LA GUERRA NEOLIBERALE
ESTENSIONE
DELLE POLITICHE NEOLIBERISTE, CONSOLIDAMENTO DEL CAMPO IMPERIALISTA
SOTTO GOVERNO STATUNITENSE E RIALLINEAMENTO DELLE CLASSI
DIRIGENTI DEI PAESI DIPENDENTI AL "NUOVO ORDINE MONDIALE".
ANALISI DI ALCUNI DEGLI OBIETTIVI DELL'OFFENSIVA IN ATTO.
L'attacco terroristico, definito come violenza contro i civili, del World Trade Center e del Pentagono segna una svolta significativa.
Questa guerra, che potremmo definire guerra neoliberale, sintetizza le caratteristiche dell'offensiva neoliberale degli ultimi venti anni e quelle della guerra fredda. Gli scopi economici reali di questa guerra neoliberale sono l'estensione e l'approfondimento delle politiche neoliberali nel quadro di un maccartismo e di una economia di guerra permanente.
I suoi obbiettivi politici reali sono il consolidamento del campo imperialista sotto governo statunitense nell'ambito della NATO e il riallineamento delle classi dirigenti dei paesi dipendenti al suo "nuovo ordine mondiale". L'anti-comunismo della guerra fredda, dopo dieci anni di tentennamenti ideologici ha trovato il proprio sostituto nell'anti-terrorismo.
Contro le classi lavoratrici dei paesi imperialisti, la guerra neoliberale mirerà a un'offensiva di privatizazione dei servizi pubblici e dei programmi sociali con l'accompagnamento di una"economia sociale" e di un "redditto di cittadinanza" in modo da generalizzare i rapporti mercantili. Porterà anche restrizioni delle libertà civili, autocensura, inquadramento delle sinistre, oltre a maggiore repressione e all'accettazione della minaccia terroristica sul suolo imperialista. Per i popoli dei paesi dipendenti, la guerra neoliberale significherà un offensiva di ri-colonizzazione.
Le multinazionali imperialiste vorranno impadronirsi dei gioielli delle loro economia, del settore pubblico come del settore privato. Si vorranno portare i regimi anti-autoritari risolutamente verso "l'antiterrorismo" per farli cooperare strettamente con l'imperialismo. Si tenderà ad abbandonare alla sua sorte una popolazione "in surplus", spesso maggioritaria. Gli stati con deboli radici sociali saranno lasciati alla loro decadenza. Se non si accontenteranno di soccorsi d'urgenza, i popoli degli Stati recalcitranti rischieranno di subire le conseguenze delle loro rivolte, dall'embargo ai bombardamenti.Queste politiche reazionarie non escluderanno concessioni giudiziose per fare accettare un treno di misure di destra. Lo Stato della previdenza farà posto alla "lotta contro la povertà" e alle operazioni umanitarie mediatizzate verso i paesi dipendenti. Lo Stato neoliberale apparirà per quello che è; non uno Stato a minima ingerenza ma uno Stato forte con un apparato militare e di repressione che si finanzia con la privatizzazione dei grandi pilastri dello Stato previdenziale, continuando a mantenere una politica fiscale conservatrice e un interventismo regolamentare pro-imprese. Questo Stato non si lascerà ostacolare da una qualunque politica di deficit-zero, tanto più che ha bisogno di uscire dalla recessione per conservare l'appoggio delle classi medie (i prestiti dello Stato serviranno da rifugio ai capitali sconvolti dallo scoppio della bolla speculativa).
Le forze capitaliste non potevano continuare come prima perché hanno perso la guerra ideologica del neoliberismo come "pensiero unico". L'assenza di legittimità delle politiche neoliberali è la fonte della resistenza spesso vittoriosa delle classi lavoratrici. L'attacco terroristico dell'11 settembre si rivela salutare per salvare la strategia neoliberale da un movimento mondiale di risposta allo sviluppo dopo il 1994-1995. Dopo le sconfitte dell'AMI e di Seattle, dopo il fallimento del modello sudest-asiatico, l'imperialismo si scontra con l'intifada del popolo palestinese che minaccia il suo dominio, in particolare quello statunitense in Medio Oriente. Il Nuovo ordine mondiale si sente minacciato nelle sue fondamenta perché il petrolio abbondante e a buon mercato è il sangue del libero scambio (e annuncia la rottura dell'equilibrio ecologico del pianeta).
Il movimento antiglobalizzazione non aveva capito l'importanza capitale della lotta del popolo palestinese; un grave colpo portato all'anello debole dell'imperialismo libero-scambista. Questa debolezza del movimento antiglobalizzazione proviene al suo carattere troppo nord-occidentale troppo latino-americano per ciò che concerne il sud del mondo, ma soprattutto è dovuta alla sottovalutazione delle lotte nazionali in generale e delle lotte di liberazione nazionale in particolare. Questo vicolo cieco del movimento antiglobalizzazione è dovuto alla concezione della lotta sociale come scontro essenzialmente socio-economico di movimenti contro le istituzioni di Bretton Wood al servizio del capitale finanziario delle multinazionali, e non come lotta di classe, essenzialmente politica dei proletari e dei popoli contro il sistema imperialista degli Stati capitalisti.
Infine, non meno importante, il sistema di libero scambio sprofonda in una crisi economica grave il cui centro di gravità sono gli Stati Uniti che sembra capace di trascinare l'Unione europea e il Giappone e poi il mondo intero. D'ora in poi l'economia di guerra servirà il bisogno di rottura parziale del quadro neoliberale per salvarlo e rinforzarlo.
Così come la spinta rivoluzionaria risultante dalla Seconda guerra mondiale si era infranta davanti allo stalinismo e alla socialdemocrazia, la spinta anti-neoliberale e anti-imperialista si ferma davanti alla "crisi del socialismo". La necessaria elaborazione programmatica e la costruzione di partiti e fronti uniti capaci di rendere credibile un'alternativa socialista sono in ritardo sullo sviluppo del movimento anti-neoliberale e anti-imperialista. Il vuoto ideologico e politico causato dalla "crisi del socialismo" è stato parzialmente colmato, nei paesi dipendenti, dalle forze ultra-nazionaliste e fondamentaliste.
Alcune di queste forze sono pronte ad imitare il terrorismo di Stato delle potenze imperialiste utilizzando i mezzi alla loro portata e la tattica kamikaze. Il ricorso ai gruppi fondamentalisti da parte dell'imperialismo statunitense, ai tempi della guerra fredda, poi l'aggravamento del terrorismo di Stato imperialista e sionista contro l'Iraq e la Palestina, dopo lo smantellamneto del muro di Berlino, hanno preparato il terreno per la relativa popolarità delle organizzazioni fondamentaliste che praticano il terrorismo. Esse sono adesso in grado di colpire non solo Israele ma anche gli Stati imperialisti tra cui gli Stati Uniti.
Il più evidente punto debole della grande coalizione antiterrorista sono i governi dei paesi arabi e musulmani del Medio-Oriente incastrati tra l'imperialismo e i loro stessi popoli.
L'anti americanismo di questi popoli, che va ben al di là dell'appoggio minoritario ai gruppi fondamentalisti terroristici, è il tendine d'Achille della grande coalizione. Un altra frattura della grande coalizione anti-terrorista si trova nel sentimento democratico e umanista dei popoli dei paesi imperialisti. Si puo dire che nella stessa misura in cui l'imperialismo americano si è servito del fodamentalismo islamico nel Medio-Oriente, ha anche sviluppato una dialettica democratica interna nella sua lotta contro il "comunismo" durante la guerra fredda. I popoli hanno preso sul serio questi argomenti e li rapportano a una realtà che vi si conforma. Lo fanno nonostante aumenti lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, malgrado il controllo dei monopoli e malgrado l'informazionespettacolo permetta più facilmente di sapere, comunicare, e di organizzarsi.L'obbrobbrio generalizzato del regime talebano, particolarmente evidente nella sua politica anti-femminile estremamente reazionaria, fa da schermo alle giustificazione degli scopi della prima battaglia nella guerra dell'imperialismo, ovvero la neutralizzazione della rete di Osama bin Laden, e l'imposizione di un nuovo regime in Afghanistan. Inoltre l'imperialismo si serve della legittimità conferita alla lotta contro il terrorismo come alibi per il "diritto d'intervento umanitario". Dai "lanci umanitari" dell'aviazione statunitense fino alle consegne delle Nazioni Unite e delle ONG, l'approvvigionamento del popolo afgano, in quantità insufficiente, offre una buona copertura mediatica allo scopo di calmare l'anti-americanismo e di rassicurare gli umanisti, potendo eventualmente servire da pretesto all'invio di truppe.
Gli atti di guerra dell'imperialismo, desiderati ardentemente dalle forze fondamentaliste fanno loro guadagnare l'assenso di una grande parte dei popoli musulmani. Trasforma il loro sentimento anti-americano in sostegno alle forze fondamentaliste. Lo stesso si può dire per il recupero della lotta per il diritto dei popoli palestinesi e iracheni da parte della propaganda di Al-Qaida il cui vero scopo è di cacciare gli infedeli (leggere l'armata statunitense) dal suolo sacro dell'Islam (leggere l'Arabia Saudita).
Poiché gli scopi proclamati della guerra sono lo sradicamento di tutte le reti terroristiche a portata globale e la sottommissione degli Stati che le sostengono a costo di cambiare regime, la "guerra contro il terrorismo" si estenderà a tutti i paesi dove, secondo gli Stati-Uniti e la NATO, si trovano le basi terroristiche o che appoggiano le reti terroristiche dei paesi imperialisti. Sono potenzialmente nel mirino: l'Iraq, il Tadjikistan, l'l'Uzbekistan, il Sudan, la Libia, il Libano (la valle della Bekaa).Una presa di potere delle forze fondamentaliste in paesi come il Pakistan o l'Indonesia non sembra impossibile. Malgrado, o a causa, del suo carattere reazionario, una tale presa di potere non sarebbe incompatibile con l'ordine neoliberale a patto di una regolamentazione successiva del terrorismo.
Un anti-americanismo di facciata servirebbe poi a questi regimi, per ottenere un sostegno popolare, e agli Stati imperialisti, per giustificare uno Stato di sicurezza nazionale. Anzi, la paura del terrorismo giocherebbe lo stesso ruolo ideologico e politico che ebbe un tempo la paura del comunismo. E' forse questa una spiegazione subliminale della poca attenzione americana per le conseguenze politiche dei loro bombardamenti.Non permettere che si installi questo Stato di sicurezza nazionale impegnato in una guerra permanente contro il "terrorismo"; questa è la sfida del movimento contro la guerra. La sua vittoria sarà possibile solo se si impegnaneranno le organizzazioni sindacali al seguito delle masse studentesche ai quali i gruppi di donne, il movimento antiglobalizzazione e i gruppi internazionalisti saranno i primi a dare il sostegno.