Lo scontro tra barbarie.
Ogni tentativo di spiegare l'ascesa del terrorismo culminata con l'attacco suicida dell'11 settembre 2001, come conseguenza del deplorabile stato del mondo in cui viviamo si è imbattuto in un polemico fuoco di arteglieria, in un diffuso clima di intimidazione intellettuale che ci riporta all'oscuro periodo della guerra fredda. Di Gilbert Achcar, professore di politica e relazioni internazionali all'Università di Parigi VIII, collabora con Le Monde Diplomatique. Traduzione di Davide Volante. Dicembre 2002.


Ogni tentativo di spiegare l'ascesa del terrorismo culminata con l'attacco suicida dell'11 Settembre 2001, come conseguenza del deplorabile stato del mondo in cui viviamo si è imbattuto in un polemico fuoco di arteglieria, in un diffuso clima di intimidazione intellettuale che ci riporta all'oscuro periodo della guerra fredda. Gli argomenti utilizzati per condurre tale intimidazione si dividono in due categorie.

Anti-americanismo e "Valori"

Primo argomento, secondo i censori, ogni sistematica critica alle azioni del governo USA è la prova di un ignominioso "anti americanismo". Il riemergere dell'uso di questo termine, particolarmente durante la guerra del Kosovo, teso a screditare le critiche verso la politica USA, evoca il Maccartismo. [...] Secondo questa logica "paranoica", le accuse di anti-americanismo sono state mosse persino ai più fidi alleati degli USA quando hanno espresso riserve circa le azioni compiute dall'aministrazione Bush. A seguito delle proteste suscitate dal trattamento dei prigionieri trasferiti nella base di Guantanamo, l'edizione europea del Wall Street Journal ha ospitato un pezzo di Stephan Pollard secondo cui i "grotteschi" commenti apparsi sui media europei mostravano che "l'anti-americanismo non contraddistingue unicamente la sinistra europea" infatti l'odio verso gli USA accomuna la "sinistra" (rappresentata dal The Guardian e Le Monde) al centro e alla destra europea, Pollard prosegue affermando che "l'anti-americanismo nell'establishment britannico è più profondo che altrove" come dimostrerebbero gli articoli dell'ultra conservatore Daily Telegraph o i pezzi del thatcheriano Matthew Paris apparsi sul Time. Per l'analista statunitense tutti questi anti-americani celano la loro perfidia, ma l'affair Guantanamo finalmente li "smaschera".

Il secondo argomento che i censori hanno utilizzato per intimidire le voci critiche rispetto al governo USA è stato che menzionare le ingiustizie del mondo equivale a giustificare gli omicidi di massa - come se fosse inconcepibile che una forma di barbarie ne generi un'altra. [...]

La Casa Bianca, nega in modo deciso e virulento ogni rapporto di causa effetto tra la propria politica estera e gli attacchi che hanno colpito il paese. Secondo George W. Bush gli attacchi sono il prodotto del viscerale rifiuto dei nobili "Valori" degli USA e dell'Occidente in generale; in un discorso tenuto il 20 Settembre 2001 ad una sessione del Congresso ha affermato:

"Gli americani si chiedono perché ci odiano? Odiano ciò che vedono bene in questa aula - un governo democraticamente eletto. I loro leaders non sono eletti da nessuno. Odiano la nostra libertà - la nostra libertà di professione di fede, la nostra libertà di parola, la nostra libertà di voto e di essere in disaccordo con altri."

Con queste parole rivolte al popolo statunitense ed ai parlamentari, Bush ha creduto di rivolgersi a dei semplicioni che possono bersi la frottola secondo cui i terroristi che l'11 settembre si sono immolati, uccidendo il maggior numero di persone possibile, mossi dall'odio verso le istituzioni democratiche e le libertà civili statunitensi. [...] Dimitri Simes, presidente del Nixon Center, con una buona dose di buon senso ha affermato:

Al Qaeda trae origine dal Wahabbismo branca redicale dell'Islam che rifiuta la civiltà Occidentale ma non ha colpito obiettivi occidentali a casaccio. Né ha concentrato il suo sforzo contro gli stati più secolarizzati e permissivi dell'Occidente, che sono i paesi europei e non gli USA. Al contrario il network terroristico facente capo ad Osama Bin Laden si è ossessivamente concentrato verso gli USA. La ragione è che nello specifico la politica USA risulta inaccettabile per Al Qaeda dato che ne minaccia la fede e gli interessi vitali.

Male Assoluto e Relativo

Comunque, il più effettivo ed intimidatorio ostacolo per il pensiero critico circa il significato dell'11 settembre è stata la tendenza a trattare l'evento stesso come qualcosa di assoluto e senza pari.

C'è qualcosa che non è stata scritta o detta circa l'11 settembre 2001? Per fare un esempio magniloquente: "Noi vivremo, e i nostri figli vivranno, in un'epoca in cui l'esplosione delle Torri ha ridisegnato la mappa del mondo e segnato un irraggiungibile orizzonte del crepuscolo terrorista dell'umanità". Innumerevoli commentatori hanno detto che l'11 settembre è stato il maggiore punto di svolta nella storia del mondo, comparabile all'attacco a sorpresa di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941, quest'ultimo reso mitologico, poco prima dell'attacco alle Torri gemelle, dalle megaproduzioni hollywoodiane al servizio della causa, cara a Bush, dello scudo antimissile.

La nuova Pearl Harbor dell'11 settembre, che il presidente nei giorni successivi ha definito un atto di "guerra" piuttosto che di "terrorismo" è stata immediatamente elevata al grado di primo atto di una nuova guerra che in molti hanno inusitatamente battezzato "Terza Guerra Mondiale". I sottotitoli che apparivano nelle trasmissioni della CNN sono mutate rapidamente da "America sotto attacco" ad "America in guerra".

La guerra del Golfo nel 1991 è stata definita una "guerra CNN", ma gli attacchi dell'11 Settembre hanno marcato un nuovo picco nella globalizzazione dei media. Nessun evento è mai stato visto da così tante persone come l'attacco alle Torri gemelle di Manhattan, sia in diretta che in differita. L'attacco è stato ripreso e trasmesso in loop da televisioni e innumerevoli siti web di tutto il mondo. Il corollario di questa storica registrazione è che nessun evento è mai stato così massicciamente soggetto al magnificente effetto televisivo. Un magnificente effetto che è naturalmente anche un effetto deformante. Come ha scritto Naomi Klein "visto attraverso i network televisivi statunitensi, gli attacchi di martedì (11 settembre) sembrano provenire da un altro pianeta piuttosto che da un altro paese". [...]

Per dissipare l'impressionismo prevalente che ha reso l'orribile attacco un'incarnazione del male, è richiesto uno sforzo di elaborazione riflessiva e critica. Bush ha evocato la nozione metafisica di "male" in numerose occasioni, come sappiamo fin troppo bene, usando deliberatamente il termine con cui Reagan definiva l'Unione Sovietica: in quell'epoca gli USA appoggiavano il "male" di oggi (i fondamentalisti islamici) contro l'"impero del male" di ieri (l'Unione Sovietica), la costante è che gli USA incarnano sempre il "bene", forse andrebbero definiti "impero del bene"?

Washington richiama l'immaginario della seconda guerra mondiale per la terza volta dalla fine della guerra fredda, dopo aver resuscitato Hitler sotto forma di Saddam Hussein e successivamente di Slobodan Milosevic. Proseguendo lungo questo terreno etico Bush ha designato tre degli "stati canaglia" (come vengono definiti in washingtonese) Iran, Iraq e Corea del Nord, e i loro "alleati terroristi" come un "asse del male". [...] Male, nel suo metafisico, assoluto senso, è una nozione comune alla fondamentalista, reazionaria visione del mondo di Bin Laden e George W; Bush, per usare una formula del celebre presentatore televisivo tedesco Ulirch Wickert questi due uomini hanno una "struttura mentale simile". George Bush attualmente è a capo del movimento integralista Protestante negli USA, come un recente articolo apparso sul Washington Post spiega:

"Per la prima volta il conservatorismo religioso diviene un moderno movimento politico, il presidente degli USA ne è divenuto il leader de facto - status mai raggiunto, dal pur ammirato dai leaders religiosi, Ronald Reagan. Le pubblicazioni cristiane, radio e televisioni, lodano Bush e i pastori dal pulpito definiscono la sua leadership un dono della provvidenza. Una processione di leaders religiosi ha fatto visita al presidente per certificarne la fede, mentre in numerosi siti web si incoraggia la gente a pregare per il presidente"

I discorsi del presidente sono diventati argomento di discussione teologica, come riporta il New York Times: "Il Maligno: Mr; Bush ha regolarmente usato questa frase per descrivere Osama Bin Laden. Tra i Cristiani Evangelici questo è un ovvio riferimento a Satana tratto dalla Bibbia (Dal Vangelo di Matteo: Quando si sente la parola del Regno e non la si comprende, il Maligno giunge e si porta via ciò che è stato seminato nel cuore). Mr. Bush apparteneva alla chiesa Episcopale e si è convertito a quella Metodista dopo il matrimonio, nel 1986 ha dichiarato di aver affidato nuovamente il proprio cuore a Gesù Cristo - una esperienza di rinascita sebbene il presidente non abbia utilizzato questo termine per definirsi." Ma all'interno del movimento evangelico alcune voci critiche si sono levate, Richard J. Mouw, il presidente del Fuller Theological Seminary di Pasadena (il più grande seminario evangelico del Nord America) ha dichiarato: "Il problema con il Maligno è che nel pensiero cristiano il solo che è totalmente senza possibilità di redenzione è Satana; noi non crediamo davvero che ci siano persone che non possano redimersi; e definire Bin Laden il Maligno significa renderlo sovrannaturale" inoltre ha aggiunto che affermare, come ha fatto il presidente, che Bin Laden è ricercato vivo o morto significa "sminuire il valore della vita umana."

L'unicità dell'11 Settembre

Criticare il modo in cui l'orrore terrorista dell'11 Settembre è stato trattato è indispensabile dato che questo evento è stato seppellito da una densa cortina di superlativi assoluti. E' necessario contestualizzare questo evento senza timore di intimidatorie accuse di sminuire l'atrocità. Nessuno ha il monopolio dell'indignazione morale. Porre un abominevole atto in un contesto di atti dello stesso tipo non significa sminuirlo, ancora meno giustificarlo, in particolar modo quando i suoi autori o ispiratori evocano esplicitamente lo stesso contesto come giustificazione dei propri atti; in definitiva contestualizzare significa rifiutare un'indignazione selettiva. E' da considerare straordinario il terrorismo di distruzione di massa che produce 3300 vittime (secordo le ultime stime) l'11 settembre? Nella scala delle carneficine di cui il governo USA è direttamente responsabile si tratta di un massacro ordinario. E' vietato menzionare i 200.000 civili uccisi a Hiroshima e Nagasaki con il pretesto che lo stesso Bin Laden ha fatto uso dello stesso argomento? E cosa dire dei 3 milioni di civili indocinesi vittime dell'aggressione USA - cosa che Bin Laden cita raramente, forse perché da buon combattente anticomunista ha approvato quella guerra? Dobbiamo restare in silenzio perché ha costantemente ricordato i 90.000 civili (di cui 40.000 sono bambini sotto i cinque anni) che, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, ogni anno muoiono in Iraq a causa dell'embargo?

Nella prestigiosa rivista Foreign Affairs, principale pubblicazione dei Tink Tank USA, le sanzioni imposte all'Iraq sono definite come "sanzioni di distruzione di massa". In un pezzo apparso nel 1999 su Foreign Affairs due professori statunitensi, John e Karl Mueller, hanno stimato che le armi di distruzione di massa (nucleari, chimiche e biologiche con l'esclusione delle camere a gas naziste) hanno causato 400.000 morti nel corso della storia, i due professori terminano la propria analisi, facendo attenzione ad usare il condizionale così da attenuare l'impatto delle proprie parole nel seguente modo:

"Se le stime circa le perdite umane in Iraq si rivelassero esatte sarebbe evidente che, nel remoto e futile tentativo di rimuovere dal potere Saddam Hussein, le sanzioni economiche hanno causato la morte di un numero di persone superiore a quello attribuibile alle cosiddette armi di distruzione di massa nella storia".

In un passaggio di grande rilievo i Mueller affermano:

"E' interessante che tali morti non abbiano suscitato grande impressione negli USA. Gli americani chiaramente non condannano il popolo iracheno per le azioni del loro governo, durante la Guerra del Golfo, il 60% degli statunitensi riteneva innocente il popolo iraqeno per la politica di Saddam, ma il gran numero di iracheni morti difficilmente fa notizia e produce ben poche proteste pubbliche. Parte dell'indifferenza potrebbe derivare dalla mancanza di interesse, sebbene gli americani sono molti sensibili alle vicende di casa loro, come gli altri appaiono insensibili alle sofferenze patite da altri, siano essi militari o civili. Si potrebbe aggiungere che le morti riconducibili alle sanzioni, contrariamente a quelle causate le bombe dei terroristi, sono distribuite nel tempo e sul territorio e quindi rilevabili statisticamente.

Come ha giustamente rilevato N. Chomsky: "Il crimine dell'11 Settembre ha segnato un punto di svolta, non per le sue dimensioni, quanto piuttosto per i bersagli scelti", circa questo particolare punto si deve porre l'accento sulla domanda posta da un commentatore obiettivo: "I nostri sentimenti sono mossi, non in maniera proporzionale alla gravità degli eventi, ma in proporzione al significato che ad essi attribuiamo, non in funzione dei reali costi in termini umani ma dalla nostra simpatia per le vittime. Se un attacco uguale a quello che ha colpito Washington e New York fosse stato lanciato contro un paese del terzo mondo avrebbe suscitato le stesse reazioni? Le immagini di questo evento avrebbero suscitato la stessa attenzione da parte dei media?"

Quale sarebbe stata la reazione del mondo se un eccidio di tali dimensioni fosse stato commesso in un paese africano? E se per esempio fossero state colpite le torri di Kuala Lumpur [si tratta degli edifici più alti del mondo NdT]? A titolo di esempio possiamo comparare la copertura mediatica che hanno avuto le Torri Gemelle rase al suolo con quella avuta da Grozny, un'intera città che i bombardamenti dell'esercito russo hanno reso uguale a Ground Zero.

Il fatto che gli attacchi dell'11 settembre abbiano colpito Washington e New York, le due capitali della "globalizzazione" targata USA, nel senso di diffusione del modello socioeconomico e culturale statunitense, non significa che gli americani siano i soli ad essere stati colpiti, ma anche nel resto del mondo vi sono stati gli stessi sentimenti. L'assoluta egemonia USA sull'universo mediatico (sia nella fiction che nell'informazione) contribuisce fortemente a far identificare le persone di tutto il mondo con i cittadini USA. [...] In questo senso, attacchi mortali come quello dell'11 settembre generano meno attenzione se compiuti in qualsiasi altro posto (Europa, Giappone e altre città statunitensi compresi) e non solo nei paesi del terzo mondo. L'intensità dell'emozione è direttamente proporzionale alla prossimità della scena del crimine rispetto al centro nervoso mondiale. I responsabili dell'11 settembre hanno scelto i loro obiettivi con uno scopo ben preciso.

I media e la logica della guerra

L’inevitabile conseguenza di questo primo modo in cui gli attacchi a Washington e New York sono stati unici, dovuto alla natura dei loro obiettivi, è la straordinaria attenzione che hanno ricevuto da parte dei media. Questo costituisce il secondo modo in cui sono stati unici. L’attenzione dei media non è stata solo il naturale risultato di un drammatico assassinio di massa a Manhattan, in contrasto con il carattere "disperso", "statistico", dei flagelli che hanno colpito l’Africa o le vittime irachene dell’embargo USA-ONU, per usare l’espressione dall’articolo del Foreign Affairs, citato sopra. L’eccessiva drammatizzazione dell’attacco dell’11 settembre è stata anche e soprattutto il risultato di un’azione deliberata dei media nella società dello "spettacolo mondiale", un corollario del mercato mondiale riconosciuto da Guy Debord.

Dall’inizio, una logica politica, "la logica della guerra", per usare un’espressione adatta, ha imposto questa eccessiva drammatizzazione mediatica. E’ stato necessario mantenere nascoste le atrocità imperiali e la povertà globale, meglio invece sottolineare "il male assoluto" che si è manifestato l’11 settembre, secondo la linea disposta dal George Bush.

Anche dopo lo storico livello record di copertura mediatica, dedicato agli attacchi di New York e Washington, gli attacchi hanno continuato ad essere riproposti per coprire e giustificare nuove atrocità commesse dagli USA e dai suoi alleati in abito da rappresaglia. Tony Blair ha ricordato ai media i fatti dell'11 settembre, quando i sondaggi stavano mostrando una chiara riduzione del sostegno ai bombardamenti in Afghanistan da parte dell’opinione pubblica inglese. "abbiamo la giustizia e la ragione dalla nostra parte ed una strategia da seguire. E’ importante che noi non dimentichiamo, come ci siamo sentiti quando guardavamo le immagini degli aerei che volavano contro le Torri gemelle".

Così nessuno può mai dimenticarlo, i media si sono uniti in massa allo sforzo bellico. Anche un giornalista che presumibilmente sta continuando a fare il suo mestiere come critico televisivo sulla sponda francese del canale, spudoratamente acclama lo "sforzo bellico" come se facesse eco al primo ministro inglese. Cosa significa per i media prendere parte allo sforzo bellico? Di certo non chiudere i nostri occhi agli errori, i tentennamenti, le anomalie della rappresaglia USA. Dobbiamo tenere aperti i nostri occhi. Ma tenerli aperti giorno per giorno, durevolmente, senza mai dimenticare le immagini originali dell’aggressione dell’11 settembre.

Tra una miriade di altri esempi, possiamo anche citare quelli, di nuovo in un articolo del Washington Post circa il modo in cui sono state gonfiate le stime del numero delle vittime dell’11 settembre che continuano ad essere usate nonostante i continui ridimensionamenti verso il basso. Gli esempi testimoniano una logica vendicativa che è più seria della semplice esagerazione di cifre. Ad una conferenza il 29 ottobre un reporter chiese della razionalità tattica nell’uso delle cluster bombs, le quali, secondo i gruppi dei diritti umani, uccidono indiscriminatamente un largo numero di civili. "sì, questo è molto semplice" ha replicato il generale dell’aviazione Richard B. Myers. "L’11 settembre abbiamo perso oltre 5000 persone in un atto intenzionale. Noi ora stiamo esercitando una guerra globale al terrorismo." [...]