toilette al bottone d'allarme sul muro. Dopo tre tentativi qualcuno si degnò d'arrivare. Il neonato, che era uscito di piedi, penzolava attorno alle caviglie di sua madre.
Nel pandemonio che seguì, la sig.a Williams fu trasferita in ambulanza all'ospedale. Il bimbo era morto, e alla madre fu consegnato il cadaverino in un lenzuolo. Nessuno le disse che il piccolo era morto: se ne accorse da sola quando vide che suo figlio non si muoveva e non respirava. Non fu fatto alcun tentativo di avvisare suo marito. Quando, molto dopo, riuscì a saperlo e ad arrivare all'ospedale, il cadavere nel lenzuolo passò a lui. Alla sig.a Williams, riportata in prigione, non fu concesso neppure il permesso di assistere ai funerali del bimbo. Shandra mi ha detto che più tardi lei, Sceriffo O'Connor, la chiamò nel suo ufficio e le disse che lo sfortunato incidente non era sua responsabilità, ma era dovuto agli errori dell'amministrazione carceraria sotto il precedente Sceriffo Michael Ratcliff.
Date le conseguenze a lungo termine e le terribili sofferenze imposte a queste donne, io spero che lei voglia dare a questa questione la considerazione che merita.
Materiale di lettura: La biblioteca della prigione consiste in un carrello di metallo che trasporta 30 romanzi "rosa" spiegazzati. Poiché qui sono permesse poche distrazioni, potrei dire nessuna, forse questa è la ragione per cui le carcerate fanno rose con la carta igienica e colorano la propria carta da lettere con la pasta dentifricia. Confesso che sono un po' riluttante a dirle questo, temendo che le guardie corrano a confiscarci le rose e ad accusarci di contrabbando di carta igienica. Ciò che l'amministrazione carceraria si propone di ottenere negando materiale di lettura va oltre quello che io posso capire. A me sembra una punizione crudele, e controproducente per qualsiasi forma di riabilitazione.
Accesso ai programmi scolastici:
Poiché la maggioranza delle detenute sono assai povere, giovani ed appartenenti alle minoranze, sono rimasta di stucco quando ho scoperto che il programma scolastico offerto viene usato come forma di ricatto. Una mia compagna di cella, che sta lottando disperatamente per migliorare se stessa e crescere il suo figlioletto di nove anni, è riuscita ad ottenere l'accesso al programma solo per esserne espulsa a causa di un bigliettino passato ad una compagna di classe. A molte detenute il programma scolastico non viene concesso. Non capisco questa riluttanza da parte dell'amministrazione a permettere che le detenute conseguano un diploma di scuola superiore. E' noto che grazie ad esso potrebbero trovare lavori migliori e meglio pagati, e che una persona soddisfatta del proprio lavoro è meno incline a cacciarsi nei guai con la legge.
Trattamenti umilianti: Capisco che alcune di queste osservazioni per lei non significheranno nulla, e che lei potrebbe pensare che il trattamento dei detenuti in uso nelle prigioni texane non è nulla rispetto ai tipi di abusi perpetrati ad Abu Ghraib in Iraq. E' vero, ma per quello che serve le ribadisco che ho letto inchieste assai documentate e che ho sperimentato trattamenti orribili io stessa. Mentre scontavo una sentenza a cinque giorni nel carcere di Houston, sono stata trattenuta in una gelida "sala di smistamento" assieme ad altre detenute per ore ed ore, sicché fummo costrette a dormire su di un pavimento di cemento ricoperto da spazzatura e dai liquami che traboccavano da una toilette intasata. Di quando in quando una guardia faceva capolino per urlarci: "Vacche!" Dopo di che fummo smistate nelle celle, dove ci fu ordinato di spogliarsi e di sfilare in mutande. Erano tutte donne che non avevano visto ancora ne' un giudice ne' un avvocato, e alcune erano "dentro" per violazione delle norme sul traffico! Nella mia cella fummo ammassate in 70: la guardia che passava di tanto in tanto questa volta urlava: "Stupide cagne!", perché facevamo troppo rumore.
Lo scorso 10 dicembre sono stata trasferita alla sua prigione, dove sono stata messa in una cella con a mia disposizione un nudo materasso posato sul pavimento. Per tre giorni non mi sono stati dati ne' un lenzuolo, ne' un sapone, ne' dentifricio, ne' un pettine. Alle mie richieste di questi oggetti veniva risposto: "Compila il modulo".
Mi considero relativamente fortunata, in queste esperienze, perché essendo un'attivista ho sostenitori all'esterno che chiamano la prigione e mandano lettere. La maggior parte delle donne qui non ha questa fortuna. Questa lettera, in parte, la scrivo per loro. Si dice che un paese civile si giudica da come tratta i suoi membri più deboli. E' mia speranza che lei riconoscerà quanto importanti siano il suo lavoro e le istanze contenute in questa lettera, e che mi risponderà sul merito. Cordiali saluti, Diane Wilson
Per gli aggiornamenti, consultate il sito:
<http://www.chelseagreen.com/2005/items/unreasonablewoman/fromjail>